JUGOSLAVIA: SE VUOI LA GUERRA, MANIPOLA I MEDIA
IL RUOLO DELL'INFORMAZIONE NEL CONFLITTO ETNICO


aprile 2001, di Nenad Pejic, giornalista di TeleSarajevo, articolo apparso su "Problemi dell'informazione" (anno XVIII, n.1, marzo 1993)

 

La caduta del comunismo nell'Europa dell'est è avvenuta del tutto all'improvviso. Il vecchio sistema politico è crollato senza che se ne affermasse uno nuovo. Negli ex paesi comunisti si è quindi verificata un'esplosione di problemi, totalmente al di fuori di un quadro di leggi e istituzioni, nella assoluta mancanza di pianificazione o quantomeno di esperienza, ed inoltre senza risorse ed in una congiuntura economica molto critica.
Tutti gli analisti politici si sono trovati d'accordo sul fatto che il comunismo si è sfasciato parallelamente all'esplodere delle questioni etniche. I diritti delle etnie sono diventanti più importanti dei diritti umani e la lotta politica per il potere si è trasformata in lotta per i diritti dei singoli gruppi etnici. Nel tentativo di edificare la democrazia, i paesi dell'est hanno organizzato elezioni parlamentari pluraliste in cui ciò che ha realmente dominato sono state le questioni etniche. Hanno vinto i partiti che strillavano più forte in favore del loro gruppo etnico di riferimento, non quelli con le idee più costruttive per l'intera collettività. Queste elezioni hanno quindi contribuito più ad aprire conflitti etnico-politici, che non all'affermazione di regimi democratici.
In Jugoslavia i leaders politici hanno coltivato nel proprio gruppo etnico la sfiducia sistematica verso le altre etnie. A questo fine si sono serviti dei media, in particolare della televisione. Quando gli appartenenti a etnie diverse sono diffidenti gli uni verso gli altri, è infatti assai facile manipolarli.
L'odio sciovinista nell'ex Jugoslavia è stato creato dai partiti politici di governo, in Serbia fin dal 1987 - secondo il piano di reazione della Grande Serba delle Scienze. In Croazia invece l'odio è stato fomentato a partire dal 1990, come conseguenza dello sciovinismo costituzionale serbo e come idea della creazione di una Croazia Indipendente, secondo gli intendimenti del movimento croato della II Guerra Mondiale. il primo passo di questa strategia è stato di stabilire un controllo sulle organizzazioni dei mass media, soprattutto sulle stazioni radiotelevisive.
Le nuove autorità televisive nominate dai partiti di governo iniziarono a produrre programmi "in nome degli interessi etnici". I leaders politici furono riconosciuti come protettori degli interessi etnici e i partiti al governo furono fatti passare per organizzazioni con lo stesso scopo. Con questo principio i media cessarono di rispondere a criteri di professionalità e iniziarono ad essere solo una parte della strategia politica dei leaders.
L'aumento delle tensioni etniche, il conflitto e infine la guerra compongono un processo che non può avvenire senza l'apporto dei media e soprattutto delle stazioni televisive. Il conflitto etnico è divenuto strategia di governo e l'appartenenza all'etnia il perno della manipolazione. Questa strategia è stata pianificata, guidata e organizzata dai leaders politici, soprattutto in Serbia. In sostanza, le divisioni nell'ex Jugoslavia sono partite dal vertice dei partiti politici, non dal popolo.
Prima della guerra vera e propria, nell'ex Jugoslavia è iniziata, orchestrata dai partiti di governo, la guerra dei mezzi di comunicazione. Questo processo iniziò sotto il regime comunista. C'erano allora sei stazioni televisive, una in ogni repubblica, tutte fondate dal partito comunista, che voleva stabilire su di esse un controllo totale, e particolarmente sull'informazione quotidiana. Ad ogni repubblica, in nome della sua sovranità, venne quindi garantita una rete televisiva che, pur facendo parte del sistema radiotelevisivo federale, iniziò a produrre telegiornali spiccatamente locali, "repubblicani". Non c'é niente di sbagliato naturalmente se una stazione televisiva diffonde notiziari di parte. Ma se non si trasmettono altre notizie se non le proprie, e se le redazioni di queste emittenti sono controllate dai leaders politici locali, allora è ovviamente questa la situazione ideale per alimentare il pregiudizio, lo sciovinismo, il conflitto e la guerra.
Il risultato di questo processo fu uno spazio informativo chiuso in una società chiusa: i serbi possono vedere solo il telegiornale della Televisione Serba, i Croati possono vedere solo il telegiornale della Televisione Croata.
A partire dal 1987 in Serbia e dal 1990 in Croazia, i governi repubblicani hanno sottoposto la stampa ad un controllo ancora più stretto di quello imposto dal regime comunista di Tito. I ministri dell'informazione di Belgrado e Zagabria si sono impegnati in uno sforzo di propaganda che avrebbe fatto arrossire Goebbels. Entrambi hanno soppresso YUTEL, il network nazionale appena nato, che l'ultimo governo federale aveva creato nel tentativo di incrinare i compartimenti stagni dell'informazione in Serbia e Croazia. La YUTEL era diretta da giornalisti molto rispettati ed era scrupolosamente onesta nei suoi servizi; per questo motivo era considerata nemica sia dal governo croato che da quello serbo.
Anche le locali reti televisive pubbliche di Zagabria e Belgrado che producevano programmi filo-bellici hanno contribuito a fomentare l'odio tra i gruppi etnici. Ecco perché dobbiamo parlare delle responsabilità della televisione per la guerra nell'ex Jugoslavia: non sono grandi quanto quelle dei partiti politici e dei loro leaders, ma sono comunque una parte della responsabilità complessiva.
Con la caratterizzazione etnica della programmazione ed in particolare dell'informazione televisiva si rafforza naturalmente un processo di identificazione tra gli spettatori e le loro stazioni televisive: le reti etniche producono via via sempre più programmi specificatamente rivolti agli appartenenti a quell'etnia, rinsaldando il legame. Invece che da giornalisti professionisti, i programmi televisivi vengono preparati da giornalisti etnici e gli spettatori guardano i programmi in qualità di membri di un gruppo.
Alla fine del 1991 stavo guardando il telegiornale di Belgrado con alcuni amici. La Televisione Serba riportò le due frasi seguenti: "Ecco i corpi dei Serbi che sono stati uccisi dalle forze Croate. Una commissione per l'identificazione si metterà al lavoro domani !".
Un amico mi chiese: "Lo vedi cosa ci stanno facendo ?". Ed io gli domandai: "Come fa un reporter a sapere che queste vittime sono dei Serbi, se la commissione per l'identificazione inizia a lavorare domani ?".
Tutti erano sorpresi. Non lo dissero ad alta voce - erano persone educate, ma erano preparati a ricevere delle bugie. Non riuscivano a distinguere le menzogne ed alla fine la maggior parte non voleva vedere la verità.
Le conseguenze sono davvero terribili nei paesi in cui convivono gruppi etnici diversi. Sia la televisione serba che quella croata sono parte integrante dello sforzo bellico della loro nazione. Hanno preparato le popolazioni al conflitto etnico. L'intera società è andata identificandosi con lo sforzo bellico e i media hanno rinforzato questa presunta unità di intenti, che abbraccia i partiti politici, i gruppi religiosi e addirittura quelli criminali.
I delinquenti infatti hanno iniziato a rubare, colpire ed uccidere la gente in nome dell'interesse etnico. Se un serbo ruba qualcosa ad un altro serbo, si tratta di un reato. Se invece ruba ad un croato, i media dicono che è stato un eroe. Se un croato picchia uno dei suoi, commette un illecito, ma se picchia un serbo, allora è eroismo. I killer ed i criminali appoggiati dai mezzi di comunicazione ufficiali trovano presto un elevato status sociale. Gli esempi di questo genere sono molto facili da trovare in Serbia e soprattutto nelle organizzazioni dei media serbi.
Uno dei più famosi gruppi di guerriglieri Serbi è la banda di Arkan. I soldati serbi l'anno soprannominata "divisione con il camion" perché arriva sul fronte con alcuni furgoni, ammazza la popolazione, la scaccia di casa e saccheggia sistematicamente le abitazioni. Alla fine del combattimento i furgoni lasciano il fronte con il bottino e bruciano le case derubate. Nei programmi della televisione serba la banda di Arkan è rappresentata come un manipolo di eroi.
Man mano che l'odio e la paura sono diventati i sentimenti predominanti tra i serbi e i croati, questi si sono dimenticati di settant'anni di vita in comune, della loro storia, della loro lingua, dell'economia comune e degli standards di vita che li avevano accomunati. Tutti i collegamenti tra le due ex repubbliche jugoslave sono stati interrotti: dalle linee telefoniche alle strade e alle ferrovie, fino allo scambio di informazioni. A metà del 1992 un gruppo di giovani creò a Londra un'agenzia per vendere informazioni ai media inglesi dall'ex Jugoslavia. In poco tempo sono riusciti però anche a vendere notizie dalla Croazia ai giornali di Belgrado e da Belgrado ai giornali della Croazia, tanto inesistenti sono le comunicazioni fra i due paesi.
Le generazioni future avranno bisogno di molti anni per dimenticare quest'ultimo triennio di vita delle comunità serbe e croate dell'ex Jugoslavia. Le migliaia di bambini che stanno crescendo adesso leggono libri e guardano programmi televisivi che insegnano loro a odiare i bambini degli altri gruppi etnici. Migliaia di loro hanno trovato nei criminali di guerra i loro idoli.
L'anno scorso, mio figlio, che ha quattordici anni, era in vacanza in estate in un villaggio serbo con la nonna. Naturalmente, guardava la televisione serba. Quando ritornò a Sarajevo, gli domandai se voleva venire con me a vedere una partita di basket tra una squadra croata ("Jugoplastika", campione europeo) e una bosniaca ("Bosna", ex campione europeo).
"Non mi piacciono i croati" - mi rispose - "e non mi va di andare a vedere una loro partita !". "Ma perché ? Non giocano bene a basket ?" gli chiesi. "Li odio. Sono tutti 'ustascia' e ammazzano i serbi !" mi rispose. "Ma sono un croato anch'io" gli feci notare. "Cosa ! ?" - si meravigliò - "Tu ? Croato ?". "Sì, io sono un croato". "Non è possibile, c'è qualcosa che non va" ammise. Ovviamente, "qualcosa" non andava. Ma aveva guardato la Televisione serba solo per due mesi. Che cosa può accadere di bambini che guardano questo genere di programmi per anni interi ?
Le pressioni esercitate su giornalisti, editori e altri impiegati nel settore delle comunicazioni equivalgono a quelle del peggiore periodo del comunismo. Questa gente è continuamente minacciata di tortura, riceve telefonate e lettere minatorie. I loro bambini sono terrorizzati da persone che dicono loro cose come "Uccideremo tuo padre", ed alcuni hanno ricevuto "lettere" contenenti escrementi umani. Ma la cosa non si ferma alle minacce: soltanto nei primi sei mesi di guerra civile, nell'ex Jugoslavia il numero di giornalisti uccisi è stato maggiore di quello della guerra del Vietnam.
Non sono però solo gli estremisti che esercitano una pressione costante, questi infatti sono organizzati dal vertice dei partiti politici. Se i giornalisti non vogliono ascolatare i "custodi" dell'etnicità, allora diventano immediatamente cattivi serbi, croati o moslem. E i giornalisti che diventano "cattivi" membri del loro gruppo etnico, non possono più godere della protezione del loro partito etnico-politico.
Le pressioni sui media hanno rapidamente diviso i giornalisti in tre categorie: i nostri , i loro e quelli di nessuno.
Le maggiori pressioni furono esercitate da tutti i partiti proprio sui giornalisti indipendenti che non accettavano direttive da nessuno. Alcuni di loro non riuscirono a tollerarlo e, dal momento che non volevano diventare degli ostaggi nella partita giocata dai leaders, diedero le dimissioni. Lo speaker di Radio Zagabria si dimise nel febbraio del 1992, per protestare contro le restrizioni imposte dal presidente della Comunità Democratica Croata (HDZ), Tudjman. "Non si è mai messo al bando tanto come in questo momento" - disse, - "Era più semplice per me lavorare sotto il comunismo che non oggi".
A metà di aprile del 1992 si verificò una situazione drammatica alla diga di Visegrad - una cittadina nell'est della Bosnia. Alcuni soldati musulmani la occuparono, installarono degli esplosivi e dissero che volevano farla saltare per aria. Nella mia posizione di editore capo della Televisione di Sarajevo, ricevetti due telefonate: la prima era del raggruppamento politico musulmano: "Signor Peijc, se lei non trasmette in diretta la nostra conversazione telefonica con i soldati di Visegrad, quelli faranno saltare la diga !".
La seconda chiamata proveniva dal partito politico Serbo: "Signor Pejic, se le trasmette in diretta la conversazione telefonica con il gruppo paramilitare musulmano alla diga di Visegrad, noi oscureremo i suoi trasmettitori !".
Così, io avevo davanti due telefonate, due partiti politici, due parti in guerra, due minacce, due secondi per decidere quale conseguenza accettare. Decisi di mandare in onda la telefonata con i soldati musulmani alla diga, per evitare una catastrofe. Pochi minuti più tardi, una formazione paramilitare serba iniziò ad oscurare i trasmettitori di TeleSarajevo.
Di fronte alle pressioni, i giornalisti cominciarono a dividersi tra chi rimaneva giornalista davvero e chi invece sceglieva di combattere la guerra dalle stanze di una redazione: tra veri giornalisti e giornalisti "etnici". Alcuni cronisti avevano intuito molto in fretta le implicazioni. Non volevano contribuire a produrre la guerra civile e provarono a fare resistenza. Ma questi giornalisti non erano organizzati e la televisione serba, per dirne una, trovò subito altri giornalisti ed editori, mentre i migliori venivano rimossi dall'incarico e assegnati a servizi meno prestigiosi, con retribuzioni più basse. L'atteggiamento dei governi era elementare: se ci stai sarai pagato, se non ci stai è meglio che ti trovi un'altro lavoro.
I politici pretendevano di essere i soli a sapere come proteggere gli interessi etnici. Ovviamente volevano decidere anche chi fossero i difensori dell'etnicità dentro i mezzi di comunicazione.
Nonostante tutto, rimaneva però nell'ex Jugoslavia una seria e continua resistenza ai nuovi regimi etnici: i giornalisti della Bosnia ed Erzegovina. La Bosnia ed Erzegovina è una repubblica ed ora uno stato indipendente con una struttura etnica mista: c'è un 44% di musulmani, un 31% di serbi e un 18% di croati. Così le opinioni politiche nella Repubblica non sono mai state tanto forti e coese come per esempio in Croazia, dove c'è un 86% di croati e un 14% di serbi, oppure in Serbia, dove esiste un 70% di serbi, un 15% di albanesi, un 5% di ungheresi ed altre minoranze. In Bosnia ed Erzegovina, dopo la fine del comunismo si formarono coalizioni tra i tre partiti etnico-politici, ma nessuno di questi era forte abbastanza per controllare l'intera società.
TeleSarajevo aveva inoltre iniziato a diventare sempre più libera già durante l'ultima fase del dominio comunista.
In Bosnia ed Erzegovina, l'Assemblea repubblicana approvò nuove leggi in materia di comunicazione a metà del 1989, quasi diciotto mesi prima delle elezioni pluraliste. Tali leggi disposero l'elezione a scrutinio segreto del Direttore e dell'editore capo da parte dello staff, salvo approvazione da parte del Parlamento, ed inoltre la nomina del consiglio d'amministrazione da parte dei dipendenti, la nomina di vari organismi rappresentativi tratti da differenti gruppi sociali e dal Parlamento. Così, per la prima volta nella storia dei media jugoslavi, i dipendenti avevano il diritto di eleggere direttamente i loro superiori.
Quando si tennero in Bosnia ed Erzegovina le nuove elezioni multipartitiche nel novembre 1990, TeleSarajevo era già una televisione libera a tutti gli effetti. Il suo problema principale era quello di mantenere lo stesso livello di indipendenza anche dopo le elezioni. I vincitori delle elezioni, ossia i tre maggiori partiti etnico-politici, manifestarono infatti subito l'intenzione di insediare nuove autorità televisive. TeleSarajevo non aveva nessuna intenzione di subire. Cominciò quindi la pressione politica sulla redazione di TeleSarajevo: era sui giornalisti che pesavano i condizionamenti più forti.
Si è trattato di una pressione sistematica e continuativa fin dalle elezioni del 1990. Tutti i partiti etnici senza eccezione hanno tentato di farsi strada all'interno della redazione, a volte offrendo incarichi e denaro, a volte minacciando licenziamenti. Anche gli spettatori non erano da meno: le loro pressioni consistevano nel fatto che ognuno voleva sentir enunciare la propria versione della "verità".
Ma la pressione non è stata soltanto di natura politica. In una società povera, la pressione economica risulta spesso ancora più efficace. I partiti etnico-politici che diedero vita al governo di coalizione nel novembre 1990 incitarono il pubblico al boicottaggio, rifiutandosi di pagare il canone d'abbonamento. Su una popolazione totale di quattro milioni, circa 1.200.000 possiedono la televisione, ma solo 700.000 lo ammettono e di questi ultimi, solo 300.000 pagano il canone. Quasi un terzo di questi smise di pagarlo, con una perdita mensile di 600.000 sterline. In risposta, TeleSarajevo si finanziò con la pubblicità. Fino alla fine del 1989 solo il 9 % del reddito proveniva dalla pubblicità, mentre il restante 91 % proveniva dal pagamento dei canoni. Con la fine del 1991 le risorse provenienti dal canone erano diminuite al 74 %, mentre il reddito da pubblicità era salito al 26 %. All'inizio del 1992 la percentuale di possessori di una televisione che pagava il canone era del 40 %. TeleSarajevo perdeva 1,3 milioni di sterline al mese. Il danno è stato irrecuperabile.
A questi attacchi resistettero giornalisti di tutti i settori. Nel marzo del 1991 gli impiegati di RadioSarajevo, TeleSarajevo e del quotidiano Oslobodjnje, ed alcuni della stampa locale dimostrarono di fronte al parlamento della repubblica. Era la prima dimostrazione anti governativa dopo le elezioni pluraliste. Era anche la prima dimostrazione in favore dei diritti civili e non per i diritti delle etnìe. RadioSarajevo, TeleSarajevo e il quotidiano Oslobodjnje (La Liberazione) accusavano il governo di infrangere la legge, adottando nuove norme per l'elezione delle autorità in materia di comunicazioni. Portarono il loro caso dinanzi alla giustizia e tutti si aspettavano un verdetto negativo per i giornalisti, per motivi politici. Pertanto fu una grande sorpresa quando i giornalisti vinsero la causa.
Col passare del tempo, continuava a crescere la tensione tra i partiti etnico-politici, la gente era delusa dai ministri e dal parlamento repubblicano. Stavano diventando evidenti le fratture nelle differenti parti della società. Al posto della democrazia, i partiti etnico-politici avevano stabilito un controllo basato sul principio del divide et impera su direttrici etniche. Il partito serbo democratico si spinse fino a dichiarare ufficialmente che la stazione televisiva avrebbe dovuto dividersi in tre canali etnici.
Quando domandai al capo del partito serbo democratico qual era l'idea di queste divisioni, e, per esempio, chi avrebbe dovuto nominare i giornalisti per il canale serbo, egli mi rispose: "I giornalisti serbi per la televisione serba saranno eletti dal Parlamento serbo !".
Comunque TeleSarajevo si sforzò di mantenersi indipendente ed imparziale e i suoi inviati producevano servizi su entrambe le fazioni in lotta. Ma da nessuna parte erano ben visti. Sul fronte serbo riuscivano a lavorare solo inviati della televisione serba, mentre sul fronte croato riuscivano ad operare solo giornalisti della televisione croata. I loro cameramen e reporters filmavano e dicevano soltanto ciò che rispondeva agli interessi del loro gruppo etnico. La verità era dimenticata.
L'esempio seguente è illuminante su tale genere di politiche editoriali, e illustra adeguatamente anche il livello delle divisioni fra gli spettatori in Bosnia ed Erzegovina.
Nell'ottobre 1991 la Televisione serba trasmette infatti il servizio sulla storia di un prete ortodosso picchiato da forze croate. Lo stesso giorno, la Televisione croata trasmette il servizio sulla storia di un prete cattolico malmenato da esponenti serbi. Il punto è che entrambe le storie sono vere. Ma la Televisione serba tace sulla storia del prete cattolico, e altrettanto fa la Televisione croata sulla storia del prete ortodosso. TeleSarajevo trasmette entrambi i servizi. Già durante i primi minuti della trasmissione sul prete ortodosso picchiato dai croati, spettatori croati protestarono e definirono TeleSarajevo filo-serba. Pochi minuti più tardi, quando andò in onda la storia del prete cattolico, fu la volta degli spettatori serbi di protestare e di chiamare TeleSarajevo ustascia.
L'episodio offre un buon esempio perché:
evidenzia come le trasmissioni della Televisione serba o croata stessero creando uno spazio televisivo chiuso, mentre TeleSarajevo stava cercando di mantenere l'informazione televisiva pluralista;
è semplice riconoscere la verità dalla mezza verità, e si vede come le mezze verità siano state usate per creare tensioni etniche;
infine è ben riconoscibile una linea di demarcazione etnica nella divisione tra il pubblico.
In una situazione simile, una televisione professionale ha un unico compito: cercare di insegnare alla gente ad ascoltare entrambe le parti politiche. Solo con questa politica editoriale è possibile creare la pace e la tolleranza. Con le politiche editoriali che non rispettano gli standard della professionalità è possibile creare soltanto odio, conflitto e guerra.
La guerra civile in Croazia ha originato la più grande tensione etnica e l'esperienza di avversione interetnica più grave in Jugoslavia dalla seconda guerra mondiale.
Anche gli spettatori di TeleSarajevo, per la maggior parte, erano divisi - specialmente all'inizio delle tensioni etniche, quando ancora la gente non riusciva a rendersi conto delle conseguenze della politica dei partiti etnici, in particolare del radicalismo del partito democratico serbo. Ma più tardi, quando ci si rese conto delle conseguenze, la gente riprese a sostenere TeleSarajevo.
In seguito alla richiesta ufficiale da parte del partito democratico serbo di dividere TeleSarajevo in tre canali - uno per ogni comunità etnica, - TeleSarajevo fece un sondaggio tra la popolazione e chiese se volevano i canali etnici o un servizio unico. Gli spettatori votarono contro la frammentazione della rete per un totale di 330.000, e solo 35.000 votarono per la separazione in tre canali "etnici". Dopo il sondaggio il partito democratico serbo disse che la televisione non aveva nessun diritto di andare a chiedere alla gente la sua opinione.
Il partito voleva in sostanza il controllo su TeleSarajevo. Con una rete televisiva ai loro ordini, avrebbero potuto produrre a loro piacimento le tensioni e i conflitti etnici. Ma, dal momento che il tentativo fallì, si impadronirono del trasmettitore e dello studio locale a Banjaluka, e quando iniziò la guerra vera e propria, distrussero o rubarono sette dei nostri nove ripetitori.
A tutt'oggi, invece, la televisione serba non dà notizia dei campi di concentramento organizzati dal partito politico serbo, delle epurazioni etniche, degli assassini e delle espulsioni dei musulmani. Informa al contrario sui serbi che stanno nei campi di concentramento, che vengono uccisi e scacciati dalle loro case. Delle epurazioni, nessuna traccia.
L'esempio seguente evidenzia al meglio il clima di menzogne. È un episodio del luglio 1992, quando la televisione serba diede notizia di alcuni serbi assassinati nella cittadina di Visoko in Bosnia. Queste sono le frasi usate: "Le forze ustascia hanno gettato i corpi dei serbi nel fiume Drina, dal ponte di Visoko (città della Bosnia). I cadaveri dei serbi sono stati ripescati a Ilidja (città della Bosnia)".
Ci sono due punti scandalosi in questa notizia. In primo luogo il fatto che non c'è nessun fiume Drina a Visoko, soltanto il fiume Bosna. E poi il fatto che il fiume Bosna scorre da Ilidja a Visoko, non da Visoko verso Ilidja ed è impossibile che qualsiasi cosa possa andare alla deriva controcorrente.
La relazione tra giornalisti professionali e giornalisti etnici, tra media professionali e partiti politici di governo diventa insomma una lotta tra:
professionalità e politica
verità e mezze verità
comunità civica ed etnica
libertà e controllo
società aperta e chiusa
democrazia e dittatura
Nelle repubbliche dell'ex Jugoslavia, la Serbia e la Croazia, possiamo parlare oggi soltanto di dittatura. I governi sono ancora al potere solo grazie al fatto che controllano le stazioni televisive, la polizia e l'esercito. Alla fine di questo processo che è iniziato in Croazia con le purghe etniche e che continua ora in Bosnia ed Erzegovina, si trova il processo di epurazione che deve portare ad una società etnicamente purificata.
Il reciproco embargo nell'informazione ha reso possibile ai serbi e croati di portare alle stelle la febbre bellica, quindi di far entrare in guerra la loro gente, ed ora di mantenere vivo il consenso per una guerra che tutti paventavano, e che ha costi tremendi. Sarebbe più facile fermare la guerra se le popolazioni della Serbia e della Croazia si rendessero conto di quanto le hanno maltrattate i loro governi "democraticamente eletti". I serbi e i croati non sono stupidi, né legati da un odio di vecchia data. Sono persone che sono state manipolate dagli sforzi propagandistici di governi ultranazionalistici per fargli fare una guerra che essi non volevano.
Prima che sul campo di battaglia, il conflitto è scoppiato nei programmi televisivi. È stato creato soprattutto da parte dei serbi, dal momento che in Serbia è iniziato nel 1987 ed in Croazia nel 1990. Se questo processo ha preso piede a partire dai mezzi di comunicazione, è sempre a partire da loro che potrebbe finire. Uno dei sistemi più efficaci per fermare la guerra sarebbe appunto di rompere questi compartimenti stagni dell'informazione , in particolare incrinando il totale controllo governativo sulla televisione.
Le divisioni nella società sono partite dal vertice dei partiti politici, non dalla gente. All'inizio di questo processo, servendosi delle organizzazioni dei mass media si è puntato sulla testa calda per far dimenticare lo stomaco vuoto. Lo stomaco oggi è ancora vuoto - ma le teste non sono più calde.
La gente dell'ex Jugoslavia sta imparando nuovamente la stessa lezione della seconda Guerra Mondiale - l'etnicità come interesse dominante ed esclusivo è solo una maniera di governare, solo un modo di manipolare.