PRESENTAZIONE


maggio 2000, presentazione del n.2 di Balkan



Questo numero di Balkan affronta in modo speriamo stimolante, al di fuori di una serie di schemi consolidati, alcuni problemi chiave dei Balcani. Nel campo dell'attualità, il crollo del decennale regime tudjmaniano inaugura un periodo della storia croata in cui ben poco è predeterminato. Sulle prospettive sociali che si aprono, sulle poste in gioco di questo periodo l'articolo di Ilario Salucci getta un po' di luce. La battaglia per vere riforme democratiche, senza compromessi di sorta con la vecchia oligarchia, e contro i ricatti del Fondo Monetario Internazionale, sono i due terreni a cui oggi è confrontato il movimento operaio croato, il vero soggetto al cui merito deve essere ascritto il crollo del HDZ.
La questione dei profughi è da dieci anni un drammatico problema che investe quasi tutta l'ex Jugoslavia, con milioni di persone, di nazionalità serba, croata, bosniak, albanese, rom cacciate dalle proprie città e paesi e impossibilitate a tornarvi. Riprendiamo degli articoli dal giornale serbo bosniaco Reporter e da una ricerca del Comitato Helsinki di Serbia pubblicata dal giornale serbo Vreme che fanno, almeno parzialmente, il punto su questa realtà.
Albin Kurti e Flora Brovina sono stati condannati da tribunali in Serbia per separatismo, l'uno a quindici, l'altra a dodici anni di prigione. Insieme a loro vi sono altre centinaia di albanesi condannati in Serbia con la stessa imputazione in realtà imprigionati solo perché di nazionalità albanese o perché hanno avuto il coraggio di battersi contro una pluridecennale oppressione nazionale serba, perché il futuro del Kosova fosse deciso dal suo popolo e non da Belgrado. Del destino di Kurti e Brovina non si occupano le cancellerie occidentali: lo facciamo noi, nei limiti delle nostre forze, come Comitato di Iniziativa Politica sui Balcani, insieme ad altre associazioni e personalità. Lo fa anche una delle purtroppo rare voci dell'opposizione di sinistra al regime di Milosevic, il sindacalista serbo Radoslav Pavlovic. Oltre ai due appelli, pubblichiamo un ritratto politico di Albin Kurti, ritratto da cui emerge la storia di un pezzo importante del movimento nazionale albanese nel '97 - '99, scritto da Davide Volante, e un resoconto dell'imprigionamento e del processo farsa subito da Flora Brovina, scritto da Vladimir Milovanovic per l'agenzia AIM.
Nei prossimi numeri, tra l'altro, renderemo invece conto della situazione macedone, cercheremo di fare un'analisi del lavoro effettuato dal Tribunale Internazionale dell'Aja per i crimini di guerra commessi nell'ex Jugoslavia e daremo la voce a esponenti dell'opposizione di sinistra serba confrontati a una situazione in cui il rischio di guerra civile si fa sempre più reale.

La situazione in Kosova continua ad essere uno dei nodi decisivi di tutti i Balcani – dal prossimo numero riprenderemo ad occuparcene in dettaglio. Ricordiamo solo un paio di sviluppi di questi ultimi mesi. Da un lato si è concluso il processo di autoscioglimento delle strutture militari e di quelle che si pretendevano istituzionali dei kosovaro albanesi: dopo quello dell'UCK (settembre 1999) vi è stato quello del Governo Temporaneo guidato da Thaci (31 gennaio 2000) e del Parlamento Parallelo controllato da Rugova (2 febbraio 2000). La struttura direttiva dell'UCK si è riciclata nel Corpo di Protezione del Kosovo, operativa dal febbario 2000, il cui comandante in capo è il tenente colonnello britannico Groves, mentre quello operativo è l'ex comandante dell'UCK Agim Ceku. Il fatto che sia una struttura di massimo 3.000 effettivi e 2.000 riservisti, sostanzialmente disarmata (non più di 200 dei suoi membri possono portare contemporaneamente delle pistole) ha provocato non pochi malumori e tensioni in campo albanese: il senso reale della creazione di questo corpo è permettere di prolungare nel tempo la posizione privilegiata di una ristretta casta di ex ufficiali dell'UCK. Al posto delle vecchie strutture istituzionali kosovare, in concorrenza fra loro, è stato invece creato il Consiglio di Amministrazione Temporanea del Kosovo, composto da otto membri e operativo da febbraio. Quattro suoi membri sono dell'UNMIK, tre sono kosovaro albanesi (Thaci, Rugova e Qosja) ed uno è riservato ai kosovaro serbi (occupato dal 2 aprile, sia pure in posizione di osservatore, da Rada Trajkovic). Kouchner mantiene un diritto di veto sulle decisioni di questa struttura. In linea generale questo governo è sprovvisto di ogni potere reale, ed è solo la versione farsesca di un autogoverno kosovaro. La nomenklatura kosovaro albanese (esemplificata dai tre nomi presenti nel Consiglio di Amministrazione e da quello di Ceku) trae ormai legittimità in maniera quasi esclusiva dai propri rapporti privilegiati con l'amministrazione ONU e le strutture della KFOR, oppure dalle posizioni locali conquistate in situazione di guerra e che nel contesto di oggi non dovrebbero costituire una legittimazione del potere, se vi fosse democrazia. Il tutto non avviene senza tensioni: il Partito Parlamentare del Kosovo e la LKCK (oggi riunite con un altro partito, l'UNIKOMB, e con l'ex comandante UCK Haradinaj, conosciuto per essersi opposto a Rambouillet, in una nuova organizzazione politica) che facevano parte del governo Thaci hanno denunciato e combattuto questa svolta istituzionale.
Che esistano forti tensioni è esemplificato soprattutto dagli avvenimenti di Mitrovica, durati per più di un mese a partire dal 3 febbraio. In quella data nella parte nord della città, sotto controllo serbo, si scatena una caccia all'albanese che lascia sul terreno dodici vittime - in questa parte della città esiste un'enclave albanese, un quartiere che le forze paramilitari serbe non sono riuscite a ripulire e che è diretta da una forza radicale, il Partito Repubblicano del Kosovo. In seguito, il 13 febbraio, vi sono pesanti scontri tra le forze della KFOR e kosovaro albanesi sempre in questo quartiere - la cui dinamica non è mai stata chiarita. Il terzo atto (21 febbario) vede nuovi scontri tra KFOR e albanesi, che in corteo premevano sul ponte che segna il confine tra Mitrovica nord e sud, ponte presidiato dalle truppe della KFOR. Il quarto e ultimo atto - avvolto nell'incertezza ancor più dei fatti del 13 febbario - vede il ferimento di numerosi soldati francesi, cittadini serbi e, in misura minore, anche albanesi. La partita che si gioca a Mitrovica, divisa come fu Mostar nella guerra bosniaca, è una delle partite decisive in Kosovo: riguarda le miniere di Trepca, la maggiore ricchezza kosovara e riguarda le ipotesi di spartizione del Kosovo. Mitrovica è il frutto di un'operazione cosciente, sistematica e programmatica di espulsione violenta degli albanesi, di occupazione e di spartizione con mezzi militari, eseguita e sancita da due soggetti: le forze jugoslave in ritirata e i loro uomini locali, da una parte, le forze della NATO, dall'altra. Si tratta di una situazione di cui si può solo chiedere l'immediata cancellazione - ma nessuna soluzione positiva sarà possibile, nemmeno per gli albanesi, senza che questi ultimi affrontino in maniera esplicita e concreta la questione della situazione delle minoranze, in primo luogo quella serba, e delle violenze e dell'emarginazione alle quali sono sottoposte nel resto del Kosova. Tra le forze politiche albanesi nessuna può dire di averlo fatto veramente.
La questione in ultima analisi decisiva è la creazione di istituzioni in Kosovo che siano democratiche e non gestite dall'ONU e dallo stuolo di organismi internazionali presenti in Kosovo, e che permettano il rientro dei profughi serbi. Solo uno stato kosovaro indipendente e democratico può fare questo passo - ottant'anni e più di lotte per l'emancipazione e nazionale e sociale degli albanesi del Kosovo costituiscono a tale proposito un ampio patrimonio storico per l'apertura di un nuovo capitolo. Non può certo essere un soggetto di democratizzazione e di soluzione del problema dei profughi l'amministrazione dell'UNMIK, espressione solo delle volontà e degli scontri delle grandi potenze, e che condurrà a medio termine alla cantonizzazione e spartizione del Kosovo, con un tragico replay della situazione bosniaca.

Per la sezione approfondimenti iniziamo a riflettere sulla guerra della scorsa primavera, iniziando un lavoro che proseguirà nel prossimo numero. Presentiamo un articolo di Catherine Samary sul tema altamente controverso del ruolo delle grandi potenze nella frammentazione della Jugoslavia e negli avvenimenti dello scorso anno, mentre Andrea Ferrario getta luce su uno degli aspetti più occultati dello scorso anno, quello relativo ai vari progetti di spartizione del Kosova come strumento per arrivare ad una stabilizzazione della regione, arrivando ad una inedita ricostruzione della guerra della primavera 1999. Due articoli affrontano invece un capitolo ritenuto un rompicapo da tutti i commentatori della guerra della NATO: perché d'improvviso Milosevic e i vertici di Belgrado hanno ceduto nei primi giorni del giugno 1999 accettando di ritirarsi dal Kosova? Questi due articoli sono l'uno tratto dal bollettino di discussione inglese No war but the class war, e l'altro di Miroslav Filipovic, giornalista serbo di Danas e dell' Institute for war Peace Reporting, arrestato nel maggio 2000 dalle autorità serbe per "divulgazione di segreti di stato" (tra cui l'articolo che riproduciamo), ed affrontano entrambi la situazione dell'esercito serbo. Le sorprese non sono di poco conto.
Sulla sinistra italiana si sofferma Michele Corsi, in un impietoso bilancio a un anno dalla guerra. L'atteggiamento nei confronti della guerra è uno dei classici test storici per le forze del movimento operaio, per saggiare la loro salute, la loro forza, la loro capacità di analisi. Il bilancio per l'Italia non è purtroppo per nulla incoraggiante, e conferma che le forze della sinistra di classe nel nostro paese attraversano un periodo di crisi.
In preparazione c'è un dossier sull'UCK e sul dopo-UCK e una rassegna ragionata di quanto è stato pubblicato in quest'ultimo anno in Italia e all'estero sul Kosova e sulla guerra della NATO. Il nostro intendimento è di riuscire a pubblicare questi lavori nel prossimo numero di Balkan.
Per la sezione archivi affrontiamo, grazie a un saggio del bulgaro Krastjo Mancev, la nascita del movimento operaio e socialista balcanico - un capitolo poco conosciuto, ma affascinante e denso di spunti di riflessione utili per le vicende odierne. Ritorneremo ancora sull'argomento, centrando l'attenzione su come il movimento operaio balcanico affrontò le questioni nazionali nel periodo della Seconda Internazionale. Continuiamo a proporre in inserto artisti e scrittori balcanici: questa volta è il turno del "Voltaire della Jugoslavia", Miroslav Krleza, e di uno dei registi serbi più innovativi e provocanti, Dusan Makavejev.