INTRODUZIONE AL DOSSIER SERBIA DI BALKAN n.3


settembre 2000, redazione di Balkan

 

Gli avvenimenti del 5 ottobre scorso e i capo-volgimenti che vi hanno fatto seguito hanno marcato uno spartiacque per la storia della Serbia moderna e avranno (stanno già avendo) ripercussioni in tutti i Balcani. Cerchiamo di delineare in questo numero un primo bilancio, forzatamente provvisorio e incompleto, ma ricco di spunti critici, dei recenti eventi in Serbia e delle prospettive che essi aprono. In due approfonditi articoli si possono leggere la cronaca di tale giornata e le valutazioni sulle prospettive che essa ha aperto, scritte da due tra i più coerenti esponenti della sinistra anticapi-talista e antiburocratica serba, Radoslav Pa-vlovic e Dragomir Olujic, entrambi sindacali-sti. I due autori, pur condividendo posizioni analoghe, giungono a valutazioni differenti su svariati punti, soprattutto riguardo al prossimo futuro della Serbia - un indice della contradditorietà, ma anche della ricchezza, degli avvenimenti recenti e in corso. Insieme ai loro articoli pubblichiamo un breve pezzo di un'autrice che in questi anni è stata tra le più acute osservatrici dei Balcani, Catherine Samary, con un suo primo bilancio sul 5 ottobre. Completa la rassegna sugli avvenimenti di settembre/ottobre un articolo di Michael Ka-radjis, altro attento osservatore dei Balcani per la rivista della sinistra radicale australia-na "Green Left Review", nel quale si affronta-no più nei dettagli, tra le altre cose, le ricadute del 5 ottobre a livello balcanico e internazionale in genere. Seguono altri tre pezzi complementari a quelli più direttamente legati agli eventi del 5 ottobre, a cominciare da un commento molto sarcastico e amaro sulla Serbia di Kostunica scritto da Petar Lukovic, giornalista serbo da anni corrispondente da Belgrado del settimanale croato "Feral Tribune". Segue poi un articolo del settimanale montenegrino "Monitor" che ci ricorda invece il caso dei disertori serbi della guerra per il Kosovo, oggi profughi in Ungheria, dimenticati da tutti e il cui caso rappresenta purtroppo un sinistro ammonimento a chi in futuro deciderà di opporsi con la propria coscienza alla guerra. Chiudiamo questo dossier, infine, con una lettera inviata a un compagno della sinistra italiana in relazione a una polemica sul "caso Zastava", che dà lo spunto per alcune riflessioni politiche su quanto avvenuto in Serbia e sul relativo atteggiamento della sinistra sindacale italiana. Nonostante l'ampiezza dei materiali proposti, gli argomenti da affrontare sa-rebbero ancora molti, e ci riserviamo di farlo sul lungo tempo nel corso dei prossimi numeri della rivista. In queste settimane, per cominciare, sono venuti alla luce particolari sulla collaborazione, già intuibile nel corso degli avvenimenti di Belgrado, tra membri della DOS e settori della polizia e dell'esercito serbo del precedente regime, una collaborazione che è stata il preludio agli ampi compromessi in corso tra il nuovo potere e le strutture portanti di quello precedente. Si tratta di aspetti che solo con i mesi, o addirittura con gli anni, potranno farsi più chiari, ma che non alterano per nulla la portata delle massicce mobilitazioni popolari a sostegno di un cambiamento radicale nella politica serba e sono piuttosto un indice, da una parte, del grado di disgregazione cui era arrivato il regime corrotto e oppressore di Milosevic e, dall'altra, della conninvenza di fatto con tale regime di cui la ex opposizione della DOS ha dato prova per anni. Come ampiamente rilevato dagli autori che pubblichiamo, il nuovo potere serbo dovrà fare innanzitutto i conti con le aspettative del proprio popolo e in particolare con quelle dei lavoratori, i quali, anche dopo che si è placata la prima ondata di proteste, continuano in questi giorni le mobilitazioni per promuovere i propri diritti e rivendicare maggiore democrazia. Tra gli aspetti da approfondire nel prossimo futuro vi sarà anche quello degli intrecci tra le politiche imperialiste e gli ultimi sviluppi in Serbia. Lo "sblocco" della Serbia che Occidente e Russia tanto attendevano si è finalmente prodotto e ciò, finora, in larga parte se-condo modalità sicuramente gradite alle grandi potenze: nessuna guerra civile, uomini fidati al potere, strutture militari, economiche e burocratiche del vecchio regime intatte e ancora massicciamente presenti nelle istituzioni, a garanzia di una continuità rassicurante per gli interessi del capitale e delle diplomazie. Le "transizioni" degli ultimi decenni ci insegnano tuttavia che ogni rivolgimento di questo tipo si trova prestissimo, nel giro di pochi mesi o ad-dirittura settimane, a dovere affrontare i veri problemi, quelli dei lavoratori, dei giovani, dei pensionati, delle donne, delle minoranze, e che l'imperialismo, con tutto il dogmatismo cui è "costretto" per difendere gli interessi del capitale e della sua macchina militare-repressiva, è assolutamente incapace di risolverli e deve ricorrere a un controllo coloniale, alla corruzione, al sostegno alle macchine po-liziesche, o addirittura alla guerra, mandando così a monte gli obiettivi di "stabilità" che esso stesso si prefissa.
Ci auguriamo infine che i recenti avvenimenti in Serbia siano un'occasione che venga colta dalla sinistra democratica per sgomberare il campo dalle fumose teorie cospirazioniste su una Serbia oggetto in quanto tale di complotti mirati al suo smembramento o di guerre per aggirarla con i "corridoi energetici", per citare solo due esempi (condivisi tra l'altro nei medesimi termini da ampissimi settori delle burocrazie di governo occidentali) che da mesi purtroppo dominano il campo di discussione, relegando in secondo piano o cancellando aspetti fondamentali quali, tra gli altri, il diritto dei popoli di scegliere in libertà e democraticamente i propri destini.
L'avvio di una riflessione a tutto campo su quanto avviene nei Balcani e l'apertura di un dialogo, non sempre facile, con le forze che vi si mobilitano per rivendicare diritti e libertà, sono compiti di massima urgenza per la sinistra di un paese come l'Italia che è oggi uno dei principali protagonisti della colonizzazione dei Balcani e, contemporaneamente, uno dei maggiori canali di penetrazione della NATO e della UE nell'area.