NATO: LA MANO SINISTRA DI DIO?
LE CONSEGUENZE IDEOLOGICHE E POLITICHE DELLA GUERRA


febbraio 2000, di Slavoj Zizek, traduzione di Andrea Ferrario

 

Questo testo del giugno 1999 e' stato reso disponibile su Internet da "nettime-l list", ed è ottenibile insieme a molti altri testi di Zizek dai siti http://www.bard.edu/satellite/hrp/zizekevent.html e http://www.lacan.com/bibliographyzi.htm.
Slavoj Zizek, filosofo e psicanalista lacaniano, _ nato in Slovenia nel 1949. Ha pubblicato numerosi volumi tradotti in inglese, francese e tedesco. In Italia l'unico suo libro disponibile è l'antologia "Il Grande Altro. Nazionalismo, godimento, cultura di massa", curato da Marco Senaldi e pubblicato dalle edizioni Feltrinelli nel giugno 1999. Sulla guerra in Jugoslavia della scorsa primavera ha scritto il saggio "Contro il doppio ricatto", pubblicato dalla "New Left Review".



I bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia sono finiti. C'è quindi tempo per chiedersi qual è stato il significato di questa guerra. Quali sono state le sue conseguenze ideologiche e politiche? Non molto tempo fa, Vaclav Havel sosteneva (in un saggio intitolato "Il Kosovo e la fine dello stato nazione") che i bombardamenti sulla Jugoslavia, per i quali non vi era alcun mandato ONU, "hanno messo i diritti umani al di sopra dei diritti degli stati... Ma ciò non è avvenuto in maniera irresponsabile, come un atto di aggressione o nel disprezzo del diritto internazionale. Al contrario. E' avvenuto sulla base del rispetto dei diritti, per diritti che stanno al di sopra di quelli che vengono protetti dalla sovranità degli stati. L'Alleanza ha agito basandosi sul rispetto dei diritti umani, in un modo ispirato non solo dalla coscienza, ma dai relativi documenti del diritto internazionale". Questo "diritto superiore" ha le sue "radici più profonde al di fuori del mondo percettibile". "Mentre lo stato è opera dell'uomo, l'uomo è opera di Dio". In altre parole: la NATO può violare il diritto internazionale perché agisce come lo strumento immediato del "diritto superiore" di Dio. Se questo non è fondamentalismo religioso, vuol dire che il termine non ha alcun significato. Le affermazioni di Havel sono un grande esempio di quello che Ulrich Beck nell'aprile scorso ha chiamato "l'umanesimo militare" o "pacifismo militare" (in un feuilleton pubblicato dalla "Sueddeutscher Zeitung"). Il problema non consiste tanto in un ossimoro di memoria orwelliana, come il famoso "la guerra è pace". (A mia opinione, il termine "pacifismo" non è mai stato preso sul serio. Quando la gente si riprende e diventa onesta con se stessa, il paradosso del pacifismo militare scompare). Il problema non consiste nemmeno nel fatto che gli obiettivi dei bombardamenti non sono stati scelti in base a criteri interamente morali. Il problema reale è che una giustificazione puramente umanitaria, puramente etica, dell'intervento NATO, depoliticizza completamente quest'ultimo. La NATO si è astenuta dal formulare una soluzione politica chiaramente definita. Il suo intervento è stato mascherato e giustificato esclusivamente nel linguaggio depoliticizzato dei diritti umani universali. In tale contesto, gli uomini e le donne non sono più soggetti politici, ma vittime impotenti, spogliate di ogni identità politica e ridotti alla loro nuda sofferenza. A mia opinione, questo soggetto-vittima ideale è una costruzione ideologica della NATO.

Non solo la NATO, ma anche i nostalgici di sinistra, hanno interpretato erroneamente le cause della guerra. Oggi possiamo vedere che il paradosso dei bombardamenti sulla Jugoslavia non consiste in quello di cui i pacifisti occidentali si sono lamentati, cioè nel fatto che la NATO avrebbe dato il via proprio alla pulizia etnica che si supponeva dovesse prevenire. No, il vero problema è l'ideologia della vittimizzazione: è perfettamente bello aiutare gli albanesi impotenti contro i mostri serbi, ma in nessun caso si deve consentire che ci si liberi di questa impotenza, si prenda possesso di se stessi come soggetto politico sovrano e indipendente - un soggetto che non ha bisogno della premurosa protezione del "protettorato" della NATO. No, devono rimanere vittime. La strategia della NATO è pertanto perversa nel preciso senso freudiano della parola: l'altro continuerà a essere protetto fino a quando rimarrà la vittima. Ma non è solo la NATO che ha depoliticizzato il conflitto. Lo hanno fatto anche i suoi opponenti della pseudo-sinistra. Per loro, i bombardamenti sulla Jugoslavia sono stati l'ultimo atto dello smembramento della Jugoslavia di Tito. Tali bombardamenti hanno messo in atto la fine di una promessa, il collasso di un'Utopia di socialismo multietnico e autentico, nella confusione di una guerra etnica. Perfino un filosofo politico dalla visione così acuta come Alain Badiou è ancora convinto che tutte le parti siano colpevoli in misura uguale. Ci sono stati ripulitori etnici da tutte le parti, egli afferma, tra i serbi, gli sloveni e i bosniaci. "Il nazionalismo serbo è indegno. Ma in cosa è peggio degli altri? E' più popolare e le sue origini risalgono a tempi più antichi, ha più armi a sua disposizione e in passato ha indubbiamente avuto più opportunità di mettere in atto le proprie passioni criminali...
Certo, Milosevic è un nazionalista brutale, ma lo è in misura uguale ai suoi colleghi in Croazia, in Bosnia o in Albania... Dall'inizio del conflitto l'Occidente è stato dalla parte dei nazionalismi più deboli (quello bosniaco, quello kosovaro) e contro i nazionalismi più forti (quello serbo e, per sottrazione, quello croato)". Mi sembra che tutto ciò rappresenti una forte nostalgia di sinistra per la Jugoslavia perduta. L'ironia è che questa nostalgia ritiene che il successore di tale stato dei sogni sia la Serbia di Slobodan Milosevic, cioè esattamente la forza che con grande efficacia ha ucciso quella stessa vecchia Jugoslavia. La creazione politica che più di ogni altra simboleggiava l'eredità positiva della Jugoslavia titoista - cioè la sua tanto apprezzata tolleranza multietnica - era la Bosnia "musulmana". Si potrebbe addirittura dire che l'aggressione della Serbia contro la Bosnia era mirata a colpire coloro che si afferravano disperatamente all'eredità di Tito, all'idea di "fratellanza e unità". Non c'è da meravigliarsi che il brillante comandante dell'esercito "musulmano", il generale Rasim Delic, fosse serbo di etnia. Non c'è da meravigliarsi che nel corso degli interi anni '90 la Bosnia musulmana sia stata l'unico luogo della ex Jugoslavia in cui il ritratto di Tito continuava a essere appeso sulle pareti delle sale di attesa ufficiali. Minacciati dal nazionalismo serbo, perfino i nazionalismi sloveno e croato hanno conservato una forma di rispetto per la Jugoslavia di Tito, in ogni caso per il suo principio fondamentale, quello della federazione tra stati costitutivi eguali con piena sovranità, ivi incluso il diritto alla secessione.
Chiunque trascuri tutto questo, chiunque riduca la guerra in Bosnia a una guerra civile tra vari "gruppi etnici", si trova già dalla parte dei serbi. Perché la differenza tra Milosevic e gli altri leader nazionali non è stata in alcun modo solo quantitativa. No, la Jugoslavia non se ne stava sospesa nell'aria, tradita ugualmente da tutti i "secessionisti" nazionali. La sua dissoluzione è stata in misura molto maggiore un processo dialettico. Coloro che hanno "disertato" dalla Jugoslavia reagivano al nazionalismo serbo - vale a dire a quei gruppi di potere che si stavano sforzando di liquidare l'eredità di Tito. Così, i peggiori nazionalisti antiserbi sono più vicini all'eredità di Tito di quanto lo sia l'attuale regime di Belgrado, che pretende essere, di fronte a tutti i "secessionisti", il successore legittimo e legale della ex Jugoslavia.
E' stata solo l'aggressione serba, e non il conflitto etnico, a dare il via alla guerra. Si deve ricordare soprattutto che Tito ha costruito la sua federazione in conscia opposizione alla Jugoslavia d'anteguerra, che si basava sull'egemonia dei serbi quali "fondatori dell'unità". I serbi erano a quel tempo l'unica nazione costruttrice dello stato. Dopo la Seconda guerra mondiale, Tito voleva sostituire questa Jugoslavia dominata dai serbi con una Jugoslavia federale, una libera associazione di stati eguali e sovrani che avrebbero goduto addirittura del diritto alla secessione. La scalata al potere di Milosevic è stata invece un tentativo di ricostruire la Jugoslavia d'anteguerra, e con essa l'egemonia dei serbi. I vari "secessionisti" reagivano a questo tentativo di restaurazione. Le loro richieste si richiamavano saldamente ai principi della Jugoslavia di Tito. Tutto il ciarlio a sinistra sui simboli ustascia nella Croazia di Tudjman non cambiano di una virgola il fatto che l'aggressione serba contro la Bosnia nel 1992 non è stata originata da un conflitto tra gruppi etnici. Era puramente e semplicemente l'attacco della Jugoslavia d'anteguerra, dominata dai serbi, contro la Jugoslavia di Tito del dopoguerra. Guardando indietro, bisogna dire che nel dibattito sui bombardamenti della NATO, entrambe le parti avevano torto. Non è che la verità si trovi più o meno a metà strada. Al contrario, entrambe le parti, sia i sostenitori che gli oppositori dei bombardamenti, hanno semplicemente sbagliato. Hanno cercato tutti di assumere una posizione universale, neutrale e in ultimo falsa. I sostenitori delle bombe hanno basato la propria posizione su diritti umani depoliticizzati. I loro opponenti descrivono la guerra post-jugoslava come una lotta etnica in cui tutte le parti sono egualmente colpevoli. Ma entrambe le parti non afferrano l'essenza politica del conflitto post-jugoslavo. Ed è per questo che il conflitto continua a covare sotto le ceneri. La pace imposta dalla NATO lo ha certamente arginato per un certo tempo. Ma non lo ha estinto.