CROAZIA: UNA RIVOLUZIONE PACIFICA?
DOPO LE ELEZIONI
DEL GENNAIO E LA SCONFITTA DELL'HDZ
maggio
2000, di Ilario Salucci
Il 3 gennaio si sono svolte in Croazia le elezioni per il rinnovo del Parlamento: la coalizione tra il Partito Social-Democratico (SPD) e il Partito Social-Liberale (HSLS) ha ottenuto il 41% dei voti, la coalizione di altri quattro partiti ha ottenuto il 16%, mentre il HDZ è sceso al 26%. Cinque anni fa alle precedenti elezioni il HDZ aveva ottenuto il 45% dei suffragi (ma grazie alla legge elettorale fortemente maggioritaria si assicurò il 59% dei 127 seggi del Parlamento), mentre i partiti che compongono le due attuali coalizioni avevano ottenuto complessivamente il 38%, assicurandosi il 32% dei seggi.
Il trionfo dell'opposizione era scontato, ed è stato confermato dall'andamento delle elezioni presidenziali tenute il 24 gennaio, dove i due candidati della vecchia opposizione (Budisa e Mesic) hanno ottenuto rispettivamente il 28 e il 41% dei voti, mentre Mate Granic, candidato del HDZ (largamente contestato dal suo stesso partito, con cui ha successivamente rotto a fine gennaio per formare una nuova organizzazione politica, il "Centro Democratico") ha ottenuto solo il 22% dei suffragi. Di conseguenza il 7 febbraio si è tenuto il ballottaggio tra i due ex oppositori, in cui Stipe Mesic ha vinto con il 56% dei voti.
Il nuovo governo di Ivica Racan (SDP), composto dai sei partiti delle due coalizioni e che può contare sul 57% dei seggi parlamentari, è stato insediato il 27 gennaio, mentre il nuovo presidente Stipe Mesic si è insediato lo scorso 18 febbraio.
I più diversi ambienti politici hanno calorosamente accolto il nuovo potere croato. I leader di numerosi paesi hanno fatto tappa a Zagabria, segnando la differenza con la cerimonia funebre di Tudjman, largamente boicottata a livello internazionale. Congratulazioni ai nuovi leader croati sono arrivati dalla Francia, dalla Germania, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Cina. Tra gli altri si sono recati a Zagabria sia Madeleine Albright sia Chris Patten, commissario agli affari esteri dell'Unione Europea. Prodi è giunto in occasione della nomina a premier di Racan, D'Alema in occasione dell'insediamento di Mesic, Fassino all'inizio di marzo per concretizzare i nuovi rapporti economici italo-croati. Racan da parte sua ha compiuto un primo giro delle capitali europee tra l'11 e il 16 febbraio.
A sinistra, Giacomo Scotti sul Il Manifesto del 5 gennaio saluta questa vittoria affermando che "la vittoria della coalizione a sei del centro-sinistra.... realizza le speranze di quanti vogliono un paese democratico, libero, integrato nell'Europa ed aperto alla collaborazione con i paesi confinanti... con la morte del "Supremo" [Tudjman] è stato sepolto anche il tudjmanesimo". Liberazione negli stessi giorni gioisce negli stessi termini, e il corrispondente Gino Sergi è convinto di "molti cambiamenti sostanziali... nel metodo di governare", "nel rispetto dei diritti umani e delle minoranze". Furio Radin, parlamentare croato, ribadisce in una intervista rilasciata sempre a Liberazione il 5 gennaio: "sta avvenendo qualcosa di eccezionale. La Croazia ha deciso di voltare pagina... la Croazia di oggi guarda all'Europa e alle istituzioni comunitarie... La gente era stufa di come il resto del mondo ci percepiva, del nepotismo dilagante, della povertà che si è andata diffondendo". Queste entusiaste prese di posizione della sinistra italiana si sono rafforzate successivamente con la vittoria di Mesic alle presidenziali su un Budisa visto come troppo incline al nazionalismo.
Di analogo tenore i commenti da parte dell'organo confindustriale italiano, Il Sole 24 ore, che il 6 gennaio ospita un intervento di Predrag Matvejevic: "Il secolo e il millennio si aprono in Croazia sotto il segno della speranza. Molti cittadini di questo paese, che si affaccia al tempo stesso sull'Europa centrale e sul Mediterraneo, assistono all'annuncio di un "Giubileo laico": un periodo che consente di uscire dalla religiosità nazionale". La giornalista Elena Ragusin afferma perentoriamente il 3 febbraio: "Dopo anni di isolamento politico ed economico la Croazia riprende la sua marcia verso l'Europa. Le elezioni politiche e presidenziali delle scorse settimane hanno spazzato di colpo dalle stanze del potere l'Hdz, il partito del presidente Franjo Tudjman", e specifica, il 14 febbraio, che è finito "il sistema di potere oligarchico del regime di Tudjman che si era appropriato, per poi depredarle, delle migliori risorse economiche".
Da destra e da sinistra viene quindi espressa soddisfazione per la svolta politica croata, con l'annuncio di riforme democratiche, il rispetto dei diritti delle minoranze, la collaborazione con i vari organismi internazionali (in primo luogo il Tribunale sui crimini di guerra nell'ex Jugoslavia), l'integrazione in un futuro il più vicino possibile nella Nato e nell'Unione Europa. Il Manifesto e Liberazione tacciono pudicamente della volontà del nuovo potere croato di integrare la Nato (Liberazione spinge il suo entusiasmo fino a presentare Mesic come "ultimo leader della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia" - non specificando che più che leader fu contestatissimo presidente in virtù della rotazione della carica in questione, e che ottenne questa carica come altissimo dirigente del HDZ di Tudjman). Il Sole 24 ore da parte sua tace pudicamente del programma dove si annunciano le revisioni delle privatizzazioni realizzate, e sostegni alle rivendicazioni del movimento sindacale.
Vi è tuttavia accordo sull'importanza della rivoluzione pacifica, della svolta democratica, antinazionalista ed europea realizzatasi tra i primi di gennaio e i primi del febbraio 2000 in Croazia. Tutti, coralmente, parlano della speranza che questa svolta apra un nuovo capitolo nei Balcani. Il padre-padrone della nuova Croazia, Franjo Tudjman è stato seppellito il 14 dicembre - un mese dopo, viene generalmente affermato, è stato seppellito il suo sistema di potere.Due anni di terremoti sociali e politici
Alle origini dello spettacolare crollo elettorale del HDZ nel gennaio 2000 vi sono avvenimenti ben più sostanziali della morte di Franjo Tudjman.
Vi è in primo luogo l'ingresso in una durissima crisi economica a partire dal 1998. Il tasso di crescita del 6%, mantenuto per quattro anni a partire dal 1994, si dimezza. La produzione industriale subisce un tracollo nell'ultimo trimestre, segnando un deciso -6,1% nel dicembre 1998. Sono decine di migliaia le imprese e le società di fatto in una situazione fallimentare, con i conti bancari bloccati. Una serie di fallimenti bancari impegna le risorse dello stato all'estremo: nella primavera 1998 fallisce la Dubrovacka Banka, la quinta del paese, mentre nella primavera dell'anno successivo seguono altre sei banche (tra cui la sesta per importanza, la Glumina Banka). Lo stato croato spende nell'opera di salvataggio sei miliardi di dollari, un terzo del PIL del paese. Il fallimento della Dubrovacka trascina anche l'impero industriale "Globus", che raggruppa 150 imprese, indebitato per un importo pari al 25% dei debiti di tutto il paese.
Il debito estero, pari a circa un quarto - un quinto del PIL negli anni 1993-1996, sale al 35% nel 1997, al 40% l'anno successivo, ed ha sfondato il 60% nel 1999. La politica di difesa a tutti i costi del valore della kuna, la valuta croata, ha portato a ridurre in modo drastico le riserve valutarie della Banca Centrale (solo nel primo trimestre 1999 le perdite sarebbero state pari a un terzo di quelle disponibili).
La Croazia è diventata dipendente dalle importazioni dal punto di vista alimentare, ed uno dei settori industriali di punta d'un tempo, quello cantieristico, si è praticamente azzerato. Il settore turistico attrae poco più della metà dei turisti che fino al 1991 si riversavano sulla costa adriatica.
Nel corso del 1999 l' "Economist Intelligence Unit" di Londra ha riclassificato la Croazia in base ai "rischi di investimento" dal gruppo C (dove si trovano Tunisia, Marocco, Senegal, Vietnam, Cina, ecc.) al gruppo D (dove si trovano Azerbajan, Yemen, Libia, Zimbabwe, ecc.).Applicando i criteri della Banca mondiale, un terzo della popolazione croata è in condizioni di povertà, mentre solo l'11% delle famiglie croate può permettersi un paniere di consumi medio determinato dai sindacati per stabilire il livello di vita effettivo. Tutto ciò viene sentito come ancor più inaccettabile dalla popolazione considerando che nel 1996-1997 vi erano stati degli incrementi salariali reali, che avevano lasciato intravvedere un miglioramento delle condizioni di vita dopo gli anni di guerra. La disoccupazione è passata dal 16-17% del periodo precedente al 19% nel 1998 e al 30% circa dello scorso anno - senza contare i circa 150-200.000 lavoratori che non percepiscono alcun stipendio pur essendo ancora formalmente assunti.
Il fondo pensioni è in bancarotta, ed il sistema sanitario pubblico è in condizioni sconvolgenti, a giudizio di esperti dell'amministrazione statunitense che di certo non si scandalizzano facilmente per la rovina dei servizi pubblici.
A causa di questa situazione, e grazie ad una realtà sindacale molto frammentata, ma che in questi ultimi dieci anni ha mantenuto strutture sui posti di lavoro ed una certa vivacità di iniziative locali o settoriali, i due anni passati hanno conosciuto dei livelli di mobilitazione dei lavoratori senza precedenti in questi dieci anni. In seguito all'introduzione dell'IVA al 22% il 1° gennaio 1998 viene convocato uno sciopero generale il 20 febbraio che porta decine di migliaia di persone nelle strade delle città croate. A Zagabria la manifestazione, di circa 10.000 persone, viene duramente repressa dalla polizia, che riesce a disperdere i lavoratori, ma si tratta di un successo effimero. Nel corso di tutto il 1998 si succedono scioperi e manifestazioni dei ferrovieri, degli insegnanti, dei dipendenti delle poste. A febbraio del 1999 2.000 lavoratori di una catena commerciale in fallimento manifestano a Zagabria, e stavolta non c'è polizia che tenga di fronte alla rabbia dei lavoratori: i manifestanti sfondano gli sbarramenti di polizia e riescono a raggiungere gli uffici governativi.
Il settore metalmeccanico, petrolifero, elettrico, vengono coinvolti da una serie di scioperi. Nel giugno-luglio 1999 è il turno di 100.000 agricoltori, che bloccano mezza Croazia per svariati giorni.
La paura di una rivolta sociale generalizzata porta il governo a cedere su diversi punti: le richieste degli agricoltori sono alla fine state accettate integralmente, ed è raggiunto un accordo per incrementi salariali da realizzarsi nell'agosto (aumenti del 5%) e nel dicembre '99 (aumenti del 12%). Queste erano le misure minime che il governo poteva adottare per evitare una situazione ingovernabile: tant'è che Tudjman rigettò un prestito del FMI nell'agosto dello scorso anno (di cui pure la Croazia aveva un bisogno estremo) in quanto condizionato alla cancellazione degli aumenti salariali stabiliti.
Le mobilitazioni sindacali non potevano però risolvere il reale problema che si era venuto a porre in Croazia a partire dal 1998: il problema di una catastrofe economica e il problema della struttura di potere che aveva permesso, o addirittura portato, a questa catastrofe. Il piano politico era inaggirabile.Le formazioni politiche di opposizione al HDZ hanno cominciato a percepire che una loro vittoria elettorale era possibile a partire dall'estate 1998, quando formano una prima alleanza tra di loro. In questo processo di raggruppamento l'iniziativa statunitense è stata decisiva, nel mediare tra le varie posizioni e nell'assicurare un sostegno fattivo.
I partiti coinvolti erano tutti, chi più chi meno, coinvolti nella storia del tudjmanesimo croato, e la formazione del blocco delle opposizioni ha significato in primo luogo la rottura di questi partiti con la loro tradizionale ricerca di accomodamenti e di compromessi con il potere in carica. Da questo punto di vista il Partito Social-Liberale di Budisa e il Partito Contadino di Tomcic da un lato erano quelli più prossimi al HDZ, per ideologia e pratica di potere, soprattutto a livello locale, dall'altro erano anche le maggiori organizzazioni di "opposizione" emerse nel corso degli anni '90. Il Partito Social-Democratico aveva invece conosciuto un tracollo nel corso degli anni '90: nel processo di trasformazione della Lega dei Comunisti, sotto la direzione di Racan, gli iscritti passarono da 300.000 a meno di 50.000 nell'arco dei primi sei mesi del 1990; alle elezioni del 1990 i voti ottenuti erano pari al 28%, ma già due anni dopo diventarono il 5% (dopo l'esperienza del governo di unità nazionale tra l'estate del 1991 e la primavera del 1992); alle elezioni presidenziali del 1992 il SPD sostenne Tudjman, e nel 1995 riescì a risalire al 9% dei voti espressi alle elezioni politiche.
Ma nonostante questi percorsi, un indubitabile handicap nella prospettiva di un'opposizione sistematica al tudjmanesimo, il blocco delle opposizioni non ha fatto che radicalizzarsi e rafforzarsi nel corso dell'anno e mezzo precedente alle elezioni politiche del gennaio 2000, nutrito dalla crisi di sistema che scuoteva la Croazia e sospinto dalle agitazioni sociali. Così gli obiettivi che hanno permesso la vittoria al blocco delle opposizioni sono stati gli obiettivi di democratizzazione del paese (diminuizione drastica dei poteri del Presidente della Repubblica, ridimensionamento della "lobby erzegovese", rapporti da stato a stato con la Bosnia, rientro dei profughi, indipendenza della magistratura, libertà dei media, ecc.), di abolizione delle misure più odiate di Tudjman (cancellazione dell'IVA del 22%), di revisione di tutte le privatizzazioni (che avevano portato ricchezze infinite ad un pugno di uomini del regime), di controllo e rientro dall'indebitamento estero (che metteva il paese alla mercè dei paesi stranieri), e la volontà di ingresso nell'Unione Europea e nella Nato, garanzie di un futuro migliore.
A fronte della radicalizzazione e del rafforzamento delle opposizioni, il HDZ è stato invece lacerato in questi ultimi due anni da mille scontri politici e di potere, rotture a catena, scandali finanziari.
Questo insieme di processi se ha avuto come sbocco il risultato delle elezioni del gennaio 2000, dall'altro determina il quadro in cui il nuovo potere croato deve operare.Fine dell'oligarchia croata?
La vittoria dell'opposizione ha sconvolto tutto il quadro di potere in Croazia. Come molti giustamente hanno affermato, non si tratta di un semplice avvicendamento elettorale. Il tudjmanesimo era caratterizzato da una strettissima simbiosi tra élites economiche, statali e politiche - l'oligarchia croata. La caduta di uno di questi pilastri porta a sconvolgimenti a catena in tutta la struttura.
La formazione di questa oligarchia, con tutte le sue specificità, avviene nei primissimi anni '90. Include un settore di uomini d'affari e di esponenti politici provenienti dagli ambiti dell'emigrazione anticomunista, che si viene a legare con la colonna vertebrale della vecchia "Repubblica Socialista Croata". Nel corso del 1990 sono circa 70.000 le persone che traghettano dalla Lega dei Comunisti al HDZ di Tudjman, ed includono praticamente l'intero quadro dirigente statale di nazionalità croata, dai massimi vertici fino ai responsabili amministrativi ed economici dei più piccoli paesi. L'attuale massimo organo dirigente del HDZ proviene per il 50% dalla vecchia Lega dei Comunisti. Da questo processo rimangono esclusi per ovvi motivi gli esponenti delle minoranze nazionali - in primo luogo serbi, ma anche italiani.
Questo processo di saldatura sotto l'egida del HDZ e di Tudjman conosce un passaggio decisivo con il processo di privatizzazione: i processi di trasformazione della proprietà iniziano nella Federazione Jugoslava fin dal 1988, e la Croazia adotta una propria legge sulle privatizzazioni dall'aprile 1991, che sostanzialmente nazionalizza le imprese esistenti. Segue un'altra legge nel 1996 ed il processo intrapreso viene annunciato come concluso nell'autunno del 1998, con la privatizzazione del 95% delle imprese presenti in Croazia. In realtà, come per la Serbia, anche se per motivi opposti, queste cifre han ben poco significato. La realtà è ben più complessa: emblematico il caso del maggior quotidiano croato, Vecernji List, privatizzato nel dicembre 1997 a favore di una società fantasma delle Isole Vergini. Per anni nessuno ha avuto la più pallida idea di chi fossero i reali proprietari, fino all'aprile 2000, quando è risultato che dietro la società acquirente vi erano due uomini d'affari croati che operano in Germania, e dietro di loro i più alti vertici del HDZ. I soldi adoperati per l'operazione erano soldi pubblici. I confini tra privato e statale (allorquando lo stato è gestito come proprietà privata) possono essere particolarmente tenui. Le statistiche comunque affermano che il 50% della forza lavoro dipende ancora dallo stato, dato che il 5% delle imprese non privatizzate sono quelle maggiori, sia come capitale che come dipendenti. Inoltre la stragrande maggioranza delle azioni esistenti sono azioni distribuite con sostanziosi sconti o gratuitamente a livello di massa (lavoratori, soldati smobilitati, invalidi di guerra, familiari dei caduti), e quindi questa privatizzazione né ha apportato fondi significativi, né rivela in sé la formazione di una classe di proprietari. Le strutture di controllo e gestionali rimangono in larghissima parte in mano a direttori e managers in accordo con le varie strutture statali, che permettono loro dei veri processi di privatizzazione a costi irrisori. In questo vero processo di privatizzazione, diretto dallo stato e dal HDZ, e occultato da quello ufficiale, i beneficiari sono stati burocrati statali, dirigenti bancari, managers e direttori di grandi imprese, esponenti della vecchia emigrazione anticomunista e anche puri e semplici criminali.Questo rapporto a tre - élite economica, élite statale, élite di partito - non si è creato ed evoluto sulla base di un centro direzionale unico, con il "Supremo" Franjo Tudjman che distribuiva ricchezze, redditi e poteri in base alle proprie preferenze. I tre ambiti procedevano intrecciati, con la creazione di lobbies e gruppi di interesse trasversali, che creavano una sorta di stati entro lo stato - di qui ad esempio la moltiplicazione di diversi servizi segreti, ben undici, per un paese di quattro milioni e mezzo di abitanti. Da questo punto di vista Tudjman giocava più un ruolo definibile come "bonapartista", che assicurava - entro certi limiti e non senza contrasti - equilibrio e coerenza al processo caotico in atto. Una conferma a questa situazione si è avuta allorquando il nuovo governo, con comprensibile sgomento, ha scoperto che non esisteva alcuna contabilità statale centralizzata minimamente affidabile. Vale a dire che il governo Racan non sa a tutt'oggi quantificare il debito pubblico esistente in Croazia, in quanto esistono titoli di stato emessi dai vari ministeri per miliardi non registrati da alcuna parte, e che vengono scoperti al momento della loro scadenza.
Perché la catastrofe economica? Le interpretazioni correnti fanno riferimento a problemi strutturali, quali la privatizzazione spesso fraudolenta che avrebbe fagocitato il potenziale economico della Croazia, l'assenza di riforme veramente capitaliste, la difficoltà di finanziamento delle imprese, i tassi d'interesse spropositatamente elevati, i prestiti bancari compiacenti, l'assenza di meccanismi di controllo a livello bancario. In ultima analisi per le sue caratteristiche strutturali, il "capitalismo oligarchico" croato è in realtà sempre stato di una estrema fragilità - grandissimi costi di mantenimento della struttura statale (o per meglio dire: delle varie strutture parastatali delle varie lobbies), concessioni obbligate a "uomini d'affari" interessati più alla rapina che al profitto (l'esportazione di capitali sarebbe stata addirittura di 7 miliardi di dollari in questi ultimi dieci anni), formazione di una borghesia che non può essere un'autonoma "classe dirigente" sia per debolezza che per interessi, e che può esserlo solo nella misura in cui si accorda con pezzi dello stato e della direzione politica. Nonostante le differenze ideologiche e le diverse modalità del processo di privatizzazione il capitalismo "modello croato" e quello "modello serbo" si rassomigliano in modo impressionante (riflesso nei rapporti politici tra i due leader di questi paesi: il giornalista serbo Milos Vasic ha fondatamente scritto che "Tudjman ha creduto a Milosevic fino alla fine ed è stato l'unico uomo che ha creduto veramente e sinceramente a lui; Milosevic da parte sua, non lo ha mai tradito").
L'apporto di capitale estero avrebbe permesso una diversa "configurazione di potere" - con la formazione di una classica "borghesia compradora", come ad es. si ha in Ungheria - ma per la Croazia così non è stato. Gli investimenti diretti esteri sono stati assolutamente risibili fino al 1999 (se si eccettua la vendita di una quota della ditta farmaceutica Pliva effettuata nel 1998, con investimenti per circa 240 milioni di dollari, e gli investimenti della Ericcson nelle telecomunicazioni e di una ditta inglese nel settore del cemento, rispettivamente per 48 e 55 milioni di dollari). La vendita effettuata nel 1999 del 35% della Telecom croata a quella tedesca (per 800 milioni di dollari), e la vendita del 60% della Privredna Banka alla Comit (effettuate rispettivamente nell'ottobre e nel dicembre 1999), hanno certo rimpinguato le bisognose casse pubbliche dello stato croato, ma non hanno modificato i termini del problema. Oltre a queste vendite è da registrare solo il contratto stipulato nel giugno 1999 con la statunitense Enron per la costruzione di un impianto termoelettrico (175 milioni di dollari di investimento), e gli investimenti esteri realizzati nell'impresa alimentare Podravka (220 milioni di dollari).
La peculiarità croata, rispetto a quella serba, è che su questa fragilità si è innestata una mobilitazione sociale del movimento operaio, che ha portato alla rovina uno dei pilastri dell'oligarchia - il HDZ.Con l'ascesa al potere di Racan e Mesic e l'uscita di scena di un HDZ frammentato e in agonia (gli odierni sondaggi d'opinione lo danno ben al di sotto dell' 8%), l'oligarchia croata ha perso molto, ma non tutto. I suoi privilegi economici, i suoi rapporti con l'apparato statale non sono ancora stati toccati. A prima vista l'alternativa logica che si porrebbe al nuovo potere, sarebbe quello tra il mantenere fede alle promesse fatte, smantellando anche gli appoggi statali di questa oligarchia attraverso misure radicali di tipo democratico, e salvaguardando le condizioni di vita dei lavoratori, oppure riempire il vuoto creato con la scomparsa del HDZ riempiendo le stesse funzioni che il HDZ assolveva. L'operazione di rottura di Mate Granic e la formazione del Centro Democratico, che potrebbero essere un futuro ponte tra l'attuale potere e i vecchi centri di potere legati al HDZ, la ripresa di certo modo di dirigere lo stato da parte del Partito Social-Liberale (soprattutto al ministero della difesa), l'appoggio interessato della Chiesa al nuovo governo, l'elezione a vicepresidente del Parlamento di Pasalic, il braccio destro di Tudjman, possono delineare i tentativi in corso per arrivare a questa soluzione. In questo caso il tudjmanismo godrebbe di una seconda vita, pur con il suo fondatore a qualche metro sottoterra.
I termini del problema tuttavia sono più complessi, allorquando si consideri che il capitalismo alla croata di questi dieci anni è stato un capitalismo in parziale rottura con il grande capitale internazionale - esemplificato dall'esclusione della Croazia da tutte le maggiori organizzazioni internazionali, Organizzazione Mondiale del commercio, Partnership for Peace, NATO ed UE (tutti organismi in cui il nuovo potere cerca disperatamente di entrare) o dagli ostinati rifiuti del HDZ di sottomettersi ai diktat del FMI. La formazione dell'oligarchia croata rispondeva al tentativo di creare (in modo certo largamente banditesco) una borghesia locale saldamente radicata nel paese, e con il controllo sulle sue principali risorse. Solo nella disperata situazione del 1999 l'oligarchia ha acconsentito a cedere un pacchetto di minoranza della Telecom e a iniziare il processo di privatizzazione delle banche. L'oligarchia croata è la "borghesia nazionale croata", ben poco presentabile ma pur sempre tale. Il suo destino è la vera posta in gioco di questi mesi. La burocrazia oggi salita al potere ha un potere immenso in questa partita, dove oltre alla "borghesia nazionale" gli altri attori sociali sono il movimento operaio e il capitale internazionale.I primi 100 giorni di Racan
Con ogni probabilità la nuova équipe dirigente della Croazia è stata presa dal panico una volta realizzata la reale situazione economica e politica lasciata in eredità da Tudjman: il 50% degli impianti industriali fermi, 14 miliardi di dollari di debito estero, un debito statale sconosciuto. Le dichiarazioni in questo senso abbondano. Da qui una serie di manovre scomposte, di dichiarazioni e successive ritrattazioni, in un quadro di sostanziale immobilismo.
All'attivo si possono segnare l'arresto dell'ex ministro del turismo e del più famoso tycoon croato, coinvolto nel fallimento della Dubravacka Banka, e a capo dell'impero "Globus" (oggi in bancarotta, con centinaia di milioni di dollari di debiti), Miroslav Kutle. A questi due arresti eccellenti effettuati tra fine gennaio e i primi di febbraio è seguito alla fine di febbraio quello del tycoon di Osijek Antun Novalic. Ad aprile invece è stato finalmente licenziato il direttore della televisione pubblica, che la gestiva come organo del HDZ.
Ma rispetto alle riforme democratiche e al complesso delle promesse elettorali la situazione appare ben diversa.
La revisione della Costituzione avrebbe dovuta essere completata entro l'estate, ma sui contenuti di questa revisione si è aperto uno scontro politico dalle conseguenze imprevedibili. Nel frattempo Mesic accetta che il suo ruolo di Presidente della Repubblica sia ridimensionato, ma essendo in vigore ancora la vecchia costituzione, e non essendoci alcun regolamento sostitutivo, si crea una situazione di vuoto costituzionale di fatto che fa nascere attriti (giunti fino a clamorosi scontri pubblici tra Mesic e Racan ad aprile) tra le maggiori istituzioni del paese.
Secondo le promesse elettorali il budget dello stato, gonfiato a dismisura dal mantenimento delle varie lobbies, doveva diminuire del 17% (senza diminuizioni dei servizi sociali), ma il Parlamento ha varato una legge finanziaria che comporta una riduzione del solo 5%.
Sulla questione del rientro dei profughi serbi il nuovo governo lo ha condizionato a sovvenzionamenti da parte occidentale, che gli sono state prima negate, e poi accordate. Tuttavia le modifiche legislative alle leggi sulla "preferenza alla nazionalità croata" si fanno ancora attendere. All'opposto è stato nominato al ministero della difesa in posizione di rilievo Stjepan Sterc, l'ideologo della "pulizia etnica" nei confronti dei serbi.
Nonostante le promesse elettorali di troncare i sovvenzionamenti all'Erzegovina bosniaca, questi sono stati sicuramente ridotti in modo significativo, ma comunque mantenuti (ad onor del vero dietro pressioni internazionali di USA ed UE).
La promessa epurazione dei servizi segreti non è stata compiuta, ed il nuovo direttore del HIS (il servizio segreto prima diretto dal figlio di Tudjman), Ozren Zunec, parla della "professionalità dei dipendenti" e della loro "dignità", che dev'essere salvaguardata e rispettata.
Sulla vicenda dei criminali di guerra è stato annunciato il 6 marzo in pompa magna la scoperta di documenti che avrebbero incolpato i più alti vertici del HDZ per gli avvenimenti della guerra in Bosnia (discolpando Blaskic, condannato a 45 anni dal Tribunale dell'Aja), per poi ritrattare tutto quattro giorni dopo (ci sarebbero dei documenti ma non rilevanti). Stesso copione per i rapporti tra Tudjman e Milosevic: dapprima viene affermato che tutti i documenti sono stati trafugati, probabilmente dal figlio di Tudjman che era a capo di uno dei servizi segreti (febbraio); successivamente viene invece affermato che sono state ritrovate le registrazioni di centinaia di ore di conversazione tra i due leader balcanici, ma la notizia viene smentita in parte nel giro di pochi giorni: anche in questo caso ci sarebbero effettivamente dei documenti ma non sarebbero rilevanti (marzo). Infine sempre a marzo si rende noto che anche i colloqui tra Tudjman e i leader croato bosniaci durante la guerra in Bosnia sarebbero scomparsi.A fine marzo intervengono nuovi elementi. Racan in una drammatica conferenza stampa annuncia che a fronte della catastrofe economica (solo a marzo sono fallite quattro banche) verrà effettuata la vendita a Telecom tedesca di un ulteriore 28% delle azioni della Telecom croata, dopo il 35% già venduto a ottobre scorso. Nessuno più si oppone alla vendita della Split Banka (effettivamente acquisita da Unicredito ad aprile) e di Rijeka Banka, di quote azionarie delle Assicurazioni Croate e del gigante petrolifero INA, di parte dell'azienda elettrica HEP e delle altre imprese ancora in possesso allo stato croato. In generale tutte queste vendite verranno effettuate nel corso di quest'anno, largamente sottocosto, vista la situazione disperata dell'economia croata. Nel 2001 non rimarrà più nulla da vendere. Se nessuno più si oppone alla svendita di tutto l'apparato economico croato, a maggior ragione la promessa di revisione delle privatizzazioni precedenti è caduta nel nulla. Inoltre viene annunciato che vengono accettate le condizioni imposte dagli investitori esteri nella impresa alimentare Podravka, che comporteranno sostanziosi licenziamenti. Il governo annuncia che lo stato non interverrà più in operazioni di salvataggio per le imprese in bancarotta. I salari dei dipendenti pubblici sono ridotti unilateralmente del 5%, mentre già da febbraio erano stati cancellati i sussidi alle 270.000 famiglie più povere. Infine sono stati emessi titoli all'estero per 500 milioni di dollari, che si aggiungono al debito estero già stratosferico. Il settimanale Nacional riassume così la situazione, nella sua edizione del 14 aprile: "Il Parlamento sta già applicando la terapia da lungo tempo suggerita dagli esperti finanziari [del FMI], terapia ostinatamente rigettata da Tudjman e dal HDZ. Già salari e bilancio statale sono stati ridotti, per Esercito e Polizia, per non parlare della spesa pubblica. Si è decisa un'accelerazione nella privatizzazone dei cantieri navali di Trogir, Kraljevci e Pula, e poi di "Tisak", "Nama", della Rijeka Banka e della Split Banka... Il governo non effettua più operazioni di salvataggio per le imprese in crisi, la tariffa doganale è ora al 28%, sono state varate leggi per attrarre gli investitori esteri, la tassazione sui profitti è stata ridotta, così come i contributi a favore del fondo pensionistico e del fondo sanitario".
Ad aprile il FMI rende note le sue condizioni per accordare un prestito alla Croazia: il rinvio dei debiti statali contratti con il fondo pensionistico, ulteriori riduzioni salariali, rigetto della proposta di innalzamento del minimo salariale da 1500 a 1700 kuna, privatizzazione di quote di controllo dell'impresa petrolifera INA e di quella elettrica HEP.
L'atteggiamento del potere croato è quello di cercare di giocare tra le contraddizioni delle grandi potenze per ritagliarsi degli spazi ed ottenere mediazioni meno onerose. Cos' ad esempio vi è oggi un'offensiva economica contro il capitale statunitense, con la rottura di alcuni contratti già stipulati e l'umiliazione pubblica di grandi businessmen americani - mentre vi è una accoglienza ben diversa ai capitali europei. Al contempo c'è oggi il rafforzamento dei legami politici tra Croazia ed USA, in polemica soprattutto con la Francia, che osteggia l'ingresso della Croazia nell'OMC e nella "Partnership for Peace". Questi orientamenti sono tuttavia esclusivamente tattici: le alleanze - sia politiche che economiche - sono mutevoli e funzionali agli obiettivi congiunturali e ai margini di manovra derivanti dalle contrapposizioni tra USA ed UE, ed all'interno della stessa UE. Senza contare che se il potere politico-economico croato sotto Tudjman era ben lungi dall'essere monolitico, quello attuale lo è ancor meno. Gli scontri interni all'élite croata si possono oggi intravvedere dallo stillicidio settimanale di rivelazioni più o meno vere a carico di questo o quell'uomo politico, di questa o quella operazione di business.Se ai primi di marzo Marinko Culic di Feral Tribune affermava che "alcuni elementi provano che la coalizione dei sei partiti ha iniziato a costruire un tipo di stato che si distingue dal precedente solo nei discorsi", da fine marzo il quadro appare mutato.
Sicuramente il governo Racan non ha effettuato nessuna riforma democratica reale, l'apparato statale rimane largamente immutato in nome dell' "interesse nazionale". Sicuramente è stato deciso nelle prime settimane di evitare a tutti i costi uno scontro frontale con l'attuale oligarchia.
Ma il pieno inserimento nel mercato mondiale porta - del tutto indipendentemente dalla soggettiva volontà degli uomini oggi al potere in Croazia - a rimettere in discussione quanto rimane della vecchia oligarchia non ad opera del movimento operaio, ma ad opera del capitale finanziario internazionale. La svendita di tutte le ricchezze del paese cambierà nel medio periodo l'intero quadro sociale croato, con la formazione di una borghesia legata esclusivamente agli interessi stranieri. La lotta sociale coinvolge tre soggetti: il "capitale nazionale", cioé la vecchia oligarchia tudjmaniana, il nuovo capitale estero e infine il movimento operaio. Per ora il governo Racan ha oscillato solo tra i primi due soggetti, ad esclusivo danno dei lavoratori, delle masse impoverite e dei profughi.C'è un'alternativa?
I partiti oggi al governo hanno sempre promosso dei discorsi (non poco retorici) secondo i quali l'integrazione nell'Unione Europea avrebbe permesso la fuoriuscita dalla crisi e una vera democratizzazione del paese. La logica sociale sottintesa da questi discorsi era che con una borghesia locale debole, antidemocratica e guerrafondaia, l'integrazione europea avrebbe permesso di cambiare i rapporti di forza in Croazia, ed imporre quelle riforme che sarebbero nell' "interesse del capitalismo croato", e che invece l'attuale borghesia croata si rifiuta di fare. Vi è anche una versione di sinistra di questo discorso, che sostiene che con queste riforme ottenute grazie all'integrazione europea verranno garantiti (grazie alle lotte dei lavoratori) dei livelli di welfare oggi impensabili. Questi discorsi evidenziano un'errore catastrofico: il non considerare che la natura dei rapporti tra Croazia e Unione Europea (ed USA) sono largamente ineguali, e che le eventuali riforme realizzate grazie all'intervento dell'UE possono essere solo pro domo sua (senza considerare che comunque un'eventuale integrazione nell'Europa della Croazia sarà possibile largamente dopo il 2005). Le condizioni dell' "apertura a occidente" annunciate da Racan a fine marzo sono largamente rivelatrici di questo elemento.
La questione centrale è: l'apporto che possono dare le borghesie e i capitali dell'UE alla Croazia permetteranno uno sviluppo più equilibrato, più democratico e con meno diseguaglianze sociali? Mi permetto di dubitarne. La Croazia non ha il controllo sulle modalità del suo pieno inserimento nel mercato mondiale. Aprendo totalmente il paese al capitale finanziario internazionale l'oligarchia perderà sicuramente poteri e privilegi, ma non si vedrà la (ri)nascita di una forte e numerosa borghesia locale - esattamente l'opposto, e cioé la nascita di una "borghesia compradora" ancor più debole dell'attuale. Ciò significa che alle contraddizioni (e piaghe) di quest'ultimo decennio, si aggiungeranno (o si sostituiranno) nuove contraddizioni, senza che tuttavia il problema di base venga risolto: l'uscita della Croazia dalla condizione di arretratezza economica e sociale in cui è costretta. Lo scenario peggiore - oltre che a mio avviso il più probabile - è che si arrivi nel medio periodo ad un "matrimonio di interesse" tra capitale finanziario e vecchia oligarchia, in cui quest'ultima accetterà di perdere parte dei propri poteri e privilegi, pur di mantenere ancora la parte restante. D'altronde la Croazia ha conosciuto nel recente passato un tipo simile di "matrimonio d'interesse", quello consumato all'inizio degli anni '90 tra vecchia élite "socialista" e vecchia emigrazione anticomunista.Ivo Banac, insuperato storico delle vicende jugoslave, democratico sicuro pur se non di sinistra ha recentemente affermato: "I nostri giornalisti di destra, che sono ancora più a destra dei resti del HDZ, non hanno per nulla torto nelle loro interpretazioni sulla piaggeria del nuovo governo... Forse è vero che gli Stati Uniti non si interessano a noi che... [in vista] di un'eventuale transizione filo-occidentale in Serbia... Ma se questo è il caso, perché non cambiare l'orientamento delle nostre relazioni con la Bosnia, il Kosovo, la Serbia? Una delle risposte a questa domanda, è che i simpatizzanti di destra, con le loro ideologie scioviniste, non possono proporre una soddisfacente alternativa alle politiche occidentali. Ed è per questo che finiranno nello stesso campo di Milosevic; perché gli sciovinisti saranno disarmati e i bassi adulatori saranno promossi; perché colui che rifiuta di giocare il gioco del patriottismo esacerbato avrà uno straniero come padrone [...]
Oggi, dopo due Jugoslavie, dopo aver subito i crimini del nazionalismo... abbiamo tutte le ragioni per dubitare di un qualsiasi "jugoslavismo" o del nazionalismo. I Balcani non potranno essere uniti che dall'atteggiamento responsabile di ciascuno, e da programmi migliori di quelli sfornati dalla signora Albright e dalla sua équipe.
E i Balcani dovranno unirsi, per non subire eternamente il gioco della minaccia perpetua o dell'inginocchiamento davanti alle potenze straniere. Questa questione deve essere l'oggetto di una larga discussione...[da parte di coloro] che non si riconoscono nel campo dei briganti politici, né in quello dei funzionari stranieri" ("Tra sciovinismo e piaggeria politica", Feral Tribune, 26.03.2000).
In ultima analisi è la vecchia questione dell'imperialismo e dell'arretratezza, dello sviluppo diseguale e combinato a livello internazionale, a cui il movimento operaio è confrontato da un secolo. Considero personalmente inadeguate le considerazioni di Banac nella misura in cui evitano di fare i conti con la natura sociale dei regimi dei "briganti politici" e dei "funzionari stranieri". Gli uni esistono in funzione degli altri ed i conflitti attuali sono la via di un nuovo equilibrio, di potere, di ricchezza, dei meccanismi di interdipendenza, tra di loro, tra "briganti" e "funzionari". Ma rimane che il problema sollevato da Banac è, in ogni caso, ineludibile a chiunque ricerchi un'alternativa all'attuale situazione.