IL NUOVO COLONIALISMO EUROPEO
IL CAPITALISMO, COME SISTEMA STORICO E MONDIALE, STA VIVENDO LA SUA SATURAZIONE


aprile 2001, di Milan Popovic, dal settimanale montenegrino "Monitor", 15 ottobre 1999, traduzione di A. Ferrario

 

I paesi post-jugoslavi sono evidentemente diventati terreno di prova per nuove tendenze. Invece dell'utopia liberale della "fine della storia" (Francis Fukuyama), sembra che sia in atto una ripetizione della storia. Il "mainstream" ne trae una conclusione pragmatica: "Imperialismo o anarchia!" (Robert Copland) e l'alternativo suggerisce: "Impariamo dall'Africa!" (Rastko Mocnik).

Un nuovo colonialismo europeo nei Balcani alla fine del XX secolo? In Bosnia-Erzegovina e in Kosovo questa tendenza si è spinta più lontano che in ogni altro luogo, ma forme più miti di questa tendenza si vanno ad abbattere, in maniera più o meno intensa, su tutti gli altri paesi della ex Jugoslavia. I sintomi sono chiari e ben noti. Debolezza economica, politica ed ideologica, deperimento e dipendenza. Progressiva disintegrazione, frammentazione e dominazione. Mentalità neocoloniale, arroganza e malessere. Da entrambe le parti della matrice. E, ovviamente, istituzioni e interventi neocoloniali. Dayton, Parigi, Helsinki. Una nuova geografia politica. NATO, OSCE, SFOR, KFOR, UNMIK. Nuovi acronimi. Un'occidentalizzazione di secondo grado. Protettorati atipici.

Nonostante tutto, il definitivo imporsi di un nuovo protettorato, ovvero di un neocolonialismo, europeo nei Balcani e oltre, rappresenta alla fine del XX secolo una missione impossibile. La storia è sempre, e quindi anche qui e oggi, una combinazione complessa e complicata di ripetizioni e cambiamenti, e non solo una ripetizione. E' così - anche quando sembra che sia l'opposto. Tutto scorre, tutto cambia. Ciò che è uguale non è uguale in una situazione differente.

Il vecchio colonialismo europeo era l'espressione di un'espansione geografica e globale del capitalismo in quanto sistema storico e mondiali. Il saldo complessivo di tale sistema, quando si parla dei paesi e dei popoli colonizzati, è stato, in tale fase, doloroso e contraddittorio. Ma insieme allo sfruttamento e alla dominazione sistematici, esso ha portato a tali paesi e popoli, nonostante tutto, anche un relativo progresso, sviluppo e civilizzazone. Nella seconda metà del XX secolo, tuttavia, il capitalismo, come sistema storico e mondiale, sta vivendo una saturazione. Le sue principali tendenze secolari, l'espansione, la mercificazione, la proletarizzazione e altri ancora, stanno raggiungendo l'asintote dello sviluppo storico.

E' questa la principale differenza. E nella differenza, nemmeno ciò che sembra identico è identico. Nemmeno quello che qui e oggi, nei distrutti paesi post-jugoslavi, ricorda irresistibilmente il vecchio colonialismo europeo è quello a cui assomiglia, bensì qualcosa di diverso. Lo si vede chiaramente già dallo stesso imbarazzante indugio. I paesi e i popoli della ex Jugoslavia hanno compiuto un intero cammino, hanno chiuso il cerchio che porta da territori non liberi, attraverso a quelli dipendenti e semindipendenti, fino a quello di stati indipendenti, e quindi, ora, indietro, da paesi indipendenti, a paesi non liberi, dipendenti o semindipendenti, ovvero protettorati. Basta prendere l'esempio della Bosnia-Erzegovina: Federazione più Republika Srpska, più NATO, SFOR, UE, OSCE. O la Jugoslavia: Serbia e Montenegro, come territori di fatto indipendenti, più il Kosovo come protettorato atipico, più UNMIK e KFOR.

Tutto questo lo si vede ancora meglio nel cambiamento della natura dei nuovi processi e dei nuovi attori. Nella sua essenza, il vecchio colonialismo europeo era il risultato di un accentuata differenza nello sviluppo. Da una parte vi era il capitalismo sviluppato europeo, in espansione, e dall'altra il mondo precapitalista non sviluppato nell'isolamento. L'esito del loro incontro è noto. Il nuovo incontro è decisamente diverso. Da una parte vi è il realcapitalismo internazionale in saturazione, dall'altra, e questo è l'aspetto più importante, un mondo postcapitalista, e non ivece precapitalista, nell'isolamento. La cosiddetta coalizione rosso-nera, nazionalsocialista, tra SPS-JUL-SRS è un prodotto dello "sviluppo del non sviluppo" (André Gunder Frank), e non semplicemente del non sviluppo; è il risultato di una frattura all'interno della modernità, e non dell'abituale premodernità; è l'espressione velenosa di processi e forze antimodernizzanti, e non una semplice arretratezza di processi e forze modernizzanti. La retorica antimperialistica, ovvero anticoloniale, di queste forze è un inganno. La falange SPS-JUL-SRS di Milosevic è stata nel corso di tutti questi ultimi dieci anni la maggiore forza di distruzione, indebolimento, impoverimento, dipendenza e decadimento del proprio popolo. E in quanto tale, è stata il principale cliente del realcapitalismo internazionale e della realpolitik delle grandi potenze, ovvero il principale elemento e cemento della nuova tendenza.

Anche se la creazione di un nuovo colonialismo europeo nei Balcani alla fine del XX secolo è una missione impossibile, vi è qualcosa d'altro che è possibile e che, in caso di uno sviluppo verso il peggio, avrebbe esiti ancora più negativi. Oggi è difficile prevedere in maniera elaborata e chiara quale sarà tale retroalternativa, ma alcuni suoi elementi si possono intuire. Diciamo che si tratta di nuove forme sistematiche di sfruttamento e dominazione, solo che ora esse sono prive di qualsiasi elemento di progresso, sviluppo e civiltà. Oppure di nuove forme di distruzione della mente, del progresso, della razionalità e dell'universalità, solo che ora ciò avviene sempre più richiamandosi ai valori dell'identità, della cultura e della civiltà. Un nuovo razzismo culturale. E una nuova violenza. E così via.

Non bisogna illudersi: i paesi post-jugoslavi, in particolare la Serbia e il Montenegro, rappresentano alla fine del XX secolo una tendenza planetaria, globale e non un fenomeno locale. Lo si vede, ovvero lo si sente, nel migliore dei modi, nei profondi disaccordi che ha suscitato nello stesso Occidente l'apice della nuova tendenza, il bombardamento della Jugoslavia da parte della NATO nella primavera del 1999. Non è rimasto nulla di quelli che un tempo erano gli atti di fede quasi unanimi nel progresso e nella legittimità della forza. Opinione pubblica divisa in due. Una grossa frattura, timori e sospetti.

E a costo di sembrare patetici, bisogna dire che sono meglio le fratture, i timori e i dubbi, del monolitismo, del trionfalismo e dell'arroganza. Un'alternativa positiva deve essere prodotta, non è qualcosa che c'è già. E in questo caso, al posto di tratti chiari, ci sono solo alcuni elementi fondamentali: creatività, intelligenza, immaginazione, coraggio e, soprattutto, nuova solidarietà.