L'ECONOMIA MACEDONE PRIMA DEL CONFLITTO


ottobre 2001, di Branka Nanevska. Traduzione di Andrea Ferrario

 

Il progetto per la dispersione della nebbia fredda, messo a punto da tre ingegneri di Skopje e proclamato Invenzione dell'anno 2000, ha dato luogo a commenti ironici da parte di numerosi cittadini i quali, nel corso degli ultimi dieci anni, hanno inutilmente atteso che i risultati delle riforme intraprese si rendessero evidenti. L'invenzione potrà forse aiutare a disperdere la nebbia venutasi a creare per le intromissioni nell'economia da parte dell'incompetente nomenklatura politica locale?! Tale nebbia, numerosi cittadini ed esperti sono convinti, è il principale responsabile del fatto che, dopo il crollo dell'ex federazione jugoslava, la Macedonia ha mancato la propria opportunità di una transizione rapida e di qualità. Si ritiene che la Macedonia avrebbe potuto essere il primo paese dell'Europa sudorientale a introdurre l'economia di mercato nel proprio sistema economico e sociale.

Il processo della transizione in Macedonia, un paese che copre un'area di 25.713 chilometri quadrati con una popolazione di poco più di 2 milioni di abitanti, si è rivelato molto più problematico del previsto e carico di ostacoli di ogni tipo: dai limiti naturali relativi alle risorse disponibili per la crescita, passando per i vari scombussolamenti socio-politici e ideologici, o gli influssi sfavorevoli delle relazioni che governano la scena politica ed economica internazionale, fino agli imprevisti "effetti collaterali" e alla spartizione politica dell'economia, particolarmente negli ultimi due anni.

UN PROCESSO RETROGRADO
Secondo gli attuali standard metodologici, nel 1990 la Macedonia aveva un Prodotto Interno Lordo (PIL) pari a 2.235 dollari pro capite. Secondo l'Istituto Economico di Skopje, il PIL macedone è attualmente pari a 1.801 dollari, rispetto a 1.695 dollari nel 1999. Nel periodo compreso tra il 1981 e il 1990 il PIL ha avuto un tasso di crescita annuale pari al 2,5 per cento; nel periodo precedente al 1996 ha sofferto un calo costante compreso tra il 9,6 e lo 0,3 per cento all'anno; la somma del calo totale del PIL macedone per il periodo 1991-1998 è pari al 5 per cento.

Quattro anni fa si sono fatti notare i primi segnali positivi di una tendenza alla crescita. Nel 1996 il PIL è aumentato dello 0,8 per cento; nel 1997 il tasso di crescita è stato dell'1,5 per cento; nel 1998 ammontava al 2,9 per cento e, secondo le ultime stime della Banca Nazionale di Macedonia (NBM), il tasso di crescita per l'anno 2000 dovrebbe raggiungere una percentuale compresa tra il 5 e il 6 per cento. Economisti indipendenti stimano che, se il trend attuale dovesse continuare, il PIL sarebbe una metà di quello che era nell'anno di inizio della transizione. Allo stesso tempo, le analisi dell'Istituto per gli Studi Economici Internazionali (WIIW), con sede a Vienna, indicano che, attualmente, nell'ambito del processo di transizione in corso, la Macedonia è riuscita a realizzare solo il 70% del PIL che aveva nel 1998.

All'inizio del decennio, la capacità produttiva realizzata era del 70%, mentre oggi a malapena il 20% delle imprese funziona in maniera redditizia. Negli anni recenti, un certo numero di stabilimenti è stato chiuso, mentre non ne sono stati aperti di nuovi. Ciò ha dato luogo a un'enorme crescita della disoccupazione, rendendo la Macedonia detentrice di un record non invidiabile in tale ambito. Secondo l'Ufficio per la Statistica, 270.000 persone sono attualmente senza lavoro (32,1%), e l'Ente per l'Occupazione da parte sua afferma che vi sono 371.000 persone disoccupate (53,4%). Gli statistici spiegano che i dati relativi a circa 100.000 cittadini che hanno trovato lavoro nel settore del mercato nero non sono stati incorporati nei loro rapporti, mentre gli esperti ritengono che ci vorranno almeno 50 anni prima che questo problema - il più grave tra tutti quelli che affliggono la Macedonia - venga risolto.

Secondo quanto ritengono gli economisti indipendenti, non vi è alcun dubbio che la Macedonia stia pagando un prezzo decisamente troppo alto per la transizione dal socialismo al capitalismo. E' loro convinzione che ciò sia la conseguenza del fatto che le autorità locali abbiano eretto a feticcio la politica di un tasso di cambio estero stabile per il denaro e di tassi di inflazione bassi alla quale tali autorità hanno aderito fin dai primissimi giorni dell'autonomia monetaria ottenuta nel 1992, due parametri che - se tutti gli altri venissero esclusi - consentirebbero alla Macedonia di essere citata come un modello esemplare di transizione di successo.

Esperti della NBM sottolineano che nell'ultimo decennio la Banca ha applicato due strategie monetarie nell'implementare il programma di stabilizzazione mirato a sopprimere l'inflazione, che nel 1993 era pari al 229,6%. Fino all'ottobre del 1995, la strategia applicata è stata quella del cosiddetto "targeting" (contenimento monetario), mentre nel periodo successivo è stato tenuto sotto controllo il tasso di cambio estero del denaro rispetto al marco tedesco. Nel luglio 1997 il denaro è stato svalutato del 16% e il tasso di cambio è stato fissato a una parità di 31 denari per un DM. Nel periodo successivo, fino alla fine del primo semestre del 2000, l'inflazione è stata ridotta a un tasso a una cifra; a partire dal luglio dello stesso anno, l'equilibrio raggiunto è stato minacciato dalla crescita del prezzo del petrolio grezzo sul mercato internazionale e da tendenze equivalenti del prezzo dell'elettricità a livello interno. Espressa in termini di crescita dei prezzi al dettaglio, l'inflazione annuale è risultata essere nel settembre 2000 pari al 13,5%, mentre espressa in termini di costo della vita essa ha raggiunto l'8,1%. Le statistiche indicano che, rispetto all'anno iniziale del decennio precedente, il tasso di inflazione è aumentato del 60%.

Nel frattempo, la maggior parte dei salari non è stata oggetto di una correzione degna di nota e in massima parte essi raggiungono una media di circa 300 DM. Insieme ai tassi di crescita della produzione industriale di segno negativo o estremamente bassi (da meno 17% a meno 2,5%), tali fatti costituiscono l'argomentazione principale degli esperti di orientamento indipendente, i quali sostengono che la Macedonia sta vivendo un declino economico in conseguenza del "sabotaggio economico" delle attuali autorità, che hanno mancato di promuovere una strategia nazionale di sviluppo che avesse successo.

Numerosi dati indicano che il processo di transizione ha preso in Macedonia un corso retrogrado e che, in molti segmenti della società il metodo scelto ha provocato caos e un drastico calo dello standard di vita, da una parte, e una tendenza all'arricchimento senza precedenti dall'altra. La povertà e la miseria sono il più basso comune denominatore per un quarto della popolazione che vive oggi in questo paese. Molti ritengono che nel 1990, con una salario medio pari a 3.188 denari, la vita fosse molto più facile che alla fine del 1999, quando lo stipendio medio ammontava a 9.394 denari o, addirittura, anche rispetto allo stipendio medio per il settembre 2000, che raggiunge 10.397 denari. Attualmente, il reddito medio è in Macedonia inferiore del 10% rispetto al valore stimato dei generi di base contenuti nel paniere dei consumi per il novembre 2000. Ben il 70% di coloro che sono sufficientemente fortunati da lavorare guadagna meno della media nazionale, mentre il 35% viene pagato con un ritardo compreso tra 2 e 3 mesi. Due terzi dei 328.000 pensionati hanno pensioni che arrivano a malapena a coprire il 60% del reddito medio. Il 10% della popolazione, vale a dire 71.000 nuclei famigliari, dipende da contributi sociali che vanno da 100 a 150 DM.

LA PRIVATIZZAZIONE INDIVIDUALE: CAUSA DI NUMEROSI PROBLEMI
La bilancia dei pagamenti negativa ereditata dal precedente decennio pesa ancora sull'economia. Nel 1990, il deficit commerciale ammontava a 418.065 dollari e la percentuale delle importazioni coperte dalle esportazioni era del 72,7%. La crescita incessante del deficit commerciale rimane ancora oggi un grave problema strutturale dell'economia macedone. Gli economisti affermano che, secondo tutti i parametri, la Macedonia ha un'economia inusualmente aperta, dato che il 70-80% del suo PIL viene scambiato con il mondo. Su 2,8 miliardi di dollari di merci scambiate in dieci mesi nel 2000, per esempio, il 39,1% era attribuibile a esportazioni, mentre il 60,9% a importazioni. Il tasso delle importazioni coperte da esportazioni è del 64,2%, il che significa che il saldo negativo è cresciuto di circa 40 milioni di dollari rispetto allo stesso periodo del 1999 e ora ammonta a 609,5 milioni di dollari. La spiegazione offerta dall'Ufficio Statistica è che il deficit commerciale è stato causato dall'effetto psicologico dell'introduzione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA)...

La disparità nella bilancia dei pagamenti valutari sta minacciando la solvenza estera del paese, vale a dire la sua capacità di rimborsare i debiti, che hanno raggiunto, secondo la NBM, una somma di 1 miliardo e 490 milioni di dollari alla fine del 1999. Citando dati della Banca Mondiale e altri di cui dispongono, economisti indipendenti affermano che con un indebitamento ammontante, secondo le loro stime, a un totale di 1 miliardo e 836 milioni di dollari e pari al 48,7% del PIL, la Macedonia può essere classificata tra i paesi sovraindebitati.

Gli esperti del governo lo negano, ammettendo solo che il paese è mediamente indebitato... Essi affermano che è necessario contrarre prestiti se si vuole compensare il danno diretto (stimato approssimativamente in un paio di miliardi di dollari) subito dal paese in conseguenza delle sanzioni economiche della Grecia, delle guerre nella ex Jugoslavia, in Serbia e in Kosovo. Il danno indiretto non può essere formulato in cifre precise, ma i suoi effetti si evidenziano più nettamente nel livello basso degli investimenti esteri. Solo 24 milioni di dollari sono stati investiti nel 1999, rispetto alla cifra record di 118 milioni di dollari nell'anno precedente.

Il governo si vanta del fatto di essere riuscito a conseguire un surplus di bilancio nel 2000, diventando così l'unico paese europeo a ottenere un tale risultato nel relativo anno. Il surplus, ufficialmente valutato in 230 milioni di DM per il periodo di sette mesi da aprile alla fine di ottobre 2000, è stato parzialmente restituito, attraverso una riformulazione del bilancio, all'economia dalla quale era stato "aspirato" in primo luogo mediante l'IVA. Secondo stime non ufficiali, il deficit ammonta attualmente a 430 milioni di DM e crescerà probabilmente fino a 600 milioni di DM o, secondo alcuni imprenditori ed economisti dall'atteggiamento più critico, addirittura di più.

Secondo gli esperti della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERD), la Macedonia ha accelerato il passo del proprio processo di riforma e ha ormai praticamente portato a termine le privatizzazioni. Alla fine dell'agosto 2000 c'erano 125.798 aziende registrate nel paese: l'89% era di proprietà privata, l'8% faceva parte del settore pubblico, l'1,4% di quello cooperativo, l'1,4% era di proprietà mista e solo lo 0,2% di proprietà statale. Inoltre, il governo ha venduto la principale banca statale, la Stopanska, ha migliorato la gestione e la riorganizzazione strutturale delle imprese, rendendo più incisive la politica relativa ai fallimenti e la protezione dei diritti degli azionisti e dei creditori. Il parlamento ha approvato leggi sulla riforma dei fondi pensionistici, sulle banche, sui titoli azionari, mentre è stata avviata l'applicazione dell'IVA, e l'inflazione e il tasso di cambio estero della valuta nazionale sono stati tenuti sotto controllo. In conseguenza di tutto ciò, nuovi accordi finanziari per un totale di 80 milioni di dollari sono stati siglati con il FMI e la Banca Mondiale dopo due anni di stallo nelle reciproche relazioni.

I negoziati con l'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), che riprenderanno con ogni probabilità in febbraio e termineranno nel corso del 2001, vengono considerati come uno dei principali successi della transizione macedone. La Macedonia è inoltre membro del Patto di Stabilità per l'Europa Sud-Orientale, dell'Iniziativa Centro-Europea (CEI) e di altre organizzazioni di integrazione internazionale. Anche l'avvio della denazionalizzazione di proprietà per un valore di un miliardo di dollari viene considerato come un importante successo.

Nel 2000 in Macedonia vi erano 21 banche registrate, una filiale di banca estera e 19 casse di risparmio. All'inizio del processo di transizione sono state tutte sottoposte a risanamento. Esiste anche un certo numero di società di brokeraggio, nonché il fondo per la sicurezza dei depositi, il mercato interbancario dei titoli a breve termine e la borsa valori. Con l'assistenza della BERD, della Banca per Europea per gli Investimenti (BEI) e di un fondo estero americano impegnato in investimenti ad alto rischio, sono in corso di negoziazione accordi per la creazione del primo fondo di investimento macedone.

Il processo di privatizzazione è stato condotto in Macedonia secondo il cosiddetto "modello individuale", vale a dire mantenendo le priorità di ogni singolo caso individuale, una matrice creata ai tempi dell'ex primo ministro jugoslavo Ante Markovic (la politica di vendere azioni ai dipendenti e ai team manageriali). Questa pratica, ritengono gli esperti, ha provocato numerosi problemi. I titoli azionari sono stati concessi in pratica gratuitamente o, al massimo, a tariffe incredibilmente basse e, di conseguenza, la cassa del governo è rimasta in quel periodo praticamente vuota, mentre il capitale ha trovato una via per andare a ingrossare i portafogli di pochi ricchi privilegiati. Il 95% delle capacità dei settori industriale e minerario sono state privatizzate prima della fine del 1998 e attualmente è in corso una rapida conclusione del processo. Nel corso dei primi sei mesi del 2000, i pagamenti in contanti ammontavano a 34 milioni di DM, mentre nello stesso periodo semestrale dei sei anni precedenti (1993-1998) ammontavano a 54 milioni di DM.

Se tutto quanto abbiamo sopra esposto non è sufficientemente chiaro, un'analisi dell'organizzazione non governativa Transparency International cita la Macedonia come al sessantatreesimo posto (fascia alta) tra i paesi più corrotti del mondo.

 


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