COSA E' SUCCESSO IN KOSOVA NELLA PRIMAVERA 1999?
DINAMICA E PERIODIZZAZIONE DELLA GUERRA IN KOSOVA


settembre 2000, di Ilario Salucci

 

La questione a cui mi dedico in questo articolo può apparire banale. La risposta generalizzata alla domanda del titolo sarà: "i bombardamenti Nato" oppure "la pulizia etnica di Milosevic", o le due cose combinate.
Quello che intendo sostenere è che questi tipi di risposte ­ pur se indubitabilmente veri dal punto di vista fattuale ­ non sono delle vere risposte. Il Kosovo nella primavera del 1999 era un teatro di guerra. Domandare "cosa è successo" significa indagare quali sono state le mosse politiche e militari dei soggetti in gioco, le loro strategie, le loro tattiche, gli obiettivi che si riproponevano. Da questo punto di vista vi è stato, e ancora vi è, un moltiplicarsi di notizie e riflessioni sugli obiettivi, strategie e tattiche della Nato nella sua campagna contro la Federazione Jugoslava. La bibliografia su questo argomento si incrementa a livello internazionale ogni settimana in modo sostanzioso ­ come in altre situazioni tuttavia la qualità non va di pari passo alla quantità. Per quanto riguarda obiettivi, strategia e tattica degli altri attori militari (forze militari jugoslave ed le forze della resistenza armata albanese) l'interesse è stato di gran lunga inferiore. Anche solo sulla dinamica fattuale degli avvenimenti esistono ricostruzioni molto contrastanti tra loro.

Vi è chi sostiene che in Kosovo, nella primavera del 1999, non è praticamente successo nulla al di fuori dei bombardamenti della Nato. Questa tesi estrema è sostenuta tra gli altri da Sandro Provvisionato, caporedattore del TG5, nel suo volume "Uck: l'armata dell'ombra", uscito lo scorso settembre presso l'editrice Gamberetti. Provvisionato afferma che "la guerra del Kosovo è stata combattuta su un fronte solo: il cielo". A terra più o meno nulla. L'attività militare dell'Uck è "una delle tante menzogne", "una vera e propria leggenda": "inesistente sul piano organizzativo, in preda allo stesso panico della gente comune, i soldati dell'Uck fuggono assieme ai civili", "senza aver dato il minimo fastidio alle forze serbe". Questi soldati dell'Uck tuttavia muoiono lo stesso: le perdite sono "ingentissime 600 caduti": da un lato "vittime del folle piano militare dei loro capi", dall'altro della "prevedibile reazione serba alla guerra umanitaria della Nato". Per quanto riguarda i profughi albanesi (circa 850.000 persone espulse dal Kosovo da fine marzo al 10 giugno 1999) sarebbero stata l'unica risposta possibile dell'esercito jugoslavo contro le bombe Nato: "rabbioso e impotente, esposto ai bombardamenti della Nato che non può controllare, l'esercito di Belgrado si scaglia con ferocia sulle popolazioni civili albanesi allo scopo di cacciarle dal Kosovo. E' la bomba di Milosevic l'arma impiegata da Milosevic come risposta alle bombe della Nato". "Sono stati i bombardamenti ad aver provocato la pulizia etnica" dice Lord Carrington e Provvisio-nato sottoscrive, ricordando che prima del 24 marzo 1999 la "pulizia etnica [era] praticamente ridottissima" (per sottolineare il concetto Provvisionato ripete questa frase due volte in tre righe).
La "ferocia" dimostrata dall'esercito jugoslavo non è comunque un dato certo: Provvisionato sottolinea che i racconti dei profughi sono comunque "tutti da verificare". Infatti in sede di bilancio dei 78 giorni di bombardamenti Nato ricorda che delle "119.500 abitazioni gravemente danneggiate 78.000 [sono state] distrutte dai bombardamenti della Nato (cifre fornite dalla Commissione europea per la ricostru-zione del Kosovo)", oltre al fatto che "più di 2.500 persone uccise [dai bombardamenti Nato] tra serbi e albanesi (la stima è dell'Onu)", mentre il numero delle vittime della repressione serba è (in 529 fosse) "quantificabile nell'esumazione di 2.600 cadaveri".
Due terzi delle distruzioni materiali in Kosovo sono state quindi causate dalla Nato (oltre alle distruzioni materiali sul rimanente territorio della Federazione Jugoslava) e il rimanente terzo è da addebitarsi alle forze jugoslave, mentre a livello di vittime si avrebbe una sistuazione di sostanziale parità.

Questa tesi rileva della pura invenzione. Provvisionato e gli altri suoi sostenitori o non portano un solo dato a sostegno di quanto affermano, o sono costretti ad una sistematica falsificazione dei dati esistenti.
L'affermazione che è una semplice "leggenda" quella di scontri tra forze militari jugoslave e Uck nella primavera '99 fa parte delle affermazioni senza una sola prova, testimonianza o altro - probabilmente per questo viene affermata con tanta nettezza e forza. In realtà vi è una semplice prova che dimostra esattamente l'opposto di quanto affermato da Provvisionato, ed è costituita dai dati sulle vittime delle forze militari jugoslave secondo le fonti ufficiali di Belgrado.
Nel prospetto che segue vi sono i dati via via rilasciati da queste fonti, relativamente al periodo di bombardamento della Nato:

  fonte VJ  Pavkovic  Milosevic  Min. Interno  Incrim.  Sentenza
 VJ N  132  169
462
   240  546
 VJ U          
 MUP N     112    147  138
 MUP U          
 Tot.      574  ca. 140  387
(solo vittime della Nato)
 684

VJ N : soldati dell'Esercito Jugoslavo vittime di bombardamenti della Nato
VJ U : soldati dell'Esercito Jugoslavo vittime dell'Uck
MUP N : membri delle forze di polizia vittime di bombardamenti della Nato
MUP U : membri delle forze di polizia vittime dell'Uck

 

Le fonti dell'Esercito Jugoslavo ("Fonti VJ"), del gent. Pavkovic, e i dati forniti da Milosevic risalgono tutti al giugno 1999 e sono riportati in un diffusissimo articolo di Robert Fisk pubblicato da "The Indipendent". I dati del Ministero degli Interni relativi ai propri uomini uccisi dall'Uck sono disponibili presso il sito web dello stesso ministero: abbiamo riportato "circa 140" in quanto il dato riportato è di 152 morti dal 1 gennaio al ritiro delle forze jugoslave dal Kosovo, dato a cui abbiamo sottratto la dozzina di poliziotti uccisi nel periodo 1 gennaio ­ 24 marzo 1999. "Incriminaz." e "sentenza" fanno riferimento al processo tenuto a Belgrado nel settembre 2000 contro i dirigenti della Nato (evidentemente non presenti) per crimini di guerra: incriminazione e la sentenza finale riportano due serie di numeri tra loro difformi.

Da aggiungere al quadro fornito da questo prospetto il fatto che secondo le fonti serbe (sempre riportate dall'articolo di Fisk) circa "300 soldati" sono stati uccisi dall'Uck nel periodo considerato. I circa 140 poliziotti sarebbero da intendersi inclusi o no all'interno di queste 300 vittime? Sembrerebbe di no vista la discrepanza tra i dati relativi alle vittime della VJ nel settembre 2000: nella sentenza il numero di soldati della VJ viene incrementato di 300, e quindi è immaginabile che il numero di 240 vittime sia da ritenersi relativo alle vittime della VJ a causa dei bombardamenti della Nato, mentre il numero di 546 vittime sia da ritenersi quello delle perdite complessive della VJ.
Quale che sia il caso, le fonti serbe ufficiali hanno dichiarato un proprio numero di caduti in scontri con l'Uck a partire dal 25 marzo che oscilla tra i 300 e i 450 ­ questo senza considerare i paramilitari uccisi in combattimento, in quanto "per definizione" inesistenti. Si confrontino queste cifre con il numero "ingentissimo" di 600 caduti nelle fila dell'Uck, fornito dallo stesso Provvisionato. Evidentemente qualche battaglia ci deve esser stata, e non delle minori.
Seconda falsificazione è quella relativa alle case completamente distrutte o gravemente danneggiate (inabitabili) in Kosovo. Provvisionato usa dati un po' vecchiotti, del luglio 1999, mentre esistono dati provenienti da ricerche più approfondite del no-vembre 1999 e del febbraio 2000. Quelle di novembre sono anche disponibili su Internet in estremo dettaglio, nel sito curato dalle Nazioni Unite www.reliefweb.int, e sono relative a 285.518 stabili analizzati, di cui 102.895 sono distrutti o gravemente danneggiati. Ma a parte questi dettagli Provvisionato afferma che i due terzi di questi stabili (78.000 su 119.500) sono state danneggiati dai bombardamenti della Nato secondo "cifre fornite dalla Commissione europea per la ricostruzione del Kosovo". In realtà la Commissione europea per la ricostruzione del Kosovo non si è mai sognata di affermare una cosa del genere. Ha affermato che 78.000 case su 119.500 erano totalmente distrutte, nient'altro. Che Provvisionato ritenga che una casa totalmente distrutta possa esserlo ­ per definizione ­ solo grazie a bombe Nato è cosa talmente stupida che non ha avuto il coraggio di esplicitarlo a chiare lettere ­ di qui la falsa citazione della Commissione europea per la ricostruzione del Kosovo (i veri testi della "European Commission Task Force Kosovo" sono ottenibili uno all'indirizzo:
www.un.org/peace/kosovo/press/damage2707.htm l'altro all'indirizzo:
www.seerecon.org/Calendar/KDCStatements/ECTFK.htm ).
Terza falsificazione è quella relativa al numero di vittime civili dei bombardamenti della Nato: viene citato il numero di 2.500 vittime e Provvisionato afferma perentoriamente: "la stima è dell'ONU". La cifra citata include le vittime militari? Non mi è chiaro, ma anche conteggiando le circa 400 vittime tra i militari (si veda il precedente prospetto) si arriverebbe comunque a più di 2.000 vittime civili. Le Nazioni Unite non hanno mai affermato una cosa del genere ­ sfido chiunque a mostrare un qualsiasi documento dell'ONU in cui afferma questo. Facilmente rintracciabile è invece la vera posizione dell'ONU (in specifico della apposita commissione del Tribunale Internazionale), rintracciabile dal Final Report to the Prosecutor by the Committee Established to Review the NATO Bombing Campaign Against the Federal Republic of Yugoslavia, del giugno 2000 e ottenibile all'indirizzo www.un.org/icty/pressreal/nato061300.htm. Questo documento riprende le stime di Human Right Watch (si veda il rapporto Civilian Deaths in the NATO Air Campaign, del febbraio 2000, disponibile all'indirizzo www.hrw.org/reports/2000/nato/ ) e quelle del Ministero degli Esteri jugoslavo (si veda il rapporto in due parti NATO Crimes in Yugoslavia, del maggio 1999 per la prima parte e del novembre 1999 per la seconda, disponibile all'indirizzo www.mfa.gov.yu/ ), "largamente credibile" a detta delle Nazioni Unite. La conclusione è che "una figura simile a entrambe le pubblicazioni [Human Rights Watch e Ministero degli Esteri Jugoslavo] potrebbe essere all'incirca di 500 civili uccisi": tale numero viene fatto proprio anche dalle Nazioni Unite. Infine il citato processo del settembre 2000 tenuto a Belgrado contro i dirigenti della Nato li incrimina per l'uccisione di 503 civili (nella sentenza si parla di 504 civili). In conclusione il complesso delle vittime dei bombardamenti della Nato è di circa 900 persone, di cui 500 civili. Questa cifra può essere incrementata tenendo conto dei paramilitari uccisi dalla Nato, non essendo inclusi in alcun conteggio.
Quello che interessa a Provvisionato è mostrare che le vittime della Nato e delle forze militari serbe si equivalgono in termini numerici. Così le circa 900 vittime della Nato diventano 2.500 e le vittime kosovaro albanesi vengono invece drasticamente ridotte. Viene fatta parecchia confusione con le cifre, ma soprattutto con i concetti: viene citata la fonte del Tribunale Internazionale e si citano 529 fosse e l'esumazione di 2.600 corpi. In realtà il dato (non ufficiale, e relativo al giugno 2000) dei 2.600 corpi esumati è relativo all'investigazione in 287 fosse, allorquando ne rimanevano da investigare altre 383. Inoltre affermare che il numero delle vittime della repressione serba è "quantificabile nell'esumazione di 2.600 cadaveri" (cosa che afferma Provvisionato e non il Tribunale Internazionale, che ha segnalazione di più di 11.000 vittime) è un'operazione insostenibile: in primo luogo perché questi corpi sono il risultato dell'analisi condotta dal Tribunale Internazionale su neanche la metà delle fosse segnalate; in secondo luogo perché tra le situazioni non indagate vi sono molti dei più gravi eccidi segnalati; in terzo luogo perché tiene conto solo delle operazioni del Tribunale Internazionale, e non di tutti i casi in cui gli stessi familiari hanno provveduto a cercare e ritrovare i corpi dei loro cari per darne degna sepoltura. Da ultimo perché (come è dimostrato dalla Bosnia, dove ancora oggi si continuano a ritrovare fosse comuni a cinque anni dalla fine del conflitto) il ritrovamento dei corpi delle vittime di varie atrocità è un compito particolarmente complesso e che assorbe molte energie e tempo: solo da poco tempo si stanno iniziando a ritrovare in numero consistente i resti delle vittime di Srebrenica ­ Provvisionato con la sua logica avrebbe sostenuto per anni che mai nessun massacro avvenne a Srebrenica, in quanto di corpi esumati non ve n'erano. Un'operazione non solo insostenibile, ma anche indecente.
Infine Provvisionato riconosce che vi è stata pulizia etnica in Kosovo in quei mesi, ma afferma che l'espulsione in massa dei kosovaro albanesi era "l'arma impiegata da Milosevic come risposta alle bombe della Nato". Arma particolarmente stupida: ci si dice che la guerra si svolgeva solo nei cieli, e quindi il riversarsi delle centinaia di migliaia di profughi nei paesi vicini al Kosovo non poteva certo influire in nulla sul corso dei fatti militari. Come arma era a dir poco spuntata. Inoltre Provvisionato afferma che prima del 24 marzo 1999 non vi era praticamente pulizia etnica in Kosovo (una mostruosità, tale affermazione, ma non è di certo l'unica nel volume in questione!), e che l'espulsione in massa dei kosovaro albanesi diede ragione ex post alla macchina propagandistica della Nato. Quindi non solo un'arma spuntata, ma che addirittura si è ritorta contro chi l'ha usata. Come è possibile una idiozia del genere da parte dei vertici politici e militari della Federazione Jugoslava? E' possibile solo e unicamente se si dipingono le forze armate jugoslave (e i relativi vertici), senza piani, senza obiettivi, senza strategie, come un semplice corpo militare che reagisce pavlovianamente alle azioni della Nato in modo "rabbioso e impotente". Belgrado non prende decisioni (gli unici in grado di farlo sono i vertici della Nato), reagisce. Solo così è possibile affermare che "sono stati i bombardamenti [della Nato] ad aver provocato la pulizia etnica". Provvisionato non fa alcun onore all'intelligenza della direzione serba, ma gli permette di sostenere l'insostenibile: nulla è sostanzialmente successo (nel senso dato all'inizio di questo articolo) in Kosovo nella primavera del '99.

Qualcosa è invece successo. Tommaso Di Francesco, pur firmando la prefazione al volume di Provvisionato, non abbraccia le sue tesi e dice che quello che è successo è stata la guerra tra forze ju-goslave e l'Uck, una "guerra combattuta, aspra, violenta". Non sviluppa tuttavia questo punto, ma cerca di armonizzarlo con quanto afferma Provvisionato. Il risultato sono otto paginette zeppe di contraddizioni, oltre a falsificazioni del tipo di quelle già analizzate. Mi permetto di non perder tempo a confutare anche queste, in quanto vi è chi sviluppa - senza contraddizioni - il discorso della "guerra combattuta, aspra, violenta": è Diana Johnstone, nell'articolo "As seen, as told": crimini etnici e responsabilità della Nato nel Kosovo, pubblicato dalla rivista "Giano" nel numero 34 del gennaio-aprile 2000.

Diana Johnstone nega in modo più che reciso che vi sia stata pulizia etnica in Kosovo: la sua tesi è che il Kosovo è stato esclusivamente il teatro di una guerra tra forze jugoslave da un lato e un blocco Uck e Nato dall'altro. "Le espulsioni [dei kosovaro albanesi] erano concentrate nelle aree di forte presenza dell'Uck, specialmente lungo la frontiera con l'Albania dove i combattimenti erano più forti e dove si attendeva l'invasione... l'espulsione di civili da una zona di guerra... non costituisce necessariamente un crimine di guerra [se, come dice la Convenzione di Ginevra, esistono] ragioni imperative militari". Le operazioni delle forze armate serbe erano "operazioni contro gli insorti [che] fanno parte del repertorio di qualsiasi forza armata del mondo", d'una "banale semplicità", e "solo quando vengono messe in opera da serbi, queste azioni vengono descritte automaticamente come "pulizia etnica"". A dimostrazione il fatto che nel distretto "di Kamenica... prima dei bombardamenti della Nato e durante tutta la guerra non ci [sono] stati rapporti di violazioni dei diritti umani, di espulsioni o di altri incidenti... perché... non c'era nessuna presenza dell'Uck". "Nessuna espulsione o incidente... è stato segnalato nelle diverse regioni dove l'Uck non era attivo". Il problema in questa visione dei fatti è che vi sono migliaia di testimonianze di atrocità commesse dalle forze serbe ai danni di civili kosovaro albanesi: per questo Diana Johnstone dedica il suo articolo a queste testimonianze, e afferma sostanzialmente che sono tutte palle. In primo luogo perché i testimoni sono tutti albanesi, manipolati o intimiditi dall'Uck, e fornendo false testimonianze offrono un "servizio gradito alla Nato e all'Uck per giustificare i bombardamenti". Inoltre le testimonianze sono state raccolte sulla base di questionari fatti in modo da ""indurre il teste" a muovere particolari accuse". Bugie, "vittime autodefinitesi tali" [sic] e vittime false, questo il giudizio della Johnstone. Infine, se per Sandro Provvisionato gli unici veri attori a decidere sono stati i vertici della Nato, per Diana Johnstone gli unici veri attori a decidere sono stati i vertici dell'Uck: "non potendo sperare di sconfiggere militarmente la polizia e l'esercito serbo, le imboscate e le uccisioni di poliziotti [commesse dall'Uck nel periodo precedente al 24 marzo 1999] erano comprensibili solo nel quadro di una strategia dell'Uck di provocazione. L'Uck aveva un piano semplice ma efficace: ammazzare dei poliziotti serbi, i serbi avrebbero risposto "alla maniera balcanica" con delle rappresaglie a vasto raggio e con qualche massacro, l'Occidente ne sarebbe sempre più sconcertato fino a decidersi... ad agire. In effetti gli Stati Uniti e buona parte dell'Europa sarebbero entrati in guerra dalla parte dell'Uck. Ha funzionato". L'italiano è traballante, ma il concetto è chiaro.

Tommaso Di Francesco e Diana Johnstone sono sicuramente nel vero allorquando affermano che vi fu in Kosovo una "guerra combattuta, aspra, violenta". Una guerra di cui quasi nessuno parlò. La Nato e i vari paesi occidentali non rilasciarono informazioni a questo proposito, le agenzie di informazioni della Serbia parlarono solo ed esclusivamente dei bom-bardamenti Nato, o tutt'al più dell'annientamento di "gruppi di terroristi" che cercavano di infiltrarsi dall'Albania. Gli unici a parlarne furono le fonti kosovaro albanesi, ma a mia conoscenza nessun mass media italiano utilizzò mai queste fonti. Fonti evidentemente di parte, come d'altronde tutte le altre fonti esistenti. A livello internazionale il numero di giornalisti che effettuarono dei reportages dall'interno del Kosovo in guerra fu un numero assolutamente insignificante: va a loro merito il lavoro coraggioso che hanno effettuato, e la rottura del silenzio sulla guerra dentro il Kosovo che il loro lavoro permise. Ma furono delle brecce molto limitate.
Non si conosce con precisione neppure la consistenza delle forze in campo. La valutazione standard delle forze armate jugoslave che operarono in Kosovo è generalmente di 40-45.000 uomini, ma le fonti serbe avanzarono cifre superiori (il gen. Pavkovic arrivò al numero stratosferico di 150.000 uomini). Le valutazioni della consistenza numerica dell'Uck sono state le più varie, tra i 4.000 e i 30.000 uomini (un portavoce dell'Uck arrivò al numero stratosferico di 50.000 uomini): queste oscillazioni sul numero dei combattenti dell'Uck possono essere spiegate dalla caratteristiche di questa organizzazione, ben messe in luce da Andrea Nativi (Tecniche per un massacro, in: "Kosovo. L'Italia in guerra", Quaderno speciale di Limes, aprile 1999): "La maggior parte delle forze combattenti dell'Uck infatti era poco più di una milizia di autodifesa che agiva a "braccio corto" sul territorio di casa, continuando a utilizzare le proprie case come base stanziale. I reparti mobili capaci di spostarsi discretamente sul territorio, colpendo in luoghi diversi e sfruttando poi l'appoggio della popolazione per ripiegare evitando il contatto con le forze regolari serbe, erano pochissimi... Questo tipo di "non-organizzazione" spiega anche l'incertezza sul numero dei guerriglieri. Il nucleo permanente di combattenti "professionisti" è rimasto molto limitato, quasi sicuramente al di sotto dei 1.500 uomini, ma a questi si aggiungevano diverse migliaia di guerriglieri locali e decine di migliaia di simpatizzanti o di combattenti part time... Gli organici del quadro permanente dell'Uck sono peraltro in continua espansione". Questa descrizione mi sembra si basi soprattutto sulla situazione del 1998: dopo la disfatta dell'agosto di quell'anno gli sforzi di "professionalizzazione" e organizzazione dei comandi sono stati molto spinti. La mia ipotesi numerica, divergente da quella di Nativi, è che nella primavera del 1999 i combattenti "professionisti" dell'Uck fossero circa 4.000, a cui si aggiungevano circa 15-20.000 "combattenti locali".
La dinamica della guerra combattuta è illustrata dalle fig. 1 - 4. La fig. 1 riporta la suddivisione delle sette zone operative dell'Uck (con la localizzazione dei relativi quartier generali), come furono riportate lo scorso anno da "Jane's Intelligence Review". In realtà tale suddivisione è da considerarsi molto approssimativa: personalmente ritengo improbabile che la città di Pristina facesse riferimento al primo settore anziché al secondo, mentre la sesta zona operativa è disegnata in modo particolarmente bizzarro, visto che non avrebbe incluso quasi nessun "territorio liberato".

 

Fig. 1: Zone operative dell'Uck e localizzazione dei vari quartier generali (per le zone VI e VII dato indisponibile). Fonte "Jane's Intelligence Review", marzo 1999.
Zona I: Drenica; Zona II: Llap; Zona III: Dukagjini; Zona IV: Shala; Zona V: Pashtriku; Zona VI: Nerodime; Zona VII: Karadac


Più interessante è la fig. 2 che cerca di delineare le zone sotto controllo dell'Uck a metà del febbraio 1999. Si tratta di una elaborazione a partire da diversi documenti: principalmente, ma non unicamente, il rapporto dell'OSCE As seen, as told (oggetto degli attacchi della Johnstone); intenzionalmente non ho utilizzato nessuna fonte dell'Uck perché probabilmente interessati a sopravvalutare la propria forza e il proprio controllo territoriale.

 

Fig. 2. Territori sotto controllo dell'Uck, febbraio 1999 e direttrici delle offensive serbe a partire da metà feb-braio 1999 (frecce aperte) e direttici dell'offensiva serba del 20-21 marzo 1999 (frecce chiuse)


Nonostante le sconfitte subite nel periodo luglio - settembre 1998 l'Uck manteneva un controllo territoriale per nulla marginale, mi pare (a colpo d'occhio) di circa il 15%, o poco più, del territorio kosovaro. Inoltre questi territori sono stati (considerando solo il periodo a partire da metà febbraio) oggetto di una serie di offensive serbe che hanno ridotto questi "territori liberati", in particolar modo nel distretto di Vucitrn e in quello di Pizren. La dinamica degli avvenimenti a febbraio nel distretto di Kacanik è invece anomala: si costituiscono ex novo delle zone sotto controllo dell'Uck (mentre fino ad allora Kacanik non aveva registrato una particolare attività dell'Uck) che vengono immediatamente investite da una pesante offensiva serba. Quindi da metà febbraio erano all'offensiva le forze serbe, non quelle dell'Uck, con l'eccezione di Kacanik. Infine contrariamente a quello che si aspettava l'Uck, e cioè un'offensiva centrata sulla parte orientale del Kosovo, l'offensiva serba iniziata il 20-21 marzo si estende a quasi tutto il Kosovo. Le forze dell'Uck vengono investite sia a Istok, nella parte nord-occidentale, sia a Podujevo, nella parte nord orientale, sia a Srbica che a Malishevo, nel cuore del Kosovo. Le effettive operazioni sul terreno sono ben diverse da quelle illustrate dal famoso piano "ferro di cavallo" (si può fare un utile confronto tra la situazione illustrata nella fig. 2 e le situazioni illustrate, nella logica "ferro di cavallo", dalle mappe esistenti all'indirizzo www.fas.org/man/dod-101/ops/docs99/op-horsehoe.htm). A partire dal 25 marzo 1999 praticamente tutte le zone sotto il controllo dell'Uck sono investite dall'offensiva serba.
La fig. 3 illustra la situazione sul terreno verso il 10 aprile 1999. Le autorità serbe avevano affermato che sarebbero state necessarie due settimane per spazzar via definitivamente la resistenza armata albanese: il 4 aprile, quindi dopo le fatidiche due settimane, portavoci della Nato dichiararono che "l'Uck è finito".

 

Fig. 3. Territori sotto controllo dell'Uck verso il 10 aprile 1999.

 

Dopo tre settimane (20 marzo - 10 aprile) invece la resistenza armata albanese tiene una serie di zone sotto il proprio controllo. Ancora il 5 maggio vengono tenuti una serie di capisaldi. La guerra combattuta non conosce tregue: le truppe jugoslave concentrano tutta una serie di offensive contro questi capisaldi per tutto il mese di maggio (fig. 4). Almeno un paio di questi capisaldi riusciranno a reggere fino alla fine della guerra.

 

Fig. 4. Caposaldi tenuti dall'Uck verso il 5 maggio 1999 e date delle ultime maggiori offensive conosciute delle forze militari jugoslave.
Zona (1): 6-9 maggio; zona (2): 7-15 maggio; zona (3): prima metà di maggio; zona (4): metà maggio;
zona (5): 21 maggio; zona (7): 27-28 maggio.
Zona (6): caposaldo di Koshare, bombardato dalla Nato il 22 maggio; zona (8): offensiva dell'Uck
sui monti Pastrik a partire dal 26-31 maggio.


La tattica da parte delle forze militari serbe è da un lato quello dello svuotamento e della distruzione dei villaggi kosovari in modo tale da cancellare ogni possibile base ai combattenti albanesi, e dall'altro quello di indirizzare grandi masse di profughi sprovvisti di tutto nei territori tenuti dall'Uck (o permettere che vi si dirigano) in modo tale da creare delle situazioni ingovernabili in queste zone.

Quindi una dimensione importante di quello che avvenne in Kosovo fu la guerra di terra fra forze jugoslave e Uck. Non è possibile tuttavia ridurre tutto quello che avvenne a questa dimensione, come fa Diana Johnstone. Questa autrice - oltre a giustificare i mezzi atroci che le forze jugoslave impiegarono contro l'Uck, definendoli al più "una maniera balcanica" di risolvere la situazione! - afferma infatti che distruzioni e deportazioni della popolazione kosovara albanese avvennero solo nelle zone dove si ebbero scontri militari. A questo proposito è sufficiente dare un'occhiata alla cartina che individua le distruzioni sistematiche di villaggi e città per accorgersi che tale affermazione è falsa. Le zone interessate da distruzioni sistematiche sono molto più ampie di quelle che hanno visto scontri tra forze jugoslave e Uck.
Si veda a questo proposito la fig. 5 (e la si confronti con la fig.2): sono rappresentate le zone dove in modo omogeneo almeno due terzi degli stabili di ogni singolo villaggio è totalmente distrutto o danneggiato in modo molto grave. Ho provveduto a suddividere queste zone in due parti: una vede un'ampissima zona dove la distruzione è sistematica e metodica, a parte piccoli "isolotti" (in cui comunque si sono avuti distruzioni importanti, pur se sotto i due terzi citati). L'altra zone invece evidenzia una situazione opposta: le distruzioni sistematiche disegnano non una zona compatta ma una serie di "isolotti" più o meno grandi.

 

Fig. 5. Zone in cui gli stabili civili che sono stati completamente distrutti o gravemente danneggiati sono almeno i due terzi degli stabili civili esistenti. Sono evidenziate le due zone: quella occidentale in cui le distruzioni sono state sistematiche salvo piccole isole di territorio; quella orientale e meridionale dove le distruzioni disegnano delle isole tra loro separate.

 

Se Kosovka Kamenica non ha conosciuto distruzioni significative (il che è indubitabilmente vero) il motivo non può essere stato solo e unicamente l'assenza dell'Uck da questa zona. La presenza dell'Uck è sicuramente un motivo per comprendere la geografia delle distruzioni effettuate - ma non può essere l'unico. Diana Johnstone mente affermando che "nessuna espulsione o incidente... è stato segnalato nelle diverse regioni dove l'Uck non era attivo" - ve ne sono centinaia di denunce di espulsioni, incidenti, uccisioni in zone dove non vi era alcuna attività armata ­ tra cui le maggiori stragi di civili a danni di colonne dei profughi. Naturalmente per accorgersene non basta limitarsi a una analisi grossolana a livello di distretti amministrativi (come mi sembra abbia fatto la Johnstone, che ha tutt'al più sfogliato, ma non letto, il rapporto OSCE), ma scendere nei dettagli delle effettive zone che hanno conosciuto scontri militari.

Cos'altro avvenne in Kosovo oltre alla guerra tra forze jugoslave e Uck? Naturalmente quello che si è chiamato pulizia etnica, e che Diana Johnstone nega contro ogni evidenza. Con forza sovrumana cancella l'esperienza di decine, centinaia di migliaia di persone e con nonchalance conclude che sono tutte palle. Lei sa, e i kosovari farebbero meglio a smettere di mentire tutti quanti in massa. Sarebbe solo farsesco se non godesse di "credito" in certa sinistra britannica ed italiana. E' anche incredibile leggere in una pubblicazione della sinistra italiana una ricostruzione della guerra del Kosovo (mi riferisco al "piano di provocazione", "semplice ma efficace", dell'Uck per far schierare tutte le maggiori potenze del mondo dietro di sé) degna al più di un giornale umoristico.

Passando a questioni serie, la questione che si pone è perché le autorità jugoslave, oltre a cercare di schiacciare l'Uck, procedettero a effettuare una sistematica pulizia etnica in ampie zone del Kosovo. A che fine? Con quali obiettivi?
La risponde comunemente data è stata quella di ottenere una modificazione demografica del Kosovo. In realtà tale risposta non regge a un semplice calcolo. Al 10 giugno 1999 i kosovaro albanesi espulsi fuori dal Kosovo erano circa 850.000, cioè, più o meno, la metà di tutta la popolazione albanese del Kosovo. Uno sforzo enorme per risultati in realtà modesti: i 200.000 serbi del Kosovo, che prima delle espulsioni di massa costituivano il 10% della popolazione kosovara, sarebbero passati al 18% dopo le espulsioni. Inoltre questo ragionamento implica che la direzione serba puntasse a vincere sulla Nato: mantenere il Kosovo nella Serbia e rendere definitive le espulsioni effettuate. Un obiettivo largamente irrealistico. Ben più realista era un altro scenario, reso pubblico fin dai primi del marzo '99 in Serbia, citando fonti anonime vicino al comando militare e al governo serbo: "le cose potrebbero essere portate intenzionalmente [da parte delle autorità serbe] fino agli attacchi aerei della Nato. Questi ultimi verranno utilizzati come pretesto per un'offensiva decisiva dell'esercito e della polizia, ma non contro le forze del patto [atlantico], quanto piuttosto contro l'Uck per distruggerla e per ripulire la massima superfie possibile del Kosovo dalla popolazione albanese... [arrivando] a un Kosovo diviso e con le forze internazionali che garantirebbero una linea di demarcazione" (si v. "Notizie Est", #188). Lo stesso concetto è sostenuto (ed auspicato) dal citato Andrea Nativi su "Limes" dell'aprile '99.
In quest'ottica gli obiettivi di Belgrado erano quindi duplici: distruggere l'Uck e arrivare a una spartizione del Kosovo. La fig. 5 dove è rappresentata la geografia delle distruzioni effettuate in Kosovo sarebbe quindi il risultato di questa duplice politica: considerando la geografia kosovara propongo di conseguenza un'ipotetica "linea di demarcazione" perseguita dalle autorità di Belgrado (fig. 6). Il territorio a destra di tale linea sarebbe dovuto rimanere alla Serbia, e le distruzioni qui effettuate sono davvero relative solo a zone teatro di scontri militari con l'Uck.

 

Fig. 6. Ipotesi di spartizione del Kosovo delineata dall'attività delle forze militari jugoslave.

 

Le espulsioni dei kosovaro albanesi, se effettuate in zone dove non vi erano scontri militari, non ha portato a distruzioni (ad es. la città di Pristina, ad eccezione di due quartieri all'estrema periferia settentrionale). Il territorio a sinistra di tale linea, completamente distrutto, sarebbe rimasto in mano agli albanesi. La zona di Pizren doveva probabilmente essere oggetto di contrattazione. Questa ipotesi è praticamente identica alla proposta di spartizione del Kosovo avanzata da Cosic all'inizio degli anni '90 (si v. l'ipotesi di spartizione di Cosic all'indirizzo:
www.ce-review.org/99/1/images/m_cosic.jpg) e coincide con l'ipotesi avanzata da Andrea Ferrario nello scorso numero di "Balkan".
Il dato nuovo di questa operazione (rispetto ad es. all'esperienza bosniaca, sulla cui base l'Uck si aspettava un'offensiva centrata a est) fu che le operazioni di pulizia etnica furono totali nella zona che Belgrado avrebbe accettato di cedere e solo parziali nella rimanente parte. La zona che sarebbe dovuto rimanenere alla Serbia non sarebbe stata "mononazionale" ma avrebbero conosciuto un significativo mutamento demografico, con una maggioranza non albanese. Il dato nuovo era la perseguita distruzione sistematica della parte del Kosovo che sarebbe rimasta albanese.

Fu quindi semplice retorica propagandistica la visione di truppe serbe dedite a sempre più massacri e pulizia etnica solo per innata barbarie (dei soli serbi, o di tutti i popoli balcanici, Johnstone dixit), così come fu semplice retorica propagandistica l'affermata progressione matematica dei bombardamenti da parte della Nato in risposta a questa dinamica. Naturalmente anche la visione identica, ma con segno opposto (bombardamenti della Nato via via più feroci, a cui le truppe jugoslave rispondevano come potevano per poter fermarli) rileva della pura retorica propagandistica.
La dinamica della guerra della scorsa primavera ebbe momenti di incertezza, di cesura, di drammatiche svolte.
Il già citato articolo di Ferrario individua due periodi chiave nella dinamica politica e diplomatica: attorno al 7 aprile e nei dieci giorni tra il 28 aprile e il 7 maggio, ed argomenta, a mio parere in modo convincente, la disponibilità da parte Nato ad arrivare ad una spartizione del Kosovo almeno fino a tutta la prima settimana di maggio. Spartizione che non vi fu per il mancato raggiungimento di un accordo sulla specifica linea divisoria.



I bombardamenti della Nato, nonostante quello che i suoi portavoce annunciavano, ebbero una dinamica per nulla lineare, così come le operazioni di pulizia etnica in Kosovo. I due diagrammi che precedono permettono di cogliere questa dinamica (le fonti sono rispettivamente il Ministero della Difesa sttunitense e l'Unhcr).

A mio parere si possono individuare le seguenti fasi nella guerra kosovara:

Dal 20/24 marzo al 4 aprile:
da parte della Nato si hanno bombardamenti "leggeri" (sotto le 1.000 missioni di bombarda-mento alla settimana) e senza obiettivi civili in Ser-bia (i famosi "errori"); da parte jugoslava si svilup-pa un'offensiva generalizzata contro l'Uck, si procede alla distruzione sistematica del Kosovo occidentale, e si provvede all'espulsione di 430.000 kosovaro albanesi (la metà di tutti gli espulsi durante le 11 settimane di guerra); probabilmente circa il 40-50% di tutte le vittime kosovare si concentra in queste due settimane e mezzo; l'Uck viene travolta dall'offensiva serba ma non viene "spazzata via" come era intenzione di Belgrado, riuscendo a tenere in una serie di zone chiave.
E' il periodo in cui la Nato è convinta di arrivare a un accordo in brevissimo tempo con Belgrado.

Dal 5 aprile al 6 maggio:
da parte jugoslava si completa verso il 10 aprile l'iniziativa militare iniziata il 20 marzo; massacri generalizzati ai danni delle colonne di profughi interni (più di 500 vittime); continuano le operazioni militari contro le zone rimaste in mano all'Uck, con massacri generalizzati di civili nei distretti di Glogovac e Pristina; il numero di kosovari espulsi in queste cinque settimane è di circa 300.000 persone. Vengono colpiti dalla Nato una serie di obiettivi civili in Kosovo, a Bistrazin e Meja il 14 aprile, a Luzane il 1° maggio e a Savine Vode il 3 maggio: in quest'ultimo caso la Nato rigetta ogni propria responsabilità, nei due precedenti fornisce cifre delle vittime di molto inferiori a quelle denunciate dalle autorità jugoslave.
Da parte della Nato bisogna invece considerare due "sottoperiodi".
Dal 5 al 24/27 aprile: salta l'accordo previsto tra Nato e Belgrado; la Nato incrementa pesantemente i bombardamenti (sopra le 1.000 missioni a settimana) e inizia a colpire obiettivi civili in Serbia (5 aprile ad Aleksinac, il 12 il treno a Leskovac, il 23 lo stabile della RTS a Bel-grado, il 27 ancora ad Aleksinac). Prende atto che la crisi dei profughi non è destinata a risolversi in tempi rapidissimi con la spartizione del Kosovo e il rientro dei profughi nella parte occidentale del Kosovo: l'11 aprile inizia l'operazione di si-stemazione dei campi profughi. Vengono bloccati i rifornimenti militari all'Uck con il sequestro ad Ancona il 12 aprile di un ingente quantitativo d'armi.
Dal 24/27 aprile al 6 maggio: si concretizza la possibilità di un accordo a breve tra Nato e Belgrado. I bombardamenti ritornano sotto la soglia di 1.000 missioni settimanali e non vengono colpiti obiettivi civili. Viene reso pubblico il sequestro effettuato ad Ancona il 12 aprile ed iniziano ad essere pubblicati sui grandi organi d'informazione internazionali notizie su presunte fonti illecite di finanziamento dell'Uck.

Dal 7 maggio al 10 giugno:
da parte jugoslava vi sono sostanzialmente operazioni militari contro gli ultimi caposaldi dell'Uck (in un caso, il 22 maggio, ci pensa la Nato a bombardare uno di questi caposaldi, a Kosare) e viene fermata l'offensiva dellUck sui monti Pastrik; non si hanno massacri generalizzati e il flusso di persone espulse per queste cinque settimane scende a 130.000 persone. Vengono colpiti dalla Nato una serie di obiettivi civili in Kosovo, a Korisha e alla prigione di Dubrave: nel primo caso la Nato afferma che le vittime civili erano utilizzate come "scudi umani", mentre nel secondo caso il bombardamento della Nato provoca 19 morti; nei giorni successivi a questo bombardamento le forze jugoslave passeranno per le armi più di 100 detenuti politici. Da parte Nato si segna la rottura dell'ipotesi d'accordo con la ripresa pesante dei bombardamenti nella settimana tra il 7 e il 14 maggio, e il bombardamento di obiettivi civili in Serbia (Nis); nelle tre settimane successive le missioni di bombardamento ritornano sotto la "quota 1.000" e vengono colpiti due obiettivi civili in Serbia (a Surdulica e Novi Pazar) il 30 e 31 maggio, quindi immediatamente prima dell'accordo raggiunto il 3 giugno. Alla conclusione della guerra le stime della Nato delle vittime kosovare è di 5.000-6.000 persone. Nei giorni successivi questa stima verrà portata prima a 10.000 e poi, alla fine, a 11.300 vittime (si vedano le conferenze stampa del portavoce della Nato Jamie Shea del 31 maggio e 1° giugno 1999, www.nato.int/kosovo/press/p990531a.htm e www.nato.int/kosovo/press/p990601a.htm; la cifra di "100.000 vittime" in realtà non fu mai data da fonti Nato o del Pentagono, che parlarono per un certo periodo di "100.000 scomparsi": si trattava delle persone di sesso maschile che furono trattenute, per periodi di tempo variabili, per "accertamenti" dalle forze armate e dalla polizia serba, e di cui in effetti non si sapeva all'epoca più nulla, e che in realtà nella stragrande maggioranza vennero rilasciate).

In conclusione la dinamica della guerra fu ben diversa da quella che fu propagandata durante il suo svolgimento. Sia la Nato che Belgrado iniziarono la guerra con dei piani politici e militari che vennero sconvolti nelle settimane successive e dovettero es-sere riformulati nel corso degli avvenimenti. Questi piani prevedevano da un lato, e permettevano dall'altro, enormi sofferenze sia per la popolazione kosovara, sia per la popolazione serbo montenegrina. Per questo sia i governi della Nato che quello di Belgrado cercarono di occultarli. L'Uck fu l'unico soggetto che avrebbe potuto denunciare questa situazione: decise invece di non farlo, per ristretto nazionalismo e perché, in ultima analisi, affidò le sorti del proprio popolo alla diplomazia e alle armi dei paesi della Nato.