"LA NOTTE ERA BUIA, SPORCA, UMIDA E FREDDA"
TROTSKY E I BALCANI


novembre 2000 di Roberto Saviano

 

Lev Trotsky nel 1912 non ha ancora aderito al gruppo bolscevico guidato da Vlad Lenin, anzi con quest'ultimo vi sono pesanti scontri, in questi anni il futuro fondatore dell'Armata Rossa tenta una vana strada di ecumenismo tra menscevichi e bolscevichi. In tal senso si era indetta una conferenza a Vienna a cui però il gruppo vicino a Lenin non partecipò. Trotsky assai deluso da tale comportamento e deplorando l'atteggiamento disgregatore di Lenin si trovava in una situazione di stallo politico. Il direttore del giornale Kievskaja Misl' gli offrì di andare nei Balcani come corrispondente, Trotsky accettò di buon grado così poteva fuoriuscire dall'ambiente dell'emigrazione politica russa e divenire finalmente partecipe degli eventi e non solo lontano osservatore. Infatti da Vienna aveva sempre studiato con attenzione la situazione dei Balcani ed aveva stabilito contatti con i socialisti di quelle regioni. Nel 1910 si era recato a Sofia, accolto per altro da Koralov (futuro presidente staliniano della Bulgaria) come leggendario eroe del soviet di Pietroburgo, per attaccare un congresso panslavo che aveva intenzione di auspicare la collaborazione politica e diplomatica dello zar russo. Trotsky mise in guardia gli slavi del sud mostrandogli i veri intenti della diplomazia russa la quale si sarebbe servita di loro come pedine per l'insediamento nella penisola balcanica e la conquista degli stretti, ed attaccò la politica panslava dei liberali russi pronti a trovare in politica estera un terreno comune con i zaristi per poi in politica interna sottomettersi senza ritegno. In seguito Trotsky era stato anche a Belgrado informandosi sugli eventi in modo preciso. Aveva scritto nel 1909 stigmatizzando la questione che i Balcani erano il vaso di Pandora d'Europa. Fino ad allora Trotsky aveva trattato i problemi della guerra in modo assai astratto, quando vide però il castello di Belgrado illuminato dai fari austriaci situati oltre frontiera, e osservò le file di richiamati alla leva fra cui molti suoi amici, giornalisti, professori, uomini politici, pronti ad ammazzare e ad essere ammazzati, come dice Isaac Deutscher, il senso della tragedia lo sopraffece. Infatti il rivoluzionario scriverà:
La concezione astratta, umanitaristica e moralistica della storia è sterile, lo so benissimo. Ma questa massa caotica di acquisizioni materiali, di abitudini, di costumi e di pregiudizi, che noi chiamiamo civiltà, ci ha tutti ipnotizzati dandoci la falsa impressione di aver già conquistato l'essenziale. Ora viene la guerra a dimostrarci che non siamo ancora usciti dal grembo del periodo barbaro della storia.
Le corrispondenze balcaniche pertanto trasuderanno questo senso di tragedia che pervade l'osservatore, il loro stile giornalistico è di alto valore e riecheggia fortemente quello della stampa liberalradicale russa. Trotsky fu in questa esperienza giornalistica assai infervorato sembrava quasi che il tribuno del proletariato dovesse cedere al suo spirito giornalistico. Infatti incontrò moltissimi capi politici serbi descrivendone i profili, descrisse con sagacia le atmosfere fintamente europee delle capitali balcaniche contrapposte ai suburbi di periferia nidi di miseria e degrado. Molte pagine dedicò alla tragedia miserrima della guerra ed alla sua primitiva violenza. Penna (soprannome che Trotsky riceve dai suoi compagni di partito per le doti scrittorie) simpatizzò in un primo momento con gli slavi organizzati contro i turchi poiché l'oppressione ottomana nei Balcani aveva radici ataviche al pari della servitù della gleba in Russia; tra l'altro la rivolta slava gli ricordava il movimento irredentista italiano del 1859. Ciò che il rivoluzionario temeva più d'ogni altra era che della crisi balcanica ne approfittassero le grandi potenze. Tale sospetto venne confermato quando i contadini bulgari per quanto influenzati dalla rivoluzione russa del 1905 auspicavano un alleanza con lo zar. Codesta cosa contrariò Trotsky e scoraggiarono molto il suo appoggio alla causa slava. La corruzione che vedeva in Bulgaria, l'estremo contrasto tra lusso sfrenato e miseria cupa, le inani atrocità inflitte ai soldati turchi ed ai civili, le orge di sciovinismo, la pesante censura, lo portarono ad appoggiare i deboli in quella situazione ovvero i turchi. La censura bulgara sequestrò gli articoli di Trotsky e ne impedì di poter frequentare il fronte. Il rivoluzionario rispose con feroci articoli a codesto atteggiamento inviando anche una Lettera al censore ovvero Todorov (che aveva in passato sostenuto Trotsky contro il panslavismo) ed una successiva Lettera aperta, indirizzata a Miljukov (capo del partito liberale russo e seguace del panslavismo filorusso) dove descriveva le atrocità dell'esercito bulgaro, e i suoi atteggiamenti tiranni e sciovinisti. Miljukov negò l'esattezza della testimonianza di Trotsky accusandolo di menzogna. Ovviamente riuscì il fondatore futuro dell'Armata Rossa a portare dalla sua parte le testimonianze da lui stesso raccolte unitamente a quelle dei corrispondenti del Daily Telegraph e della Frankfurter Zeitung. Il contrasto tra Trotsky ed il dirigente panslavo (e filozarista) occupò le pagine dei giornali russi (e soprattutto l'intellighenzia panslava) per molti mesi: tutto mutò quando dopo la vittoria del fronte slavo sull'impero ottomano i serbi ed i bulgari si spartirono il bottino. Le simpatie zariste, ma anche quelle liberali della Russia andavano alla Serbia e i bulgari furono improvvisamente trasformati da eroi quali venivano definiti, in visigoti assetati di sangue. A sostenere tale campagna tra l'altro fu proprio Miljukov, lo stesso che aveva attaccato gli articoli trotskyani. Intanto Trotsky tornato a Vienna (riandrà nei Balcani al sorgere della seconda guerra balcani-ca) fu coinvolto nelle intricate vicende all'interno del Partito socialdemocratico dal quale i menscevichi si erano scissi. Trotsky silenziosamente si di-staccò da loro e si allontanò dai cori inneggianti questa nuova disunione. Dopo questo periodo di allontanamento e di rivalutazione generale nascerà forse l'epoca esistenziale più florida per Lev Trotsky che così in breve il suo più grande biografo Deutscher riassume:
Avendo vissuto per tutta la vita nella convinzione che la storia stesse dalla parte degli oppressi sebbene la storia e tutte le certezze scientifiche fossero contro; lui in qualsiasi caso, sarebbe stato con Spartaco non con Pompeo e i Cesari.

I Balcani sotto il dominio turco

La Turchia, o meglio l'impero ottomano, nei primi anni del secolo ventesimo è una comunità con profonde contraddizioni e disastrose strutture governative, la burocrazia ottomana, come quella zarista, perseguiva di continuo appropriazioni indebite. Il governo centrale gestito dal sultano di Costantinopoli perpetrava ai danni delle popolazioni slave, armene e greche perenni persecuzioni e sopraffazioni. La popolazione turca, non riceveva un miglior trattamento: i contadini versavano nella fame e nella superstizione, ridotti in schiavitù da funzionari dello Stato e da latifondisti. Trotsky, ha dinanzi a se codesto impero, e nota che le potenze europee circondano lo stato turco, pronte a depredarlo una volta sconfitto dalla sua stessa disorganizzazione. Il sultano Abdulhamit aveva concesso la costituzione chiamando al governo dei liberali dopo che nel 1908 vi era stata un insurrezione organizzata da i Giovani Turchi riformatori. La denominazione di Giovani Turchi comparve alla fine del XIX secolo per designare tutti quegli elementi, quasi tutti ufficiali formatisi nelle accademie militari, che scontenti del regime di Abduhlamit, aspiravano alla sua deposizione. I Giovani Turchi erano sostenuti principalmente dalla borghesia indigena tentando di trasformare lo Stato turco in una potenza capitalistica, emancipandolo dalla condizione feudale.
D'altronde, l'impero moro già era stato smembrato dagli stati capitalisti: l'Asia minore era finita sotto il potere finanziario tedesco, la Tunisia e l'Egitto strappate dalle potenze coloniali, e l'Austria che gli aveva sottratto due province a maggioranza serba: la Bosnia e l'Erzegovina, che in trent'anni, da territori occupati sono mutati in zone annesse. Questo atteggiamento ovviamente Penna lo aveva inserito all'interno delle politiche di controllo sui Balcani che l'Austria e le potenze mitteleuropee hanno sempre esercitato; le quali occupano quando la loro possibilità di vittoria è incerta ed annettono quando il favore della potenza è dalla loro. I cadetti russi vedevano la possibilità di liberare i fratelli slavi di Bosnia e di Erzegovina dall'oppressione asburgica attraverso un azione dello Zar. Trotsky è fortemente impaurito da tale atteggiamento, infatti ribadisce che ogni socialdemocratico dovrebbe opporsi a codeste posizioni liberali che vedono nello Zar il possibile liberatore dei Balcani, non sarebbe null'altro, affermava con impeto, che sostituire ad una forma di oppressione un'altra identica e persino peggiore
Polacchi Ucraini Grandi Russi ed Ebrei, Armeni e Georgiani, Slavi e non Slavi, tutti noi sguazziamo fino alle ginocchia nel sangue versato ogni giorno per responsabilità della banda autocratica. I libe-rali esigono che questo governo, il più colpevole fra tutti, liberi i Serbi dalla morsa austriaca. A quale scopo? Per destinarli alla morsa ancor più immonda e sanguinaria dello zar!
Trotsky sottolinea che i Romanov non possono es-sere gli alleati per un riscatto sociale, così come l'Austria non è nemica, ma semmai il suo governo che il proletariato austriaco sta tentando di abbatte-re, indi indica di proseguire la lotta in tal senso, aiutando la lotta del proletariato austriaco contro il governo asburgico. Continua infatti affermando che il miglior modo per liberare i serbi di Bosnia e di Erzegovina è di far cadere la corona dalla testa di Nicola II.
Intanto in Turchia la rivolta dei Giovani Turchi procedeva, raggiunta la maggioranza in parlamento, apprestandosi ad una radicale trasformazione. Trotsky vede nella rivoluzione dei Giovani Turchi l'autodeterminazione della borghesia turca, rien-trando così in continuità con la tradizione che va dal 1789 al 1848.
La Turchia per tradizione è uno Stato militare. I Giovani Turchi infatti vengono tutti dalle file dell'esercito, poiché un industrializzazione misera e un inesistente cultura urbana hanno lasciato che l'intellighenzia o si impiegasse come funzionario dello Stato o che si rifugiasse nell'esercito. Proprio quest'ultimo interessa a Trotsky che lo ritiene (e lo vedremo con più chiarezza nel '17 in Russia) una pedina fondamentale per conquistare il potere e arginare la repressione. Il potere dei Giovani Turchi si basava sull'esercito che dal malcontento era spinto a ribellarsi rinnegando i giuramenti fatti al sultano. Uno degli errori del vecchio governo turco fu proprio quello di mantenere la propria eterogenea popolazione sotto il dominio repressivo dell'esercito reclutato tra i musulmani. Questa scelta tiranna ha portato, e questo Trotsky lo rivela con molta lucidità, all'immediato sgretolamento dell'impero, poiché ove le popolazioni dominate fossero state aiutate, da qualsiasi potenza con qualsiasi intento, per la liberazione; queste avrebbero accettato. Un territorio esteso e economicamente unificato è giusta premessa per lo sviluppo industriale, e ciò Trotsky lo legge dalla storia turca per spostare però il prisma interpretativo su i Balcani. Ed è qui uno dei passi principali dell'analisi trotskyana che quasi come novello profeta coglie le problematiche che tanto sangue faranno trasudare alla terra slava negli anni successivi: Trotsky si rende conto che la questione nazionale è di primo ordine sia all'interno dell'Impero turco che nei Balcani e che continuerà a danneggiare gli interessi di tutti se i popoli balcanici continueranno a scannarsi tra di loro seguendo le direttive dei loro sovrani e dei paesi occidentali che pretendono la loro divisione.
Non è solo l'eterogeneità nazionale a pendere come una maledizione sulla penisola balcanica, ma il fatto che le nazionalità sono frantumate, suddivise in molti Stati. Le frontiere doganali spezzano artificiosamente la penisola. Le macchinazioni delle potenze capitaliste s'intrecciano con gli intrighi sanguinosi delle dinastie balcaniche. Permanendo queste condizioni, i Balcani continueranno a essere un vaso di Pandora.
L'unità per Trotsky è fonte di progresso economico e futuro benessere, poiché la frammentazione fa si, con il suo gioco d'alleanze e contrasti che il benessere di alcuni, sia certa causa della disfatta e del malessere di altri, condannando la penisola Balcanica ad un campo perenne di forze contrarie. Il rivoluzionario russo così vede nella creazione di una confederazione la soluzione.
Un unico Stato di tutte le nazionalità balcaniche a base democratica e federale, sul modello Svizzero o della Repubblica nordamericana, potrebbe invece portare alla pace nei Balcani e creare le condizioni per un poderoso sviluppo delle forze produttive.
Queste parole sembrerebbero scritte l'altro ieri, a ridosso dell'ultima guerra balcanica quella in Kossovo. Ma per ora tralasciamo questo argomento.
I Giovani Turchi non optano per una soluzione di tipo unitario, anzi sono un governo di tipo nazionalistico e centralizzato, persino contrari all'autogoverno delle provincie. La questione nazionale non è isolata, vi è anche la questione sociale. I contadini ottomani sono in una situazione di servitù della gleba in un regime semifeudale, un quinto è privo della terra, schiacciati dal militarismo. I Giovani Turchi negano persino che vi sia una questione agraria da risolvere; i bey ovvero i latifondisti, sono i maggiori finanziatori dei Giovani Turchi ma Trotsky non vede solo in questo la cecità del nuovo gruppo. Esso crede di poter accontentare e migliorare la condizione dei contadini rinnovando le istituzioni e modificando l'amministrazione. Proprio in questo atteggiamento il rivoluzionario vede il prossimo sgretolarsi dell'Impero.
A questa situazione va aggiunta la questione operaia, il sultano terrorizzato dal proletariato, ha permesso che l'industrializzazione in Turchia fosse ridotta ai minimi termini. Il proletariato però nei giorni della rivolta ha svolto un ruolo essenziale nel blocco della produzione così come nel boicottaggio delle merci austriache. Il regime turco ha reagito a tale nascita della classe operaia, condannando ai lavori forzati gli operai che scioperano. Trotsky nota nei suoi articoli che la forza del proletariato non si determina dal numero, ma dalla capacità che ha di tenere nelle proprie mani la forza principale del paese, quella produttiva. I Giovani Turchi anche qui mostrano la loro cecità non avendo nei loro programmi alcun riferimento al proletariato. Trotsky auspica la vittoria della rivoluzione turca (sebbene i Giovani Turchi siano pregni di contraddizioni) poiché codesta porterebbe ad una Turchia democratica che potrebbe essere persino inserita in una confederazione balcanica, teorizza il russo Trotsky, mentre valuta che se dovesse esserci la restaurazione della vecchia nobiltà, la Turchia morirebbe storicamente, dando inizio alla spartizione dei suo brandelli al covo di vipere che sono le nazioni capitalistiche europee.

Il covo di vipere: l'Europa ed i Balcani

L'equilibrio balcanico si basava sono al 1908 sul trattato di Berlino del 1878. Dopo la disfatta di Crimea, la volontà di rivincita della Russia nel 1877 la portò a dichiarare guerra alla Turchia firmando un trattato di pace a Santo Stefano che sanciva la capitolazione dell'Impero turco. Codesta situazione portò ad un disequilibrio nei Balcani che terrorizzò gli Stati europei i quali costrinsero la Russia a partecipare ad un trattato di pace, quello appunto di Berlino, che riequilibrò, negli interessi europei l'assetto slavo-ottomano. La Bulgaria prima conquistata dallo zar e fortemente allargata si ridimensionò e ritornò regione, anche se autonoma, dell'impero ottomano, la Serbia (in totale dipendenza economica dall'Austria) il Montenegro e la Romania divennero Stati indipendenti, la Russia ottenne la Bessarabia e città in Asia minore. Un trattato che non soddisfece nessuno Stato ma che tentò entro gangli diplomatici e dinastici, di non permettere ad alcuno di espandersi oltre un certo limite delegando ad ogni nazione di tutelare questo comune limite.
Il 5 ottobre del 1908 sull'onda della rivoluzione turca, la Bulgaria si dichiarò indipendente e l'Austria dichiarò la Bosnia-Erzegovina suo territorio annesso. Entrambe le azioni avevano violato il trattato di Berlino del 1878. L'Austria in trent'anni di presenza in Bosnia-Erzegovina aveva minato ogni produttività agraria non mutando il sistema prevalentemente feudale; la repressione e le menzogne sulla concessione di un autogoverno rendevano gli Asburgo assai poco credibili come liberatori dal giogo dell'oppressione. Trotsky così definisce il dominio austriaco nei Balcani:
La politica austriaca nei Balcani è una combinazione congenita di rapacità capitalistica, ottusità burocratica e intrighi dinastici. Il gendarme, il finanziere, il missionario cattolico e l'agente provocatore si dividono il lavoro tra di loro. L'insieme si chiama adempimento di una missione culturale.
Questi due episodi eversivi circa il trattato, non stravolgevano affatto l'assetto balcanico ma risultavano gravi essendo letti come tradimento di un trattato europeo voluto e firmato da quasi tutte le nazioni capitalistiche. Trotsky vi legge un incapacità delle potenze europee ad arrivare ad un concerto tra Nazioni che permetta un equilibrio armonioso volto alla pace. Non è con lo strumento dell'arbitrato fra Stati capitalistici, che si risolvono le contraddizioni ed i contrasti, sostiene il rivoluzionario. Gli interessi valicano ogni trattato, conferenza, congresso!
L'indipendenza bulgara e l'annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina non indeboliscono la Turchia anzi la rafforzano, le potenze europee pensavano di veder disfatto totalmente l'Impero turco che al contrario ha resistito. La Germania con molta poca simpatia osserva la rivoluzione dei Giovani Turchi poiché con il vecchio regime i suoi capitali finanziari avevano libero movimento in terra mora.
Gli Hohenzoller dopo la rivoluzione hanno perso in Turchia ogni influenza, e con massima cura tentano di riacquistarla. Trotsky teme che Austria e Bulgaria intentino una vera e propria guerra per sottrarre altri territori alla Turchia e al medesimo tempo, sa che se i Giovani Turchi richiamassero alla guerra troverebbero l'intera popolazione dalla loro parte ma non avrebbero la minima possibilità di vincere avendo ricevuto dal sultano un esercito disarmato e del tutto inadeguato ad una guerra moderna. Potrebbe la Turchia tentare la guerra alla Bulgaria, ma oltre ai problemi militari, ciò che potrebbe conquistare ovvero la Rumelia orientale, non andrebbe a migliorare le condizioni e la forza dell'impero. La Turchia d'altro canto, appare propizia ad una pace con Austria e Bulgaria a patto che questi Stati prendano su di loro l'onere del debito estero. Codesta soluzione è considerata la migliore dal rivoluzionario russo.
Trotsky crede che la Turchia mutandosi in società democratica possa divenire una forza centrifuga per la creazione di una federazione di regioni balcaniche. L'atteggiamento di fiducia di nei confronti della nuova Turchia verrà presto deluso. Trotsky teme soprattutto l'ingerenza russa nei fatti balcanici. La politica estera russa si barcamena tra un alleanza con la Francia ed un amicizia con la Germania, trattative segrete con la Turchia ed incontri ufficiali con l'Inghilterra. Trotsky vede una vera e propria politica parassitaria inserita nella diatriba tra Germania ed Inghilterra. La Francia unitamente all'Inghilterra utilizza la Russia contro l'Austria e la Germania; un modo per ostacolare il dominio mitteleuropeo dei Balcani, ma non certo una felice posizione politica, siccome non è nei desideri francesi ed inglesi il vedere lo zar imperare su i Balcani. Intanto in Russia il coro dei cadetti è tutto in funzione antiaustriaca e panslavista. Aveva fatto ben sperare, in favore dei loro progetti, l'avvicinamento tra Bulgaria e Serbia, ma poche settimane dopo, il panslavismo veniva già amaramente colpito dall'alleanza che la Bulgaria attuava con l'Austria, il nemico di sempre delle regioni balcaniche. L'Austria si era annessa delle provincie serbe con l'assenso di tutti gli slavi dell'Impero Austroungarico (Polacchi, Ruteni, Cechi) ma anche dei bulgari. Tutto questo proprio due giorni dopo il congresso panslavo avutosi a Praga nel 1908. Trotsky così sintetizza:
Così a soli due giorni dalla conclusione del congresso panslavo di Praga, la storia ha dimostrato, e per l'ennesima volta che la fratellanza slava è un ipocrita finzione e che i dizionari etnografici non contemplano né gli interessi dinastico-nazionalistici né quelli imperialistico-borghesi.
La Bulgaria si avvicinò all'Austria poiché aveva letto nei piani della politica estera russa la volontà di invasione del suo territorio, cosa che aveva compiuto e siglato nel trattato di Santo Stefano. Codesta posizione filorussa portò la Serbia ad avvicinarsi alla Russia in contrapposizione al periodo che va dal 1878 al 1886 quando era nella sfera d'influenza asburgica e la Bulgaria, non ancora diretta dai Coburgo, invece agiva nell'intento di espandersi con l'assenso russo.

Contro la guerra

Trotsky comprende che ormai una guerra all'interno della penisola Balcanica sotto la pressione delle maggiori potenze (Germania, Austria, Francia, Inghilterra) sta divenendo non più una paura paventata da studiosi o politologi ma una reale volontà dei governi e delle popolazioni. Il rivoluzionario russo più di ogni cosa teme che i paesi slavi, come ho avuto già occasione di sottolineare, si avvicinino alla Russia desiderosa solo di sfruttare la situazione e poter spartire il bottino balcanico nato dall'esplosione turca, soprattutto interessata ai due stretti: il Bosforo e i Dardanelli.
Trotsky vedremo, cercherà in ogni momento unitamente ai partiti socialdemocratici ed operai di mostrare il vero volto delle scelte politiche che le grandi potenze propongono come soluzione per il benessere balcanico. Gli Stati balcanici aggravati nei debiti dalle borse europee, hanno spogliato contadini, lavoratori, artigiani, indipendentemente dalla loro origine etnica; le merci europee distruggono i mercati interni sostituendo al capitale slavo il loro, con installazione di industrie e ferrovie. Ciò ha distrutto la piccola-borghesia generando un'alta borghesia completamente asservita agli interessi stranieri. Trotsky e i partiti socialdemocratici ancora una volta vedono nell'unità la possibilità di combattere la miseria e l'oppressione; tale possibilità l'affidano ai partiti socialdemocratici bulgari e serbi che appaiono maggiormente radicati sul territorio.
Liberarsi dai particolarismi e dalle meschinità, abolire le frontiere che dividono popoli di lingua e cultura affini e che hanno raggiunto un certo livello di interdipendenza economica; fare piazza pulita delle forme sia dirette che indirette di dominazione economica straniera le quali tolgono ai popoli la libertà di decidere del proprio destino.
La valutazione prima del rivoluzionario si basa proprio sull'analisi storica che gli permette di vedere nell'Austria e nella Russia l'esigenza di porre gli stati balcanici in guerra perenne tra loro per renderli assai vulnerabili; dimostrazione di questo sono proprio i confini degli stati che non sono stati creati dalla conformazione geografica o dalla necessità delle nazioni, ma sono risultati da guerre ed intrighi diplomatici. Trotskij definisce i pezzetti balcanici come grimaldelli per intrighi diplomatici europei. Per far si che le nazioni balcaniche fossero in perenne tensione tra loro vi è l'incentivo al militarismo sfrenato e irrazionale cosi' da mantenere in contrasto Grecia e Turchia, Turchia e Bulgaria, Romania e Grecia, Bulgaria e Serbia. Codesti conflitti danneggiano funestamente il progresso balcanico. Trotsky oppone a questa politica di tensione la possibilità di unione in una sola entità politica-economica ove poter aumentare il livello produttivo ed emancipare le borghesie nazionali attraverso un mercato unico e comune, respingendo invece le insidie zariste e dell'imperialismo europeo che tendono a rendere l'aria balcanica una zona di appendice per spremere i loro profitti. Per il rivoluzionario vi sono due modi in cui un unione balcanica può accadere. Dall'alto: compiuta dall'espansione di un unico potente stato slavo, il più forte che aggioga gli altri, ma dice Trotsky : questa è la strada che porta alla guerra di sterminio e all'oppressione delle nazioni più deboli, e che consolida le monarchie e il militarismo; o dal basso attraverso una fusione di tutti i popoli balcanici, è questa la strada che porta alla rivoluzione, all'espulsione delle dinastie balcaniche e ad alzare la bandiera della repubblica federale balcanica.
Le parole di Lev Trotsky sono profetiche, il loro eco arriva immutato ai timpani di un osservatore degli anni 2000. I Balcani esplosi in conflitti sanguinosi alla fine del 20simo secolo, saranno unificati dall'alto, con la potenza schiacciante e militarista prima dalle armate nazionalsocialiste nel 1941 e poi dall'Unione Sovietica nel secondo dopoguerra, facendo rientrare la penisola negli interessi dell'est (quelli che al tempo di Trotsky era l'area di influenza zarista) per poi una volta esplosi gli sciovinismi che hanno visto Serbi massacrare Croati, Croati massacrare i Serbi di Bosnia, ricadere nelle reti dell'Occidente ma questa volta con una forza novella, gli Stati Uniti d'America. Questo però è discorso assai complesso, meriterebbe un altro lavoro assai più corposo di un articolo, l'ho voluto accennare per rendere con maggior evidenza l'analisi profetica del rivoluzionario russo.
Tornando alla nostra questione, bisogna aggiungere alla critica analisi già attuata, che le dinastie balcaniche, cinghie di trasmissione degli interessi esterni ai Balcani, sono state insediate dalle diplomazie europee. La prima operazione per Trotsky dovrebbe essere quella di cacciare i Karagjieorgovic di Serbia e i Coburgo di Bulgaria assieme alle altre dinastie lillipuziane dei Balcani. Le dinastie impediscono che le borghesie nazionali abbino un qualsiasi sviluppo, versando come tutte le borghesie nate in stati che hanno intrapreso in ritardo lo sviluppo capitalistico, nella sterilità, nell'inettitudine e nello sciovinismo.
I nobili infatti per trarre a loro popolarità, utilizzano progettualità politiche di conquista. Nascono così i concetti di Grande Bulgaria, Grande Serbia, Grande Grecia, simboli di sciovinismo e volontà di conquista, ma più spesso semplici specchi per allodole atti ad una spicciola propaganda.

La guerra

Durante il periodo tra il 1894 e il 1912 la Bulgaria finisce sotto l'influenza Russa spingendo indi la Serbia nelle braccia austriache. Nella penisola nasceva un'altra ostica questione, la Macedonia, ovviamente dominata dall'impero turco. Verso la Macedonia vi erano interessi greci, serbi e bulgari. La Romania nata nel 1877/78 dall'unione dei principati di Moldavia e di Valacchia non aveva interesse al territorio macedone né aveva rapporti tesi con la Turchia. Ogni paese balcanico (eccetto la Romania) aveva interesse ad attaccare la Turchia nemico di sempre assieme all'Austria ed assai più debole di questa, così decisero di riunirsi in quella che verrà chiamata Lega balcanica. Ad organizzarla è Gesov, ministro bulgaro, che in breve riuscì ad accordarsi con la Grecia, Montenegro e la Serbia. Ovviamente la questione macedone fu posta come movente per dichiarare guerra alla Turchia.
I paesi occidentali in un primo momento affermano di garantire alla Turchia l'integrità territoriale spingendo solo per delle riforme democratiche, successivamente, precisamente il 13 ottobre del 1912, la Bulgaria a nome della Lega balcanica chiede alla Turchia di organizzare assieme ad essa ed alle potenze occidentali un piano di riforme, basato sulle differenze etniche, la cui gestione deve essere presa da un consiglio superiore formato da cristiani, musulmani, rappresentanti dei paesi europei e naturalmente anche da rappresentanti della Lega balcanica. La guerra era praticamente iniziata. I partiti borghesi in ogni stato occidentale hanno votato i crediti per la guerra balcanica per centinaia e centinaia di milioni, rafforzano anche i loro eserciti e le loro flotte, e si spartiscono in alleanze la sorte dei Balcani. La triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria, Italia) appoggia la Turchia e la non belligeranza romena, la Triplice Intesa ( Gran Bretagna, Francia, Russia) appoggia la Lega Balcanica. Alla fine del novembre 1912 le truppe bulgare occupavano Kirklareli (Lorenzgrad) e Luleburgaz, mentre le truppe serbe e greche occupavano quasi tutta la Macedonia. Il 5 dicembre 1912 fu dichiarato l'armistizio. Iniziò così il penoso percorso verso le condizioni di richiesta di pace. Gli alleati pretesero la cessione di Adrianopoli, Scutari, Gianina. I turchi appoggiati dall'Austria respinsero la richiesta poiché tali territori avrebbero chiuso gli accessi austriaci all'Adriatico.
Intanto in sei mesi di guerra migliaia di turchi, bulgari, montenegrini contadini, operai pastori sono morti per la conquista di Scutari e Adrianopoli. Trotsky nel descrivere le atrocità delle guerre balcaniche dirà:
I nostri discendenti che vivranno in condizioni senz'altro migliori delle nostre, reagiranno con orrore nell'apprendere dai libri di storia quali metodi sono usati dai paesi capitalistici per risolvere le loro dispute. La parte più progredita del mondo, l'Europa è stata trasformata in un campo di battaglia. I governi si sono preoccupati esclusivamente de equipaggiare il maggior numero possibile d'uomini con i più crudeli strumenti di stermino.
Questi sono i risultati delle politiche dei governi capitalistici: un'esaltazione sciovinista un militarismo sfrenato, un rallentamento del progresso economico. Trotsky alla fine del 1912 in un giornale menscevico pietroburghese pubblicato legalmente, il Luc (il raggio) dirà:
Il coronamento dei loro sforzi (quelli dei paesi occidentali n.d.r.) è il pericolo permanente, nel prossimo futuro, di un sanguinoso scontro generale fra i popoli.
Ancora la forza profetica qui si dipana, tanto da poter dire che se la Spagna del '36 vide le prove generali del secondo conflitto mondiale, le guerre balcaniche ne furono l'equivalente per quanto riguarda il primo conflitto mondiale.
Trotsky durante la guerra balcanica fa appello al proletariato rivoluzionario organizzato nei partiti socialdemocratici per arginare le devastazioni della guerra. Chiede di lottare per l'abbassamento delle spese militari, mostrando che la causa della pace e della fratellanza è per il proletariato vitale. Non nel rombo dei cannoni e nell'ululato patriottico sottolinea il rivoluzionario si raggiungono gli sforzi umani per uscire dalla barbarie e dal buio dell'inciviltà, ma con l'opera chiarificatrice del proletariato internazionale. Trotsky sostiene la sua lotta con molta veemenza soprattutto in Russia, dove abbiamo visto, il coro panslavo era una metafora dello zarismo; la sua battaglia si articola soprattutto nell'attaccare la stupida guerra nazionalista che vede i liberali agitare a tutto spiano la loro germanofobia e austrofobia, sentendosi figli della libertà europea e non dell'oscurantismo asburgicoprussiano. La menzogna è lampante, poiché lo zarismo è assai più cupo regime rispetto a quelli che vorrebbero combattere, e ancor più Trotsky vede come punto di forza l'alleanza di tutti i proletariati così da generare non una guerra tra nazioni, ma l'agognata guerra di classe finalizzata alla liberazione di tutti i popoli e non soltanto di alcuni a danno di altri.
Il 30 maggio 1913 fu firmato un accordo di pace tra la Turchia e le nazioni della Lega Balcanica. La Bulgaria ricevette Adrianopoli, la Serbia in cambio di un porto sull'Adriatico ricevette un porto a sud, in Macedonia, così da non rendere quest'ultima esclusivo territorio bulgaro. La Romania ebbe come premio per la neutralità la città bulgara di Silistra. La Grecia spinse per avere territori nel sud-est macedone, zone abitate prevalentemente da greci. Questa soluzione d'assetto non portò ad alcun equilibrio, rivalità e tensioni continuavano a nascere, così che il 30 giugno del 1913 con l'attacco delle truppe bulgare in territorio serbo, scoppia la seconda guerra balcanica. Durò solo un mese codesta guerra, benché la brevità del conflitto non avesse riscontri nell'efferatezza degli eserciti. Contro la Bulgaria, potenza vincitrice della prima guerra balcanica, si schierarono serbi montenegrini e greci, oltre alla Romania che uscì dalla neutralità. I turchi approfittando del contrasto, ripresero Adrianopoli. Il re serbo motivò l'entrata in guerra contro la Bulgaria un tempo alleata così:
La Bulgaria bagnata da due mari non permette alla Serbia di collegarsi con nessuno dei due. I Bulgari alleati di ierici contestano le terre in Macedonia che noi abbiamo conquistato da soli con grandi perdite.
Una giustificazione inane, visto che l'esercito serbo come quello bulgaro agiva in un alleanza dove mezzi ed obbiettivi si presupponevano comuni. La guerra terminò alla fine del Luglio 1913. La Macedonia fu divisa in parti uguali tra la Serbia e la Grecia; la Romania ricevette la Nuova Dobrugia una provincia bulgara. Ciò fece si che in Bulgaria vi fossero immensi contrasti con le altre nazioni balcaniche, colpevoli della depredazione delle loro terre. La Bulgaria tra l'atro perse a favore della Turchia anche i territori conquistati con l'intervento nella prima guerra balcanica.
L'epilogo tragico delle guerre balcaniche sembra quasi, ad un lettore del nostro tempo, una melodia nota, stabilita, come un valzer, una polka, una mazurka. Pentagrammi conosciuti a memoria. Trotsky in questi dimenticati articoli vide oltre il suo tempo e comprese oltre il possibile. Non voglio assolutamente donargli doti alchemiche o paranormali, affermo che il metodo che utilizza e l'analisi a cui giunge avrebbero dovuto sbarrare gli occhi ancor prima che ai soggetti in guerra, ai partiti socialdemocratici ed alle forze proletarie a cui lui si rivolgeva, che ahimè non solo non compresero la gravità della situazione ma negli anni successivi, quelli che videro l'Europa attraversata dal fuoco del conflitto mondiale, non riuscirono ad ostacolare le barbarie anzi in molti casi le avallarono e sostennero. Dopo le guerre del 1912/13 i Balcani continuarono a trovarsi al centro della storia d'Europa, quello che accadrà nel Luglio del 1914 è a tutti noto. L'orma che Gravilio Princip lasciò sul cemento vivo del ponte di Sarajevo è stata distrutta dalle bombe serbe durante le guerre etniche degli anni '90 del XX secolo, ma pare che il destino dei Balcani sarà costretto a centinaia di orme impresse nel cemento delle strade.
Orme che non verranno conservate a monito di passata barbarie, ma verranno distrutte e rinnovate nel fosco tempo in cui la storia si ripropone tra amnesia e violenza.