DUE SCRITTI SU CHRISTIAN RAKOVSKY
PROVA PROVA


novembre 2000 di Panait Istrati

 

Christian Rakovsky (1873-1941), nato bulgaro e divenuto rumeno per un accidente della storia, fu dirigente della Seconda Internazionale, il più importante e ascoltato rappresentante delle organizzazioni socialiste dei Balcani. Russo d'adozione e francofilo, amico di personaggi come Guesde, Jaurès, Plekanov, Trotsky, Liebknecht e Rosa Luxemburg, dopo il 1917 fu in URSS, dirigente militare, poi capo di stato in Ucraina, e infine diplomatico. Contribuì alla nascita dell'Opposizione di sinistra contro lo stalinismo nascente. Passò lunghi anni in deportazione e nelle carceri di Stalin, che ne ordinò la fucilazione nel novembre 1941. Dei suoi scritti in italiano sono stati pubblicati I pericoli professionali del potere (Samonà e Savelli, 1967), I pericoli professionali del potere e altri scritti (1928-1930) (Celuc Libri, 1981), I pericoli professionali del potere e altri scritti (Prospettiva Edizioni, 1998). Le ultime due raccolte ­ a parte il saggio che dà loro il titolo ­ includono scritti diversi l'uno dall'altro. La più recente biografia di Rakovsky è quella di Pierre Broué, Rakovsky ou la Révolution dans tous les pays, edito da Fayard nel 1996.

Panait Istrati (1884-1935), tra i maggiori romanzieri della Romania del '900, militò fino alla prima guerra mondiale nell'organizzazione socialista rumena, legandosi alla sua corrente sindacalista rivoluzionaria. Dal 1914 fu in Svizzera, poi in Francia. Nel 1924 vengono pubblicate le sue prime opere letterarie, Kyra Kyralina e Zio Anghel. Attivista comunista, nel 1929 denuncia lo stalinismo con il volume Verso l'altra fiamma. Dopo sedici mesi in URSS. Rientrato in Romania all'inizio degli anni '30, assume posizioni anticomuniste tout court, pur senza compromettersi con la destra. Muore di tubercolosi nel 1935. In italiano sono stati pubblicati Kyra Kyralina (Feltrinelli, 1988), Mediterraneo (al levar del sole) (Argo, 1993), Verso l'altra fiamma (ECP, 1994), Il bruto (ed. e/o, 1998). Quest'anno le edizioni Bi-Elle di Firenze (c/o Paolo Casciola, C.P. 154, 50100 Firenze) hanno pubblicato in un numero limitato di copie I cardi del Baragan, il romanzo di Istrati ambientato durante la rivolta contadina rumena del 1907.

I due scritti che seguono sono tratti dal volume di Istrati Le vagabond du monde, pubblicato dalle edizioni Plein Chant (Bassac) nel 1991. La traduzione dal francese è di Cinzia Garolla.

 

Un episodio delle lotte rivoluzionarie in Romania
per Christian Rakovsky

Forse sarebbe stato meglio intitolare il mio racconto: Per il popolo rumeno, perché se Rakovsky ne fu l'eroe, la classe operaia della Romania fu degna del suo eroismo.
Dopo la cieca repressione governativa che seguì le rivolte agrarie del 1907, il socialismo rumeno fu scelto come capro espiatorio, e i suoi militanti ebrei o di origine straniera come Rakovsky espulsi in massa. La persecuzione costò all'attuale presidente dei Commissari del popolo d'Ucraina cinque anni di esilio, e coloro che tra i comunisti francesi vorranno conoscere una delle odissee di colui che sfuggì al plotone di esecuzione prima di arrivare alla presidenza dell'Ucraina, non devono far altro che leggere il suo libro: La Romania dei Boiardi dell'epoca.
Bulgaro d'origine, Rakovsky era diventato cittadino rumeno con l'annessione della provincia della Dobrugia dopo la guerra del 1877. La sua espulsione non era quindi che un atto arbitrario commesso dall'oligarchia rumena, e Rakovsky chiese invano per parecchi anni di essere tradotto davanti ai tribunali del paese; il governo taceva e sorvegliava accuratamente le frontiere. Le forze di sicurezza di Stato, create da poco tempo, erano completamente mobilitate per questa sorveglianza, e la sua descrizione, lui che che non c'era nella rivolta dei contadini, si trovava nelle tasche di tutte gli spioni. Circolavano voci, d'altronde credibili, che se l'espulso avesse tentato di attraversare la frontiera il suo assassinio non avrebbe stupito nessuno. Rakovsky tentò comunque diverse volte di attraversarla, ma i suoi tentativi fallirono, venne respinto. Riunioni e manifestazioni in tutto il paese in suo favore, nelle quali il nostro povero amico riponeva grandi speranze, non servirono a niente, perché ovunque i popoli manifestano e gli oligarchi governano. Rakovsky rimase espulso.
Io credo di non far torto a nessuno dei militanti rumeni ricordando questa verità, cioè che l'assenza di un tale uomo per cinque anni si fece crudelmente sentire nella nostra lotta, perché nessuno di noi possedeva la sua istruzione, né la sua capacità infaticabile di lavoro.
Non immaginavamo, in quel momento, che presto gli avvenimenti avrebbero chiamato i capi del proletariato alla responsabilità del potere, e invece di istruirci costantemente, chiacchieravamo al bar, ma loro, questi grandi rivoluzionari, forgiavano continuamente il materiale di cui sono oggi gli stupefacenti costruttori.
Ho avuto la fortuna di essere scelto dal nostro Comitato per portare di nascosto delle lettere a Rakovsky esule, e l'ho visto al lavoro nella proprietà di sua sorella a Kallayedjidéré (Bulgaria), in una capanna in cui riusciva a rimanere in piedi a malapena senza battere la testa sul soffitto, e come anticamera, una stalla, inghiottito dai libri e dalle scartoffie, leggendo e scrivendo articoli per il nostro e per altri giornali - e oggi, senza essere fatalista, non posso impedirmi di credere che gli uomini del suo stampo dovevano già presentire che un destino vicino era pronto a spingerli al posto che ora occupano, altrimenti non saprei spiegarmi questo lavoro tanto febbrile.*

Ma Rakovsky, per quanto militante socialista internazionale, non poteva guardare con occhio tranquillo la situazione precaria della battaglia in Romania, dove lui era il vero creatore del movimento socialista proletario, e così ecco che tenta ancora una volta di penetrare nel paese, con l'idea di farsi arrestare e di essere tradotto davanti alla giustizia, dove, carte e testi giuridici alla mano, avrebbe dimostrato la sua qualità di cittadino.
Il 19 ottobre 1909, di sera, il giornale democratico Adeverul, faceva buona pesca nelle acque socialiste, usciva con una edizione speciale, e in prima pagina la notizia che Rakovsky era appena stato arrestato al punto di frontiera di Caineni e che forse, nel momento in cui si leggevano queste righe la polizia lo stava ammazzando!
Chi nutriva dei dubbi sui sentimenti generosi della massa operaia ebbe quella sera una bella occasione di formarsi un'opinione certa. Nonostante fosse giorno di lavoro, e senza il minimo appello da parte nostra, ondate compatte di operai in tuta si riversarono da tutti i punti della capitale e riempirono i nostri locali, le dependances, i cortili. Mani e facce sporche, popolo di fabbriche e officine, dimenticavano la cena e la famiglia, venivano in massa con una sola parola sulle labbra:
- Bisogna battersi tutta la notte nelle strade di Bucarest, vogliono uccidere Rakovsky!
E, infatti, la volontà del popolo fu fatta, quella notte ci battemmo. I militanti accorsero in fretta, la maggior parte occupata al lavoro, e discorsi infiammati risposero alla minaccia del governo. Ma la folla non voleva rispondere con parole, voleva fatti. Si soffocava nelle sale, si cercava di uscire a manifestare, e ci scontrammo con i cordoni di polizia mobilitati intorno al locale. Lo scontro cominciò impetuoso, senza esitazioni, e un quarto d'ora dopo si trasformava in una battaglia in piena regola con sangue e feriti dalle due parti. Ma non conoscendo per niente la strategia, fummo circondati, arrestati a centinaia e picchiati uno dopo l'altro nelle cantine della prefettura di polizia, da dove le grida delle vittime arrivarono a svegliare gli abitanti dei dintorni. L'indomani gli arrestati in massa della vigilia vennero rilasciati, tranne nove militanti tra i quali ebbe l'onore di contarsi chi scrive queste righe; furono schedati e si aprì contro di loro un'azione giudiziaria che comportò alcune condanne.
Prego i compagni rumeni che leggeranno queste righe di non sorridere con superiorità al racconto di un gesto oggi eclissato da sofferenze ben più terribili. Il 19 ottobre 1909 è una data storica nel movimento proletario rumeno: è la prima uscita rivoluzionaria cosciente di una classe che aveva appena quattro anni di organizzazione metodica; è il solo movimento di massa spontaneo che io conosca, movimento non dettato dai capi, ma sorto da migliaia di cuori, nello stesso momento, alla lettura di una notizia, per correre a battersi nelle strade, apprendendo che un uomo, il primo militante della loro liberazione, era forse stato assassinato alle porte del paese per una causa che era la loro. Si sono battuti soli nelle strade, mentre i capi erano bloccati dalla polizia e arrestati immediatamente.
Non sono riusciti a far entrare Rakovsky nel paese, ma hanno dato da pensare al governo e hanno contribuito molto al ripristino successivo dei diritti dell'esule.
E' un omaggio a Rakovsky, che siede oggi alla Conferenza di Genova e che seppe ispirare simili movimenti di rivolta a una massa che trovò nel 1905, quattro anni prima, disorganizzata e addormentata. E' anche un omaggio a un popolo che geme in questo momento sotto gli stivali del Terrore Bianco più intollerabile.

Apparso ne L'Humanité, 14 maggio 1922.

Christian Rakovsky

L'ho visto e sentito parlare, per la prima volta, a Bucarest, il 24 gennaio 1905.
In quel giorno di grande festa nazionale (Anniver-sario dell'Unione dei Principati Danubiani), il Partito Socialista Rumeno, che era appena rinato dalle sue ceneri, aveva organizzato un'assemblea nella grande sala dell'Eforia, per protestare, al fianco del proletariato universale, contro i massacri zaristi e l'incarcerazione di Gorki.
Gran bel ricordo, indimenticabile! In mezzo a un mondo di squali e tutto coperto di cicatrici ancora sanguinanti, il povero Partito operaio si faceva un dovere sacro di unire la sua debole voce al ruggito della protesta universale. E per meglio sottolineare la sua audacia, per meglio gridare la sua rivolta, scelse proprio questo giorno di manifestazione patriottarda, giorno di sfilate soldatesche, di trombe, di tamburi e di boia gallonati. Luogo di riunione: pieno centro della capitale! Organizzatori, oratori: mio Dio, qualche resto del vecchio movimento socialista, tradito da capi avidi di potere. Mi ricordo di parecchi, ma non segnalerò qui che la bella figura di Frimu, fisico da Ramses, mezzo imberbe, colorito giallastro e pelle secca, una barbetta biondiccia, ma dagli occhi vivi, lo sguardo penetrante e la parola sicura. Coraggioso Frimu, caduto sotto i colpi degli assassini vittoriosi, il tuo sacrificio non sarà vano!
Dei neofiti, citerò: Gheorghe Cristescu, il cui attuale e improvviso cambio di coscienza mi sembra quanto meno incredibile, incomprensibile.
Valoroso, battagliero, coraggioso nel senso pieno del termine, Cristescu era il mio unico amico intimo tra i socialisti e il mio iniziatore nelle "idee".
Mi trovavo vicino a lui, all'entrata della sala, e gli stavo attaccato perché la folla operaia era piena di picchiatori portati dalla polizia per spaccarci le costole. Per questo non avevo nessuna voglia di restare solo, lo confesso, perché per quanto aiduco, sono anche una mezza cartuccia.
Cristescu, un terribile manganello in mano e roteando degli occhi da pazzo, andava e veniva, faceva la spola avanti e indietro, facendosi largo a gomitate, sorvegliava gelosamente l'assemblea e imponeva il rispetto.
Ed ecco che, bruscamente, sento: "Racosky! Racosky!".
Era da un gruppo di vecchi legionari che si era levata questa esclamazione.
Ebbi giusto il tempo di intravvedere un uomo di statura media con una nera barba irsuta, barba di volontario.
Rakovsky salì sulla tribuna drappeggiata di rosso.

Ora, prima di passare alla descrizione del Rakovsky che conosco, mi si voglia ben permettere qualche riflessione di ordine generale, e tra le altre, questa affermazione:
Gli spiriti mediocri o volgari amano, in ogni circostanza in cui il vostro slancio si esprime liberamente, attribuirvi bassezza, interesse meschino, uno scopo inconfessato.
Ebbene, mai questi spiriti mi hanno impedito né mi impediranno di tessere le lodi di un uomo, né di tuonare contro di lui, sia pubblicamente che in privato.
E' quello che mi è successo con Rakovsky: dopo aver espresso, ne L'Humanité del maggio 1922, la mia gioia di vederlo partecipare alla Conferenza di Genova, gli ho detto, in una rivista rumena, il mio dispiacere per una controversia su cui ritornerò anche qui.
E' così che concepisco l'amicizia. Voglio molto bene a Rakovsky e ce l'ho con lui per il suo essere troppo militante e non abbastanza l'amico che io preferisco. E' possibile che mi sbagli e che non abbia ragione, ma "è la mia opinione, e io la condivido", come dice Monsieur Prudhomme.
L'apparizione di Rakovsky sulla tribuna produsse in me e su tutti i giovani dell'assemblea un'impressione di forza virile che solo i militanti che provengono dalle classi superiori possono produrre sulla gioventù operaia. Avevamo vagamente sentito che Christian era un dottore, un piccolo proprietario terriero. Gli attribuimmo dieci dottorati e dieci volte la sua fortuna reale, dal momento che si mise a tuonare - con il vigore, con la plasticità di gesti che gli è nota, e una schiacciante ricchezza di documentazione - contro i mali della nostra epoca e il terrore dei poteri assolutisti.
Era tutt'altra cosa da ciò che ascoltavamo abitualmente nelle nostre riunioni settimanali. Il suo stesso forte accento bulgaro, che avrebbe dovuto nuocergli, non fece che impressionarci ancor più favorevolmente.
Le masse popolari sono sensibili, riconoscenti, verso tutto ciò che viene generosamente dall'alto; sono un po' fredde, a volte ingrate verso tutto ciò che si leva dal loro ambiente e vuole far loro la lezione.
C'è ancora un'altra cosa: i militanti che vengono dall'alto sono, generalmente, più istruiti, più documentati, di coloro che vengono dal popolo. E questo produce un effetto considerevole sullo spirito popolare. Amiamo Ghitza Cristescu per la sua foga, la sua violenza di linguaggio, e ci saremmo fatti calpestare per salvare Stefan Gheorghiu, l'oratore popolare più adorato dalle masse, ma né l'uno né l'altro poteva martellarci con una così grande abbondanza di fatti come quella che era familiare a Christian. Noi sapevamo che nel momento in cui la sua verve oratoria era più a corto di argomenti, si traeva d'impaccio traendo dalla tribuna nuove munizioni, che scopriva negli avvenimenti del giorno, che attingeva dalla Storia o che scovava nel bagaglio immorale dell'intimità reazionaria. Era il primo, il più pronto e spesso il solo a documentarsi tanto. E questa è la ragione del suo ascendente nel movimento rivoluzionario rumeno d'anteguerra.
In questo senso, uno dei suoi più belli faits d'armes fu il terribile opuscolo che compose per il Partito, all'indomani di questa resurrezione segnata dall'assemblea del 24 gennaio 1905. Rispondendo ai clamori dei partiti borghesi che festeggiavano nel 1906 "i quarant'anni di gloria e di prosperità" del regno del loro Carol I.
Rakovsky sollevò un urlo generale di collera provando, con un'impietosa virulenza sostenuta da cifre ufficiali, che si trattava invece di "quarant'anni di vergogna e di miseria", di cui il popolo rumeno era vittima dall'avvento del suo primo re, nel 1866, e grazie alla complicità interessata dei "Partiti storici!". Dall'estrema destra all'"ala sinistra del partito liberale" , non fu che un'unica sequela di ingiurie e di povere smentite. La jacquerie contadina che scoppiò improvvisamente e spontaneamente nel marzo 1907, e che costò undicimila vite alla popolazione rurale, aggiunse la sua sanguinosa eloquenza a quella delle cifre e delle constatazioni che conteneva l'opuscolo di Christian.
Ma non è mia intenzione, né è il luogo per fare qui la storia dell'attività del militante Rakovsky. Non ne ho la competenza. Le mie conoscenze della vita socialista rumena prima del grande massacro erano fuggevoli, impressioniste, ed è un'impressione fuggevole della figura dell'attuale ambasciatore dell'URSS a Parigi che sono chiamato ad abbozzare in queste pagine.
D'altronde, a che serve una fredda narrazione di fatti e di date? Christian stesso non è questo tipo di narratore, nonostante la sua capacità di documentazione. E' per questo che mi piace, pur facendogli mille rimproveri. Bulgaro indemoniato, mordace, beffardo, ha sempre messo a soqquadro il mio sentimentalismo e mi ha sempre trattato da vagabondo buono a niente, il che era un po' vero.
Ciò non mi impedisce che, per liquidare la nostra disputa, mi batterei volontieri con lui, come in Ta-ras Bulba, se lo permettesse.
Perché è alla luce di questa controversia che vorrei abbozzare il ritratto del mio Rakovsky, ponendo nello stesso tempo il problema del sentimentalismo nel nostro movimento rivoluzionario.
In questo movimento, sono sempre stato un dilettante appassionato, a volte impetuoso. Per me, tutta la vita si riassume nella parola sentimento. Così, non mi sono legato che ai militanti che facevano dell'amicizia la più viva delle religioni. Della dottrina, me ne infischio. E' una coperta elastica di cui ogni ladrone può coprirsi a forza di tirarla da tutti i lati; lo si vede bene oggi con i peggiori filibustieri del socialismo che si chiamano marxisti, i soli veri marxisti. E via con le citazioni di Marx!
La mia convinzione è che non si giungerà mai a forgiare un'umanità più giusta ostinandosi unicamente a dimostrare che quella di oggi è ingiusta. C'è spazio per le tesi più contraddittorie. Ma chi si rifiuterà di riconoscere l'immenso posto che c'è nel mondo per la diffusione di un po' più di bontà e di un po' più di solidarietà sociale?
Ecco con quale spirito sono arrivato al socialismo: diffondere la bontà, fare appello alla incontestabile bontà dell'uomo, e non al suo spirito di giustizia, estremamente scarso in tutte le classi. Credo fermamente che attraverso la bontà si può arrivare alla giustizia, mentre attraverso la sola giustizia, si arriverà solo a ben poca bontà. Lo illustrerò con un esempio. Nella società d'oggi (e sarà così anche in quella di domani), è giustizia quando si dà uguale salario a uguale capacità. E arrangiati ragazzo mio, che tu sia da solo o che tu sia schiacciato da una famiglia di dieci persone. Grazie per la giustizia! Qui, solo la solidarietà sociale, solo la bontà umana sono un rimedio, ciascuno mettendo del suo. E' questo quello che io chiamo sentimentalismo, tesoro psichico che trova la sua più bella incarnazione nell'amicizia.
Solo l'amicizia può rivoluzionare il mondo, la vita, perché dove questa esiste, l'accordo viene da sé. Si può discutere sul testo di una dottrina, non lo si può fare sulla precisione dei sentimenti. Questa amicizia che mette del suo, che allontana i malintesi, che perdona gli errori e spinge l'uomo verso la perfezione grazie al calore affettivo, io l'ho cercata e trovata nel movimento socialista, ma le sue pulsazioni erano ostacolate dalla rigidità della dottrina. Costantinescu, Gheorghiu, Cristescu, Manescu, mi colmarono del loro affetto e fecero del loro meglio per difendersi contro l'aridità delle regole e dei testi.
Invece, Rakovsky brandì il bastone del catechismo socialista e gridò dalla tribuna del congresso del 1912: "Il sentimentalismo è un pericolo per il movimento operaio!".
Diavolo di un uomo! Come volergliene?
Era almeno un cuore arido? Se fosse stato così non me ne sarebbe importato!
Christian è un sentimentale. E' buono. E' umano. Sta agli scherzi. Alla tribuna, come nel privato, il suo cuore sa infiammarsi; la sua voce vibra; i suoi occhi - che a volte sgrana per farvi paura - li ho visti inumidirsi di commozione. La sua risata è sonora, aperta; non viene dal cervello. La sua collera è bella, violenta; esce dal suo petto. Poi, Christian sa bere; fuma; sa amare. Infine, dopo essersi sbarazzato di questa barba cattiva e dei baffi, si può vedere a colpo d'occhio quanto la sua bocca sia fatta per mordere tutti i piaceri della vita.
E' un amico, diamine! Lo si sente nella sua stretta di mano. Lo si indovina in questo corpo tarchiato, un po' ripiegato su se stesso, che si agita nervosamente o che si immobilizza a volte per ascoltarvi meglio, per penetrarvi, ma la cui pazienza si esaurisce presto se lo "scocciate". Allora, con un balzo è in piedi e comincia a spazientirsi. Se non lo capite, ve lo fa capire alla svelta. Parlo per esperienza. Una delle più belle, l'ho fatta un giorno a Braila, durante una visita mattutina che gli avevo fatto nella sua camera d'albergo. Dopo avergli detto l'essenziale, avevo cominciato a lamentarmi, come mia abitudine, perché mi piace molto lamentarmi: "Va bene! Disse. Ora vattene!".
Diavolo di un uomo!
Era evidente che il mio modo d'essere non doveva piacergli particolarmente. La sua passione di militante gli dettava di scoprire delle energie e di metterle a disposizione del lavoro socialista, che io ho sempre evitato per passione, ma anche per il mio vagabondare. Ognuno ha il suo destino. Lui ha seguito il suo, io il mio. Dobbiamo compatirci?
Rakovsky ha realizzato la sua vita combattendo il sentimentalismo, quello degli altri e forse anche il suo. Io, l'ho realizzato obbedendovi docilmente.
Ma, a vent'anni di distanza, contemplando il cammino percorso, passando in rassegna tutti quelli che sono sprofondati nel tradimento e che sono diventati suoi mortali nemici, dopo essere stati i suoi migliori compagni, ho il diritto di fare lo spavaldo con il mio sentimentalismo e di sorridere, in barba a coloro che aveva scelto e su cui aveva riposto la sua fiducia. Quelli, allora, sì, hanno provato che non erano dei sentimentali! Erano meno pericolosi?
Buon socialismo d'anteguerra, come eri facile da praticare!

Ma ecco la guerra e il suo terribile acido solforico: il bolscevismo!
Ignoravo completamente che cosa volesse dire. In Svizzera, poi in Francia, isolato dal mio mondo, più che mai straccio d'uomo, spettatore angosciato di tante bassezze opportuniste, capisco alla fine che questo acido solforico voleva dire questo, ponendo questa domanda: "Chi, una volta per tutte e aldilà di tutte le parole, vuole aderire alla pace e al lavoro? Chi vuole sollevarsi contro il crimine e lo sfruttamento? Ma immediatamente!".
La domanda era netta e, solo, nella mia topaia, io alzavo il dito: " Io! Io sono per la pace e contro lo sfruttamento! Lo sono sempre stato!" E, subito, il mio pensiero corse alla ricerca di due uomini: Alex Costantinescu e Rakovsky. Dove sono? Qual è la loro risposta al grido disperato dei russi? Li sapevo sinceri, sentimentali, amici. Non potevano rispondere che con un senza riserve. Ho saputo che il primo era stato condannato a morte in contumacia; il secondo, Presidente dei Commissari del Popolo, in Ucraina. Il terzo amico, - colui che più tardi mi avrebbe dato i mezzi per scrivere - Georges Ionescu, mi mandò queste laconiche parole da Parigi: "Viva la rivoluzione russa e presto forse anche quella mondiale!".
Mi trovavo a Ginevra, 1919. Birukof teneva una conferenza parlando della nuova Russia. Il giorno dopo questa conferenza, scrivevo, in La Feuille di Jean Debrit, il mio primo articolo in francese: Tolstoismo o Bolscevismo?
Si saprà mai quanto l'adesione al bolscevismo di questi tre amici mi aiutò a vedere chiaro nel caos degli avvenimenti? Rakovsky, soprattutto, fu il mio filo di Arianna. Era al potere. Lo conoscevo buono, tenero, disinteressato, dedito fino al sacrificio. Non poteva partecipare a un'azione mostruosa, il bolscevismo non poteva essere un abominevole cataclisma, come affermava tutta la stampa borghese, compresa la Società Democratica. L'avvento del potere sovietico non poteva essere il regno di un nuovo sfruttamento e di una nuova Okrana, dal momento che Rakovsky gli prestava i suoi consigli.
E' con questa convinzione che nel gennaio 1921, dandomi a Nizza il colpo che credevo mortale, chiudevo dolcemente gli occhi stringendo nella mia tasca una lettera indirizzata a L'Humanité, in cui salutavo la Rivoluzione russa e gli uomini che l'avevano fatta. Questa lettera dorme oggi in qualche cassetto del commissariato di polizia del primo arrondissement della sfarzosa città.

No, compagno Rakovsky, non combatti più il sentimentalismo, né quello degli altri, né il tuo.
Gli uomini che sacrificano il loro benessere per la pace del mondo, gli uomini che rischiano volontariamente la loro vita difendendo la vita degli altri, gli uomini che affrontano la collera stupida di una parte della classe operaia stessa, per dare una sorte migliore ai pezzenti di questa classe, questi uomini non possono essere che dei sentimentali. Non lo era anche Lenin? Io non l'ho conosciuto, ma potrei provarlo per diversi dettagli che ho su di lui.
Purtroppo, sì, il sentimentalismo comporta un pericolo! E' quando si sacrifica la sorte dei pezzenti, a forza di intenerirsi su quella dei loro carnefici, ma bisogna essere pazzi per praticare questo sentimentalismo!
L'uomo che era stato espulso dalla maggior parte dei paesi d'Europa, fin dalla sua adolescenza, doveva esserlo anche dal proprio paese: dopo le rivolte contadine del 1907, la borghesia rumena chiuse a Christian le porte della Romania e alzò, contro di lui, il filo spinato. Inutilmente Rakovsky tentò a varie riprese, per cinque anni, di metter piede nella sua patria, di farvisi arrestare e, davanti alla cupa luce della giustizia borghese, di esibire i suoi titoli di cittadino rumeno. Lo si respinse sempre e prontamente, un esercito di spie era alle sue calcagna.
Uno di questi tentativi ebbe conseguenze particolarmente commoventi. Avvenne grazie al sentimentalismo! Io c'ero.
Il giorno 19 ottobre 1909, il giornale Adeverul gettò sulle strade di Bucarest un'edizione speciale con questo grido: "In aiuto a Rakovsky! L'hanno arrestato a Caineni! I suoi carcerieri potrebbero ucciderlo facilmente. Salvatelo, operai!".
Era giorno di lavoro. Le fabbriche si svuotarono. La nostra sala di riunioni, sulla Calea Victoriei n. 91, si riempì da scoppiare. Corridoi gremiti, cortile pieno, la strada ostruita. Notte. Forze di polizia, barricate. Io ero in basso, bloccato in una massa compatta di operai e di apprendisti, di fronte ai poliziotti. Quei diavoli di apprendisti avevano le tasche piene di pepe.
Improvvisamente una calca. La riunione era finita; ci si spinge nella strada. Gli agenti ci fronteggiano e picchiano con i manganelli. In quel momento, una nuvola di pepe li acceca; i cordoni vengono rotti; la folla deborda; gli scontri esplodono. Furono sanguinosi. 114 arresti, di cui 8 - tutti i capi - confermati. Ci si battè terribilmente tutta la notte. Il mattino, con i corpi contusi, passammo al servizio antropometrico, poi ci diressero alla prigione di Vacaresti.
Epilogo: tre condanne a un mese, ma la propaganda ottenuta da questo avvenimento ne valeva la pena.
Fu grazie al sentimentalismo, perché nessuno di noi conosceva la dottrina.
L'anno dopo, il Comitato esecutivo mi incaricò di portare a Rakovsky, in Bulgaria, alcune lettere confidenziali.
Lo trovai a Kalaiédjidéré, dai genitori, fattori. Una camera bassa. Muri coperti di scaffali di libri, scartoffie, confusione indescrivibile. Per arrivarci, si passava attraverso una stalla piena di vacche. Lavorava, per così dire, in mezzo al bestiame. Questo me lo fece amare ancora di più.
Molto occupato e scacciando ogni sentimentalismo, mi trattenne un solo giorno, scrisse le risposte e mi congedò velocemente, con risolutezza, e questo mi ferì. Mantenni un po' di rancore andandomene; e sulla strada del ritorno persi metà delle sue lettere!
In seguito, i nostri destini si sono raramente incontrati, e lui me ne ha sempre voluto per non essermi attenuto al dovere socialista.
Rakovsky ambasciatore, è l'aiduco travestito da prete. Il vestito è la sua tunica; la gentilezza, la sua astuzia; la pazienza la sua arma. Non ha più diritto di incollerirsi, a meno che non sia solo. La sua stretta di mano non è più che una messa in guardia, a meno che non abbracci Charles Rappoport, il mugico. Oggi, deve ricevere molto, e riceve ma non dà (salvo quando un amico batte cassa!).
Io l'ho visto nell'intimità, in compagnia ristretta e in mezzo a un gran galà. E', rispettivamente, come il gatto davanti al fuoco del camino: sul chi vive e pronto alla caccia.
Quest'uomo, ne sono certo, i borghesi non l'avranno mai.

Menton, febbraio 1927

Articolo apparso nel "Bulletin de l'Association des Amis de Panait I-strati", n. 17, gennaio 1975. La rivista "Ogonioc" (Mosca) per il quale era stato scritto non lo pubblicò. Rakovsky, ambasciatore dell'URSS a Parigi, caduto in disgrazia, viene richiamato a Mosca nell'ottobre 1927. Farà il viaggio di ritorno con Istrati.