LA QUESTIONE NAZIONALE NEI BALCANI


novembre 1999, di Vasil Kolarov, da "Kommunisticeskij Internacional", n. 3-4, maggio 1924, traduzione in italiano di Andrea Ferrario,

 

Vasil Kolarov (1877-1950) è stato uno dei fondatori del Partito Comunista Bulgaro e membro della presidenza del Comintern nel periodo 1922-1943. Dal 1922 al 1924 è stato inoltre segretario generale del Comintern stesso. Nel corso degli anni la sua posizione si è evoluta fino a un'adesione totale al più grigio stalinismo, ma negli anni '20 partecipava ancora con notevole spirito critico al dibattito sulla situazione nei Balcani. Il 1924, l'anno in cui è stato scritto il presente articolo, è stato un anno burrascoso e fondamentale per il movimento comunista balcanico e per quello bulgaro in particolare che, pur tra forti controversie interne, aveva deciso di affrontare la questione del movimento rivoluzionario macedone, allora egemonizzato da forze di destra, fornendogli un appoggio attivo e riconoscendo l'importanza delle questioni nazionali, nel tentativo di togliere alle borghesie balcaniche l'egemonia sui vari movimenti di liberazione e indipendentisti - a.f.

I movimenti nazionali hanno fatto la loro comparsa nei Balcani all'inizio del XIX secolo. La base sulla quale essi si sono originati e sviluppati era l'aspirazione delle nuove forze economiche a liberarsi dalle catene dei rapporti feudali ormai sorpassati che regnavano nell'impero dei sultani turchi. Tali movimenti hanno trovato espressione in tutta una serie di insurrezioni nazionali e guerre, che progressivamente hanno infranto il potere dei bej e dei pascià, liberando i contadini e portando alla formazione degli attuali stati indipendenti balcanici.

I movimenti nazionali dei Balcani hanno svolto un ruolo rivoluzionario di primo piano.

Ma essi, allo stesso tempe sono stati ispirati e sostenuti da forze esterne interessate, che perseguivano nei Balcani obiettivi di conquista. Essi sono sempre serviti come strumento della politica di conquista delle grandi potenze europee.

Il patto di Berlino (1878), con il quale è terminata la guerra russo-turca, ha creato una nuova situazione nei Balcani, ma non ha posto fine ai movimenti nazionali. La Macedonia, la Tracia, l'Albania, l'Epiro, la Tessaglia, Creta, sono rimasti nuovamente sotto il potere despotico del sultano e l'oppressione economica dei bej turchi. In queste regioni, il movimento nazionale non è cessato. Oltre alle grandi potenze, in esso si sono immischiati anche gli stati balcanici confinanti. Indipendentemente da questo, l'occupazione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria, l'unione della Dobrugia alla Romania e quella della Bessarabia alla Russia, hanno aperto nuove questioni nazionali.

In conseguenza del regime economico marcescente e del debole potere politico della Turchia, il movimento nazionale nei Balcani si è concentrato soprattutto nelle province turche, intorno alle questioni macedone, tracia e albanese. Il suo programma politico era: l'indipendenza statale.

Le classi capitaliste degli stati confinanti, e le dinastie in essi al potere, miravano naturalmente a espandersi territorialmente, a conquistare nuovi mercati e a ottenere lo sbocco alle grandi rotte marittime a danno dell'impero turco. Il carattere puramente di conquista e in reciproco conflitto delle loro ambizioni è stato da esse coperto con dichiarazioni secondo le quali esse lottavano per la "liberazione dei fratelli" dal giogo turco e per l'"unificazione nazionale". E' evidente che questa "liberazione" poteva essere ottenuta unicamente mediante la guerra e per questo gli stati balcanici si sono intensamente preparati alla guerra contro la Turchia. Ma dall'altra parte, l'"unificazione nazionale" poteva essere raggiunta solo a scapito reciproco, per questo essi si sono preparati a combattere tra di sé. E fino al momento decisivo hanno motivato i propri "diritti" con migliaia di argomenti: etnografici, geografici, storici, economici, strategici e così via.

Gli stati imperialisti, da parte loro, facevano pressione sui Balcani. Sotto la maschera della "difesa della popolazione cristiana" e dei "diritti nazionali", essi perseguivano la propria politica di conquista dell'Est. Qui si incrociavano le rotte della Russia e della Germania, della Russia e dell'Inghilterra, dell'Austria e dell'Italia. Se per il conseguimento dei propri fini le grandi potenze preparavano una Guerra balcanica, è evidente che tale guerra doveva necessariamente tramutarsi in guerra generale europea.

 E' così che il movimento rivoluzionario delle nazionalità soggiogate deviava dai propri fini immediati, nei confini della Turchia europea, sotto la pressione dei numerosi grandi e piccoli "protettori" interessati, che lo hanno trasformato in uno strumento per le conquiste imperialiste e per l'oppressione.

 La Prima guerra balcanica (1912-1913) è stata preceduta da movimenti sobillati degli albanesi e dei macedoni. Le vittorie del Patto balcanico hanno "liberato" i "fratelli" soggiogati dall'oppressione del sultano (patto di Londra), ma l'"unificazione nazionale" ha fatalmente portato alla Seconda guerra balcanica, che è terminata con l'unione alla Romania di parte del territorio bulgaro, con la spartizione dei territori "liberati" soprattutto tra Serbia e Grecia e la condanna dei "fratelli" a una nuova oppressione nazionale (pace di Bucarest). Grazie alla concorrenza tra Austria, Italia e Serbia, parte della nazione albanese è tuttavia riuscita a ottenere una semindipendenza politica.

Ma gli interessi di rapina degli stati imperialisti hanno spinto gli eventi oltre. E' scoppiata la grande guerra, che non solo non ha risolto, ma ha ulteriormente complicato e acutizzato i problemi nazionali nei Balcani.

 I patti di Saint Germaine, di Trianon e di Neuilly (1919), firmati a danno delle sconfitte Austria-Ungheria e Bulgaria, hanno creato gli stati multinazionali della Jugoslavia e della "Grande Romania". Oltre a ciò, la Romania si è impadronita della Bessarabia sovietica. Infine, i negoziati di Neuilly e la conferenza di Losanna (1923) hanno fissato nuovi confini tra la Turchia, la Bulgaria e la Grecia.

Prima della guerra la Serbia aveva meno di 3 milioni di abitanti, mentre ora in Jugoslavia si contano circa 2 milioni di appartenenti a minoranze nazionali (tedeschi, ungheresi, italiani, romeni, albanesi, bulgari ecc.) e circa 7 milioni di croati, sloveni, bosniaci, montenegrini e macedoni, che si sentono nazioni a sé. Le minoranze aliene, sottoposte spesso a un brutale regime, ambiscono naturalmente a unirsi ai propri connazionali indipendenti; tra di esse si diffonde l'irredentismo. Ma un ruolo molto più grande lo ha la lotta tra i gruppi nazionali compatti.

  La borghesia serba, appoggiandosi al monarchismo e al militarismo e sostenuta dal capitale francese, ambisce a stabilire la propria egemonia sulle ex province austroungariche, molto più sviluppate dal punto di vista capitalistico. E' su questo terreno che si è sviluppato un conflitto tra la Serbia, da una parte, e la Croazia, la Slovenia e in parte la Bosnia, dall'altra. La debolezza numerica della popolazione serba rispetto ai croati, agli sloveni e ai bosniaci presi nel loro insieme, spinge i governanti di Belgrado a essere duri e brutali nei confronti di questi ultimi, un fatto che coinvolge nella lotta, insieme agli strati borghesi, anche le masse popolari più ampie; in conseguenza di ciò, il conflitto si amplia e si acutizza ancora di più. La base parlamentare inaffidabile del governo costringe quest'ultimo a cercare l'appoggio dei bej (latifondisti) turchi e bosniaci; facendo ciò, esso attira su di sé le ire dei contadini nullatenenti o poveri. Così, progressivamente, la Jugoslavia si è trasformata in un paese segnato da una lotta accanita, alla quale prendono parte ampie masse popolari e che prende un carattere nazionale. Nel dirlo, è importante sottolineare che la direzione delle masse si trova nelle mani della borghesia. Quest'ultima è riuscita a dare alle sue mire di classe un carattere nazionale e in tal modo a garantirsi il sostegno delle masse. Il Partito Comunista, che nel 1919 e nel 1920 non aveva solo il sostegno del proletariato, ma anche di ampi settori dei lavoratori dei campi, negli ultimi anni si è isolato dalle masse. Tuttavia, queste ultime non sono passate nemmeno dalla parte dei socialdemocratici. A scapito dei comunisti, si sono rafforzati i partiti nazionali (di Radic, di Korosec, di Spaho), una prova del fatto che il Partito Comunista non ha dato valore sufficiente al ruolo dell'aspetto nazionale nella lotta delle masse lavoratrici. La negazione esplicita della questione nazionale in Jugoslavia, o la sua negazione dissimulata (cioè il riconoscimento della sua esistenza solo come questione puramente costituzionale), si riflette in maniera univocamente negativa sullo sviluppo del partito. Quest'ultimo rischia di perdere le simpatie dei contadini macedoni, manifestatesi in maniera così forte nel 1919 e nel 1920, se non assume attivamente un posizione corretta sulla questione nazionale.

 Ma la questione macedone ha un'importanza molto più grande. Il controllo della valle del fiume Vardar (Macedonia) significa il libero accesso al Mar Egeo (Salonicco). A ciò ambiva l'ex monarchia austro-ungherese, a ciò ambisce oggi anche il suo erede meridionale - la Jugoslavia: il controllo della Macedonia le servirà come base per la conquista di Salonicco. La Macedonia ha una particolare importanza anche per la borghesia bulgara e per la borghesia greca. In Macedonia oggi si incrociano nuovamente le ambizioni di conquista dei tre stati balcanici. Prima o poi, se continuerà il dominio capitalista, la questione macedone porterà a una nuova guerra balcanica.

  I contorni di tale guerrà si stanno già profilando. Il governo di Belgrado ha siglato un'intesa con gli italiani riguardo alla questione adriatica, per avere la possibilità di rivolgere la propria attenzione verso sud. Ciò la spinge a fare il possibile per garantirsi il controllo della Macedonia, isolandola dalle mire conquistatrici della Bulgaria, attraverso un intervento militare in Bulgaria, oppure mediante un'intesa ai danni della Grecia sulla base: la Macedonia con Salonicco alla Jugoslavia, la Tracia Occidentale con Dedeagac (e Kavala?) alla Bulgaria. La sconfitta della Grecia nell'Asia Minore e la cacciata del regale "cognato", il re Alessandro, da Atene non hanno fatto che aumentare gli appetiti del rapace capitale.

 Per questo, nella loro lotta contro le mire imperialiste della borghesia balcanica e contro una nuova guerra, che essa sta zelantemente preparando, gli operai e i contadini dei paesi balcanici hanno un alleato nel popolo lavoratore macedone, che lotta per la propria unificazione e per l'indipendenza. Una Macedonia (e una Tracia) unita e autonoma non farebbe che rafforzare il fronte antimperialista. I partiti comunisti balcanici, sostenendo il movimento nazional-rivoluzionario macedone, non fanno altro che favorire, ampliare e rafforzare la propria lotta contro la borghesia imperialista. I loro compiti più importanti sono, a seconda delle condizioni, quelli di trovare le forme concrete per la collaborazione con le organizzazioni nazionali di massa macedoni. Loro compiti non meno importanti sono anche l'opposizione a ogni tentativo della borghesia, di qualsiasi paese balcanico, di impossessarsi, anche solo in forma dissimulata, della direzione del movimento nazionale macedone e di utilizzarlo per i propri fini di conquista e controrivoluzionari.

 Un ruolo quasi uguale lo svolge la questione tracia nelle relazioni tra Turchia, Bulgaria e Grecia. Per questo, un tale atteggiamento è obbligatorio per i partiti comunisti balcanici anche nei confronti del movimento di liberazione nazionale e delle organizzazioni nazionali in Tracia.

 La Romania, che prima della guerra aveva circa 8 milioni di abitanti, dopo la guerra ha raddoppiato la sua popolazione e allo stesso tempo ha inghiottito non meno di 3 milioni di ungheresi, tedeschi, russi, bulgari e altri gruppi compatti che vivevano in Transilvania, nella Bucovina, in Bessarabia, nella Dobrugia e altrove. In tal modo anche in Romania è emersa in forma acuta la questione nazionale.

 La borghesia della vecchia Romania, in maniera analoga a quella della Serbia, ha fatto tutto il possibile, apoggiandosi alla monarchia e all'esercito, per imporre la propria egemonia nelle province che si era annessa. Ma in Transilvania, dove vi è un capitale ungherese più sviluppato e più forte, essa ha incontrato una forte resistenza da parte di quest'ultimo; in quella regione è stato creato il Partito Nazionale Ungherese, che ha cercato di riunire attorno a sé l'intera popolazione ungherese. In Bessarabia, la tirannica politica romena si è scontrata con l'irrefrenabile attrazione delle ampie masse contadine per l'Unione Sovietica. Nella Dobrugia meridionale, il nazionalismo dei contadini bulgari è rimasto irremovibile, indipendentemente dai metodi terroristici dei çokoi (latifondisti) di Bucarest. In tal modo, la vita politica è stata contrassegnata in tutto il paese dalla forte influenza della lotta nazionale. In tali condizioni è chiaro che la questione nazionale ha un enorme e pressante significato anche per il Partito Comunista Romeno. Non prestanrle attenzione, cercando di ridurre la lotta delle masse esclusivamente alla base delle contraddizioni di classe, vuol dire privarsi di una potente arma per ottenere influenza sulle masse e per instaurare rapporti con esse.

  La questione della Bessarabia, similmente a quella macedone, nasconde dentro di sè gli embrioni di una nuova guerra. Il rifiuto dell'URSS di riconoscere l'usurpazione della Bessarabia rende instabile la posizione dei latifondisti romeni in questa regione. Per mantenerla nelle loro mani, essi devono spendere continuamente enormi fondi del paese in armamenti, cercando protezioni che costano care e sforzandosi in tal modo di mantenere continuamente le masse nazionali sotto la minaccia della guerra. Dare alla popolazione di questa regione il diritto all'autodeterminazione, non solo soddisferà la Bessarabia, ma solleverà le masse popolari dell'intera Romania da tremendi oneri, da nuove rovine e catastrofi.

 La questione nazionale nei Balcani è nella massima misura multiforme.

 Quando le nazionalità oppresse vivono, come minoranze aliene, disperse tra la nazione dominante, la questione nazionale si presenta come questione di eguaglianza politica e civile, di diritti culturali-nazionali e così via. In considerazione dell'eterogeneità nazionale degli stati balcanici e della secolare inimicizia e intolleranza, la questione della difesa dei diritti delle minoranze nazionali ha in questo caso un'importanza di primo piano. Tutti gli accordi internazionali relativi ai Balcani affrontano tali questioni. I partiti comunisti balcanici hanno qui un'ottima occasione di esprimersi come difensori degli oppressi e di coloro che non hanno diritti, nonché di contribuire alla pacificazione delle nazioni balcaniche.

Quando invece ci troviamo di fronte a gruppi nazionali compatti, la questione è molto difficile. Se questi gruppi sono incontestabilmente alieni (gli ungheresi in Transilvania, i bulgari in Dobrugia, gli albanesi in Serbia e così via), si riconosce loro senza obiezioni il diritto all'autodeterminazione; ma se essi sono di stirpe diversa (croati, sloveni, bosniaci, montenegrini rispetto ai serbi) insorgono dubbi. Gli slogan borghesi per l'"unificazione nazionale" ecc., che mascherano le ambizioni di conquista dei capitalisti annebbiano la coscienza. E' invece qui necessario innanzitutto avere una chiarezza rivoluzionaria ed evitare in ogni modo la scolastica nazionalistica borghese. Se il movimento nazionale esiste realmente, come movimento delle masse, la disputa su se un determinato gruppo nazionale costituisce una nazione a sé o solo una stirpe diversa di un'unica nazione, non ha alcun senso pratico. E' il gruppo stesso che deve decidere la propria appartenenza statale.

 Alcuni gruppi nazionali vengono attirati dallo stato dal quale sono stati separati con la violenza (irredentismo), come per es. gli ungheresi in Jugoslavia e Romania sono attirati dall'Ungheria, i bulgari in Dobrugia sono attirati dalla Bulgaria ecc., oppure cercano di constituirsi in stati a sé, come i macedoni, i montenegrini ecc, o ancora di entrare in rapporti federali con altri gruppi nazionali, come per es. i croati, gli sloveni e altri. I bessarabi vogliono chiaramente entrare a fare parte dell'Unione delle Repubbliche Socialista Sovietiche.

 I partiti comunisti determinano la propria posizione nei confronti di tutti questi multiformi movimenti e ambizioni in ogni singolo caso concretamente, basandosi sul diritto di ogni nazione all'autodeterminazione e ispirandosi agli interessi del movimento rivoluzionario delle masse lavoratrici.

 La questione degli emigrati negli stati balcanici costituisce anch'essa una pagina della questione nazionale. Grandi masse popolari di queste regioni, dove si sono svolte azioni di guerra (Tracia, Macedonia ecc.) sono fuggite di fronte agli eserciti che avanzavano; i governi balcanici hanno spesso espulso con la violenza la popolazione aliena dalle regioni conquistate (i greci dall'Asia Minore, i bulgari dalla Tracia ecc.); hanno instaurato un regime discriminatorio nelle regioni annesse dalle quali sono state espulse ingenti masse verso i paesi confinanti (i macedoni fuggono in Bulgaria ecc.). Il patto di Neuilly prevede perfino lo "scambio" di popolazioni tra Grecia e Bulgaria. In tal modo nei paesi balcanici è stata creata un'enorme emigrazione, che naturalmente prende parte sotto diverse forme al movimento nazionale. L'emigrazione costituisce in primo luogo un enorme onere materiale per il paese in cui tali emigranti si stabiliscono e in secondo luogo è continuamente motivo di conflitti tra gli stati balcanici, mentre, in terzo luogo, la borghesia e le dinastie si adoperano in tutti i modi per utilizzarla come arma per la propria politica di conquista e di oppressione. Prendendo sotto la propria protezione l'emigrazione e adoperandosi per alleviarne i destini, il partito comunista deve fare tutto il possibile per sottrarla all'influenza della borghesia e delle dinastie e per mettere in collegamento la sua lotta con la lotta delle masse lavoratrici.

I metodi della lotta nazionale nei Balcani sono anch'essi altrettanto multiformi. Dalla difesa puramente legale e parlamentare e dalla pressione semilegale delle masse, essi devono arrivare fino alla creazione di organizzazioni illegali, alla lotta di gruppi armati e agli attentati, all'organizzazione di insurrezioni armate, all'intervento di stati stranieri e all'istigazione alla guerra.

 Tra le classi sociali che prendono parte ai movimenti nazionali, quella più numerosa e che ha importanza decisiva è la classe contadina. In Bosnia, Macedonia, Tracia, Bessarabia e Transilvania, la questione agraria svolge un grande ruolo nel movimento nazionale. Il proletariato vi prende parte nella misura in cui l'oppressione nazionale è fonte di un grande sfruttamento e ostacola il dispiegarsi della lotta di classe. La grande borghesia è in alcune regioni (Croazia, Slovenia, Transilvania) anch'essa di umori nazionalisti e le cosiddette borghesie serba e romena fanno tutto il possibile per sottometterla ai propri interessi. Questa multiformità di interessi di classe all'interno del movimento nazionale rende il compito dei partiti comunisti ancora più difficile. Ma da essa conseguono i seguenti compiti urgenti: analizzare nella maniera più approfondita possibile i rapporti agrari nel proprio paese, rilevare in quale misura l'oppressione nazionale influisce sulla lotta di classe degli operai e, indipendentemente da quanto accade, sottrarre la direzione della lotta delle masse cittadine e contadine dalle mani della borghesi nazionalista.

I partiti comunisti balcanici, uniti nella Federazione comunista balcanica, vedono la soluzione più giusta della questione nazionale nell'Unione delle Repubbliche Sovietiche dei Balcani. Ma il conseguimento di questo comune obiettivo esige da essi un'analisi scrupolosissima e multiforme del complesso problema nazionale e un atteggiamento il più attento possibile a tutte le espressioni del movimento nazionale nei Balcani.

(traduzione sulla base della versione in lingua bulgara pubblicata nel libro: Direzione Centrale degli Archivi presso il Consiglio dei Ministri, "Il PCB, il Comintern e la questione macedone", vol. 1, Sofia, 1998. Il testo originale dell'articolo è in lingua russa)