DIMENTICATI DA TUTTI
UNA TESTIMONIANZA SUI DISERTORI DELL'ESERCITO JUGOSLAVO A BUDAPEST


novembre 2000, di Sara Lindgren, da Monitor [Podgorica], 27 ottobre 2000, traduzione di A. Ferrario

 

Non richiamano più l'attenzione dei media, così come i profughi dalla guerra in Kosovo. I mezzi di comunicazione europei, anche dopo che è passato tanto tempo dalla fine della guerra della NATO contro la Jugoslavia, continuano a informare solo sporadicamente sulla situazione dei giovani che allora erano sfuggiti alla mobilitazione nell'Esercito jugoslavo scappando. Anche dopo il 5 ottobre e la caduta del regime di Milosevic, il loro destino continua a essere incerto e sembra che si tratti proprio di "eroi dimenticati", come li ha definiti l'organizzazione Amnesty International. "L'inferno dura da più di un anno ed è tutto quello che posso dire" - così parla uno dei profughi, che ancora oggi, avendo una famiglia in Serbia, non vuole rivelare il proprio nome. Alcuni di loro sono stati addirittura oggetto di minacce di morte da parte di lontani parenti esposti a pressioni perché macchiati dal vincolo di parentela con tali "pecore nere". Oggi questi sfortunati profughi - che la coscienza ha portato alla diserzione - non vengono accettati né dalla loro patria, né dalla NATO, né dall'Unione Europea... Tutti fanno finta di non vedere quando si tratta di fornire aiuto o asilo a tali disertori, ai loro coniugi o ai loro figli. La "colonia" dei disertori dell'Esercito jugoslavo che si trova in Ungheria ha un numero che varia tra le 400 e le 1.500 persone; alcuni se ne vanno cercando di trovare rifugio in altri paesi europei, ma, regolarmente, tornano al "campo" nei sobborghi di Budapest. Fino a oggi solo uno (!) di loro ha ottenuto asilo. La loro situazione è stata sfruttata durante la campagna elettorale dell'équipe di Milosevic come esempio tipico di "tradimento della patria": "Guardateli, queste marionette traditrici che si sono lasciate sedurre e abbindolare dall'Occidente". Là dove la comunità degli stati occidentali brilla per l'"attivo far nulla", si muovono alcune altre iniziative. L'autunno scorso a Budapest un gruppo di quaranta disertori si è incontrato alla "Safe House" fondata dall'attivista di lunga data Bojan Aleksov. Con questo progetto è stato compiuto il primo passo e sono state create le condizioni affinché il problema giungesse a conoscenza di organizzazioni come Amnesty International. Poiché tuttavia è diventato evidente che la questione dell'asilo per i disertori e le loro famiglie non sarebbe stata risolta così presto, si è fatta sempre più pressante la necessità di uno strumento in grado di agire politicamente. E' per questo che i presenti alla "Safe House" hanno fondato l'associazione SEOBE 99 (Migrazioni 99). Poco prima della legalizzazione dell'associazione, nel luglio di quest'anno, Bojan Aleksov - la figura centrale dello svariegato gruppo dei disertori - si è recato con la propria famiglia a Belgrado. Mentre viaggiava nella città di notte, è stato fermato da poliziotti della sicurezza di stato in una piccola via, lo hanno tirato fuori dall'auto e lo hanno chiuso per quasi un intero giorno in una stazione di polizia del centro. Bojan Aleksov è "...stato colpito svariate volte, gli sono state fatte minacce ed è stato sottoposto a varie umiliazioni. E' stato maltrattato per cinque ore. E' stato costretto a stare in piedi sulle punta delle dita dei piedi, mentre lo picchiavano con un manganello. Nel corso di tali cinque ore, nonostante la temperatura di 30°C, non gli è stato consentito di bere acqua. Inoltre la notte non gli è stato permesso di dormire e la mattina seguente, intorno alle 11, tre poliziotti lo hanno colpito con manganelli sulle piante dei piedi, sui palmi delle mani e in altre parti del corpo", è scritto in un rapporto di Amnesty International. Dopo il rilascio, che è stato condizionato alla firma di una dichiarazione di impegno a collaborare con la SDB [i servizi segreti serbi - N.d.T.], Aleksov è riuscito a scappare a Sarajevo. Grazie all'intervento di alcuni parlamentari tedeschi è riuscito a ottenere il visto e si trova da un certo tempo a Berlino. Questi eventi hanno fatto sì che la registrazione di SEOBE 99 venisse resa più difficile, anche se non impossibile. L'associazione comunque è ormai riconosciuta da parte delle organizzazioni non governative ungheresi e internazionali. Il Centro ungherese per la difesa dei diritti umani (MEJOK) e il Forum Civico Europeo forniscono assistenza legale e aiuti a SEOBA e verso la metà di settembre ai membri di tale associazione è stato consentito di avviare una propria trasmissione regolare presso una radio non governativa. Il fatto che le autorità di Budapest invece di dare l'asilo richiesto concedano solo un permesso di soggiorno della durata di un anno è uno dei tanti sintomi di un comportamento indeciso, dovuto alla mancanza di istruzioni da parte dell'UE e della NATO su come affrontare il problema. L'Ungheria, come paese candidato a entrare nell'UE e come nuovo membro della NATO non desidera, come è scontato, mettersi in mostra là dove i paesi leader evitano accuratamente ogni iniziativa. La comunità internazionale sta ostentamente facendo esercizi attivi di "volgere lo sguardo altrove", mentre Amnesty International chiede che essa dia prova di "responsabilità a livello statale". In particolare, Amnesty ha chiesto a svariati soggetti europei di collaborare con le "autorità ungheresi e quelle competenti di altri stati", affinché "a coloro che sono fuggiti dalla Repubblica Federale Jugoslava per motivi di coscienza o religiosi, allo scopo di sfuggire alla partecipazione ad azioni militari nel corso della guerra in Kosovo, venga assicurata una protezione attiva e durevole - in conformità al principio comunemente accettato del "divieto di rimpatrio" ("non-refoulment", che significa, secondo la Convenzione sui diritti umani, il divieto esplicito di consegnare una persona a un paese che la minaccia di tortura o di trattamento umiliante). Dopo un anno e mezzo in cui non vi è stato alcun cambiamento significativo, SEOBE 99 e le organizzazioni che la appoggiano si concentrano ora sugli sforzi per creare da sole delle prospettive nel paese; attualmente, questa sembra essere l'unica via percorribile. Quando la Germania ha introdotto alcuni mesi fa un "asilo limitato" per i disertori jugoslavi della guerra in Kosovo, sono nate alcune speranze, ma si sono rivelate un'ennesima presa in giro. L'iniziativa di un ampio numero di città tedesche (Munster, Rostock, tra le altre) di concedere ai disertori lo status di ospiti si è infranta contro un muro burocratico. I fatti dicono che di tutti i disertori che si trovano in Ungheria solo due sono riusciti a trovare in tal modo rifugio in Germania - tutte le altre richieste sono state rifiutate. Tra le motivazioni per il rifiuto dell'ospitalità è stato citato il fatto che i serbi non hanno potuto dimostrare in maniera convincente di essere effettivamente dei disertori! Come se fosse necessario andare a Belgrado per ottenere i relativi documenti di conferma. I membri di SEOBE 99 ormai non reagiscono più da lungo tempo euforicamente ai giornalisti e alle iniziative provenienti dall'Europa occidentale; la speranza di avere uno status sicuro comunque non li ha ancora abbandonati. Ora, dopo la caduta del regime di Milosevic, finalmente si profila la possibilità che la patria li richiami, sempre che qualcuno, oltre alle loro famiglie, si ricordi ancora di loro.