"RIVOLUZIONE NAZIONALE" IN SERBIA
IL RUOLO DELLE FORZE POLITICHE E SINDACALI NELLA RIVOLTA CHE HA ROVESCIATO MILOSEVIC


novembre 2000 di Dragomir Olujic dell'Unione Indipendente dei Giornalisti della Serbia, da Workers Aid traduzione di A. Ferrario

 

La parte più difficile è terminata, il peggio deve ancora venire.
La storia della Serbia moderna, cioè quella a partire dal 1987, verrà divisa in due periodi: prima e dopo il 5 ottobre 2000.
L'importanza del "D-Day", espressione presa in prestito dal generale Nebojsa Jankovic, è ormai senza dubbio riconosciuta da tutti. Il 5 ottobre i cittadini della Serbia hanno deciso di difendere, con azioni pubbliche, quello che avevano già scelto con il voto segreto delle elezioni del 24 settembre per il presidente e per il parlamento della Federazione jugoslava, nonché nelle elezioni provinciali in Vojvodina e quelle per il governo locale in Serbia. Anche se la caduta di Slobodan Milosevic è stata sognata per lungo tempo, il crollo, quando è venuto, si è verificato così in fretta da cogliere di sorpresa sia gli abitanti locali che il mondo intero.

Lo strepito delle "canzoni di vittoria"

Subito dopo la chiusura dei seggi si sono sentite squillare le trombe della vittoria da entrambe le parti. Parate di vittoria organizzate in anticipo e sostenute dai media sono state celebrate in misura uguale dalla Opposizione Democratica della Serbia (DOS) di Vojislav Kostunica, una coalizione di diciotto partiti dell'opposizione, e dalla Lista della Sinistra di Slobodan Milosevic, l'alleanza tra il Partito Socialista della Serbia (SPS), la Sinistra Jugoslava (JUL) e il Partito Socialista Popolare del Montenegro (SNP). In tali celebrazioni, tutti i partiti e i loro rispettivi portavoce - e la DOS in misura ancora maggiore della cosiddetta "sinistra" - sono riusciti in qualche modo a dimenticare i loro alleati e collaboratori che li avevano aiutati a conseguire le loro proclamate "vittorie".
A un primo sguardo, paradossalmente, il vincitore è stato il primo ministro Momir Bulatovic con il suo Partito Socialista Popolare del Montenegro (SNP). Con 28 seggi nella Camera dei Cittadini e 19 seggi nella Camera delle Repubbliche, il SNP può bloccare chiunque. Anche se tutti sanno chi sia Bulatovic, da che parte sia schierato il SNP, la costituzione della Federazione jugoslava dice che se il Presidente è di una Repubblica, il primo ministro deve essere dell'altra. Ciò costringe il nuovo presidente e la DOS a reciproci compromessi, con un precario equilibrio sul filo del rasoio.
A un altro sguardo, risulta che, ancora una volta paradossalmente, non avendo nemmeno partecipato alle elezioni, il perdente è stato Milo Djukanovic, il presidente del Montenegro. Djukanovic ha rifiutato di partecipare alle elezioni federali, ma così facendo ha perso l'"aureola" di leader dell'alleanza anti-Milosevic. Inoltre, qualcosa che prima era noto solo agli esperti di politica ora è diventata di pubblico dominio. Djukanovic aveva fatto un accordo segreto con Milosevic, e la gente, sia in Serbia che in Montenegro, ha cominciato a sospettare della sua "autonomia" dal presidente federale. Se Djukanovic avesse invitato i suoi sostenitori a votare Milosevic sarebbe stato immediatamente finito, non solo sulla scena politica jugoslava, ma anche nei Balcani nel loro complesso. Ma chiedendo al popolo del Montenegro di astenersi, egli ha dato un briciolo di conforto al suo "nemico", indebolendo i propri supposti piani per l'indipendenza del Montenegro.
A mia opinione, Djukanovic non ha mai voluto seriamente l'indipendenza del Montenegro. Tutti i suoi discorsi minacciosi non erano altro che merce di scambio nella lotta politica con Bulatovic e, soprattutto, con Milosevic.
Un altro perdente è stato Vuk Draskovic e il suo Movimento di Rinnovamento Serbo (SPO), che ha poche speranze di potere tornare sulla scena politica, un fatto positivo per la Serbia e la Jugoslavia. I grandi illusionisti della politica serba, Draskovic e la sua SPO, hanno infine pagato per il loro interminabile oscillare tra il potere e l'opposizione.
E qui, a Belgrado, la rimozione di Milosevic come capo di stato è sembrata un lavoro facile, terminato in qualche ora. La maggioranza ha esultato, mentre una minoranza non poi così trascurabile è rimasta contraddetta. Tuttavia, Milosevic ha reagito rapidamente, in un primo momento con un discorso senza successo ai cittadini della Jugoslavia e quindi con dei più efficaci attacchi dalle trincee, dalle posizioni che i suoi sostenitori controllavano ancora negli organi della Repubblica di Serbia.
Il controllo che Milosevic e le sue politiche detengono sulla società serba è più forte di quanto potrebbe sembrare. Altrimenti egli non avrebbe governato per così lungo tempo con il sostegno dei serbi da entrambe le rive del fiume Drina. E tale sostegno ha spesso incluso, più o meno apertamente, un significativo aiuto da parte dell'opposizione - in prima istanza da Seselj, in seconda da Draskovic, in terza da Mihajlovic, in quarta da Djindjic e così via. L'unico esponente dell'"opposizione" che abbia mantenuto le distanze da Milosevic, sebbene condivida per intero ogni elemento del suo nazionalismo, è stato Kostunica.
Penso che una grande fetta della responsabilità per il lungo protrarsi del controllo del potere da parte di Milosevic vada addebitata alla comunità internazionale che, fino a tempi recenti, ha detto una cosa per farne un'altra. La condanna verbale è andata mano nella mano con il supporto pratico a Milosevic. Non si è trattato, ne sono convinto, di un incidente o di una goffaggine, o ancora un sintomo di confusione della comunità internazionale. E' stata una politica deliberata.
Potrebbe sembrare che la stretta di mano tra Milosevic e Kostunica sia "rivoluzionaria", visto che Milosevic ha accuratamente calcolato di potere disporre ancora di qualche spazio nella lotta per il potere politico. Le autorità delle repubblica continuano a rimanere sotto il suo controllo e in Jugoslavia le strutture di potere delle repubbliche sono più forti di quelle degli organi federali. Una sezione significativa dell'esercito e della polizia rimane fedele a lui, e il sistema dei manager è ancora con lui e dispone di un partito forte e bene organizzato. Metà del Montenegro è ancora sotto il suo controllo. Per il momento egli è sulla difensiva, ma consoliderà presto le sue fila nella nuova situazione. Lo si può intravvedere nella grande difficoltà che Mirko Marjanovic ha avuto nel prendere controllo del ministero degli interni, dopo le dimissioni di Vlajko Stojilkovic, nonché nelle forti scosse che si sono prodotte all'interno della leadership del SPS, il partito di Milosevic.
Per metterla semplice, Milosevic ha optato per la via "pacifica" poiché aveva poche possibilità di scelta. Egli ha mantenuto aperta la sua strada per un ritorno nella politica serba - un ritorno che forse sarà rapido. Tornerà se Kostunica e la DOS non riusciranno a capitalizzare sulla prima ondata di "rivoluzione nazionale" cancellando tutte le vecchie strutture del potere federale e di quello delle repubbliche.
Nonostante gli eventi del 5 ottobre, non sarà una cosa facile. L'alleanza dell'opposizione non è mai stata effettivamente un oppositore di Milosevic, quanto piuttosto un suo concorrente. Non ha mai condannato nemmeno una volta gli obiettivi delle politiche di Milosevic, soprattutto quelle nazionalistiche e quelle militari - e più di tutte quelle riguardanti il Kosova. E' stata un'opposizione che in ogni occasione, allo stesso modo di un atleta che concorra alle olimpiadi, ha solo cercato di convincere la gente di essere in grado di guidarla "meglio, più velocemente e più lontano" di Milosevic. In tutte le guerre jugoslave l'"opposizione" serba, con poche onorevoli eccezioni, è sempre stata dalla stessa parte di Milosevic. L'unica differenza tra Milosevic e l'opposizione è stata che il primo è stato effettivamente alla guida delle politiche "nazionali" e "di guerra", cosa che non è il caso della seconda.
La gente, rimasta intrappolata nella frenesia della mitologia e della "mitomania" non ha mai avuto un'effettiva possibilità di scelta. L'opposizione era priva di ogni programma indipendente e come propria base sociale aveva solo masse senza definizione di classe. La sua partecipazione a tutte le elezioni è stato l'unico modo per legittimare la propria "opposizione". Ora gli elettori nutrono grandi speranze nel fatto che la DOS apporti dei cambiamenti radicali, ma quest'ultima può operare solo da dentro il vecchio paradigma. Ora, per esempio, dobbiamo partecipare a una reinstaurazione del'autogestione dei lavoratori, ma guidata da cittadini nazionalisti e da partiti liberali.
Qui si può individuare una traccia per comprendere la capacità di durare di una tale "opposizione" e il comportamento della gente. Le dimostrazioni dei cittadini e degli studenti nell'inverno 1996-7 e le attuali attività della gente, due rilevanti esempi, non sono il risultato del duro lavoro dell'"opposizione", ma un'espressione dello stato catastrofico della Serbia e la reazione spontanea di gente arrabbiata per la propria posizione nella società e nei confronti di coloro che sono al potere - gente che sta affogando e si aggrappa a una pagliuzza!
Così, abbiamo vissuto nel fragore delle canzoni di vittoria dei primi giorni dopo le elezioni. Nessuno era sicuro, nemmeno nei propri sogni migliori, che la DOS avrebbe vinto, e tanto meno che lo avrebbe fatto in maniera così spettacolare. Tutti sono rimasti confusi e, non sapendo cosa fare, hanno aspettato.

Timisoara e Praga svernano Belgrado!

Il 5 ottobre è accaduto quello che è accaduto, ma a mia opinione non vi sono stati cambiamenti cruciali, e sicuramente non dei cambiamenti rivoluzionari. Oggi l'esempio della Jugoslavia viene utilizzato come un caso di "rivoluzione" per mascherare la debolezza e l'incapacità delle nuove autorità di reagire di fronte ai problemi effettivi della gente e per mascherare la loro vera posizione nell'intera struttura del potere, sia localmente che regionalmente.
Le maggiori vittime del vecchio, ma assolutamente non scomparso, regime, erano i giovani e la classe operaia e sono stati proprio loro che hanno apportato il maggiore contributo alla vittoria dell'opposizione. Come in Croazia e in Cecoslovacchia, i giovani, che si sono raggruppati principalmente intorno al movimento nazionale Otpor (Resistenza), nonché intorno a varie ONG e gruppi rock, hanno preso sulle proprie spalle il carico più pesante della campagna preelettorale, incoraggiando la gente a votare in massa e a prendere parte alle dimostrazioni preelettorali dell'opposizione ecc. Sono riusciti a portare la gente ai seggi in quantità che non si erano mai viste prima. Se il precedente tasso di astensione del 40% si fosse ripetuto, Milosevic non avrebbe potuto perdere.
Otpor, come Draskovic, è un'altra grande illusione sulla scena politica serba. Anche se sono degli attivisti puri, senza programma o ideologia, i membri di Otpor hanno anch'essi la loro "storia serba" nazionalistica e basata nazionalmente. Durante il periodo del silenzio dell'opposizione, Otpor si è imposto esattamente come la pagliuzza alla quale la gente che stava affogando si aggrappava. Otpor è stato oggetto di minacce da parte di Milosevic non come un'alternativa, ma come un potere politico che era in grado di stabilire un proprio collegamento con la base sociale e psicologica della "storia serba" di Milosevic e di distruggerla a favore della propria "storia" - qualcosa che il resto dell'opposizione non era in grado di fare. Otpor è cresciuto di statura perché il regime lo sottoponeva a persecuzioni, imprigionando suoi membri e intraprendendo azioni legali contro di essi, e il resto dell'opposizione li odiava per questo motivo. Nonostante le persecuzioni, tuttavia, i membri di Otpor diventeranno sicuramente i più affidabili sostenitori della continuità tra la "vecchia" e la "nuova" Serbia.
L'Unione dei Sindacati Indipendenti ha sacrificato gli interessi dei propri membri e della classe operaia quale gruppo socialmente, economicamente e politicamente oppresso. Si sono uniti alla DOS, un partito nel cui programma e nelle cui attività quotidiane non vi è una singola parola per i problemi dei lavoratori. La nazionalista Associazione dei Sindacati Liberi e Indipendenti (ASNS) era membro della DOS e il suo leader Dragan Milovanovic è stato eletto in un distretto distante più di 300 km. da dove egli è nato, ha vissuto, ha lavorato, e per di più in un'area in cui l'ASNS non ha né organizzazioni né membri.
I Sindacati Professionali Uniti "Nezavisnost" ("Indipendenza"), di tendenza liberale, hanno fatto apertamente campagna per Kostunica e per la DOS. Non vi sarebbe da sorprendersi se il presidente di "Nezavisnost", Branislav Canak, dovesse diventare, per fare un'ipotesi, ministro del lavoro e della sicurezza sociale nel nuovo governo federale. Sia l'ASNS che "Nezavisnost", spesso in conflitto tra di loro, hanno aiutato a organizzare lo sciopero generale e hanno fatto pendere la bilancia a favore di Kostunica e della DOS.
A Belgrado abbiamo quindi una combinazione dei modelli cecoslovacco e romeno di "cambiamento". La vittoria in Serbia di questa "rivoluzione nazionale" è stata resa possibile dai lavoratori, come a Praga e a Timisoara. Per il momento Praga e Timisoara stanno svernando a Belgrado e i semi cadranno dove potranno. Si tratta di un terreno fertile per vari giochi politici sul filo del rasoio.
In questo gioco, la DOS e Kostunica hanno qualche vantaggio. Il primo uomo della DOS, la sua eminenza grigia, è sicuramente Zoran Djindjic. Tutti gli altri, Kostunica incluso, sono in larga misura sue marionette. Djindjic è pronto a fare ancora più accordi e compromessi di quanto non lo sia stato abitualmente. Con la sua educazione tedesca, conosce molto del "marketing" e della vendita dei propri camuffamenti ed è un mediatore molto più raffinato di Milosevic. Nessuno nella DOS è in grado di mettersi al suo stesso livello. Oltre al gioco che ho già delineato per Milosevic, Seselj ha anch'egli la sua mano da giocare - utilizzando il sottoproletariato della Serbia.
Il Gruppo 17, che ha offerto un supporto logistico intellettuale alla DOS, è un gruppo composito formato da economisti neoliberali e neokeynesiani. Si tratta di persone capaci di fare una buona indagine sull'economia della Serbia, cosa non poi tanto difficile, ma delle cause della situazione ne capiscono ben poco e le loro "soluzioni" sono solo un mucchio di generalizzazioni indefinite. Le loro ambizioni politiche, in particolare quelle del loro direttore, Mladjen Dinkic, eccedono di gran lunga le loro capacità.

Una parola o due sulle prospettive

In primo luogo, purtroppo, vi sono poche altre opzioni rispetto allo stato-mafia, almeno in termini di esiti probabili. Ma non è un problema solo della Serbia o della Jugoslavia - tutti i paesi in "transizione" sono stati-mafia - e la differenza risiede semplicemente nella loro migliore o peggiore organizzazione. Il problema di questi stati non è solo quello dei loro leader politici. Sono come sono perché il capitale mondiale ha bisogno che siano così. E' l'ora di decidere chi deve detenere il controllo a casa propria! E' una situazione che risveglierà e stimolerà i cittadini e la classe operaia. Senza tale "risveglio" vi sarà poco futuro.
Gli eventi rimangono ancora oggi al di fuori del controllo del nuovo governo di Belgrado. Ovunque vengono creati "comitati di crisi" per prendere il controllo di aziende, istituzioni e media. Per ogni autorità, anche se "democratica", la cosa più pericolosa è l'autorganizzazione dei cittadini. Kostunica e la DOS sono stati in grado di controllare la presa di possesso e la demolizione dell'edificio del parlamento federale, della TV statale e di alcune stazioni di polizia, ma hanno perso il controllo del "quartier generale di crisi".
L'altro impedimento per la DOS e Kostunica sarà il "nodo del Kosova". La politica dell'opposizione nei confronti del Kosova è stata la stessa di Milosevic. Ancora oggi, anche in questo caso con qualche onorevole eccezione, ogni leader e attivista dell'oppposizione parlerà di serbi e Serbia. Rifiutando di affermare che l'attuale situazione del Kosova rappresenta una sconfitta della passata linea politica, essi dimostrano che nell'essenza continueranno con la stessa prospettiva politica.
Il rifiuto di Kostunica di incontrarsi con il rappresentante dell'UNMIK, Bernard Kouchner, il suo ripetere tutte le ben note "storie serbe", il suo silenzio sui crimini serbi commessi in Kosova, il suo silenzio sulla situazione dei kosovari nelle prigioni serbe - il tutto nel momento della nascita di un "nuovo" governo - non lascia spazio a molto ottimismo.
In terzo luogo, il rifiuto del governo montenegrino, in dichirazioni rilasciate da tutti i suoi esponenti, ivi inclusi il presidente Djukanovic, il primo ministro Vujanovic e il vicepresidente Burzan, di riconoscere il nuovo presidente e il nuovo parlamento della federazione, causano molti problemi a livello federale. Kostunica e la DOS sono formalmente e legalmente obbligati a cooperare con Bulatovic, vale a dire con il Montenegro di Milosevic, ma vorrebbero che Djukanovic si unisse a loro. Rimane da vedere come supereranno questo gap.
Sopra a ogni altra cosa, la comunità internazionale non è qui per soddisfare i nostri interessi o le nostre speranze. E' qui per mantenere l'ordine che conviene ai suoi interessi e agli interessi del capitale mondiale. Per fare un esempio, se gli accordi di Dayton fossero una soluzione giusta e valida per i problemi in Bosnia non ci sarebbe la necessità di truppe SFOR (in realtà Dayton ha legalizzato l'effettiva divisione della Bosnia-Erzegovina). Oppure, se l'occupazione del Kosova da parte di Milosevic non fosse stata sostituita da un'altra, più raffinata, non ci sarebbe stato bisogno di truppe KFOR.
Purtroppo Kostunica e quella che fino a di recente era l'opposizione serba sono, così come l'opposizione in tutti i paesi in "transizione", piccoli ingranaggi nel meccanismo che il capitale mondiale utilizza per conseguire la propria dominazione. Il denaro necessario per la ricostruzione della Serbia, secondo le stime del Gruppo 17, è sei miliardi di dollari. Una tale quantità di denaro non è mai stata data nemmeno alla Russia e non vi sono speranze realistiche che tali soldi vengano reperiti. Il denaro "donato" tapperà qualche buco e nient'altro. Ma quando le speranze saranno evaporate e la realtà sarà diventata chiara, con i problemi sociali irrisolti che continueranno a essere lasciati irrisolti, cosa si farà? Cosa mai si farà?