LA RIVOLTA GIOVANILE E OPERAIA SCALZA IL POTERE
IL 5 OTTOBRE SEGNA UNA NUOVA FASE NELLA STORIA DEI BALCANI


novembre 2000 di Radoslav Pavlovic

 

Niente sarà più come prima. Il 5 ottobre segna una fase nuova nella storia dei Balcani, un soprassalto d'unanimità e di determinazione popolare mai prima visto in Serbia per reagire all'eventualità che il governo si attribuisse ancora anni di potere arbitrario. Lo sciopero generale è stato totale e il movimento ha toccato ogni famiglia e ogni villaggio. Nessuno immaginava che sarebbe stato così facile; si era preparati a una guerra civile, e tutto si è risolto in poche ore.
Ora le illusioni fanno seguito a un immensa speranza. Ma restano i problemi essenziali anche se un ostacolo enorme è stato spazzato via a colpi di quei bulldozer, che gli operai ­ punta avanzata del movimento ­ hanno utilizzato per aprirsi la via. A dare il tono, infatti, sono stati i minatori di Kolubara, che in dieci anni avevano effettuato un solo sciopero e che, come gli altri, in maggioranza votavano per Milosevic. Per la moderazione e il ruolo nel sistema elettro-energetico, la loro azione ha sempre assunto rilevanza statale; ma ora non si trattava di una semplice rivendicazione economica ma decisamente politica: il riconoscimento della vittoria elettorale di Vojislav Kostunica. Malgrado il pesante confronto con le unità speciali di polizia ("antiterrorismo"), malgrado l'ordine urgente del procuratore di procedere all'arresto del comitato di sciopero indicato come organo di un'azione di sabotaggio, i minatori hanno tenuto duro per oltre una settimana permettendo all'insieme della classe operaia, disorganizzata, di prendere posizione.
Se si tratta di una rivoluzione politica questa è stata pacifica perché il rapporto delle forze è istantaneamente mutato: si è evitato un conflitto sanguinoso non perché Milosevic ­ che aveva messo in campo tutta la polizia disponibile ­ si sia volontariamente piegato al verdetto dello scrutinio. L'unanimità e la determinazione popolare hanno oltrepassato i limiti che Milosevic, come lo stesso Kostunica, potessero immaginare.
La sola Belgrado non avrebbe potuto vincere senza l'apporto decisivo della provincia, di città operaie come Cacak, Kraljevo, Kragujevac Uzice, Valjevo, Novi Sad, Nis - fortemente bombardate lo scorso anno.
La maggioranza dei 100.000 venuti dalla provincia a prestar man forte erano giovani e operai, elemento dinamico dello sciopero generale, indispensabile per spezzare i numerosi posti di blocco sulle strade verso la capitale e per sostenere i belgradesi nell'assalto al Parlamento e alla RTS (Radio-TV di Stato), la Bastiglia di Milosevic, di cui i bulldozer di Cacak hanno sfondato la porta. Un contributo che appare decisivo se confrontato con gli avvenimenti dell'inverno 1996-1997, quando centinaia di migliaia di belgradesi avevano manifestato per tre mesi contro la confisca delle elezioni municipali (ricordate le manifestazioni con i fiori nei fucili della polizia schierata, le fiaccole e le icone, ecc.).
Davanti ai posti di blocco gli operai non si attardavano in lunghe discussioni con la polizia ma avanzavano ultimatum senza appello: "O ve ne andate o vi passiamo sopra!" e senza aspettare risposta scansavano con i bulldozer le auto della polizia.

Un crollo "nel fango e nella vergogna"

Milosevic stesso era disorientato: la sconfitta elettorale era evidente, e architettare un trabocchetto credibile richiedeva troppo tempo; l'apparato statale rispondeva di malavoglia, il panico aveva invaso le alte sfere del potere. Isolato nel quadrato dei suoi fedeli, il presidente si sforzava di mentire e tergiversare, rendendosi così indifendibile anche agli occhi di chi pure lo aveva votato. Non appariva come l'uomo isolato che si difende coraggiosamente contro la marea montante, ma si vedeva costretto a mostrare la sua vera natura, quella di chi si arrogava un ruolo imperiale nella battaglia contro il mondo intero ma diveniva ora ridicolo, patetico nella caduta come gli ultimi Borboni o l'ultimo Romanov.
Il re era nudo e, come per un effetto di vasi comunicanti, fierezza, dignità e fiducia in sé erano ora passati alle masse. Un rovesciamento spettacolare, una carta importante per l'avvenire, anche se non una conquista definitiva per le lotte future. La Serbia sembrava in questi ultimi anni un enorme mercato delle pulci in cui si barattava miseria con miseria, in cui non mercanti di professione, ma operai, insegnanti, infermieri erano costretti a ricorrere per sopravvivere a quest'ultimo umiliante mezzo. La gente più modesta della città, i pensionati, facevano file interminabili per un po' di zucchero, d'olio, di latte o di pane e un poliziotto li poteva tutti allontanare con una minaccia. In questa umiliazione generale la sola unanimità era la comune maledizione di un solo nome. Tutti costoro, invece, il 5 ottobre erano in quelle stesse vie ma con altri obiettivi, in una costellazione di forze unite a fronteggiare un ben più ampio schieramento di polizia.
Caduto Milosevic - non "sul cemento" come diceva un giornalista, ma nel fango e nella vergogna - la Bastiglia della burocrazia non è ancora distrutta, anche se la porta principale è sfondata. Milosevic è rimasto senza base sociale; neppure più gli strati bassi e medi della burocrazia. I suoi giornalisti, cronisti delle vergognose guerre in Croazia, Bosnia e Kosovo, veri organizzatori dello sciovinismo (che però al contrario dei volontari nazionalisti non si prendevano alcun rischio) hanno alzato bandiera bianca. I più noti si sono anche presi qualche bastonata quando la Bastiglia si è svuotata dei guardiani, terrorizzati dalla rabbia dei prigionieri decisi a liberarsi con i propri mezzi mostrando determinazione e ardimento più forti di qualsiasi arma.
Questa vicenda conferma i migliori insegnamenti della storia: più le masse sono politicamente determinate ed energiche, più facilmente il nemico cede le armi, meno sangue viene versato. È invece la controrivoluzione successiva, quella degli aristocratici, dei vandeani, dei cosacchi a provocare il bagno di sangue quando si vuole tornare a imporre l'ancien régime. È la controrivoluzione, della cui esistenza fanno astrazione i critici gauchistes di Lenin e di Robespierre, che conduce alla guerra civile. E in Serbia, non c'era guerra civile, perché la società non è divisa in due parti più o meno uguali. Davanti al Parlamento dove si è svolto l'atto finale, i lacrimogeni avevano cominciato a far rifluire la folla quando qualche coraggioso si è gettato, solo, contro la polizia, sfidando i colpi, contando sul ritorno dei manifestanti in soccorso, fino alla conquista del palazzo.
Tutto questo è avvenuto non per un piano premeditato dall'opposizione ma per l'iniziativa e il consenso popolare. Qui è il genio ma anche il limite della folla. Se i giovani, i lavoratori serbi mostreranno in seguito tanta perspicacia politica quanto coraggio e ingegnosità pratica hanno mostrato al momento del rovesciamento del presidente screditato, allora l'avvenire sarà radioso, ma nella storia il feticismo della spontaneità delle masse è il segno di sconfitte future.

Perché Kostunica ha vinto

Il rifiuto di Milosevic, non è un mandato in bianco per Kostunica. La collera contro Milosevic, su cui pesava la responsabilità di guerre perdute e vergognose, si è bruscamente generalizzata dopo i bombardamenti della Nato. Non esistevano canali politici per esprimerla, e, paradossalmente, lui stesso ha fornito la via elettorale per farlo. Il suo calcolo non era errato: modificando la Costituzione con l'introduzione dell'elezione diretta del presidente e la soppressione del quorum del 50% dei votanti egli contava con il 20% dell'elettorato della Sps-Jul di attribuirsi anni di potere incontrollato di fronte all'opposizione dispersa in 3 o 4 liste, in una situazione che faceva prevedere l'astensione di metà dell'elettorato. L'opposizione ha denunciato questi cambiamenti istituzionali come un colpo di stato e ha compreso il pericolo del boicottaggio. Separandosi da Draskovic, che intendeva dominare il blocco delle opposizione in quanto leader del partito più forte, la coalizione democratica di 16 partiti (di cui molti costituiti solo dalle direzioni) ha potuto unirsi e candidare Kostunica, democratico e nazionalista, ma senza barba, armi e alcool, violentemente anti-atlantista all'epoca dei bombardamenti, senza concessioni a Milosevic ma senza neppure aver mai sconfessato apertamente la pulizia etnica in Kosovo. Niente di meglio per borghesi e piccolo borghesi di Serbia
L'uomo che poteva battere Milosevic da una posizione di centro-sinistra, Ivan Stambolic, ex capo dei comunisti serbi, rovesciato da Milosevic nel 1987, anti-nazionalista, democratico e persona ragionevole, cioè, socialdemocraico di sinistra, era stato rapito un mese prima delle elezioni. La classe operaia serba, disorganizzata, ha accolto Kostunica come occasione per rovesciare Milosevic e assicurare un minimo di democrazia senza la quale è impossibile organizzare un sindacato indipendente. Scelta non sbagliata a condizione di essere precisata, il che significa combattere le illusioni e limitare il contratto elettorale al minimo. In campo economico, sociale e nazionale le concezioni di Kostunica sono nettamente di destra per cui la variegata opposizione democratica ha stabilito con lui un contratto limitato così come con le masse. Le illusioni restano del tutto circoscritte: Kostunica sarà sottoposto a sorveglianza dal basso come dall'alto. La pressione dell'opinione pubblica serba sarà esigente tanto, se non più, di quella del Cremlino, o dei governi occidentali.

La crisi delle forze di destra

La destra, in particolare quella monarchica, nelle elezioni è stata ridotta ai minimi termini; il fascista Seselj, ­ che aveva più del 20% alle elezioni precedenti oltre a un terzo del parlamento e la metà del governo ­ ha ottenuto ora intorno al 5-6% perdendo la municipalità di Zemun andata a un giovane democratico sconosciuto. Voleva scavalcare i comunisti puntando su istanze nazionaliste e facendo la parte sporca del lavoro per Milosevic, al fine di appropriarsi dell'apparato statale al momento dell'usura politica dei socialcomunisti.
Più inaspettato il crollo di Vuk Draskovic. Con quasi il 10 % e un modesto terzo dei deputati (per lo più ex di Milosevic e Seselj), avendo il controllo del comune di Belgrado attraverso il nipote di Mihailovic (ex dirigente cetnico della seconda guerra mondiale, condannato a morte da Tito) ha perso tutto, punito per aver tentato di sabotare la candidatura unitaria dell'opposizione proponendo il nipote di Mihailovic. La versatilità politica leggendaria del difensore dei cetnici, che ora chiama all'assalto della Bastiglia comunista, ora entra nel governo degli stessi comunisti, per esserne poi gettato fuori dalla porta posteriore e diventare oggetto di un sanguinario attentato, restando però comunque pronto a entrare in un governo di unità nazionale se lo richiede l'interesse supremo del popolo. Tutto ciò è troppo anche per il più arretrato contadino serbo. Su 110 consiglieri al comune di Belgrado, la DOS di Kostunica ne ottiene 105, Milosevic 4, Seselj 1 et Draskovic... nessuno!
Che il SPO sarebbe esploso come una bolla di sapone era previsto, riempito com'era di troppi operai e contadini assieme ad altrettanti lumpen e nuovi ricchi, con troppi inchini alla Chiesa e al re in esilio, perché il verboso poeta dalla politica con la bava alla bocca potesse essere credibile. Non si può approvare l'ingiusta guerra di conquista in Croazia, inviando proprie truppe paramilitari. Malgrado l'ampia astensione, gli elettori serbi hanno segnato una balzo a sinistra, per quel che era possibile con gli schieramenti a disposizione.

Il ruolo degli studenti di Otpor

Le elezioni hanno espresso un profondo desiderio democratico e la voglia di difendere la vittoria ottenuta nelle strade.
L'autunno scorso, il ripiegamento e la demoralizzazione avevano trionfato e l'astensionismo si profilava come una prospettiva durevole su cui Milosevic faceva conto. La svolta è stata invece profonda e non solo perché l'opposizione, accantonando la sua rissosità, si è unita raccogliendo una volontà profonda delle masse, ma soprattutto perché l'opinione pubblica è stata riorientata dalla rete dinamica degli studenti di Otpor (Resistenza). Conducendo un guerriglia di affissioni che ha sconcertato la polizia, senza direzione né sede centrale, mostrando mobilità e inventiva malgrado le pesanti pene detentive, essi hanno spezzato la paura della popolazione, in particolare nella provincia. Il loro emblema ­ il pugno levato in contrasto con le tre dita dei nazionalisti, gli slogan, scientificamente definiti e diffusi con metodo hanno influito sulla coscienza delle masse incerte tra collera e paura. Il loro ultimo slogan era la constatazione del mutamento dei rapporti di forza e l'appello ad andare a votare: "E' finito", "niente è finito se non votate!". Questo è valso loro una grande simpatia e il ruolo di stimolo decisivo che ha reso inefficaci i calcoli di Slobodan Milosevic che è stato atterrato dal piedestallo di uomo della divina provvidenza, l'uomo che a Gazimestan, nel 1988, era stato plebiscitato da un milione di persone di tutte le classi. Dopo quatro guerre perdute e l'umiliazione del paese reso materialmente miserabile, Milosevic è stato scacciato da un altro milione, ancora una volta di tutte le classi sociali. Malgrado l'apparente continuità nazionalista tra Milosevic et Kostunica, un nuovo periodo si apre: è arrivata una nuova generazione che conosce solo il fatto che il suo potente apparato burocratico è stato abbattuto dall'azione spontanea delle masse, dalla loro determinazione, senza complotti o allanze con l'esercito o con potenze straniere. Le masse hanno la senzazione di non dovere niente a nessuno, neppure a Kostunica che è stato proclamato presidente in forza della loro azione. Questo rende assai limitato il margine del nuovo presidente non tanto in termini economici immediati quanto in fatto di trasparenza politica, di gestione democratica, di iniziativa sulla pace e per la normalizzazione delle relazioni internazionali, ambiti nei quali tra le masse ­ come nell'opposizione ­ non regna alcun accordo preventivo. I grandi problemi del paese ­ tra questi la questione del Kosovo ­ sono stati posti tra parentesi e aggiornati al dopo-Milosevic. Non c'era altro mezzo per superare le scadenze immediate e non si poteva attendere una migliore disposizione di forza sul campo.
La volontà di Milosevic di mantenersi al potere, come quella dei russi di sostenerlo appare surreale in un paese che non ne può più sopportare la vista. L'odio per Milosevic è anche il tentativo di sbarazzarsi del proprio passato recente, così poco onorevole, di regolare i conti con le passate acclamazioni, di voltar pagina. Se Kostunica, sotto la pressione dei russi o per esigenze istituzionali, tenterà di amnistiarlo e di reintrodurlo nella vita politica, le masse lo abbandoneranno così rapidamente come lo hanno appoggiato.
Ma la vittoria su Milosevic non è ancora quella sulla burocrazia.

Contro la burocrazia nei posti di lavoro

La portata dell'iniziativa dei lavoratori come elemento di una rivolta popolare contra la burocrazia e non solo contro il capo supremo era percepibile già nelle giornate della sollevazione.
A Subotica, gli operai di Sever in sciopero, non potendo da anni organizzarsi in sindacato indipendente, mettono le mani sul direttore in flagrante delitto di fuga con le valige piene di marchi tedeschi, e scacciano tutta la direzione. A Nis allontanano il direttore e quaranta membri dello staff del complesso dell'industria elettronica e apparecchi domestici, poi alla DIN (industria del tabacco), poi alla Electro-distribution. A Kragujevac, nella fabbrica automobilistica Zastava, il direttore stesso prende l'iniziativa e si dimette seguito da tutta la sua équipe. A Kolubara, un nuovo sciopero è pronto per il 12 ottobre se tutta la direzione non se ne va. La tensione regna in tutte le fabbriche serbe. Questi direttori sono in genere gli stessi dirigenti locali dell'Sps, sprofondati fino al collo negli affari lucrosi e illegali, godendo non solo del potere assoluto fornito dalla legge ma anche dell'impunità dovuta all'ambiente generale di arbitrarietà del regime
Ora, come il Capo di Stato maggiore e i parlamentari dell'Sps, tutti questi personaggi, per salvare il posto e evitare le conseguenze si allineano con il nuovo presidente, ma possono cambiare le carte in tavola in 24 ore. Lo stesso avrebbero fatto se per disavventura avesse vinto il fascista Seselj, non avendo più alcuna ideologia al di fuori del profitto personale.
Essi rappresentano l'ossatura dello Stato, delle grandi aziende, della scuola e degli ospedali. Il loro allontanamento è scontato per gli operai ma Kostunica vorrà o potrà scacciarli? Questo vorrebbe dire rovesciare completamente la burocrazia, mettre in atto una rivoluzione politica. Kostunica non è un rivoluzionario ma è però un democratico. Si vedrà ben presto come finirà l'alleanza tra lui e i lavoratori. Un analogo problema è la sorte di Milosevic: non può consegnarlo al Tribunale dell'Aja (su questo sono d'accordo tutti i serbi compreso l'autore di queste righe pur se per ragioni differenti), ma neppure amnistiarlo, perché al suo clan risale ogni scandalo pubblico, finanziario o politico.

Rompere l'isolamento politico dei lavoratori serbi

La Serbia non potrà comunque evitare di fare i conti con il suo ruolo (o quello del suo ex presidente) nelle guerre etniche della regione, non fosse che perché non potrà evitare il problema dei numerosi rifugiati, di Croazia, Bosnia e Kosovo, la normalizzazione dei rapporti con i paesi vicini la guerra, i delitti, le migliaia di esiliati, per non parlare del problema kosovaro.
Kostunica ha promesso la democrazia: questo nelle attuali condizioni significa garantire libertà di stampa, libertà sindacale, indipendenza della giustizia. La democrazia porta inevitabilmente alla rivoluzione, l'eventuale imbavagliamento di questa democrazia, pericolosa per le grandi potenze, compreso il Cremlino, metterà in crisi l'unanimità attuale e ciascuna classe assumerà una propria posizione. La classe operaia serba si è lanciata nella lotta per la conquista della democrazia come precondizione per le lotte della propria classe, e va incontro a trappole non meno pericolose di quelle incontrate in questi ultimi 10 anni, sulla questione delle privatizzazioni e sulla questione nazionale in primo luogo. Essa ha mostrato uno slancio di spontaneità e di capacità organizzativa, ma non può contare su una chiaro-veggenza politica di fondo. Occorre aiutarla, farla uscire dall'isolamento internazionale che la disarma di fronte al nazionalismo, mettere i militanti e le loro organizzazioni sindacali e politiche indipendenti (peraltro ancora da creare) a contatto con quelle degli altri paesi.

 

6 ottobre 2000

 

La versione originale di questo articolo è apparso in francese in "Inprecor" del novembre 2000. La versione qui riprodotta (un'ampia sintesi dell'articolo originale) è ripresa da Bandiera Rossa (novembre 2000), che ringraziamo per avercela fornita.