I BEI DISEGNI DELLA SPORCA GUERRA
I FUMETTI DI GUERRA PRODOTTI TRA IL 1991 E IL 1995


febbraio 2000, di Xavier Bougarel, traduzione dal francese di Cinzia Garolla

 

Questo saggio (inclusivo delle note che qui non appaiono) è tratto dal volume "De l'unification à l'éclatement. L'espace yougoslave, un siècle d'histoire", curato da Laurent Gervereau e Yves Tomic e pubblicato dal Musée d'Histoire Contemporaine ­ BDIC nel 1998. Il volume, di 320 pag., è richiedibile alla BDIC, 6, allée de l'Université, 92001 Nanterre, al prezzo di 285 FF. Xavier Bougarel fa parte della redazione della rivista "Balkanologie", e ha pubblicato il volume "Bosnie. Anatomie d'un conflit" presso le Édition de la Découverte nel 1996 e numerosi saggi in riviste e volumi collettivi.


Nelle guerre di immagini che sono stati i recenti conflitti in Croazia (1991-1992) e in Bosnia Erzegovina (1992-1995), l'immagine televisiva e la fotografia giornalistica sono state sicuramente le armi principali. Questi conflitti hanno anche dato luogo a numerose caricature e strisce, sulla stampa sia locale che straniera. A confronto, i fumetti di guerra prodotti tra il 1991 e il 1995 all'interno dello spazio jugoslavo occupano un posto modesto e discreto, e la loro stessa esistenza è ignorata dalla maggior parte degli osservatori esterni.
Contrariamente a molte delle immagini televisive e delle fotografie giornalistiche, infatti, questa produzione è locale, destinata ad un pubblico locale. A questo titolo, non è veicolo degli stessi messaggi e degli stessi codici, degli stessi artifici e degli stessi trucchi. Tuttavia, per il loro stile e per i loro riferimenti, questi fumetti rinviano a cose che tutti conosciamo: il supereroe "Bosman" non è che un succedaneo di Batman, che preferisce i minareti di Sarajevo ai grattacieli di New York e i "kninja", infaticabili combattenti della causa serba, devono il loro nome all'incrocio tra Knin, capitale della "repubblica serba di Krajina" proclamata nel 1991 sul territorio croato, e le tartarughe ninja [1]. In questo, i fumetti di guerra rappresentano una delle migliori illustrazioni del carattere moderno dei conflitti jugoslavi, della loro partecipazione all'era della globalità.

Eroi tra territorio e villaggio globale

I loro eroi sembrano essi stessi oscillare fra tradizione e modernità, territorio e villaggio globale. Per convincersene basta studiare i due fumetti di guerra più conosciuti nello spazio jugoslavo: "I kninja" da parte serba, e "I berretti verdi" da parte bosniaca [2].


I "kninja" trovano le loro origini nella tradizione pastorale ed epica della montagna serba. Così nel primo episodio, il padre di Sava (il comandante) è pastore, e quando il piccolo Grujica (la mascotte) aiuta il suo amico Nenad e suo nonno a sfuggire alle unità speciali della polizia croata, si preoccupa di liberare il gregge del nonno. Quest'ultimo, per ringraziare i "kninja" della loro azione, offre loro, alla fine dell'episodio, un montone arrosto. Nello stesso modo, nel secondo episodio, il "vecchio Novak" porta il copricapo tradizionale dei montanari e si è impadronito della sua gusla per ­ ci dice il commento ­ cantare la gloria degli antichi uskok (banditi d'onore, aiducchi), ma anche le gesta dei loro discendenti, i "kninja" [3].


Ma se i nonni incarnano la tradizione, i giovani, gli eroi, ne sono largamente distaccati. Le loro uniformi hanno un taglio moderno, praticano le arti marziali provenienti dall'Asia e offrono al nonno di Nenad sigarette dal nome anglosassone: delle Wells. Quanto a quelli che vedono nei conflitti jugoslavi l'espressione di una società patriarcale e machista, dovranno ricredersi: potrebbe capitare loro la stessa disavventura capitata a Sava, comandante dei "kninja", che si ritrova a terra per avere messo in discussione la capacità della bella Milica di partecipare ad un'operazione. Milica, infatti, è il bersaglio degli scherni machisti dei suoi compagni d'armi. Ma li sa mettere al loro posto [4], si rivela la più abile di tutti e ­ ultima vittoria sull'uomo delle caserme o impossibile accesso alla quintessenza della virilità patriottica? ­ è dispensata dalla corvée delle patate cui sono obbligati gli altri "kninja" per aver disobbedito agli ordini.


Le osservazioni dell'etnologo belgradese Ivan Colovic sul "Capitano Dragan", principale responsabile delle unità speciali serbe durante la guerra in Croazia, possono essere ben applicate agli eroi immaginari di un fumetto in cui fa un'apparizione furtiva:
"La figura del Capitano Dragan è apparsa sui nostri schermi televisivi all'inizio dell'estate (1991), quando ci è stato presentato come l'eroe delle prime vittorie serbe nei combattimenti in Krajina a Knin. Pulito, ben rasato, gracile, brizzolato e disarmato, in divisa mimetica e senza segni d'appartenenza etnica, il Capitano si distingueva dagli altri pretendenti al ruolo di nuovo guerriero serbo. Questi ultimi, costruendo il loro look guerriero, si rivolgevano al passato e si accontentavano di imitare il modello (cetnico, nazionalista serbo) della guerra precedente: resuscitando la barba folta e lo sguardo minaccioso, il berretto di pelliccia e il mantello, la cartucciera sul petto e il coltello alla cintola. La rapida e generale popolarità del Capitano Dragan, nella cui figura non c'è né bellicismo minacciante, né simboli tradizionali del guerriero serbo () ha dimostrato che oggi, in piena guerra interetnica, il pubblico serbo è pronto ad accettare un'incarnazione abbastanza inusuale, e in ogni caso non tradizionale, dell'eroismo patriottico."
Nello stesso modo, se i "berretti verdi" sembrano a prima vista più rispettosi della tradizione, si permettono in realtà altrettante libertà e scarti. Il prologo di questo fumetto narra infatti la storia di un giovane "berretto verde" anonimo che, in uno stretto rispetto delle regole dell'asikovanje (corteggiamento tradizionale bosniaco), chiama dalla strada la sua bella che compare alla finestra, e le offre sulla soglia della casa un anello come promessa di matrimonio [5], prima di partire per la battaglia e morire da martire [6].

Ma se questo giovane sehid (martire della fede, shahid) ci appare così pudico, non è lo stesso per i tre abitanti di Sarajevo veri eroi di questo fumetto: Zike il Musulmano, Ankica la Croata e Sava il Serbo ­ da non confondere con il suo omonimo di Knin.
Ankica, lungi dal rimanere a casa, sa e vuole battersi, qualsiasi cosa ne dica il comandante locale della Lega Patriottica [7]. Moderna nel combattimento, lo è anche nell'amore. Prima della guerra, Ankica e Sava si amavano segretamente. La guerra sottopone questa relazione a una dura prova: Sava raggiunge le fila dei nazionalisti serbi, prima di essere catturato dai "berretti verdi". Segue un tormentato dialogo tra Sava e Ankica. Alla fine, quest'ultima cade nelle braccia di Zike, sotto lo sguardo un po' triste e un po' ironico di Sava. Coppie miste, relazioni extraconiugali, infedeltà ammesse: niente a che vedere con una società tradizionale in cui, un secolo prima, certi matrimoni misti potevano provocare vere stragi.

Invenzione della tradizione e ricostruzione della memoria

Se i "kninja" e i "berretti verdi" partecipano a questa reinvenzione della tradizione e dell'identità che accompagna ogni messa in opera di un progetto nazionalista, questo non avviene tanto con una semplice imitazione, quanto con una riappropriazione degli attributi di questa tradizione e identità, e con la loro ridistribuzione all'interno di un universo simbolico contemporaneo. Gli eroi sono impregnati dalla tradizione, ma sono portatori di modernità. In contrasto, i loro nemici simbolizzano l'arcaismo, e somigliano a fantasmi resuscitati dal passato. Così, nel secondo episodio dei "kninja", il Presidente croato Franjo Tudjman e i suoi stretti collaboratori parlano una lingua arcaica, che imita la lingua croata instaurata nel 1941 dagli ustascia (fascisti croati) [8].

Si appoggiano, per condurre la loro operazione su Knin, a un tale Ante Jelic, un ustascia rientrato da un lungo esilio politico in Austria. E quando i "kninja" s'impadroniscono della bandiera croata che quest'ultimo voleva issare in cima alla fortezza di Knin, decidono di offrirla al vecchio Novak perché, ci dice il piccolo Grujica, "quella che ha catturato nel 1941 deve essere già completamente marcia". Ugualmente, nei "berretti verdi", i soldati serbi che assediano Sarajevo hanno gli attributi cetnici elencati da Colovic, ma con una connotazione negativa: questi soldati, infatti, più che a un esercito assomigliano al gruppo di briganti che Tintin e Milù, partiti alla ricerca dello scettro di Ottokar, incrociano nelle foreste sildave.
Ustascia e cetnici ossessionano le pagine di questi fumetti di guerra. "Kninja" e "berretti verdi" non conoscono altre parole per designare i loro rispettivi avversari. Al contrario, i partigiani di Tito sono completamente assenti - benché Ahmet Muminovic, il disegnatore dei "berretti verdi", abbia celebrato per anni le loro azioni nelle pagine del quotidiano "Oslobodjenje" ("Liberazione" allora organo ufficiale della Lega dei Comunisti della Bosnia Erzegovina).
Si tratta allora di riscrivere la storia, di risvegliare e di rimodellare i traumi della seconda guerra mondiale per i bisogni della guerra attuale. Questo tentativo di manipolare la storia e la memoria è condotta in modo particolarmente grossolano e scorretto nel primo episodio dei "kninja". Per uno straordinario caso l'operazione dei "kninja" si svolge proprio là dove, venti anni prima, il giovane Sava aveva visto assassinare dagli ustascia suo padre, per vendicarsi del loro arresto avvenuto alla fine della guerra, arresto al quale il padre di Sava avrebbe (sembra) partecipato.
Questo lungo ricordo di Sava è allora l'occasione per una doppia manipolazione. Permette in primo luogo di presentare la "primavera croata" del 1971 come un movimento ustascia ("Io non pensavo di rivedere questo, dice il padre al figlio, ma gli ustascia si sono di nuovo arrabbiati"), quando in realtà era animata dai dirigenti della Lega dei Comunisti di Croazia. In secondo luogo consente di presentare i rapporti tra Serbi e Croati come un ciclo incessante di violenze: prima di morire, il padre di Sava gli affida la medaglia ricevuta come ricompensa della sua azione durante la guerra, e di fatto, il giovane Sava cade in un universo di violenza - divenendo karateka, teppista e mercenario - con un solo scopo nella testa: vendicare la morte del padre.
Nei "berretti verdi", la manipolazione della memoria non consiste nel risvegliare i traumi della seconda guerra mondiale per chiamare alla vendetta, quanto nel contribuire alla reislamizzazione dell'identità musulmana, mettendo in scena azioni e rituali religiosi che la popolazione musulmana ignora in modo pressoché totale. Nel prologo, ambientato in uno dei vecchi quartieri ottomani di Sarajevo, l'eroina porta un foulard sui capelli, utilizza numerose parole di derivazione turca ed espressioni religiose, e prega sulla tomba del suo pretendente - una tomba ornata da una mezzaluna e da una stella. [9]

 

Soprattutto, questo prologo è l'occasione per introdurre a dei lettori secolarizzati da lungo tempo la nozione di sehid (martire della fede), figura reislamizzata dell'eroe che non muore mai. Nel corso del racconto, Ankica saluta Zike con la frase "Ciao, o Allahimanet (Alla grazia di Dio), come dicono i tuoi" [10], in un'epoca in cui questo tipo di saluto religioso era veramente poco diffuso. Questo fumetto incoraggia dunque questi movimenti di riaffermazione delle divisioni comunitarie e di reislamizzazione delle caratteristiche identitarie musulmane che, in tre anni e mezzo di conflitto, hanno modificato profondamente la "messa in scena della vita quotidiana" in Bosnia Erzegovina.

 

Demonizzare il nemico per legittimare la guerra

Vendette familiari e di clan, appartenenze comunitarie ed etniche, ecco le giustificazioni della guerra. Comunque, gli stessi eroi lo sanno: la guerra è assurda e sporca. "Ci sono molte cose che non capisco" si lamenta Ankica. "Là non ci si batte secondo le regole", constata amaramente il comandante dei "kninja". Allora come, perché accettare di prendervi parte?
Secondo un procedimento ricorrente in tutte le guerre, e messo in scena in modo simile in questi due fumetti, si attribuiscono al nemico tutte le bassezze e tutti gli orrori della guerra, per opporgli un modo di combattere al servizio di vittime innocenti. Così, nel secondo episodio dei "kninja", l'ustascia Ante Jelic porta con sé un coltello che chiama "Srbosijek" ("tagliatore di serbi"), e uno dei suoi accoliti dichiara che "Per i Serbi, nessuna pietà! Coltello, pallottola, corda! Dobbiamo liberare la nostra bella Croazia da queste canaglie di zingari balcanici!". In modo ancor più evocativo, Ankica elenca a Sava le atrocità perpetrate dai serbi nei primi giorni della guerra, coltelli e gole tagliate che servono a illustrare la barbarie e la viltà del nemico.
Di fronte a questi avversari vili e mostruosi, i nostri eroi combattono quasi sempre in condizioni di inferiorità numerica, e ne escono solo grazie alla loro intelligenza e alla loro agilità, risparmiando la vita dei loro prigionieri e salvando quella dei civili. L'infiltrazione nelle linee nemiche, la liberazione di prigionieri, la protezione dei loro villaggi diventano allora prove del loro coraggio e della loro dedizione. Gli autori utilizzano le inossidabili figure della vedova e dell'orfano, per glorificare l'azione delle unità speciali, famose nella realtà per essere state sanguinarie e dedite alle rapine. Ma con quali argomenti si sforzano di legittimare la stessa guerra, e di mobilitare il lettore per il suo coinvolgimento militare?
Qui, senza dubbio, bisogna soffermarsi su alcune differenze che intercorrono tra i "kninja" e i "berretti verdi". Abbiamo visto la motivazione del comandante dei "kninja" che si radica nelle oscure profondità del passato: la morte del padre e i crimini della seconda guerra mondiale. Quella di Zike e Ankica, invece, sorge nella drammatica urgenza del presente: "Ho deciso di raggiungere le nostre forze armate, dice Ankica, il giorno in cui questi mostri hanno sparato sulla popolazione disarmata, quando hanno ucciso la mia cara amica Suada Dilberovic sul ponte di Vrbanje". Ankica si scontra con l'incredulità, lo sconforto, il ripiegamento su se stessa di fronte a una coesistenza spezzata, a dei legami personali frantumati dalle logiche comunitarie e politiche.
Questa essenziale differenza nella motivazione dei "kninja" da un lato, e dei "berretti verdi" dall'altro, si spiega in parte con il fatto che i due autori non parlano delle stesse realtà, non trovano gli stessi punti d'appoggio e gli stessi ostacoli nella loro impresa di legittimazione della guerra.
L'azione dei "kninja" è ambientata nella Krajina di Knin, regione ancora intrisa delle logiche montanare della vendetta e dell'onore, e terribilmente segnata dal genocidio ustascia della seconda guerra mondiale. Lavorando negli anni '80 sulla vicina regione dell'Erzegovina occidentale, l'etnologo Mart Bax riporta il caso del croato Branko Jergovic, ucciso da un serbo negli anni sessanta, perché il padre del primo aveva ucciso il padre del secondo venti anni prima, ed enumera una sessantina di casi simili di vendetta tra il 1963 e il 1980. Chi ha detto che la realtà supera a volte la fantasia?
Comunque, l'autore dei "kninja" trova nella storia della Croazia e nei codici della montagna due formidabili leve per il suo lavoro di mobilitazione e di reclutamento. L'azione dei "berretti verdi" si svolge invece a Sarajevo, e le loro riflessioni rispecchiano bene un certo stato d'animo proprio di questa città bosniaca. Così, è mostrato l'esercito jugoslavo che bombarda la città, è citata come amica di Ankica Suada Dilberovic, la manifestante pacifista uccisa da miliziani serbi nei primi giorni del conflitto, o è mostrata una popolazione disarmata che si decide infine a prendere le armi. Muminovic si sforza di vincere la reticenza degli abitanti di Sarajevo a entrare in guerra, reticenza ammirevolmente descritta da Zeliko Vukovic o Mevlida Karadza. E quando Ankica parla dei suoi rapporti con Sava affermando che "era amore e non politica", è l'eco di una distanza dalla politica tipicamente bosniaca.
Ma non si fermano qui le differenze tra "kninja" e "berretti verdi". Gli uni e gli altri combattono non solo in contesti diversi, ma anche e soprattutto in nome di ideologie diverse. I "kninja" si battono in nome della "Grande Serbia", e annunciano che la bandiera serba "sventolerà sulla Lika, la Banja, Kordun, la Slavonia, la Baranja e la Srem occidentale" (territori della Croazia rivendicati dai nazionalisti grandi-serbi). I "berretti verdi" si battono per la "Bosnia multietnica" e quando Sava rimprovera a Ankica di essere passata dalla parte dei "fondamentalisti", ottiene in risposta un'edificante lezione di multiculturalismo.
Più ancora forse che in queste affermazioni esplicite e pompose, questa opposizione ideologica tra i due fumetti si riflette nella personalità e il destino di alcuni personaggi. Così, il solo civile croato che fa la sua apparizione nei "kninja", Jozo Baresic, è una spia al soldo degli ustascia. I "kninja", che lo scoprono, lo minacciano di "fare della casa un castello di fumo (od tvoje kuce napravicemo bardak ni na nebu ni na zemlji)". La morale di questa storia è la seguente: i croati del posto sono delle spie: in quanto tali, devono essere cacciati e la loro casa distrutta. In tal modo, gli autori del fumetto giustificano implicitamente la pulizia etnica.
Il personaggio di Sava nei "berretti verdi" è molto diverso. Certo, anche lui è un traditore. "E' uno di quelli che ci hanno tradito" dice Zike, che mette in guardia Ankica: "Non è più il Sava che abbiamo conosciuto! Non si preoccupa del sangue sulle proprie mani e sguazza nel crimine!". Ma Sava resta un personaggio fondamentalmente ambiguo che, poco a poco, si rende conto che Ankica ha ragione. In un primo tempo, non esita a colpirla per scappare e raggiungere le linee serbe. Ma, davanti a lui, i capi militari serbi decidono di prendere dei bambini musulmani in ostaggio per scambiarli con gli altri prigionieri. Più tardi, mandato al cimitero ebraico come sniper, cecchino, vede un cetnico che con piacere maligno uccide una bambina [11].

 

La sua coscienza comincia allora a tormentarlo seriamente. Per farsi perdonare i dubbi, decide di fare fuoco anche lui. Ma che cosa vede nel suo mirino? Ankica che ha appena assistito all'uccisione della ragazza. E' troppo: Sava rivolge la sua arma contro un cetnico, e fugge verso le linee bosniache sotto il fuoco dei cetnici imbestialiti per il suo tradimento.
Contrariamente al croato Baresic, incorreggibile traditore che bisogna cacciare dal territorio della Grande Serbia, Sava il serbo si pente e acquisisce così il diritto di ritornare a Sarajevo ("Si direbbe che arrivo troppo tardi", constata tuttavia Sava). Come si vede, la morale della storia, l'ideologia implicita del racconto è molto diversa da un fumetto all'altro. Rimane il fatto che in entrambi i casi si tratta di propaganda e, per dirla tutta, di una menzogna. Oggi, è la bandiera croata che sventola sulla fortezza di Knin e non è buona cosa essere serbo a Sarajevo.