UNA TESTIMONIANZA DALLA KOSOVA: LUGLIO-NOVEMBRE 2000
VITA QUOTIDIANA NELLA KOSOVA AL TEMPO DELLA KFOR


aprile 2001, di Andrea Speranza

 

Klina
Shtupel
La comunità serba
L'UNMIK
Le ONG
La KFOR e il TMK
Le elezioni municipali del 28 ottobre
In breve



KLINA
Il luogo nel quale ho soggiornato in Kosova dalla metà di luglio al novembre 2000 è la città di Klina, situata nella zona nord-occidentale della Kosova, dove è stanziato il comando portoghese della Kfor, nell'area sotto la giurisdizione dell'esercito italiano. Klina si trova a circa 20km di distanza da Peja, ad occidente della Drenica (Skenderaj si trova a circa 20km a nord-est di Klina). La municipalità di Klina, che comprende 55 villaggi, è stata duramente colpita dai due anni di guerra; le distruzioni maggiori sono state apportate delle forze speciali di Belgrado, che tra la prima offensiva (agosto 1998) e la seconda (marzo-giugno 1999) hanno causato danni alle infrastrutture e ad una percentuale di circa il 70% delle abitazioni civili (cifra che comprende le abitazioni di cat. 4, gravemente danneggiate, e quelle di cat. 5, completamente distrutte).
In città e nei villaggi della municipalità non vi sono più tracce della comunità serba, che ha abbandonato le abitazioni e l'intera zona contemporaneamente al dispiegamento delle truppe della Kfor, di spontanea iniziativa oppure costretti a farlo dalla comunità albanese; unica eccezione un gruppo di 4 suore ortodosse, guardate a vista a Budisalc dalla Kfor portoghese. Esiste invece a tutt'oggi una comunità rom, concentrata in alcuni villaggi, che ha il suo nucleo principale nel villaggio di Shtupel (circa un centinaio di persone).
L'area di Klina è stata anche oggetto di bombardamenti delle forze Nato nel periodo marzo-giugno 1999. All'ingresso della città sono ben visibili le rovine della vecchia stazione degli autobus, nella quale si nascondevano alcuni tank dell'esercito serbo. Le case circostanti sono state investite dall'onda d'urto: finestre rotte e tegole volate via ne sono la testimonianza visiva, per non parlare dell'inquinamento chimico causato dai proiettili all'uranio impoverito che la Nato ha utilizzato per colpire questo obiettivo, come recentemente dichiarato dai periti dell'UNEP (United Nations Environmental Program), che hanno analizzato il sito.
Klina è costituita da un'arteria principale, sulla quale si affacciano i due ristoranti, le decine di chioschi e i negozi di alimentari, che termina nella Piazza Muje Krasniqi, uno spiazzo di terra sporca e fangosa, al centro della quale è stato eretto una lapide in memoria del leggendario, almeno nella zona, comandante della brigata UCK che operava in quell'area, ucciso in battaglia durante la guerra. Su uno dei lati della piazza, proprio sotto il palazzo che ospita la sede dei principali partiti politici albanesi, è ben visibile un grande murales a colori, che raffigura Adem Jashari, con l'immancabile "pliss" (il copricapo tradizionale dei capifamiglia albanesi) in testa, caricatore a tracolla e kalashnikov tra le mani. Poster, immagini e fotografie di Adem Jashari e dell'UCK sono presenti in pratica in ogni locale della città e sui muri delle case.
Sulla strada principale si affaccia anche il palazzo della municipalità, dove ha preso sede l'UNMIK (l'amministrazione civile delle Nazioni Unite), con la sede della polizia internazionale, sempre a guida UNMIK.
L'OSCE ha sede invece in una strada laterale, mentre il comando della Kfor portoghese è situato lungo la ferrovia, in fondo ad una strada adiacente alla vecchia grande fabbrica di grano, ora dismessa.
Le condizioni della viabilità sono disastrose: buche enormi, fango, sporcizia, lavori in corso fanno sì che attraversare la città possa comportare una mezz'ora buona, il tutto per percorrere poche centinaia di metri. Le strade, già in condizioni pessime prima della guerra, sono state ulteriormente danneggiate dai tank serbi prima, poi dalle centinaia di camion carichi di materiale edile che scorrazzano e la fanno da padroni a partire dai mesi successivi alla guerra. Il mercato si tiene ogni martedì e contribuisce ulteriormente ad intasare le strade della città.
Klina è bagnata dal Drini i bardhe (Fiume Bianco), corso d'acqua dall'aspetto inquietante e dai colori non troppo rassicuranti, nel quale d'estate si bagnano a frotte bambini e ragazzi, incuranti delle condizioni ambientali.
Durante la mia permanenza a Klina la Kfor portoghese ha trovato una cassa di missili antiaerei serbi sul fondo del fiume, che ha fatto brillare, evacuando per qualche ora la zona, proprio nel punto nel quale i bambini facevano il bagno e i pescatori andavano a pesca.
La città prende vita al pomeriggio, dopo che i ragazzi sono usciti da scuola: fino alle 18.00-19.00 lo struscio lungo la strada principale è notevole. Al calare dell'oscurità la gente si barrica in casa, esiste una sorta di coprifuoco non dichiarato; a quel punto i padroni della città diventano i cani randagi, che si aggirano a branchi, sporchi, affamati, rabbiosi. I latrati delle bestie che si azzannano tra loro costituiscono il suono caratteristico della notte di Klina.
I palazzi della città, dall'aspetto orrendo, rispecchianti fedelmente lo stile dell'architettura socialista, sono abitati da famiglie albanesi numerosissime, che in alcuni casi hanno occupato appartamenti di proprietà di serbi che sono fuggiti e che presumibilmente non torneranno mai più. L'UNMIK lascia fare.
Le condizioni igienico-sanitarie degli appartamenti sono abbastanza precarie: si passa dalla famiglia "benestante", con stanze arredate dignitosamente e relativamente pulite, alla famiglia che ha occupato l'appartamento di un serbo, senza alcuna risorsa, che vive in condizioni igieniche allarmanti.
A Klina, come in tutte le altre 29 città capoluogo di municipalità, l'UNMIK ha imposto la creazione di un Centro Collettivo (Community Shelter), una struttura che ospita famiglie di senzatetto o comunque particolarmente bisognose. In città il Centro Collettivo è stato gestito per alcuni mesi da Intersos, poi è passato ad una ONG statunitense, l'ADRA (American Adventist Relief Association). Ospita un centinaio di famiglie albanesi e il meccanismo di "reclutamento" funziona, almeno sulla carta, in questo modo: le famiglie presentano al "Centro Sociale" (istituito sotto Tito insieme ad una Biblioteca Popolare abbastanza fornita) la loro candidatura. I funzionari del Centro Sociale presentano i casi a loro avviso più bisognosi al manager del Centro Collettivo, il quale dovrebbe monitorare personalmente le condizioni di effettiva necessità delle famiglie da ospitare.
Gli accolti, stipati in piccole stanze, che ospitano fino a 6-8 persone, ricevono una dose giornaliera di cibo (pane, olio, farina) dall'organizzazione che gestisce il centro e usufruiscono dell'alloggio gratuitamente. Naturalmente le polemiche e li invidie degli esclusi nei confronti di questi privilegiati sono all'ordine del giorno. Le famiglie alle quali le ONG hanno ricostruito la casa sono fatte sloggiare, per fare posto ai nuovi arrivati. Problemi notevoli ha causato il fenomeno del ritorno in patria degli emigrati kosovari dalla Svizzera, Austria e Germania, che in alcuni casi sono tornati senza avere la sicurezza di un alloggio e sono andati ad allungare la lista d'attesa dei pretendenti al "Grand Hotel"
La gente di Klina è molto cordiale con gli stranieri, i giovani maschi ti danno subito confidenza, in maniera a volte eccessiva, mentre le donne sono taciturne e molto riservate, rispecchiando in questo modo i rapporti di subalternità che esistono all'interno della struttura familiare albanese nei confronti dell'elemento maschile.
La disoccupazione è un fenomeno diffusissimo, si vedono decine di giovani girovagare senza meta per le strade o sbevazzare e fumare negli squallidi bar del centro.
L'UCK in città costituisce un qualcosa di sacro, di intoccabile, un patrimonio di tutti, parte dell'identità collettiva della popolazione. I comandanti sono assurti al ruolo di martiri ed eroi, chi ha combattuto viene rispettato da tutta la comunità. Figure come Adem Jashari e Muje Krasniqi a Klina sono leggendarie.
Non c'è spazio a Klina per i serbi e non ce ne sarà mai, a giudicare da come ne parla la gente. Durante la guerra le vittime albanesi delle milizie di Belgrado sono state molte, anche se l'UCK non riuscì mai ad organizzarsi militarmente sul territorio. I guerriglieri della zona di Klina si trasferirono in massa, clandestinamente e di notte, in Drenica, per raggiungere le zone "liberate", sulle colline attorno a Skenderaj.
Circa 100 abitanti albanesi di Klina risultano scomparsi o attualmente reclusi nelle carceri serbe. La città conta oggi su circa 15.000 abitanti (circa 55.000 in tutta la municipalità).

SHTUPEL
Shtupel, a 7 km da Klina, è il villaggio nel quale ho lavorato. Prima della guerra a Shtupel esisteva una comunità serba, minoritaria, fuggita dopo la fine della guerra e le cui case sono state bruciate. Nel corso delle due offensive serbe sono state distrutte la gran parte delle case degli albanesi musulmani. Ora il villaggio consta della comunità albanese di fede musulmana, che costituisce la maggioranza, le cui condizioni economiche sono in generale difficili. I clan familiari sono raggruppati tra loro, il numero dei bambini per famiglia è molto numeroso, alcuni nuclei familiari vivevano fino a pochi mesi fa in tende donate dalla Caritas Svizzera o dall'UNHCR.
A Shtupel esiste anche il "quartiere cattolico", dove vive la minoranza albanese di fede cristiana. Costituisce il quartiere di gran lunga più benestante del villaggio; le case di queste famiglie non sono state toccate dai raid della polizia e dell'esercito serbo. I rapporti tra gli albanesi musulmani e quelli cattolici non si possono definire idilliaci; esiste una certa diffidenza reciproca, comprovata dai problemi che sono sorti in occasione dei danni arrecati al magazzino del rappresentante della comunità cattolica nel corso degli scarichi di materiale edile a favore delle famiglie musulmane. I cattolici si sentono indubbiamente superiori, membri di un'élite che nulla ha che vedere con la maggioranza della popolazione musulmana. Le teorie di stampo razzista, secondo le quali ai cattolici sarebbe riconosciuto un livello intellettivo superiore, le ho sentite ripetere più volte dai nostri interpreti e mediatori culturali locali, rigorosamente di fede cattolica (sic...).
Da considerare che la municipalità di Klina costituisce il serbatoio principale, in tutta la Kosova, della comunità albanese cattolica. Buona parte del circa il 6% dei cattolici (sul totale della popolazione albanese) si concentra nell'area di Klina. Nella zona esistono tre parrocchie cattoliche, nella stessa Klina, a Zllokuqan e a Budisalc.
Vi segnalo la grottesca e triste figura di Don Frane Sopi (a proposito, il clan cattolico Sopi nella zona impera...), il parroco di Klina. Costui, tra l'altro parente del vescovo cattolico di Prizren, sentendosi in posizione subalterna rispetto ai parroci di Zlloqukan e Budisalc, che hanno una propria chiesa, ha pensato bene di sfruttare l'ondata umanitaria di ONG presenti e di cercare di farsi finanziare dalle buon anime cattoliche occidentali la costruzione di una gigantesca cattedrale, composta tra l'altro da due campanili dell'altezza di 26 metri! Costituirebbe la chiesa cattolica più grande della Kosova. Con i soldi necessari, ho calcolato, le ONGs potrebbero ricostruire qualcosa come circa 40 case. Per fortuna Don Frane, almeno per ora, è riuscito soltanto ad iniziare i lavori.
Nell'area si vocifera molto sul fatto che la comunità cattolica sia stata risparmiata dalle squadracce dei paramilitari serbi durante la guerra. E' un fatto che Don Frane comunque sia rimasto in città per tutta la durata dei bombardamenti Nato, ospitando nei locali della parrocchia migliaia di albanesi, indipendentemente dalla loro fede religiosa. Per questo egli viene comunque rispettato da tutti.
A Budisalc, villaggio del mio interprete, a maggioranza cattolica, gli uomini durante la guerra hanno deciso di non prendere le armi, scegliendo in questo modo di non mettere a rischio le loro famiglie dalla prevedibile rappresaglia dei reparti serbi. Solo tre case sono state bruciate.
Nel complesso i rapporti tra comunità cattolica e musulmana albanese sono comunque buoni. Tuttavia va notata la separazione fisica degli abitanti a Shtupel: il quartiere cattolico è situato all'ingresso del villaggio, gli uomini ed i ragazzi cattolici è difficile che frequentino i loro coetanei musulmani e viceversa. Nella "taverna" del villaggio, situata nella piazza principale e di proprietà del capovillaggio, un musulmano, si vede ogni tanto soltanto il cosiddetto "rappresentante", o capoclan, del quartiere cattolico.
Esiste poi la comunità rom a Shtupel, situata in un quartiere in collina, al centro del villaggio. I rom non hanno subito danni durante la guerra e questo è spiegabile, a detta degli albanesi del villaggio, con la loro presunta collaborazione con le milizie serbe. Alcuni uomini, arruolati nell'esercito o nella polizia serba, si sono resi responsabili di crimini nei confronti della popolazione albanese e sono fuggiti all'estero o in Serbia alla fine della guerra. Rimangono le loro famiglie, donne, anziani e bambini. Da più di un albanese ho sentito raccontare varie versioni sui fattacci ed essi imputati. I rom hanno il loro punto di ritrovo, un piccolo spaccio che si trova ad un centinaio di metri dalla "taverna" del capovillaggio. In questa sorta di spaccio ho iniziato a parlare con un uomo, che parlava italiano avendo lavorato in Veneto per alcuni anni. La discussione è salita di tono in seguito alle mie domande su che tipo di rapporti ci sono con gli albanesi. I rom hanno negato di avere commesso alcun crimine durante la guerra e sostengono il buon vicinato con gli albanesi. I fatti comunque parlano da soli: esistono alcuni uomini rom che vivono barricati in casa e che non possono uscire, pena la rappresaglia della comunità albanese, che tollera la loro presenza nel villaggio soltanto a questa condizione.
Un episodio emblematico, che può dare un'idea delle tensioni tra comunità albanese e rom in generale in questa parte della Kosova, si è verificato a novembre e purtroppo si tratta di una tragedia. Il figlio di uno dei miei capimastri, un uomo di 32 anni, sposato, con due bimbi piccoli, ex guerrigliero dell'UCK, poi membro delle TMK ed attivista dell'AAK, la coalizione di partiti guidata da Ramush Haradjnaj, è stato ucciso a sangue freddo a Shtupel, sulla porta di casa, da due misteriosi killer albanesi. Al funerale di Nezir Milazim erano presenti tutti i rappresentanti dei clan del villaggio (la vittima era membro del clan dei Dallaveri, musulmano, il più numeroso ed importante di Shtupel), compresi quello cattolico e due uomini del clan dei Kerellaj, in rappresentanza della comunità rom. Quest'ultima presenza ha alquanto sorpreso in un primo momento, poi in seguito si è saputo cosa c'era dietro.
Pare che il tutto andasse fatto risalire al periodo immediatamente successivo alla fine della guerra. Nezir e altri membri dell'UCK a quel tempo (estate '99) tutte le notti, a turno, effettuavano un servizio di ronda al villaggio, in quanto la sicurezza era ancora relativa e pare che ci fossero ancora gruppi armati di serbi nelle vicinanze. Quella notte alcuni albanesi armati, provenienti dalla Drenica, attaccarono il quartiere rom di Shtupel, ferendo due ragazze, che furono trasportate in ospedale dai volontari italiani dell'organizzazione di cui ho fatto parte. Pare che Nezir abbia messo in fuga gli aggressori a colpi di kalashnikov, ferendone anche un paio. Perchè rischiare la pelle per dei rom? (si chiedono gli albanesi...). Sembra che il ragazzo avesse buoni rapporti con alcune delle famiglie rom, oltre a dicerie su un presunto legame sentimentale con una ragazza. Dunque, dalla Drenica, un anno e mezzo dopo, sarebbero arrivati al villaggio a saldare i conti con il povero Nezir.
La presenza dei rappresentanti rom al funerale si spiegherebbe in questi termini.
Dopo la fine della guerra comunque, la solidarietà mostrata durante il conflitto tra i vari clan albanesi musulmani, pare essere svanita completamente. Tutti pensano ora al proprio cortile, desiderosi di accaparrarsi la maggior quantità di materiale edile dalla nostra ONG, a mungere la vacca d'oro. Non c'è assolutamente alcuna collaborazione tra famiglie diverse, e anche all'interno della stessa famiglia, i rapporti non sono sempre buoni. Per esempio esistono casi di rapporti problematici tra fratelli, i quali hanno la casa a due passi uno dall'altra, ma non si aiutano reciprocamente nei lavori edili; se uno dei due è in difficoltà, per esempio per mancanza di manodopera, non è certo il fratello, che ne ha in abbondanza, a dargli una mano... Il figlio maschio che decide di lasciare il nucleo famigliare per andare a vivere con una donna (chiaramente dopo il matrimonio!) di solito non può più contare sull'aiuto della famiglia di origine e deve essere in grado di autosostenersi economicamente. Queste situazioni sono tipiche della cultura rurale albanese di queste regioni, ancorata ai valori tradizionali.
Il capovillaggio, ex guerrigliero UCK, è stato nominato dai comandanti militari della zona dopo la fine della guerra. E' rispettato da tutti, ma non ha alcun potere reale nel villaggio. Firma gli atti di matrimonio e rappresenta Shtupel ed altri 4 villaggi della zona nelle riunioni alla municipalità di Klina.
Per direttiva UNMIK, in ogni villaggio nel quale una ONG ricostruisce abitazioni civili, deve essere formata una commissione per la ricostruzione, che ha il compito di redigere la lista di case da ricostruire, privilegiando i casi sociali. I meccanismi di elezione/nomina della commissione sono oscuri, comunque a Shtupel quest'organismo era composto da 5 persone, riconosciute tra le più autorevoli del villaggio. La lista che ne è venuta fuori ha rispecchiato abbastanza fedelmente gli interessi di alcune famiglie, lasciando discriminati alcuni nuclei familiari. La lista che è stata redatta comprendeva tutte le 106 case albanesi distrutte o danneggiate durante la guerra. I fondi della ONG hanno consentito di ricostruire soltanto le prime 20 case della lista (redatta in teoria in ordine di priorità). Tra le 20 case costruite, quasi la metà appartengono a persone che avrebbero avuto le risorse per ricostruirsele da sole, mentre sono rimaste fuori alcune famiglie veramente disastrate. Al numero 18 della lista si trova la casa di un tal Beqir Dallaveri, titolare di un'impresa edile a Peja! La casa numero 21, la prima degli esclusi, era in condizioni disastrose...
Il compito delle ONG, una volta redatta la lista da parte della commissione per la ricostruzione del villaggio, sarebbe quello di effettuare, per quanto possibile, un monitoraggio dell'effettivo stato di necessità del beneficiario, in modo tale da avere elementi oggettivi per eventualmente apportare dei cambiamenti alla famigerata lista. E' molto difficile contare i soldi in tasca alla gente, soprattutto in Kosova, dove per alcune delle famiglie la principale fonte di approvvigionamento rimangono le rimesse dei loro parenti che lavorano all'estero. E' quindi all'ordine del giorno assistere alla costruzione di case a due piani, di cui uno fornito dalla ONG di turno e l'altro costruito completamente a spese del beneficiario. E' comunque da sottolineare che le Organizzazioni non Governative non abbiano assolutamente, per quanto ho potuto constatare io, effettuato dei seri monitoraggi riguardo allo stato di necessità dei beneficiari. Gestione delle risorse e dei fondi non proprio ottimale, per usare un'espressione molto soft.

LA COMUNITA' SERBA
Come vi ho detto nella municipalità di Klina non ci sono più serbi. Gli unici serbi che ho visto in città, attraverso i vetri oscurati di un pullman dell'UNMIK con una bandiera danese, sono quelli che dal nord del Kosova stavano viaggiando verso un'enclave. La scena era abbastanza impressionante: tre tank tedeschi, il pullman, altri due tank che seguivano.
I contatti con la comunità serba ho avuto modo di allacciarli la prima volta andando a visitare il Patriarcato della Chiesa Ortodossa di Pec. Luogo tanto bello sotto l'aspetto artistico, quanto traspirante un'aura inquietante. Vi vivono alcune decine di civili (non mi hanno voluto dire il numero per "ragioni di sicurezza"), oltre ai monaci ed alle suore ortodosse. Ho assistito alla cerimonia ortodossa in una delle tre chiese che compongono il complesso del Patriarcato (due ore di funzione!), un'esperienza comunque da vivere. Le interminabili cantilene delle suore, la ritualità dei fedeli, gli splendidi affreschi alle pareti. Certo che non puoi fare a meno di pensare che un luogo così bello sotto l'aspetto artistico, così maestoso e austero, così ricco di storia, sia stato utilizzato strumentalmente dalla propaganda di regime, per giustificare i crimini commessi in Kosova, in nome appunto della serbità e santità del Kosovo, nel corso degli ultimi 150 anni. C'è da rabbrividire
Siamo stati invitati a cena da una ragazza, che conosceva il mio compagno di avventura. La cena si è svolta, nel più rigoroso silenzio, in una sala con alle pareti tutte le immagini sacre più care all'Ortodossia serba, con riferimenti al ciclo mitologico del Kosovo e della Metohija, i suoi santi ed eroi: "La ragazza del Kosovo" di Uros Predic, "La migrazione del popolo serbo nel 1690 sotto la guida del patriarca Arsenje", di Paja Jovanovic e compagnia bella, rappresentazioni dei sovrani serbi medioevali, dell'epica battaglia di Kosovo Polje. Anche qui un'atmosfera surreale. Dopo la cena alcuni ragazzi serbi ospiti del Patriarcato cominciano ad interessarsi alla mia presenza inconsueta e iniziano a farmi domande. La discussione è cordiale, io chiaramente sono alquanto moderato ed evito di portare la discussione su argomenti scottanti. Riesco tuttavia a fare arrabbiare alquanto la ragazza, quando dico che "a Klina se i serbi tornassero verrebbero fatti fuori sicuramente". La verità fa male
Comunque la serata finisce in crescendo, con grandi ringraziamenti per il nostro interessamento per le loro condizioni. I ragazzi ci raccontano di come vivono reclusi nel Patriarcato e di come sia per loro impossibile uscire se non scortati dalla Kfor. Mi ricordo in particolar modo il racconto di una ragazza, che ci rendeva partecipe delle umiliazioni che doveva subire quotidianamente. Una volta, in compagnia della Kfor a Peja, l'interprete albanese dei militari italiani ha fatto in modo che la gente per la strada capisse che si trattava di una serba, mettendo quindi la ragazza automaticamente esposta al pubblico ludibrio.
Salutiamo e siamo invitati a gran voce nell'enclave di Velika Hoca da parte di alcuni civili serbi, ospiti per qualche giorno del Patriarcato.
Per darvi un esempio di come ormai i serbi siano percepiti dalla comunità albanese di Peja, vi cito un episodio riferitomi da diverse fonti, accaduto nel novembre 2000: un coraggioso serbo si è azzardato ad avventurarsi in solitudine fuori dal Patriarcato, con il risultato di essere stato quasi linciato dalla folla, tra la quale alcuni giovanissimi albanesi pare si siano dati particolarmente da fare.
La sera stessa mi sono recato a Goradzevac, l'unica enclave serba nell'area di Peja. Si tratta di un villaggio a pochi km dalla città, blindato dalla Kfor italiana, dove vivono circa 2000 serbi. Gli albanesi sostengono che tra gli abitanti di Goradzevac si rifugino 65 criminali di guerra. Il check-point della Kfor italiana ci ferma e ci fa passare quando sente parlare italiano da uno di noi, senza alcun controllo documenti. L'autista ha esibito il cartellino di Intersos e siamo dentro...
Arriviamo a questo pub dove è in corso una festa scatenata di decine di giovani serbi, per festeggiare la visita di una parte della comunità dell'enclave di Velika Hoca a Goradzevac. L'atmosfera mi ricorda molto quella esistente nei locali frequentati dalla comunità albanese, all'epoca dell'apartheid imposto dal regime di Belgrado in tutto il Kosova: si cerca di rimuovere almeno per qualche ora la propria condizione di disperati, privi di libertà di movimento, privi della possibilità di condurre una vita normale. Tra gran brindisi di liquore serbo, balli "comunitari" e le tre dita alzate al cielo da parte dei ragazzi del posto, socializziamo senza difficoltà. I ragazzi hanno una grande voglia di comunicare, di fare conoscere la loro condizione di reclusi nel loro piccolo villaggio (ed anche in questo mi hanno tanto ricordato gli albanesi che conobbi nel Kosova del 1998-9).
Le conversazioni tuttavia si limitano per forza di cose ad argomenti più o meno banali. Quando racconto che lavoro a Klina e ricostruisco case per degli albanesi, l'atteggiamento di cordialità nei miei confronti non cambia, ma vengono fuori tutti gli stereotipi con i quali gli albanesi sono sempre stati considerati, da queste parti (e non solo purtroppo...). Ulteriori inviti a visitare Velika Hoca, da noi accettati di buon grado.
Velika Hoca è un piccolo villaggio situato a pochi km da Rahovec (città di media grandezza situata nel Kosova centro-occidentale), tra Prizren e Gjakove. Al check-point tedesco non si vede nessuno... L'accoglienza da parte della famiglia della ragazza che ci ha invitato è molto cordiale: pranziamo in compagnia del pope locale e riusciamo a portare la discussione su argomenti interessanti. Ci parlano dei loro attuali problemi, della mancanza di acqua potabile per il sabotaggio dell'acquedotto da parte degli albanesi, la loro difficoltà di approvvigionamento alimentare, con la merce che gli viene portata da agenzie umanitarie. Insomma, hanno perso la loro condizione di privilegiati che avevano quando Belgrado la faceva da padrone ed ora si trovano ad affrontare problemi con i quali non erano abituati a convivere (prima della guerra i villaggi serbi della zona erano gli unici ad essere forniti dall'acquedotto e ad avere le strade asfaltate, per fare un paio di esempi).
Le loro critiche nei confronti di Milosevic appaiono convinte, si sentono traditi e abbandonati da Belgrado. In Kostunica i serbi del Kosova ripongono tutte le loro speranze.
La visita all'impianto di distillazione di acquavite ed al villaggio, in compagnia di alcuni ragazzi del posto, avviene sotto lo sguardo incuriosito e sospettoso degli abitanti del villaggio, che non ricambiano i nostri saluti. A Velika Hoca il contingente tedesco è particolarmente ben accolto: i soldati si occupano tra l'altro del rifornimento di generi alimentari e di scortare a Rahovec gli abitanti serbi a fare la spesa. Una grande festa organizzata dalla comunità del villaggio il giorno precedente aveva salutato la partenza del contingente tedesco, che si avvicenda (come da norma tutti i contingenti della Kfor) ogni sei mesi. L'impressione comunque è che anche qui per noi non ci sia nulla da temere.
Le cose cambiano radicalmente nell'unico luogo della Kosova dove mi sia sentito a disagio: Mitrovica nord. Arrivo con un amico all'imbrunire: nella parte sud della città, che avevo visto in gran parte distrutta nell'agosto 1999, fervono i lavori di ricostruzione. Anche qui gran parte delle case distrutte dai serbi sono state ricostruite a tempo di record, la città è un immenso cantiere a cielo aperto (come tra l'altro anche Peja, Gjakova e tutte le principali città rase al suolo dai bulldozer e dai tank serbi durante la guerra).
Ci avviciniamo al famoso ponte principale sul fiume Ibar, chiuso al pubblico nell'agosto '99, e sorprendentemente i soldati francesi, previo controllo documenti, ci fanno passare. Io ho in mano un quaderno con gli appunti di lavoro, pieno di nomi albanesi, insomma materiale compromettente. E' buio ma decidiamo di passare, da soli, sulla sponda nord. Dopo il secondo controllo dei francesi, alla cui domanda se siamo italiani rispondo con un automatico "po" (sì in albanese!) alquanto inquietante, siamo praticamente in... Serbia. Facciamo appena in tempo a vedere le vetrine della "Dolce Vita", locale a ridosso del ponte e luogo di ritrovo dei "Guardiani del ponte", individui legati al Partito Radicale Serbo di Seselj e sulle cui gesta non voglio nemmeno indagare, ed ecco che un individuo ci si avvicina e con tono baldanzoso di dice qualcosa in serbo ("Dove state andando" o qualcosa del genere). La prima cosa che verifica è che non siamo albanesi, ci costringe con tono minaccioso e intimidatorio a mostrargli il passaporto, ci sottopone ad un piccolo interrogatorio su cosa siamo venuti a fare a Mitrovica nord, e dopo avere avuto la nostra conferma che gli albanesi sono un "problema", soddisfatto ci lascia in pace. Camminiamo nel buio lungo l'arteria principale che dal fiume si addentra nella città, in mezzo a palazzoni con architettura socialista piuttosto orrendi. Non si vedono soldati Kfor in giro. Un centinaio di metri e ci imbattiamo in un chiosco che cattura la nostra attenzione. E' piuttosto appariscente: bandiere serbe, stendardi e materiale cetnico e nazista, immagini, cartoline e santini raffiguranti Milosevic, Mladic, Karadzic, Arkan e compagnia bella. Gli individui all'interno non ci prestano alcuna attenzione, noi curiosiamo un po', acquistiamo un paio di cartoline e tiriamo dritto. Lungo la via passiamo davanti ad un paio di negozi che vendono la stessa mercanzia, tra la quale si distinguono immagini cetniche. L'atmosfera è abbastanza lugubre, la gente ci guarda con diffidenza, un paio di lontani spari ci convince a fare marcia indietro e a tornare al "sud", non senza un certo sollievo. L'idea di fare una sosta al Dolce Vita e di vedere che atmosfera c'è viene accantonata saggiamente.
In alcune parti della Kosova, tra le quali vi è sicuramente la municipalità di Klina, un dato appare comunque incontestabile: tutto ciò che è serbo e non viene guardato a vista dalle forze della Kfor è stato e viene sistematicamente distrutto. Come altri numerosi villaggi abitati dalla comunità serba, anche quelli di Bince e Grapc, a poche centinaia di metri da Shtupel, sono stati distrutti dagli albanesi, al momento della fuga degli abitanti, in contemporanea con l'ingresso delle truppe della Kfor nel giugno 1999. Lo scenario che mi si è presentato davanti agli occhi, quello di villaggi fantasma, con il silenzio che regna tra le macerie delle case bruciate (con tanto di sigla "UCK" su ciò che rimane delle mura), ricalca quello al quale mi è capitato di assistere decine di volte nei miei soggiorni in Kosova, a danno della comunità albanese. La frustrazione degli albanesi, il loro senso di impotenza per l'impossibilità di avere giustizia, si è scaricato sulle case abbandonate dai contadini serbi. All'ingresso di Bince una grande quercia centenaria, simbolo del potere di Belgrado, della forza del dominio serbo sulla provincia, è stata tagliata e bruciata, in quello che è un eloquente gesto simbolico.

L'UNMIK
L'Amministrazione delle Nazioni Unite che di fatto governa il Kosova si trova di fronte ad una serie di grossi problemi, questo è innegabile. Io vi racconto soltanto alcuni dati di fatto, che danno un'idea di quali risultati sia riuscita a raggiungere la comunità internazionale. Intanto occorre dire come l'UNMIK controlli ogni settore della vita pubblica in Kosova, dagli organismi municipali a quelli regionali.
La rappresentatività che viene data agli esponenti locali è puramente di facciata. Ogni municipalità della Kosova è gestita da un amministratore UNMIK, che funge da sindaco con poteri più o meno di governatore. Il fatto è che questi personaggi dipendono completamente dai finanziamenti provenienti da Prishtine. Come si sa l'UNMIK non naviga in un fiume d'oro ed il budget assegnato ad ogni municipalità spesso non basta a coprire le esigenze di base, vale a dire la costruzione o la ristrutturazione di strutture pubbliche, la viabilità. A Klina per esempio la situazione è disastrosa. Ad agosto e fino a dicembre il centro cittadino è stato chiuso al traffico per i lavori, appaltati ad una impresa tedesca, per la ristrutturazione del sistema fognario.
La municipalità è la sede dell'UNMIK, che ha preso possesso degli uffici. Mi è capitato di assistere ad un litigio tra un funzionario UNMIK ed il sindaco locale (che fino alle elezioni del 28 ottobre era Ramadan Krasniqi, del PDK), che si lamentava del fatto che le riunioni dell'Housing Committee avvenissero nel suo ufficio e durante le quali egli non poteva azzardarsi a disturbare.
Questo Municipal Housing Committee dà un'idea di come funziona l'amministrazione locale. E' l'organo che si occupa della ricostruzione nella municipalità di Klina. E' presieduto da un funzionario UNMIK (una lady di ferro, irakena con cittadinanza canadese), e vi partecipano alcuni esponenti dei partiti politici locali, delegati per la ricostruzione (in misura più o meno equa ripartiti tra esponenti del PDK e della LDK) e rappresentanti delle ONG che operano nella ricostruzione. Un team del MHC, composto da alcuni di questi esponenti locali (rappresentanti di partiti + tecnici locali) ha il compito di monitorare i lavori delle ONG nella zona, di verificare il reale stato di necessità dei beneficiari degli interventi, di segnalare casi urgenti e casi sociali all'attenzione dei ricchi occidentali. In sede ufficiale, ogni settimana questi notabili locali sottopongono alle ONG una serie di casi sociali a loro detta urgenti, che meritano un intervento occidentale per ricostruire loro la casa. Il rappresentante dell'UNMIK di solito appoggia le richieste del team locale nei confronti delle ONG. Il sistema in sè potrebbe funzionare, tuttavia il risultato è un gran casino: infatti la buona fede di questi personaggi è messa giustamente in dubbio. A me è stato chiesto di lasciare perdere la costruzione di una casa al mio villaggio (quando gli accordi con tutta la comunità erano chiari da mesi) per andare a ricostruire una casa di un altro villaggio. Bè, la casa era di proprietà di un comandante del TMK della zona, un "eroe di guerra", tra l'altro proprio nel villaggio nativo del sindaco di Klina, esponente del PDK.
La ONG presso la quale ho lavorato ha costruito e ristrutturato case in un solo villaggio, chiamato sarcasticamente dai notabili locali "Gerusalemme" e ciò provoca la reazione risentita degli esponenti politici locali, dato il gran numero di villaggi danneggiati dei quali non si occupa nessuna ONG nella zona. D'altronde la politica della Caritas è stata quella di stringere accordi con le comunità di 1-2 villaggi e di concentrare l'intervento. Questo anche in considerazione della maggiore libertà con la quale tutte le ONG che non sono finanziate da donatori internazionali, come ECHO o ONU, si possono muovere. In sostanza, i soldi sono miei (provenienti da donatori privati) e me li gestisco come voglio io.
Ad aprile del 2000 l'UNMIK è poi scesa in campo con le sue linee guida sulla ricostruzione (affidata tra l'altro, come "Pilastro IV", all'UE in tutto il Kosova).
Così tutte quelle ONG che sono finanziate da agenzie internazionali devono per forza di cose portare avanti i loro interventi rispettando certi criteri sulla scelta da effettuare nei confronti dei beneficiari, il numero delle case da ricostruire per ogni villaggio, il modulo fornito ai beneficiari, ecc., secondo un criterio che ufficialmente si dovrebbe avvicinare a quello di equità, per quanto possibile, tale da non ricostruire un intero villaggio e non lasciarne invece un altro senza nessun tipo di assistenza.
In sostanza l'amministrazione UNMIK ha tentato di imporsi con le sue linee guida a tutte le realtà esistenti in Kosova, trovando però una forte resistenza da parte di quelle organizzazioni che potevano gestire propri fondi, e che erano sul campo da mesi, prima che Kouchner se ne uscisse con le nuove regole sulla ricostruzione nell'aprile 2000.
Tornando al MHC, quando una ONG presenta tutta la documentazione richiesta per avere il magico timbro di approvazione dell'UNMIK alla ricostruzione di un'abitazione i presenti sono chiamati a votare, una cosa abbastanza ridicola. Una parvenza di democrazia partecipativa di facciata, in quanto la decisione comunque spetta al funzionario UNMIK che presiede l'organismo.
In sostanza, tutti gli organi municipali comprendono rappresentanti dei partiti politici locali e sono presieduti da un funzionario UNMIK, che ha l'ultima parola su tutto. I dipartimenti istituiti in Kosova dall'UNMIK (specie di pseudo-ministeri) sono co-presieduti da un rappresentante UNMIK, che ha diritto di veto, e da un esponente dei partiti albanesi.
Il funzionamento della giustizia è ancora molto lacunoso, l'UNMIK deve fare i conti con l'impunità della quale godono in pratica i cittadini di etnia albanese. Dopo avere assistito all'omicidio del figlio del nostro capomastro a Shtupel, delitto che rimarrà sicuramente impunito (almeno da parte della comunità internazionale) è quella che l'UNMIK da un lato non abbia i mezzi necessari per portare avanti una politica di seria lotta alla criminalità, presente purtroppo in massa in tutto il territorio del Kosova, dall'altro non voglia impegnare fondi e sforzi in questa direzione, con il rischio di inimicarsi ampi settori della comunità albanese. In questo modo gli episodi di violenza o discriminazione nei confronti di esponenti di altre comunità etniche (vedi il caso dei rom di Shtupel), o di regolamenti di conti tra fazioni politiche albanesi contrapposte, oppure tra le varie frange dell'ex UCK, siano comunque portati avanti con una buona dose di impunità. Gli albanesi continuano a farsi vendetta da soli, e questo si spiega con la giustizia negata, che l'occidente non ha loro dato, lasciando impuniti i criminali serbi responsabili di eccidi di civili. Se giustizia non viene loro data, se la fanno da soli. E dato che il concetto di giustizia è molto soggettivo, la situazione che si viene a creare è un caos e un disordine completo, con la comunità internazionale che sta pagando caro tutti i suoi errori.
Durante i mesi trascorsi a Klina, in città si sono registrati due delitti, rimasti impuniti. Oltre a quello di Shtupel, nel pieno centro di Klina è stato freddato un maestro di musica. Il movente pare sia stato una questione di soldi, ma la storia è rimasta avvolta nel mistero. Non sembrano avere basi fondate le dicerie, riprese dalla stampa italiana di sinistra, che il pover'uomo fosse stato un esponente della "moderata" LDK, ucciso dagli "estremisti" di Thaqi venuti dalla vicina Drenica. L'altra vittima di sangue era un membro del TMK di Klina.
Forse l'unico campo nel quale l'UNMIK, e in questo caso la sua polizia, sta avendo successo è quello del fare rispettare il codice della strada! Sì, perchè è vero che le strade della Kosova sono un pericolo pubblico: enormi buche dove meno te le aspetti, bambini e cani che attraversano la strada all'improvviso, tank e camion della Kfor giganteschi, che percorrono la stessa strada insieme a camion carichi di migliaia di mattoni o tegole, trattori e carretti trainati da cavalli di contadini albanesi, fuoristrada delle ONG o dell'UNMIK, macchine di grande cilindrata senza targa che sfrecciano a grande velocità, guidate da loschi individui, ragazzini senza patente che vogliono provare l'ebbrezza del brivido.
C'è da dire che in questi mesi l'UNMIK si sta dando da fare: tutti i cittadini del Kosova devono mettersi in regola con le nuove targhe, dove c'è scritto "KOS", emesse dall'amministrazione internazionale, con grande incazzatura dei filo serbi di tutto il globo. Soltanto che per avere tutti i documenti in regola un poveraccio deve sborsare, a seconda della cilindrata, delle somme che possono arrivare anche a 800DM.
Il codice stradale viene fatto rispettare a colpi di multe salatissime da parte di poliziotti provenienti da posti come il Pakistan, l'India, le Isole Fiji, il Nepal. Potete immaginare un albanese, già incazzoso per i suoi motivi, come può reagire davanti a questi alieni che affibbiano multe da 80DM se non porti la cintura di sicurezza! L'impressione è che le amministrazioni locali, quindi l'UNMIK, abbiano trovato una bella fonte di finanziamento, con i proventi della multe per divieto di sosta e per eccesso di velocità inflitte al personale delle ONG e ai poveracci locali.
A proposito di marchi tedeschi, eccovi alcuni dati su quanto vengono pagati i dipendenti pubblici in Kosova. L' UNMIK ha preso in gestione il settore pubblico (il settore statale ex serbo) e paga gli stipendi ai lavoratori locali. O almeno dovrebbe pagarli, in teoria... I lavoratori delle ferrovie sono rimasti per 3 mesi senza stipendio, cioè da quando la rete ferroviaria del Kosova ha ricominciato a funzionare, almeno in parte. Quelli del servizio veterinario non vengono pagati da 6 mesi (si tratta di stipendi di circa 300DM al mese).
Settore scuola: un direttore di una scuola elementare viene pagato 350DM, un insegnante dai 150 ai 250, un bidello circa 120DM. I pagamenti dei lavoratori del settore scuola, nella municipalità di Klina, non sono stati effettuati per più di 2 mesi da parte dell'UNMIK. Grandi tagli al personale locale nel settore scolastico hanno colpito pesantemente tutta la municipalità, con parecchie decine di lavoratori lasciati a piedi dall'UNMIK, ai quali viene dato un miserrimo sussidio di disoccupazione.
Curiosa la politica attuata dall'UNMIK nel gestire l'eccesso di manodopera disoccupata tra la popolazione. Uno dei miei beneficiari, un uomo di circa 60 anni, che da più di 30 era impiegato (fino alla fine degli anni '80, prima di essere cacciato dal governo di Belgrado) al comune di Klina come "economista". Dopo essere stato impiegato dall'UNMIK con una paga di circa 300 DM mensili, è stato nell'ottobre 2000 pre-pensionato forzatamente. L'amministrazione internazionale ha attuato una politica mirata al tentativo di impiegare giovani, in modo tale da ridurre per quanto possibile il catastrofico tasso di disoccupazione. Ai lavoratori impiegati da decenni nell'amministrazione, come a Ramadan, è stata data la possibilità di concorrere con un test, dal cui esito dipende la conferma del posto di lavoro. Chi non lo passa, rimane a piedi e può contare soltanto su uno scarsissimo sussidio.
Tutto ciò quando le ONG pagano un interprete locale dai 500 agli 800DM, l'UNHCR paga un autista 1100DM. Le ONG cattoliche si portano in Kosovo gli interpreti di fede cattolica, provenienti dall'Albania, prevalentemente dalla zona di Scutari, che ha una diocesi forte, in contatto con quelle italiane. Potete immaginare l'atteggiamento dei ragazzi del posto disoccupati, la cui colpa è quella di non sapere l'italiano e di essere di fede musulmana.
In generale appare evidente il fossato che la comunità internazionale contribuisce a creare tra coloro che sono impiegati da ONG o da agenzie internazionali (OSCE, UNMIK, UNHCR, UE) come interpreti o autisti e la maggioranza della popolazione, dedita all'agricoltura o ad attività commerciali, oppure disoccupati (e la percentuale di disoccupazione tra i giovani è altissima). I privilegiati impiegati dagli occidentali non godono di nessun tipo di tutela, ovviamente: a volte non firmano nemmeno un contratto, non sono assicurati, possono essere licenziati in qualsiasi momento.

LE ONG
Sul modo in cui le Organizzazioni non Governative trattano i loro dipendenti locali vi ho già accennato. Oltre all'inesistente tutela del lavoratore (ma il personale espatriato non è che se la passi molto meglio...), esiste abbastanza evidente, come dato abbastanza generalizzato, quell'atteggiamento paternalista che ho sempre riscontrato qui in Kosova, anche nei miei precedenti soggiorni.
La visione prevalente è quella di avere a che fare con dei cittadini di serie B, da trattare senza troppo riguardo. Gli episodi di arroganza ai danni di interpreti o di aiutanti locali da parte di personale espatriato delle ONG ai quali ho assistito personalmente sono parecchi.
C'è inoltre in Kosova un sentimento abbastanza palpabile di simpatia-empatia nei confronti dei serbi, in quanto vittime, insieme ai rom, della violenza e delle rappresaglie albanesi del dopo-guerra. Che tali episodi siano ancora purtroppo all'ordine del giorno è innegabile, tuttavia gli esponenti della società civile internazionale che lavorano in loco si trascinano inevitabilmente sul posto le loro posizioni ideologiche sul conflitto e sulla sua responsabilità. Così accade che i membri delle ONG siano quasi tutti filo-serbi (la posizione della maggior parte degli esponenti comunisti e pacifisti che operano nell'ambito delle ONG straniere): nutrono nei confronti delle agenzie internazionali dei sentimenti di generica avversione e diffidenza e nei confronti degli albanesi una certa intolleranza e insofferenza.
Insomma, va di moda andare a Goradzevac alle feste organizzate dai serbi, frequentare il Patriarcato di Pec è un motivo di vanto. Tutto ciò accade penso per la maggior parte in buona fede, gli albanesi sono percepiti come gli oppressori della minoranza serba e rom, che costituiscono invece i soggetti oppressi da difendere. E' indubbio che il quadro attuale della regione vede la comunità serba e quella rom soffrire di ripetuti attacchi e violenze che non si possono che condannare. Se però tutti questi personaggi fossero stati in Kosova prima del giugno 1999...
Le ONG si trovano ad essere soggette a continue richieste da parte della popolazione locale, perennemente questuante: ciò contribuisce ad accrescere il sentimento di avversione e di risentimento nei confronti della comunità albanese.
Il volere a tutti costi praticare la "convivenza e la pace" come fosse una missione, una sorta di religione con la quale evangelizzare il barbaro Kosova, dimostra la mancanza di analisi psicologica, oltre che meramente storico-politica del perché la popolazione di questa regione abbia maturato una posizione molto radicale ed agisca in una certa maniera. Gli psicopedagogisti e gli eroi pacifisti che pullulano questa terra, pretendono che la comunità albanese sia ora pronta a dialogare con quella serba, come se nulla fosse accaduto. Uno dei maggiori limiti delle ONG è quello di essere completamente incapaci di calarsi veramente nella realtà nella quale lavorano, cercare di comprendere le ragioni delle parti in conflitto, stare ad ascoltare la gente del posto, il loro passato, le loro paure, i loro desideri e le loro speranze. A causa di questo grave limite, i rapporti con il personale locale sono spesso molto delicati. L'irresponsabilità e la colpevole leggerezza con la quale sono percepiti i rapporti, anche professionali, con il personale locale (interpreti, mediatori culturali, autisti), hanno a volte messo a rischio la loro incolumità. Nella zona di Peja molte ONG lavorano sia con la comunità albanese sia con quella serba di Goradzevac. Questo costituisce un problema per il personale locale albanese impiegato dalla ONG, che viene completamente ignorato.
La prospettiva per quanto riguarda l'impegno delle ONG nei prossimi anni in Kosova appare indirizzarsi verso un sempre più consistente flusso di capitali e di "investimenti" nei confronti delle minoranze, vale a dire serbi e rom. La comunità albanese, che deve convivere con problemi enormi, vedrà gradualmente diminuire gli interventi delle ONG a loro beneficio. Come dimostra il trend degli ultimi mesi, ECHO, le Nazioni Unite e i donatori privati hanno alzato considerevolmente la percentuale dei loro fondi in favore delle minoranze del Kosova. La prospettiva inoltre di dare l'assalto alla disastrata Serbia del post-Milosevic costituisce un'allettante scenario per tutto il settore della cooperazione internazionale. Di ciò gli albanesi non saranno molto contenti.
Già ora esistono enclaves serbe che sono letteralmente contese dalle organizzazioni non governative occidentali; nella citata Goradzevac la scuola è stata ricostruita e dotata di un'aula informatica con standard europei, che gli albanesi del villaggio a fianco neanche si possono sognare.
In Kosova esistono alcune zone che ad oggi rimangono in gran parte distrutte dalla guerra: interi villaggi ed aree rurali della Drenica e della zona del Dukagjin appaiono ancora come le hanno lasciate le truppe serbe, ritirandosi nel giugno 1999. Le municipalità di Skenderaj, Gllogovc, Malisheve, Decani, Gjakove, presentano ancora degli scenari da brivido.

 

LA KFOR E IL TMK
La presenza della Kfor è molto visibile: durante il giorno la presenza si mantiene comunque discreta, il traffico non viene intralciato con posti di blocco frequenti. Al calare dell'oscurità i check-point si attivano e i controlli sono abbastanza minuziosi. Certamente per quanto visibili, i militari occidentali non sono in grado di monitorare e tenere sotto controllo l'intero territorio del Kosova.
Nella zona di Klina è di stanza il contingente portoghese, la Task Force Pegasus, sotto il comando degli italiani di stanza a Peja. Le pattuglie giornaliere vengono effettuate nella maniera più visibile possibile. In pratica i poveri soldati girano per le strade di Klina e dei villaggi della zona nel caldo infernale dei loro tank, per farsi vedere dalla popolazione, come per dire "attenzione vi teniamo sotto osservazione, fate i bravi". Nel periodo elettorale i portoghesi sono stati affiancati da una parte del contingente spagnolo, di stanza nella vicina Istog.
Nel periodo a cavallo delle elezioni municipali, a partire da metà ottobre, la sorveglianza e la presenza della Kfor su tutto il territorio del Kosova è stata aumentata. I portoghesi, nella zona di Klina, hanno effettuato una grande operazione di ricerca di armi, perquisendo la case della città e dei villaggi circostanti. Posti di blocco a sorpresa in qualunque posto della città, con controlli minuziosi delle autovetture. Il personale civile internazionale è stato "schedato", con tanto di foto segnaletiche, misura cautelativa in previsione di un'eventuale evacuazione in situazione di emergenza. Cautele rivelatesi poi per fortuna eccessive, ma che hanno dato la misura di quanto fossero temute dalla comunità internazionale queste elezioni municipali per quando riguarda l'aspetto dell'ordine pubblico.
L'atteggiamento dei soldati lusitani nei confronti della comunità locale mi è parso abbastanza corretto; parlo dell'approccio "all'italiana", pronto a socializzare, dall'aspetto umano, senza volere apparire dei supereroi da fumetto. Il sergente maggiore portoghese mi ha fatto addirittura una buona impressione, un ragazzo molto gentile, disponibile anche nei confronti dei locali, con un buon livello culturale.
Il governo portoghese ha recentemente deciso di ritirare il suo contingente militare dal Kosova. A Klina saranno i nostri paisà a rimpiazzare i lusitani.

Per quanto riguarda il TMK (Trupas Mbroitje e Kosoves / Truppe di Difesa della Kosova; da notare la differenza dell'acronimo albanese, rispetto al KPC - Kosovo Protection Corps usato nel linguaggio internazionale, che non utilizza volutamente il termine "Difesa"), il corpo di protezione civile nel quale è stata fatta confluire una parte degli ex guerriglieri, dopo il formale scioglimento dell'UCK nell'estate del 1999, la sua presenza sul territorio è alquanto ridotta. Gli uomini in divisa del TMK si vedono ogni tanto girare per le strade, disarmati, ostentando orgoglio per il rispetto con il quale sono considerati dalla popolazione. Il TMK è composto da 3.000 uomini in tutta la Kosova, di cui soltanto 200 autorizzati a portare nello stesso momento armamento leggero (limitato alle pistole). Esiste anche una riserva, che può contare su 2.000 uomini.
Indossare la divisa del TMK costituisce motivo di vanto ed essa viene sfoggiata in occasione delle ricorrenze ufficiali, per esempio durante le commemorazioni dei martiri di guerra, oppure nel corso dei funerali di ex guerriglieri. In questo modo viene istituzionalizzata simbolicamente tra la popolazione la continuità con l'UCK, del quale il TMK dovrebbe essere, nei desideri della comunità albanese, il legittimo erede ed il nucleo del futuro esercito della Kosova indipendente.
Essere membri delle Truppe di Difesa costituisce anche una fonte di reddito, seppure molto limitata. E' l'UNMIK che paga gli stipendi ai membri del TMK: 150DM al mese per un "soldato", 350DM per un ufficiale. Conosco membri del TMK che hanno lasciato la divisa per un lavoro pagato molto meglio in una ONG.
La caserma del TMK di Klina è situata lungo la ferrovia, a poca distanza dal comando portoghese. Il suo aspetto è molto dimesso. Sulle strade del Kosova, la presenza militare della Kfor domina; agli albanesi va bene così, loro le armi le hanno nascoste in casa o in cortile.
In generale il ruolo del TMK nella vita pubblica del Kosova appare molto relativo, limitato ad operazioni di logistica, di manutenzione di strutture pubbliche o di interventi appunto quasi meramente orientati alla protezione civile. Durante il gelido inverno kosovaro gli effettivi del TMK sono stati incaricati di spalare la neve dalle strade della regione; negli ultimi mesi è stato inaugurato un corpo antincendio del TMK. Personalmente mi è capitato di vedere all'opera questo corpo nell'assistenza alla Kfor portoghese nella sostituzione di un trasformatore dell'alta tensione danneggiato nel villaggio di Shtupel.
I membri del TMK sono formati dalla polizia dell'UNMIK (la KPS) che tra i vari compiti ha anche quello di addestrare e di formare i membri del corpo di polizia del Kosova, formato quasi esclusivamente da albanesi. Anche la polizia locale è stata creata dall'UNMIK cercando in teoria di rispettare la percentuale etnica della popolazione esistente prima della guerra (che vedeva il Kosova popolato da circa il 90% di albanesi, con la minoranza serba attorno all'8%) e con l'inserimento di una percentuale di membri di sesso femminile, ma con scarsi risultati a dir la verità. La comunità serba si è rifiutata di prendervi parte.
Anche nella KPS locale sono integrati parecchi ex guerriglieri, così come alcuni funzionari di polizia albanesi che esercitavano la professione fino ai licenziamenti di massa del 1990-1. I membri della polizia locale sono inseriti nella struttura della KPS ed operano in stretta collaborazione e sotto l'autorità della polizia dell'UNMIK; le pattuglie vengono effettuate congiuntamente da poliziotti internazionali e da ufficiali locali.
Mi è capitato di essere fermato nottetempo, in compagnia di un amico italiano, nei pressi di Istog, da una pattuglia composta da un bulgaro, abbastanza cortese, coadiuvato da un albanese alquanto minaccioso ed aggressivo, che mi ha fatto una perquisizione a dir poco minuziosa, mentre il bulgaro controllava i documenti e chiacchierava con il mio compagno di viaggio...

 

LE ELEZIONI MUNICIPALI DEL 28 OTTOBRE

1. LA CAMPAGNA ELETTORALE
Intanto due parole su come sono state vissute in Kosova dalla popolazione albanese le elezioni in Federazione Yugoslava, che formalmente li riguardavano, del 24 settembre, ed il cambio al potere a Belgrado.
Delle elezioni nessuno parlava, anche sui media locali non è stato dato grosso risalto agli avvenimenti in corso a Belgrado. Gli albanesi si sentono talmente lontani dal periodo della dominazione e dell'oppressione serba che non vogliono più neanche sentire parlare dei serbi e dei loro problemi, che non li riguarderebbero più (illusi...). Le elezioni svoltesi in Serbia e Montenegro erano sentite come quelle di uno stato straniero. La volontà inconscia di cancellare gli anni di sofferenza e i massacri subiti ha portato a questa operazione di grande rimozione collettiva di tutto ciò che è serbo o riguarda la comunità serba.
Una figura come Slobodan Milosevic è stata assolutamente rimossa dagli albanesi, che ostentano indifferenza nei confronti di quello che accade in Serbia. Con l'avvento di Kostunica, i media albanesi si sono premurati di fare pubblicare in prima pagina una foto del nuovo presidente della Federazione, giurista "democratico", immortalato con il kalashnikov in mano nei pressi di Skenderaj durante la guerra, in visita ad un gruppo paramilitare a lui legato. La sua presenza nella Drenica durante i bombardamenti Nato mi è stata confermata da altre fonti.
Ovviamente ogni albanese sa che non può aspettarsi niente da Kostunica, del quale comunque si parla poco, come di tutto ciò che è serbo.
Venendo alle attesissime elezioni municipali in Kosova, la campagna elettorale si è svolta senza grossi incidenti, temutissimi alla vigilia. Ciò nonostante gli aspri toni assunti dai mass-media legati ai principali partiti politici.
Il mio interprete era un rugoviano di ferro, che ha votato LDK per togliere voti al PDK anche se lui è legato, ed è stato attivista, al PSHDK (Partito Albanese Democratico Cristiano di Mark Krasniqi, vicino alla LDK). In campagna elettorale mi capitava spesso sotto mano quindi "Bota Sot", il quotidiano più vicino a Rugova. Intanto un tifo sfrenato per Sali Berisha, in occasione delle elezioni municipali tenute in Albania il 5 ottobre 2000, con la ripresa di tutti gli stereotipi della propaganda berishana. Nel mese di ottobre i toni della campagna elettorale si sono alquanto alzati: Bota Sot se l'è presa in particolar modo con Rexhep Qosia, accusato di essere un comunista "serbofilo". Su Qosia è stato pubblicato un vasto reportage a puntate dal titolo: "Qosia, da padre della patria a serbofilo", che si scagliava con toni molto aggressivi verso questo personaggio, tra l'altro di pochissima rilevanza politica nella scena kosovara di oggi. Gjon, questo il nome del mio interprete, è una di quelle persone che dice quello che pensa e una delle frasi ricorrenti era: "Meglio i serbi che questi schifosi del PDK". Questo era il clima elettorale in Kosova.
Nella zona di Klina il PDK ha fatto le cose in grande, tappezzando ogni muro e ogni strada di cartelloni elettorali. Da Skenderaj e da Gllogovc sono venuti più volte sostenitori del PDK, che scorrazzavano su furgoni improbabili, riempiti di bambini che sventolavano bandiere e striscioni ed inneggiavano ad Hashim Thaqi. La campagna elettorale del PDK è stata la più visibile in tutta la piana del Dukagjin (la zona che va da Istog a Gjakova, Peja fino a Prizren). All'ingresso di Peja è stato affisso in occasione di un comizio di Thaqi un grande striscione di accoglienza, il quale non è stato rimosso fino al giorno delle elezioni!
Le liste elettorali dei candidati ad un posto nelle municipalità comprendevano alcune donne, secondo i criteri fissati dall'OSCE (che si è occupata dell'organizzazione delle elezioni) e dall'UNMIK. Una percentuale del 30% di candidate donne è stata imposta ai partiti, in una società che, in maggior parte ancora rurale e che si basa su agricoltura di sussistenza, conserva principi e valori maschilisti.
Anche l'AAK di Ramush Haradjnaj si è data da fare ed è stata molto visibile in campagna elettorale: a Prishtine mi è capitato di imbattermi in un lunghissimo corteo automobilistico di sostenitori di Ramush, molto rumoroso.
Nella zona di Klina l'LDK ha svolto una campagna elettorale in tono minore, poco visibile. L'area di Klina, ai confini con la Drenica, feudo del PDK, si trova in una posizione particolare. E' una delle zone in cui il livello di tensione era dei più alti. In tutta la Kosova nel periodo pre-elettorale si sono verificati episodi di intimidazione, minacce a sfondo politico, alcuni fatti di sangue, attentati, omicidi e rapimenti, in misura comunque inferiore a ciò che è avvenuto dopo le elezioni.
In piazza Muje Krasniqi a Klina si sono succeduti i principali leader politici, per il gran tour elettorale della Kosova. Il primo a tenervi un comizio è stato Ramush Haradinaj, al cui intervento non sono riuscito ad assistere. Sono arrivato in piazza, stracolma, quando il leader aveva finito il suo discorso, della durata di più di un'ora, nel quale, mi è stato riferito, ha enunciato le linee principali del programma politico dell'Alleanza per il Futuro del Kosova (AAK).
Al comizio di Hashim Thaqi ero presente: piazza addobbata con grandi stendardi e striscioni rosso e neri, marce militari dell'UCK ad intrattenere il pubblico nell'attesa del grande capo, sotto la pioggia battente. Per la verità l'accoglienza riservatagli è stata piuttosto fredda da parte del pubblico, eccezion fatta per un gruppo di ragazzi visibilmente ubriachi giunti da Skenderaj poco prima dell'arrivo di Thaqi, molto rumorosi e, probabilmente, pagati per fare un pò di chiasso. Una presentazione da parte del candidato sindaco di Klina per il PDK (Ilaz Selimi, un parente di Suleiman Selimi, che è stato comandante dell'UCK prima dell'avvento di Thaqi) che mi ha ricordato quella fatta per i pugili americani con fama di spaccaossa, tipo Tyson. Insomma, una serie di aggettivi altisonanti, due minuti di elogi ed incensamenti per presentare il "fenomeno della diplomazia di Rambouillet", Hashim Thaqi. Il quale ha parlato per 5 minuti, non riuscendo a dire altro oltre alla solita filastrocca sul fatto di rivendicare per il PDK di essere l'unica realtà politica vera erede dell'UCK, e quindi unico partito che rivendica e lotta per la memoria dei martiri di guerra e per tutti coloro che hanno combattuto. La necessità di trasformarsi ora in forza politica affidabile e democratica, che farà rilanciare Klina "sulle rive del Fiume Bianco"...
Non una parola sul programma politico, in pratica; la parola "Pavaresja", indipendenza, non è stata pronunciata. Thaqi se ne va tra i timidi applausi del pubblico.
L'ultimo grosso calibro, Rugova, si è presentato in piazza qualche giorno prima del voto, per tenervi un breve comizio mattiniero, prima del vero avvenimento della giornata, il raduno di Peja. Non ci sono potuto andare, per fortuna... A Rugova l'avevano giurata dalle parti di Klina ed hanno mantenuto le promesse. Con la piazza comunque gremita, le parole del leader della LDK sono state sommerse dai fischi dei sostenitori del PDK, che lo hanno bersagliato con uova e sassi. Dopo un paio di minuti, qualcuno ha lanciato una granata a lato del palco, causando il ferimento di tre bambini, di cui uno in maniera grave. Immediata fuga di Rugova e dei suoi a Peja, con l'UNMIK che deciderà di punire con 5000DM di multa il PDK per l'episodio, l'unico fatto violento in assoluto accaduto nel corso di un comizio elettorale in tutto il Kosova.
Anche nei villaggi circostanti Klina sono stati organizzati comizi elettorali: PDK e AAK hanno mandato leader di secondo piano (es. Bajram Kosumi, presidente del PPK, della coalizione dell'AAK) a Shtupel, dove comunque il capovillaggio e la maggior parte dei capifamiglia si sono schierati per il PDK, con l'eccezione di alcuni membri del clan Dallaveri (tra cui il povero Nezir Milazim, che sarà ammazzato a novembre). A Klina il capolista dell'AAK era Ali Ahmetxhekaj, quello della LDK, che verrà poi eletto sindaco alle elezioni del 28 ottobre, Ismet Rraci.

2. LE ELEZIONI
Ho avuto la possibilità di seguire da vicino lo svolgimento del processo elettorale lavorando come osservatore per l'OSCE. Sono stato impiegato nel seggio di Jashanica, uno dei 9 della municipalità di Klina. Jashanica è un villaggio ad una decina di Km da Klina, a poca distanza dal comune di Skenderaj.
Ecco la lista dei partiti che si sono presentati a Klina, ve la elenco nell'ordine di apparizione sulla scheda elettorale (non è un caso...):
PDK
PLK (Partito Liberale del Kosovo di Gjergj Dedaj)
AAK
KP (Coalizione per l'Indipendenza, di Rexhep Qosia)
PSHDK (Partito Albanese Democratico Cristiano di Mark Krasniqi, vicino alla LDK)
PQLK (Partito del Centro Liberale di Naim Maloku)
LDK
Nonostante mi abbiano assicurato che l'apparizione delle sigle dei partiti sulla scheda fosse stata fissata in seguito ad un trasparente sorteggio, io non ci ho mai creduto. Era evidente che agli indecisi si dava indicazioni di voto suggerendo "inalt" oppure "posht", parole che in albanese significano "in alto" e "in basso".
Il sistema elettorale adottato dall'OSCE è quello proporzionale, con la possibilità di indicare una preferenza sulla scheda.
Una curiosità: il mio interprete albanese ai seggi, assegnatomi dall'OSCE, era candidato nelle liste del PQLK!
La registrazione degli abitanti kosovari alle liste elettorali è stata portata avanti ed organizzata, tra mille difficoltà, dall'OSCE a partire dalla primavera 2000. Gli elettori sono stati divisi in categorie, a seconda delle quali erano indirizzati a votare in un "regular polling station" (seggio regolare), oppure in un "absentee polling station". In questo tipo particolare di seggio elettorale, sono ammessi a votare tre categorie di elettori:
- Gli IDPs (Internal Displaced People, in pratica i profughi interni), che hanno dichiarato durante la registrazione di volere votare per la municipalità nella quale risiedevano prima del 1° gennaio 1998. Per esempio se uno che abitava a Malishevo prima delle data indicata poi è stato costretto a trasferirsi, che so, a Suha Reka, può votare nei seggi di Suha Reka, ma per la municipalità di Malishevo, con le sue liste e i suoi candidati.
- Le persone che si sono registrate fuori dal Kosova, di persona o via email, ma tornano in Kosova per votare. (c'è una lista particolare di tutti quelli che si sono registrati fuori dal Kosova).
- I votanti "regolari", dotati quindi di documento di identità e di Ricevuta di Registrazione, ma il cui nome non si trova nel listone generale dei votanti del seggio elettorale.
- Tutti coloro che per motivi di emergenza non si possono presentare al proprio seggio elettorale prima della chiusura delle urne, a cui viene data la possibilità di votare in un qualsiasi seggio elettorale del Kosova per le liste e i candidati della municipalità presso la quale l'elettore è registrato.
I voti di queste categorie di persone sono messi da parte, ogni scheda è messa in una busta ed inviata a Prishtine, per poi essere vagliata dal Counting Centre, che dovrà verificare l'identità del votante prima di convalidare o meno la scheda.
Insomma, un sistema organizzato sulla carta in maniera molto dettagliata, con l'obiettivo di dare a tutti i cittadini del Kosova la possibilità di votare nelle loro prime elezioni libere e pluraliste della loro storia.
La comunità albanese ha votato in massa (l'affluenza è stata di circa il 77%), con punte del 90% di partecipazione al voto in alcune municipalità. A Klina non si sono presentati partiti rappresentanti della comunità rom, che hanno comunque presentato proprie liste nelle maggiori città del Kosova, mentre i serbi hanno boicottato in massa la consultazione elettorale e non si sono nemmeno registrati. Kouchner si è premurato comunque di nominare i rappresentanti alle municipalità nei comuni di Zvecan, Zubin Potok e Leposaviq, nella parte nord del Kosova, interamente serba, dove non si è votato.
Ai seggi elettorali, nonostante l'organizzazione sulla carta efficiente delle operazioni di voto, ha regnato la confusione. Lo staff locale, composto da presidente di seggio, ufficiale per la identificazione, controllore della fila al seggio, distributore della scheda elettorale e controllore dell'urna; in tutto 5 persone, più 2 addetti allo smistamento delle persone all'ingresso del Polling Center (una scuola elementare, riabilitata con soldi dell'Unicredito da parte di una ONG di un sindacato italiano), con il compito di individuare i votanti e di smistarli al loro seggio elettorale. Lo staff locale ha ricevuto un training di tre giorni, troppo pochi per chi non ha una minima idea di cosa sia un'elezione regolare. Nel mio staff vi erano due maestri di quella scuola elementare (di cui uno era il presidente di seggio). Ho avuto la fortuna di trovare un presidente di seggio abbastanza preparato sulle complicate regole e procedure da seguire nel caso di mancanza di alcuni dei requisiti necessari per considerare una persona presentatasi al seggio come eleggibile a votare. I funzionari locali hanno in generale mostrato un impegno ed un grado di responsabilizzazione discreto. Il compito dell'osservatore internazionale sarebbe, in teoria, esclusivamente quello di monitorare la regolarità delle operazioni di voto e di spoglio delle schede. Ciò si è rivelato una mera utopia, in quanto avrebbe sottinteso una preparazione adeguata da parte dello staff locale a gestire in autonomia l'intero processo elettorale ai seggi. Pur cercando di responsabilizzarli il più possibile, si nota la tendenza al farsi comunque assistere nella minima difficoltà dall'occidentale osservatore internazionale, situazione che rispecchia fedelmente l'approccio da "assistiti" della popolazione locale del Kosova, al quale dà certamente molta corda la politica della maggior parte delle ONG operanti sul territorio.
Continui cambiamenti in corsa delle procedure da parte del quartiere generale dell'OSCE di Prishtina hanno messo in seria difficoltà anche noi osservatori, costretti a studiarci la notte prima le ultime direttive dei cervelloni di Everts (il capomissione olandese). Per esempio, la bandiera albanese non si poteva affiggere all'esterno o sul tetto degli edifici adibiti a seggi elettorali, salvo poi essere ammessa a poche ore dal voto, per motivi di ordine pubblico.
Alle 5.00 di mattina del giorno del voto, ci hanno consegnato il libro con le direttive dell'Ufficio Centrale Elettorale di Prishtina, che nessuno di noi ha neanche aperto (avevamo un manuale di circa 100 pagine da studiare da circa due settimane). Alle 6.45 già centinaia di persone si accalcavano fuori dalla scuola: famiglie intere, con donne anziane e bambini piccolissimi al seguito, con i votanti impazienti ed orgogliosi di potere esprimere liberamente la loro intenzione di voto.
All'apertura dei seggi è iniziato il delirio: gente che si presentava al seggio sbagliato, file di decine di persone fuori dal seggio (e dire file è un eufemismo), l'atmosfera si è subito surriscaldata. Ad un certo punto la situazione fuori dalla scuola si è fatta talmente difficile, con bambini e donne schiacciate dalla folla, lamenti e tensione alle stelle, che abbiamo dovuto fare intervenire la Kfor spagnola, che è arrivata con due tank fuori dal seggio ed è riuscita a mettere in fila i votanti!
Ai seggi ho assistito a scene grottesche: i capifamiglia hanno l'abitudine di votare in cabina elettorale anche per la moglie, oppure per gli anziani genitori. Alla fine i rigidi criteri occidentali sono andati a farsi benedire: famiglie che andavano collettivamente in cabina elettorale, gente che si parlava da una cabina all'altra e cose di questo tipo. Dovendo riporre obbligatoriamente fiducia nello staff locale, ma non conoscendo a sufficienza la lingua albanese per capire le parole che si scambiavano tra loro o con gli elettori, di sicuro sono stato fregato più di una volta... Ci sono stati momenti di tensione fuori dal seggio, con la gente che ha aspettato fino a 5 ore per votare (ma è andata anche peggio in altre località). L'atteggiamento degli elettori è comunque risultato nel complesso molto responsabile: il senso civico e la pazienza dimostrata dagli albanesi in questa occasione penso che insegnerebbe molto all'elettore italiano medio che si trovasse nelle stesse condizioni.
Un altro ordine di problemi, come era prevedibile, è scaturito dall'attività dei rappresentanti di lista. Nel mio staff locale esisteva un buon bilanciamento, con il presidente di seggio del PDK e un altro membro locale, insegnante, della LDK, la cui cosa ha sicuramente giovato ad evitare scorrettezze durante le operazioni di voto, con un tacito mutuo controllo reciproco. PDK, LDK ed AAK avevano propri rappresentanti di lista che giravano per i seggi. La presenza di quelli della LDK era a dir poco ossessiva: addirittura vi è stato un momento in cui ben 3 si sono piazzati nel mio seggio (poiché era quello con il maggior numero di votanti nella scuola). La tensione palpabile ed il reciproco sospetto era evidente: l'esponente del PDK e quelli della LDK non si sono degnati neppure di uno sguardo per tutta la giornata. Ci sono stati momenti di tensione: un rappresentante dell'LDK è stato sorpreso a dare suggerimenti di voto ad alcuni elettori in cabina per votare; rappresentanti del PDK hanno protestato ufficialmente con me per questo motivo; un ragazzo, che non ha potuto votare in quanto non ancora maggiorenne, ha aggredito un membro dello staff locale, noto attivista della LDK, insomma ci sono stati momenti molto tesi.
Durante le operazioni di spoglio delle schede, l'appartenenza ai vari partiti politici ha impedito di essere super-partes al personale locale: sono dovuto intervenire più volte per assegnare per esempio dei voti contestati alla LDK, che a detta del presidente di seggio (pro-PDK) sarebbero stati nulli. Comunque nessun problema in questo caso, lo staff ha sempre accettato le mie decisioni, il buon Bashkim si è limitato a mettere a verbale il suo parere personale. Durante lo spoglio ho notato che il rappresentante di lista della LDK sorrideva compiaciuto ogni volta che un voto veniva assegnato all'AAK. In seguito sono venuto a sapere che le due formazioni politiche hanno avuto dei contatti prima delle elezioni, tanto che a Peja Rugova ed Haradjnaj hanno tenuto il loro comizio elettorale nello stesso giorno, con i sostenitori dei due schieramenti che sfilavano insieme, pacificamente, per le strade della città. Peccato averlo saputo dopo avere lasciato da soli al seggio rappresentanti di lista dell'LDK e dell'AAK nella convinzione che esercitassero un ferreo controllo reciproco!
I seggi in tutto il Kosova sono stati tenuti aperti ben oltre le 22.00, per motivi di ordine pubblico, per dare la possibilità a tutti quelli presentatisi al seggio entro quell'ora di votare. Ci sono stati dei seggi che hanno chiuso a mezzanotte. Nel seggio di Jashanica ha prevalso di pochi voti il PDK sulla LDK, con l'AAK che è stato affiancato dal PSHDK al terzo posto (ciò si spiega con la posizione del villaggio di Jashanica, ai confini con la municipalità di Skenderaj, dove il PDK ha ottenuto l'85%, e con l'alta percentuale nella zona degli albanesi di fede cattolica). Nell'intera municipalità di Klina, tuttavia, la LDK ha ottenuto una vittoria schiacciante, distanziando ampiamente il PDK (52% contro il 31,9%).
In tutta la Kosova si sono registrati problemi logistici molto seri ai seggi elettorali, al cui superamento hanno contribuito in maniera decisiva la buona volontà del semplice elettore, costretto ad aspettare magari per 6 ore, con appresso la madre malata che vuole votare, o il bambino piccolo che non ce la fa più.
Da registrare che in tutta la Kosova non vi sono stati episodi di violenza ai seggi elettorali, particolarmente temuti alla vigilia, soprattutto a causa dei pessimi rapporti tra LDK e PDK, se non per un caso in cui i votanti si sono fatti strada con la forza all'interno di un seggio elettorale, travolgendo e sfondando tutto ciò che si frapponeva sul loro cammino. In generale, per quello che ho visto, gli elettori albanesi hanno dato una prova di maturità, coscienza civica e politica molto elevata, al di là del risultato delle elezioni.

Il clima post-elettorale si è subito rivelato molto teso, anche a Klina. La città aveva, fino al 28 ottobre, una municipalità in mano per la maggior parte ad elementi del PDK, nominati e legati a doppio filo con ex comandanti dell'UCK, ora membri del TMK locale. Proprio uno dei membri delle Truppe di Difesa del Kosova è stato ucciso in città pochi giorni dopo il voto. Nelle due settimane successive al voto, a Klina si sono registrati altri due omicidi (quello del maestro elementare in centro e quello dell'attivista dell'AAK a Shtupel).

 

3. I RISULTATI ELETTORALI: UN'ANALISI
Sui risultati della consultazione elettorale faccio alcune considerazioni.
Innanzitutto il dato dell'affluenza alle urne è stato del 79% dei 913179 votanti registrati presso l'OSCE, un risultato indubbiamente molto elevato.
Il dato più evidente che viene fuori dall'analisi dei risultati, dalla schiacciante vittoria della LDK, che ha surclassato i rivali del PDK oltre le più rosee aspettative di Rugova & co., è costituito dal fatto che in Kosova la maggior parte degli albanesi è dell'opinione che chi ha combattuto e fatto la guerra ora, nel Kosova "libero" (magari!...), non sia adeguato a governare il paese.
Gli ex guerriglieri, chi ha avuto nella propria famiglia delle vittime di guerra (che diventano automaticamente "deshmoret te kombit", "martiri nazionali") hanno guadagnato un grande rispetto, non soltanto nelle campagne, ma anche nei centri più grandi e nelle grandi città come Prishtine, Prizren, Peja o Mitrovica. Essi vengono tuttavia percepiti dalla maggioranza della popolazione come dei "reduci", da onorare e ringraziare, che devono ora tornare alle loro famiglie ed alle loro attività e lasciare spazio a chi sa governare, a chi ha una qualche esperienza politica.
Questo il dato che appare come il più evidente, analizzando le percentuali ottenute in tutta la Kosova dai tre principali partiti politici: LDK 58% (504 seggi municipali conquistati), PDK 27,3% (267 seggi), AAK 7,7% (71 seggi).
Se consideriamo che la base elettorale di PDK e AAK è sostanzialmente la stessa, possiamo accorpare i risultati di questi due partiti per avere un'idea dei reali rapporti di forza presenti nel panorama politico kosovaro-albanese. La percentuale del 35%, somma dei voti del PDK e dell'AAK, rimane comunque lontana dal risultato del partito di Rugova.
Per cercare di approfondire i risultati della consultazione elettorale dello scorso 28 ottobre, non si può prescindere da un'analisi "geografica" del voto, considerando che in Kosova il quadro politico generale registra sostanzialmente soltanto 3 formazioni politiche rilevanti. Tra le numerose formazioni politiche albanesi presentatisi alle elezioni municipali infatti, soltanto il PShDK (Partito Albanese Democratico Cristiano) è riuscito a superare la soglia dell'1% (1,2%, con 8 seggi conquistati). Ciò in quanto questo partito è di fatto quello che ha ottenuto la maggior parte dei voti degli albanesi cattolici.
Prendiamo in esame i risultati del PDK, che è riuscito (nonostante la presenza dell'AAK, che ha tolto parecchi voti al PDK nelle zone nelle quali ha avuto successo) a farsi percepire come il partito degli ex-guerriglieri, ora convertiti alla politica, unici eredi di tutti coloro che hanno "sofferto" e "lottato e combattuto per la libertà della Kosova". Il Kosova è diviso in 30 municipalità ed il PDK è risultato essere il partito più votato soltanto in 6, lasciando alla LDK il predominio nelle altre 24.
Il partito di Thaci ha prevalso a Gllogovc (84,5%), Skenderaj (84%), Strpce (53,7%), Kacanik (52,4%), Novo Brdo (49,9%) e Shtimlje (49,3%). Il PDK ha dominato soltanto nella Drenica, la zona collinare nel cuore della Kosova, teatro dei primi scontri ed eccidi fin dall'inizio del 1998. E' la zona che ha sofferto maggiori distruzioni, dove più alto è stato il numero di vittime, dove le azioni dei reparti irregolari e della polizia di Belgrado sono state più violente ed efferate. La popolazione di quest'area ha sofferto moltissimo, pagando caro il totale supporto all'UCK, di cui facevano parte la maggioranza degli uomini abili in grado di tenere in mano un fucile. La Drenica è l'unica parte della Kosova in cui la guerra è durata 18 lunghi mesi. Da sempre culla dei movimenti armati albanesi della Kosova, sede del comando dell'UCK durante la guerra (nel villaggio di Llaushe, poco distante da Skenderaj), la Drenica è tuttora controllata da ex guerriglieri, che controlleranno anche in futuro i consigli municipali di Skenderaj e di Gllogovc. La LDK non è andata oltre il 13% da queste parti, l'AAK è risultata pressoché inconsistente (0,5%).
Il PDK si è aggiudicato le municipalità di Kacanik e Shtimje, aree teatro di grossi scontri durante la guerra e dove l'UCK riuscì a controllare alcune zone fino al giugno 1999. I boschi sulle colline attorno a Shtimje e le famose gole di Kacanik si sono rivelati terreno ideale per le azioni di guerriglia dell'UCK. Il successo nelle municipalità di Shtrpce e Novo Brdo è relativo, dato il basso numero di votanti; dato interessante il fatto che queste due municipalità fossero tra le pochissime del Kosova ad avere una maggioranza serba prima della guerra. A Shtrpce è tuttora presente una comunità serba, oggetto tra l'altro di recenti attacchi armati albanesi.
L'AAK ha ottenuto indubbiamente un buon risultato nella zona del Dukagjin: l'altro grande partito che rivendica tra le sue file un grandissimo numero di ex guerriglieri e di gente che ha rischiato la vita per la lotta di liberazione, ha ottenuto il 31% a Decani, il 17,8% a Peja, il 16,8% a Gjakova. L'indiscussa leadership in questa zona di Ramush Haradinaj (al quale sono stati dedicati canti popolari e poesie) è stata senza dubbio l'elemento catalizzatore dell'aggregazione del voto nei confronti dell'Alleanza. Nel Dukagjin l'AAK è risultata il secondo partito, alle spalle della LDK, lasciandosi alle spalle il PDK, la cui operazione propagandistica di unico vero partito politico erede degli eroici guerriglieri si è scontrata con la leadership di Ramush, ex comandante della celeberrima 137a brigata (che tenne testa ai reparti serbi nella zona di Decani, di Junik e del monte Pashtrik, al confine con l'Albania, ed ottenne l'unica vittoria in battaglia dell'intero UCK, con la presa della rocca di Koshare, in seguito bombardata dagli "alleati" della Nato), fondatore e presidente dell'AAK.
I rapporti tra PDK e AAK pare che non siano assolutamente idilliaci e che dietro la facciata di cordialità reciproca e di comune ex militanza nella resistenza antiserba di chi ha combattuto nelle file di entrambi gli schieramenti, da sfoggiare di fronte alle istituzioni internazionali, ci sia un malcelato rancore tra Thaci e Haradjnaj e più in generale tra alcune componenti che compongono l'AAK e la leadership del PDK (parlo di LKCK e LPK, recentemente usciti dall'Alleanza di Haradinaj, ufficialmente per protesta nei confronti del direttivo della coalizione, che non li avrebbe adeguatamente rappresentati nei nuovi consigli municipali).
Uno degli indicatori con i quali si deve analizzare il risultato del voto del 28 ottobre, è senza dubbio la divisione tra i due principali partiti eredi diretti dell'UCK e delle forze più radicali sulla scena politica albanese kosovara.
Il trionfo della LDK ha senza dubbio sfruttato la divisione tra le due maggiori formazioni politiche egemonizzate dagli ex capi guerriglieri. Se sommiamo i voti di PDK e AAK nel Dukagjin, la piana del Kosova occidentale che va da Peje a Prizren (la zona che i serbi chiamano "Metohjia", cioè "bene ecclesiastico", per il gran numero di monasteri e di chiese ortodosse medioevali presenti) e li confrontiamo con i risultati della LDK, che si è aggiudicata tutte le municipalità contestate, otteniamo i seguenti numeri:
Peje: PDK (10,3%) + AAK (17,8%)= 28,1%; LDK 65,1%
Decan: PDK (5,3%)+ AAK (33,1%)= 38,4%; LDK 60,4%
Gjakove: PDK (7,2%) + AAK (18,8%)= 26%; LDK 59,7%
Rahovec: PDK (20,2%) + AAK (15,2%)= 35,4%; LDK 61,3%
Prizren: PDK (24,4%) + AAK (3,7%) = 28,1%; LDK 57,2%
Questi dati indicano che anche nelle municipalità teatro dei maggiori scontri con i reparti serbi, dove l'UCK era più radicato tra la popolazione, la LDK ha comunque prevalso di gran lunga, superando ampiamente la maggioranza assoluta dei consensi.
Un'ulteriore conferma di ciò si ha analizzando i dati relativi a Podujevo (il comando UCK di questa zona era ben organizzato e resistette fino alla fine della guerra, sotto il comando di Rrustem Mustafa, meglio conosciuto come il comandante Remi): PDK (22,8%) + AAK (8,3%) = 31,1%: LDK 65,2%.
Appare evidente comunque il legame tra i risultati del PDK (e dell'AAK nel Dukagjin) e le zone dove l'UCK era più o meno organizzato sul territorio. Oltre ai 6 comuni conquistati, i risultati del partito di Thaci sono stati buoni infatti a Malishevo (41%), a Lipljan (39,4%).
Nelle aree tra le più colpite dai reparti di Belgrado, con percentuali di abitazioni albanesi distrutte che vanno dal 66 al 100% in ampie zone, ma dove i guerriglieri non sono mai riusciti ad organizzarsi, il consenso del PDK cala: Klina 31,9%, Mitrovica 24,1%, Vushtri 27,5%, Obiliq 22,2%.
Dalla tendenza generale fa eccezione la municipalità di Suhareke, dove nonostante la presenza di roccaforti dell'UCK fino alla fine della guerra, il PDK è andato incontro alla sua sconfitta più bruciante (15,5% contro il 72,5% della LDK).
Per quanto riguarda le zone del Kosova orientale, quelle meno toccate dalle distruzioni, la tenuta del PDK (26.6% a Gjilane, 28% a Kamenice, 25,6% a Viti) si spiega con la consistente minoranza serba presente e con la conseguente radicalizzazione politica degli albanesi di quella zona. A Dragash, l'unica municipalità della Kosova con una consistente maggioranza gorani (slavi musulmani), il PDK ha ottenuto il 28.9%.

Dalle categorie interpretative dei risultati elettorali non è possibile includere quella della distinzione politica destra-sinistra, così come viene percepita in Occidente. Tutti i maggiori partiti si richiamano più o meno genericamente a valori quali la "democrazia", "il libero mercato", guardano all'Occidente e a quel modello di società aspirano. I programmi dei principali partiti sono incredibilmente simili e si ricalcano tra loro. In Kosova le necessità primarie rimangono la ricostruzione della società, sia sotto l'aspetto materiale (case, infrastrutture, strutture pubbliche) che sotto l'aspetto morale ed etico. I partiti invocano alla tolleranza nei confronti dei membri delle altre etnie, per mezzo di richiami generici e demagogici, fatti anche per compiacere gli occidentali. L'elettorato viene conquistato generalmente su base locale, con promesse e programmi che contengono riferimenti alle questioni più a cuore alla popolazione di una certa area della Kosova. Per esempio a Gjakova il PDK ha il controllo dell'Associazione delle Famiglie dei Prigionieri Politici Albanesi, e ne ha fatto un uso ampiamente strumentale durante la campagna elettorale, organizzando manifestazioni ogni settimana (tra l'altro impedendo ai commercianti di tenere aperti i pubblici esercizi durante i giorni della protesta, mossa mal digerita dalla popolazione eda chi, come il sottoscritto, si è trovato a vagare per mezza Peja alla ricerca di un panettiere che mi vendesse, sottobanco, un tozzo di pane!).
A Klina tutti si sono premurati nel garantire infrastrutture adeguate ad una delle città più malmesse del paese. Essendo il livello di politicizzazione della popolazione molto basso, la campagna elettorale non si è certo giocata sui temi tipici della contrapposizione destra-sinistra. Tra l'altro in Kosova l'ideologia comunista e la sinistra in generale viene identificata con i decenni dell'oppressione da parte dei "comunisti" (sic!) di Belgrado e viene quindi vista con il fumo negli occhi dall'elettore albanese.
Il PRSH (il minuscolo Partito Rivoluzionario Albanese), unica formazione apertamente enverista, non si è presentato in nessuna municipalità (che ci sia sotto il veto dell'UNMIK?).
Soltanto all'interno dell'AAK erano comprese, durante il periodo elettorale, delle formazioni che hanno delle basi ideologiche di sinistra o comunque di ispirazione marxista o enverista: l'LKCK e la LPK, ora usciti dalla coalizione. La coalizione guidata da Haradinaj ha impostato la sua campagna elettorale sulla necessità di responsabilizzare gli albanesi, nella prospettiva della costruzione di istituzioni interamente locali e organi di autogoverno, a partire dal livello delle municipalità. In questo senso l'AAK ha posto sicuramente più enfasi, rispetto a LDK e PDK, sul passaggio alla popolazione locale di responsabilità politiche da parte dell'UNMIK.
L'indipendenza della Kosova è l'obiettivo al quale tutti i partiti politici kosovari aspirano e non potrebbe essere altrimenti, visto che ciò costituisce la massima aspirazione e, nello stesso tempo, un percorso visto come naturale ed irreversibile, da parte della totalità degli elettori albanesi.

Un tentativo di interpretazione dei risultati elettorali non può prescindere dall'analisi del tessuto sociale della Kosova. In assenza della distinzione in classi sociali nel senso classico del termine, il dato che appare evidente è il grande fossato, la grande distanza, che separa città e campagna.
Il Kosova è una regione che rimane prevalentemente rurale, ad economia agricola. Nelle campagne l'agricoltura di sussistenza e l'allevamento danno da vivere alla gente. Negli agglomerati urbani ci si arrangia come si può, con piccole attività commerciali (innumerevoli i chioschi e i banchetti che vendono ogni genere di mercanzia, oltre a sigarette di contrabbando). Il tasso di disoccupazione, come detto, è altissimo; chi ha la possibilità di acquistare materiale edile, lavora alla ricostruzione della propria casa distrutta durante la guerra.
Nelle grandi città (parlo di Prishtina, Peja, Prizren, Gjlane, Gjakova) esiste un atteggiamento diffuso tra la maggioranza della popolazione "cittadina", che faccia parte o no della piccola borghesia urbana intellettuale. Parlo di un sentimento di malcelata insofferenza nei confronti della gente di campagna, nei cui confronti si nutrono pregiudizi e stereotipi diffusi. La guerra ha portato inevitabilmente i due mondi, quello cittadino e quello di campagna, ad avvicinarsi e a convivere, a causa della discesa in massa nella grandi città della popolazione dei villaggi di campagna completamente distrutti. Questa interazione "forzata" ha portato ad una certa insofferenza da parte degli ambienti cittadini, che si considerano comunque ad un livello superiore e ci tengono ad essere distinti dalla marmaglia contadina.
Emblematico in questo senso è l'uso del termine "Drenicat", con il quale è indicato chiunque arrivi dalla Drenica, terra di contadini e guerriglieri, dal carattere duro e spigoloso, ancorati a tradizioni arcaiche. L'accezione del termine è benevola dalle parti di Klina, dove "Drenicat" è considerato un affettuoso appellativo: un pò per l'estrema vicinanza geografica tra la municipalità di Klina e la Drenica, un pò perchè in effetti si tratta comunque dello stesso tipo di ambiente culturale e sociale. E' un pò come se un calabrese chiamasse "terrone" un siciliano. Il termine "Drenicat" assume un'accezione invece più o meno esplicitamente offensiva quando viene usato dal cittadino per indicare il generico guerrigliero-contadino, dei cui servigi come soldato dell'UCK non ha più bisogno ora che la polizia e l'esercito serbo se ne sono andati.
Insomma, nel complesso, si può dire che la vittoria schiacciante della LDK costituisca lo specchio della realtà sociale della Kosova. La LDK aveva, nonostante le sue pratiche autoritarie e la censura esercitata sui partiti e sui gruppi che dissentivano dalla sua linea, il completo appoggio della comunità albanese prima della guerra. Il consenso di massa guadagnato nel corso degli anni '90 con l'organizzazione della società parallela albanese durante il regime di apartheid imposto agli albanesi da Belgrado, ha dato a Rugova una leadership che si è rivelata alla lunga ancora vincente. La nascita dell'UCK e la resistenza armata albanese ha chiaramente tolto alla LDK la leadership assoluta a livello politico nella società albanese-kosovara, ma ora che la guerra è terminata, a costo di terribili sofferenze a danno della popolazione civile, il messaggio dell'elettorato è chiarissimo: signor Thaci, signor Haradinaj ed ex combattenti dell'UCK, il vostro sacrificio è stato eroico e verrà ricordato per sempre, grazie a voi (ed alla Nato...) il Kosova è finalmente libero dopo decenni di oppressione da parte di Belgrado, tuttavia ora è tempo di farsi da parte e di lasciare il campo a chi sa governare.
Il processo di trasformazione di alcuni capi guerriglieri in politici affidabili non è stato accettato dalla maggioranza della popolazione albanese, che ha scelto in massa (58%) Ibrahim Rugova, visto come l'unico leader politico capace di traghettare il Kosova nel difficile dopoguerra. L'immagine del professore-intellettuale appare garanzia di affidabilità alla gente. In effetti l'esperienza politica dei principali leader della LDK è sicuramente superiore a quella dei personaggi a capo del PDK e dell'AAK.
Thaci e Haradinaj rappresentano l'UCK e hanno perso la scommessa elettorale semplicemente perchè l'UCK è considerato dalla maggioranza dei kosovari come un esercito di guerriglieri e non come un gruppo di politici affidabili ai quali dare in mano le sorti del paese.
Hashim Thaqi è originario di Buroje, un villaggio poco distante da Skenderaj, in piena Drenica. L'operazione politica che si può dire sia riuscita ai quadri del PDK è stata quella di presentarsi e convincere l'elettorato della diretta continuità tra l'ex UCK ed il partito, cosa che ha consentito al PDK di fare il pieno di voti in Drenica e nelle zone rurali dove si è combattuto, dove più grandi sono state le sofferenze della popolazione civile. Il 27,3% ottenuto in tutta la Kosova dal PDK rappresenta comunque un risultato da non sottovalutare, per un partito nato da pochi mesi e che si è trovato a concorrere con una formazione politica, la LDK, molto più organizzata su base locale, temprata dalla lotta portata avanti, nel corso degli anni '90, nei confronti del regime di Belgrado. La LDK, e la figura di Rugova in particolare, è rimasta la forza politica considerata più affidabile da parte degli elettori kosovari, ottenendo risultati eccezionali nelle grandi città.
L'equazione UCK-PDK-Drenica ha costituito allo stesso modo il limite che ha impedito al partito di Thaqi di conseguire buoni risultati nelle città e negli ambienti urbani. La grande spaccatura tra città e campagna si è riflettuta al momento della resa dei conti ai seggi elettorali: nessun cittadino è disposto a dare in mano il governo della Kosova ad un "Drenicat". Tutto ciò nonostante Thaqi abbia cercato di darsi un'immagine di "moderato" in campagna elettorale, per cercare di accreditarsi come elemento affidabile nei confronti dell'elettorato albanese e della comunità internazionale, che mal digerisce le posizioni radicali di molti dei leader del PDK. Sul versante opposto, Rugova è riuscito invece a redimersi di fronte all'elettorato, che ricorda ancora gli incontri con Milosevic e la sua fuga a Roma nell'esilio dorato vaticano durante i mesi dei bombardamenti Nato. Per recuperare consensi, Rugova per tutta la campagna elettorale ha dovuto per forza di cose giocare la parte del duro, e le sue dichiarazioni sono state ben più radicali di quelle di Thaqi e di Haradinaj, riguardo alla questione indipendenza della Kosova, che è poi il tema che più sta a cuore agli elettori albanesi, e a quello dell'eventuale ritorno di forze armate o di polizia di Belgrado per presidiare i confini e i siti religiosi ortodossi della Kosova, come previsto dagli accordi di Kumanovo del giugno 1999 (ma nei quali non è fissata per tale operazione alcuna scadenza temporale).
Ora Rugova si trova in una situazione molto delicata, stretto tra la pressione occidentale ad abbassare i toni e a considerare compromessi riguardo al futuro status della Kosova, e quella dei suoi elettori, di quel 58% di cittadini albanesi che gli hanno dato fiducia e che hanno creduto alle sue promesse.
Il mancato mantenimento degli impegni presi con i suoi elettori, nei prossimi mesi, costituisce una prospettiva che potrebbe costare a Rugova e all'LDK molto caro. La radicalizzazione delle masse in questo caso andrebbe a tutto vantaggio del PDK di Thaqi e dell'AAK, che costituirebbero sicuri porti di approdo per gli elettori "delusi" dalle promesse rugoviane.

Ma in Kosova chi ha veramente fatto la guerra?
La risposta a questa domanda ha a che fare con i rapporti di forza attuali tra LDK e partiti diretti eredi del disciolto UCK, e ciò nonostante anche la LDK avesse a suo tempo creato un gruppo militare, le FARK (Forze Armate della Repubblica della Kosova), che aveva tentato di insidiare la leadership militare dell'UCK, con la regia occulta di Rugova e di Bujar Bukoshi, il premier dell'ex governo parallelo della Kosova, all'epoca in esilio a Bonn.
E' un fatto che soltanto in Drenica la guerra sia durata quasi due anni e la gente l'abbia vissuta sulla propria pelle. Al contrario gli abitanti di Prishtine, ad esempio, hanno vissuto l'incubo della deportazione in Macedonia, durato lo spazio di tre giorni di viaggio.
Fermo restando le pesanti discriminazioni subite dagli abitanti di etnia albanese di tutta la Kosova a partire dal 1989, che hanno portato ad un grande sentimento di solidarietà interetnica, le grandissime distruzioni causate in gran parte della regione dalle offensive dell'esercito e della polizia serba (già a partire da quella dell'estate 1998), il numero di vittime, di scomparsi, la spaventosa percentuale di abitazioni bruciate o spianate dai bulldozer di Belgrado, questo dato deve, a mio avviso, fare riflettere.
Due anni di insurrezione armata, di guerriglia, di resistenza sono costati cari alla gente di Drenica, una regione che è stata rasa completamente al suolo. A Gjakova, i cui cittadini si vantano di costituire l'élite della classe intellettuale kosovara, è noto il fatto che durante la guerra i guerriglieri dell'UCK cercarono invano appoggio diretto da parte degli abitanti dei benestanti quartieri centrali della città. I commercianti di Gjakova, diffidenti e timorosi di perdere le loro lucrose attività in seguito alle rappresaglie dei reparti serbi, rifiutarono di collaborare, salvo poi come risultato subire una delle più feroci offensive da parte di Belgrado, che spianò completamente il vecchio quartiere di Chabrat, ricco di negozi e dove fioriva il commercio, oltre a fare sparire e a deportare nelle carceri serbe centinaia di cittadini di Gjakova.
Anche a Peja, l'altra grande città albanese in gran parte distrutta dai bulldozer serbi, l'UCK non è mai riuscito a penetrare in maniera capillare e ad opporre quindi una seppur minima resistenza al momento dello scatenarsi della violenza dei reparti paramilitari.
Insomma, la considerazione che viene alla luce da questi fatti è che durante i mesi della guerra, se tutta la popolazione albanese della Kosova appoggiò l'UCK a parole, almeno nelle grandi città la distanza che separava il mondo cittadino con quello contadino dal quale provenivano i guerriglieri, il fossato sociale e culturale si fece sentire, impedendo un radicarsi dell'UCK nei grandi centri urbani. I cittadini, desiderosi di difendere i loro "privilegi" (rispetto certamente alle condizioni delle campagne) hanno lasciato l'onere di impugnare le armi ai contadini della Drenica e del Dukagjin. A casa davanti alla televisione a fare il tifo per il "Drenicat", impegnato a farsi massacrare dai tank serbi, salvo poi soffrire pesanti conseguenze, vittime e deportazioni o, nel migliore dei casi, la perdita di tutte le ricchezze accumulate nel corso dell'ultimo decennio, grazie ai soldi arrivati dai parenti all'estero.
Alla luce di queste considerazioni, il dato elettorale dello scorso 28 ottobre si arricchisce di un'ulteriore chiave di lettura.

 

IN BREVE
I prigionieri politici.
In campagna elettorale la questione dei centinaia di prigionieri politici albanesi tuttora detenuti in Serbia non è stata affrontata con particolare ardore dai principali leader politici, in questo forse "consigliati" dagli alleati occidentali. La zona di Klina è stata una delle più colpite da questa forma di crimine: al novembre 2000 erano ancora 106 i prigionieri albanesi provenienti dalla municipalità (al villaggio di Shtupel erano 4 le persone incarcerate). Un tema quindi di particolare interesse e per il quale la popolazione è assolutamente molto sensibile da quelle parti.
Tuttavia la gran parte delle mobilitazioni in Kosova si sono svolte soltanto dopo la consultazione elettorale.
Nel mese di novembre l'Associazione dei Prigionieri Politici ha lanciato una grande mobilitazione in tutto il Kosova, con una settimana di cortei giornalieri in tutte le principali città ed una serie di presidi e scioperi della fame, che hanno causato, in alcuni casi, la reazione della Kfor, che ha incarcerato parecchi dimostranti che bloccavano il centro di Prizren, sfidando il coprifuoco notturno in vigore nella città. Mi è capitato di vedere accampati nella piazza principale di Peja qualche centinaio di dimostranti per un presidio notturno organizzato per cercare di dare una scossa ai cittadini, tra i quali pochi si fermavano ad osservare le fotografie degli scomparsi e dei prigionieri, esposte dai dimostranti, e a firmare l'ennesima petizione.
A Klina, il giorno della manifestazione in sostegno dei prigionieri politici c'era tutta la città in piazza, l'atmosfera era tesa, a testimonianza del diverso peso della questione nelle zone direttamente colpite.

I "martiri".
Il giorno del funerale a Shtupel del ragazzo ex guerrigliero dell'UCK e membro del TMK, erano presenti quattro militari del TMK, che hanno aperto il corteo funebre. Nonostante il povero Nezir non fosse morto in un'azione militare bensì freddato sull'uscio di casa da due killer albanesi, il cerimoniale della funzione funebre ha ricalcato quello dei martiri di guerra, con l'unica eccezione dell'assenza di armi (almeno in vista...).
Il picchetto d'onore ha recitato le formule di rito, esaltando lo spirito patriottico del defunto. Il grido "Lavdì" (onore) è stato ripetuto dalla folla in più occasioni durante questo rito. Tutto ciò è emblematico dell'atmosfera che si respira ancora oggi nei villaggi attorno a Klina e in gran parte della Kosova.
Tra l'altro "Lavdì" era uno degli slogan del PDK, esposto su ogni striscione e manifesto di propaganda elettorale.
Shtupel ha sofferto una decina di vittime nei mesi della guerra, tutti caduti in battaglia. Ho assistito al giorno della commemorazione dei martiri di guerra ed è stato impressionante.
Organizzata dalla sede locale del PDK (che a Shtupel è in assoluto il primo partito), davanti alla scuola c'era tutto il villaggio, almeno nella sua parte albanese musulmana. Discorsi di rito del capovillaggio e di alcuni funzionari di partito, di ex guerriglieri, e poi via allo show: canzoni patriottiche, danze tradizionali, poesie che narrano le gesta degli eroi della zona, Muje Krasniqi ed Adem Jashari, recitate da bimbe piccolissime tra gli applausi del pubblico. La cosa che colpisce di più è chiaramente l'uso disinvolto che gli albanesi fanno delle armi: colpi di pistola e raffiche di kalashnikov sparate in aria nei momenti più "caldi" della commemorazione per festeggiare e per rendere onore ai guerriglieri caduti, le cui foto sono affisse sui muri della scuola, attorniate da grandi vessilli dell'UCK, in un mare colorato di rosso e di nero. La gente non si scompone neanche per un attimo, anzi i ragazzini che sparano in aria contribuiscono ad eccitare la folla.
L'apoteosi finale quando sul palco appare un vero e proprio sosia di Adem Jashari, con tanto di lunga barba e gran pancia, in divisa militare, kalashnikov in spalla. E' un membro del TMK della zona, assurto a grande notorietà per la sua straordinaria rassomiglianza fisica con l'eroe di Prekaz.
Quando arriva una macchina dell'UNMIK, i due poliziotti di colore, che dovrebbero in teoria confiscare tutte le armi in possesso della popolazione, vengono completamente ignorati dai presenti, salvo poi essere avvicinati con malcelata indifferenza da una decina di ragazzi albanesi. Gli spari continuano e i poliziotti dopo un pò se ne vanno con la coda tra le gambe...

Gli americani.
Nell'agosto 2000 mi sono recato a Letnice, un villaggio al confine con la Macedonia, nel Kosova sud-orientale (municipalità di Viti) sede della parrocchia di Don Lush Gjergj, parroco albanese, guida indiscussa della comunità albanese-cattolica della Kosova e punto di riferimento delle organizzazioni pacifiste e cattoliche occidentali che operano nella provincia. La zona appartiene alla MBE (la brigata Est), la zona sotto il controllo del contingente statunitense della Kfor. Per arrivarci da Klina si passa dalla città di Ferizaj (Urosevac in serbo), grosso centro industriale a sud di Prishtine, a pochi chilometri dal quale si staglia la collina spianata che ospita il quartier generale dell'esercito statunitense, l'inquietante "Camp Bondsteel".
La super base americana in effetti è abbastanza impressionante: elicotteri militari sorvolano un'area molto ampia, sigillata ed impenetrabile, che costituisce il maggiore insediamento militare della Nato nei Balcani. L'occhio dell'osservatore è colpito dall'estensione in orizzontale del complesso militare americano, tuttavia Camp Bondsteel penetra nelle viscere della collina in profondità, tanto da costituire un specie di incrocio tra una città sotterranea e una specie di inespugnabile bunker. La popolazione locale parla di ben otto "livelli" all'interno della collina, che ospita negozi, ristoranti, centri sportivi, un carcere e depositi di stoccaggio per ogni genere di mezzo militare e materiale bellico.
La municipalità di Viti è composta ancora oggi da una nutrita comunità serba, raggruppata in alcuni villaggi. I check-point americani sulle maggiori strade sono abbastanza puntigliosi, i militari trattano con scortesia il nostro autista albanese, non rispondono nemmeno alle sue domande. Il ragazzo che ci fa da taxista giura di avere sentito parlare in serbo uno dei militari "statunitensi" al posto di blocco della Kfor...
In questa area capita ancora di passare attraverso villaggi serbi; il nostro taxista, che esibisce sul cruscotto della automobile un visibile gagliardetto del TMK, non accetta di abbassare il volume dell'autoradio, che trasmette canti patriottici albanesi, mentre passiamo davanti ad un chiosco di serbi, che ci lasciano passare guardandoci con aria minacciosa. In quest'area gli automobilisti albanesi si avventurano soltanto armati, rischiando tra l'altro di essere scoperti dai militari USA, che se li trovano in possesso di armi li trasferiscono immediatamente al carcere di Camp Bondsteel, che infatti è strapieno e dal quale recentemente sono stati rilasciati alcuni prigionieri detenuti per reati minori per fare posto ai guerriglieri dell'UCPMB catturati nella zona di confine con la Serbia meridionale, poco distante.
Al ritorno la strada è sigillata dalla Kfor statunitense a causa di un non precisato fatto di sangue. Le indicazioni errate dei rambo americani al posto di blocco ci fanno perdere e il nostro autista albanese, pur ostentando sicurezza, teme di ritrovarsi circondato da una decina di serbi incazzati...

Dubrava.
Spacciandomi per un giornalista italiano, mi sono presentato ai cancelli del carcere di Dubrava, nei pressi di Istog, teatro di uno degli eccidi più terribili di tutta la guerra (bombardamento della Nato e conseguente rappresaglia delle guardie serbe sui detenuti albanesi, barbaramente sterminati). Le guardie albanesi mi hanno subito fatto passare, chiamando il direttore del carcere che mi avrebbe ricevuto. Entro in macchina nel perimetro del carcere (che è immenso): sono ben visibili i danni alle strutture arrecati dal bombardamento Nato, l'atmosfera è spettrale. Arrivo all'ingresso del carcere, dove scambio due parole con il guardiano albanese, che mi dice che lui lavorava a Dubrava già da prima della guerra. Il carcere ha ripreso a funzionare da alcuni mesi.
Avrei estorto qualche informazione interessante al tipo se non fosse arrivato il direttore del carcere, un gigante olandese il quale, dietro alla mia richiesta di informazioni sulla storia del carcere e soprattutto sugli avvenimenti incriminati (bombe Nato ed eccidio dei prigionieri albanesi) si trincera dietro il più riservato silenzio, consigliandomi di andare a Prishtine a parlare di queste questioni con il responsabile dell'UNMIK dell'amministrazione penitenziaria in Kosova, un certo Irvine, irlandese. La questione è molto scottante e politicamente troppo delicata...

Mine e "cluster-bomb".
A pochi chilometri da Istog un grosso perimetro di terreno di boscaglia è stato recintato, a causa della presenza di decine di cluster-bomb inesplose, lasciate in omaggio dagli aerei dell'alleanza atlantica. Gli sminatori di Intersos sono al lavoro.
Gli abitanti del piccolo villaggio albanese di Bog, nella valle di Rugova (la striscia di terra montagnosa che si estende da Peja al confine con il Montenegro) sono stati particolarmente "sfortunati": gli aerei della Nato che si dovevano liberare degli ordigni e delle cluster-bomb lo facevano di solito nel lago di Gjakova, ma a volte anche tra i boschi disabitati dei questa splendida valle. Quella volta le cluster sono cadute sulla testa e nelle terre dei pastori di Bog. Questo me lo hanno riferito gli sminatori di Intersos che si apprestavano ad iniziare l'onerosa operazione di bonifica.
Ho visitato un campo minato dai serbi a Cerovik, una località strategica perchè vi passava la ferrovia, tra Klina e Gllogovc. Un'intera collina minata dai serbi, a causa della presenza di guerriglieri dell'UCK nella zona. Mi hanno detto che ci vorranno anni per terminare il lavoro di sminamento. L'immenso campo minato ha inizio proprio dietro alla scuola elementare del villaggio.

Valon.
Per finire, un'affermazione di Valon, un amico di Skenderaj, che ha combattuto nell'UCK e che ha votato PDK. Per la prima volta ho sentito pronunciare da un albanese kosovaro, al quale avevo esposto nell'agosto 1999 il mio punto di vista di condanna della Nato, da lui contestato all'epoca, un esplicito parere sulla presenza della Kfor e dell'UNMIK in Kosova: "Credimi, questa è un'occupazione!!!" (Valon, novembre 2000). Bravo Valon, meglio tardi che mai!
Valon prende 1200DM al mese come interprete per la polizia dell'UNMIK a Prishtina, sua sorella lavora per un'ONG francese a Skenderaj. L'opinione di Valon è fatta propria da una ristretta minoranza degli albanesi kosovari, a testimonianza del fatto che la Nato è comunque riuscita a non inimicarsi la popolazione albanese del Kosova, dalla quale, per ora, ha poco da temere.
E' di poche settimane fa la notizia che a Mitrovica, in seguito all'uccisione nella parte nord della città di un ragazzino albanese di 15 anni, le manifestazioni di protesta della popolazione al sud del fiume Ibar si sono rivolte direttamente contro le forze internazionali e non soltanto nei confronti dell'odiato contingente francese. Numerosi feriti nelle file dei soldati della Kfor, parecchi veicoli blindati dati alle fiamme, una vettura dell'OSCE assaltata alla periferia di Mitrovica, con a bordo interpreti ed autisti serbi impiegati dall'organizzazione. E' Mitrovica il punto dolente, dal quale la rabbia degli albanesi potrebbe estendersi in tutta la regione, se la comunità internazionale non risolverà in fretta la questione della divisione in due della città. A Mitrovica parecchi la pensano come Valon ...