PRIMA DEL DILUVIO
GLI AVVENIMENTI CHE DAL 1998 AL MARZO 1999 HANNO PRECEDUTO LA GUERRA IN JUGOSLAVIA


aprile 1999, del Comitato di solidarietà con il Kosova



Le due interpretazioni più diffuse, soprattutto a sinistra, del conflitto in atto in Kosovo sono da un parte quella dello scontro etnico tra i due maggiori gruppi nazionali dell'area, albanesi e serbi, e dall'altra quella di una situazione artificialmente creata dalle grandi potenze. Un breve sguardo agli eventi che hanno segnato l'evolversi di tale conflitto negli ultimi dodici mesi, nonché alle sua radici pi recenti, fornisce tuttavia un quadro che è in aperta contraddizione con queste due tesi.

IL CONFLITTO IN KOSOVO

Le prime avvisaglie di una radicalizzazione della situazione in Kosovo si sono avute nell'autunno del 1997. In particolare, nel mese di ottobre di quell'anno, gli studenti organizzavano delle massicce manifestazioni con le quali richiedevano uno sblocco della situazione intollerabile in cui i giovani kosovari si trovavano a vivere ormai da anni: strutture educative e sanitarie fatiscenti, disoccupazione altissima, repressioni poliziesche violente e incessanti. L'insoddisfazione degli studenti era ulteriormente accentuata dalle politiche attendiste, e spesso autoritarie, seguite dalla dirigenza della "società parallela" creata in Kosovo dopo la cancellazione di ogni autonomia politica da parte delle autorità di Belgrado, avvenuta nel biennio 1989-1990. Inoltre, nei due anni precedenti, in seguito agli accordi di Dayton del 1995, si erano fatte sempre pi improbabili le ipotesi di un sostegno occidentale alle richieste di indipendenza degli albanesi del Kosovo, richieste che, sia sotto Tito sia sotto Milosevic, hanno sempre incontrato un netto rifiuto da parte dell'Occidente.

Le manifestazioni degli studenti hanno portato alla luce le ampie divergenze esistenti all'interno del movimento albanese: il "presidente-ombra" Rugova ha immediatamente fatto proprie le richieste ufficiali di statunitensi ed europei, i cui rappresentanti si sono in quell'occasione precipitati in un folto gruppo per intimare l'annullamento delle mobilitazioni, delle quali si temeva potessero radicalizzare una situazione che si voleva proseguisse intatta. La primavera precedente, infatti, gli Stati Uniti, con un apposito tour del loro rappresentante Kornblum, avevano convinto Rugova a rimandare le elezioni per il parlamento parallelo del Kosovo, già in ritardo di un anno, nella prospettiva di una partecipazione degli albanesi alle elezioni parlamentari previste in Serbia per l'inverno di quell'anno, un progetto che proprio nei mesi estivi del '97 aveva provocato un'evidente spaccatura all'interno delle forze politiche albanesi, sicuramente non estranea alle mobilitazioni studentesche. Gli studenti non hanno accettato le richieste di Rugova e dell'Occidente e hanno continuato per vari giorni le proprie mobilitazioni, manifestando un'aperta simpatia per le posizioni pi attiviste di esponenti come Adem Demaci. Nel novembre dello stesso anno, e nei due mesi successivi, si è avuto un altro sviluppo che costituiva un segno della radicalizzazione della situazione: nella regione centrale della Drenica, gruppi dell'Esercito di liberazione del Kosovo erano riusciti a respingere, armi alla mano, alcuni degli abituali raid delle forze speciali serbe nell'area, conquistando un controllo di fatto di un'area limitata, ma significativa. L'UCK era stato fino a quel momento un'organizzazione di carattere prettamente terrorista, fondata nel 1992 da gruppi di origine marxista-leninista in dissidio con la politica di resistenza passiva di Rugova e diventata operativa nel 1996. In quegli stessi giorni dell'inverno 1997-1998 l'UCK ottiene un importante successo politico con la comparsa in pubblico, per la prima volta, di suoi esponenti che pronunciano a viso scoperto un acceso discorso durante il funerale di un albanese ucciso dalle forze di polizia serbe. Poco pi di un mese dopo, si verifica in sordina un altro importante evento: l'espulsione di fatto dalla Lega Democratica del Kosovo, il partito di Rugova che controlla praticamente tutte le istituzioni della società parallela, di alcuni alti funzionari in dissidio con il leader del partito, mentre anche il premier in esilio del governo kosovaro, Bujar Bukoshi, prende sempre pi le distanze da Rugova che quindi, pur conservando un ampio controllo politico, viene a trovarsi in una situazione sempre pi vacillante.

Parallelamente, a Belgrado, il regime di Milosevic si trova nuovamente in una difficile situazione politica, dopo avere superato la crisi provocata dalle grandi manifestazioni del 1996-1997. Alla disastrosa crisi economica, per la quale non si vedono vie d'uscita a breve termine, si aggiunge una diminuzione del consenso politico che si esplicita nella sconfitta del candidato del partito socialista di Milosevic alle elezioni presidenziali. Dopo una ripetizione del voto con il nuovo candidato socialista, Milutinovic, riesce a vincere di strettissima misura. Contemporaneamente si ha un rafforzamento dell'ultranazionalista Partito Radicale di Seselj, che viene in breve tempo cooptato nel governo. I socialisti si trovano così sempre pi costretti a spartire la "torta" del potere con due alleati, spesso con interessi conflittuali, come i Radicali e la JUL (Sinistra Jugoslava Unita), guidata dalla moglie di Milosevic.

Nel febbraio del 1998 gli organi di stampa della regione balcanica cominciano a parlare sempre pi insistentemente dell'imminente scoppio di un conflitto armato in Kosovo. A livello politico, il presidente della vicina Macedonia, Gligorov, un ex-comunista che ha buoni rapporti con il governo di Belgrado, ma anche con gli USA, giunge a ipotizzare a metà febbraio la creazione nel suo paese di un corridoio "umanitario" per deportare fino a 400.000 profughi dal Kosovo in Albania.

In tale contesto, e nonostante siano in atto continue repressioni delle forze serbe, con operazioni anche di vasta portata, le grandi potenze compiono alcuni passi importanti verso un'ulteriore distensione delle relazioni con Belgrado: gli USA cancellano parte delle sanzioni economiche ancora in atto contro Belgrado e l'UE concede alla Jugoslavia lo stato di nazione favorita nei rapporti economici con i paesi europei, mentre si accenna alla possibile integrazione di Belgrado nell'OSCE. Inoltre, l'inviato statunitense nei Balcani Gelbard, definisce apertamente come "terrorista" l'UCK.

Di lì a poco, tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo, le forze speciali serbe, con il pretesto della risposta ad azioni dell'UCK, mettono in atto una serie di durissime azioni nel Kosovo centrale con atti intenzionali di violenza contro la popolazione civile, come avviene per esempio ai primi di marzo, quando nella regione della Drenica vengono uccise circa 80 persone, tra cui molti anziani, donne e bambini. Si tratta di un fatto che suscita un'enorme indignazione tra gli albanesi del Kosovo e che nelle settimane successive porterà molti di loro ad aderire in massa all'UCK, per convinzione o per il puro bisogno di difendersi dalle operazioni delle forze serbe, che si intensificano progressivamente fino a diventare vere e proprie operazioni di guerra con l'evidente scopo di "ripulire" il Kosovo centrale dalla presenza dei guerriglieri e impedire il diffondersi della rivolta in tutta la provincia.

L'eclatanza degli eccidi non poteva essere ignorata dalle capitali occidentali, che fanno rientrare in gioco il Gruppo di contatto, una struttura creata a suo tempo per affrontare il conflitto bosniaco e che rimarrà nei mesi successivi il principale canale di azione politica delle grandi potenze in Kosovo. Il Gruppo di contatto, composto da USA, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e Russia, condanna le repressioni serbe (con importanti distinzioni al suo interno, come quelle del ministro degli esteri italiano Dini, che si preoccupa in particolare di denunciare il comportamento degli albanesi), ma non adotta alcuna misura concreta, rimandando pi volte i propri già timidi ultimatum e adottando infine solo una serie di sanzioni di scarsa rilevanza politica, come il congelamento dei beni jugoslavi all'estero o il divieto di atterraggio degli aerei jugoslavi nelle capitali occidentali, sanzioni che verranno tra l'altro annullate da lì a due mesi.

Contemporaneamente, i paesi del Gruppo di contatto esercitano forti pressioni affinché gli albanesi creino un gruppo di negoziatori e avviino trattative con Milosevic, ma questa richiesta provoca una frattura ancora pi profonda tra le forze albanesi, visto che Rugova, il quale continua a essere indicato esplicitamente dai paesi occidentali come il loro unico referente, intende avere il pieno controllo di ogni mediazione politica. In particolare, Rugova, appoggiato in ciò esplicitamente dall'Occidente, e in particolare dagli USA, vuole formare tale gruppo di negoziatori dopo lo svolgimento delle elezioni per la presidenza e il parlamento "paralleli" degli albanesi del Kosovo, previste per il 22 marzo dopo essere state rimandate d'autorià e su richiesta occidentale per due anni. Le forze che gli si oppongono, non solo l'UCK o il Partito Parlamentare di Demaci, ma ormai anche alcuni leader fuoriusciti dalla LDK, sono nettamente contrarie a che si tengano elezioni mentre in tutto il Kosovo è in atto, di fatto, uno stato di guerra che impedisce ogni dibattito democratico e decidono di boicottarle. Nonostante questo, la dirigenza kosovara procede al voto e la LDK ottiene il controllo assoluto del parlamento, oltre che la riconferma di Rugova a presidente. Il team di negoziatori che viene successivamente formato comprende solo uomini strettamente a lui legati, oltre a un paio di esponenti moderati (Surroi e Bakalli) che non fanno riferimento ad alcuna forza politica.

Sul campo, nel frattempo, l'UCK riesce a difendersi spesso con successo dagli attacchi serbi e in alcuni casi addirittura a migliorare le proprie posizioni. Le grandi potenze, che in questi mesi, così come avevano fatto in passato, hanno continuato a ribadire a chiare lettere la propria opposizione a ogni ipotesi d'indipendenza del Kosovo, premono sempre pi affinché vengano aperte trattative guidate dal gruppo di negoziatori nominato da Rugova, ma gli albanesi insistono nell'affermare che per l'apertura di qualsiasi trattativa è necessaria innanzitutto una cessazione delle operazioni militari sul campo. Dopo breve tempo, tuttavia, Rugova decide di aderire alle richieste occidentali, scavalcando ogni dibattito democratico e senza che nessuna delle condizioni degli albanesi venga soddisfatta e si reca a Belgrado in visita da Milosevic, accompagnato solo da alcuni suoi stretti collaboratori, proprio mentre le forze serbe svolgono una cruenta offensiva lungo i confini con l'Albania. Milosevic incassa con questo incontro la cancellazione delle sanzioni precedentemente imposte alla Jugoslavia e i complimenti personali del mediatore statunitense Holbrooke e di Madeleine Albright. L'incontro tuttavia non produce alcun risultato concreto, vista la scarsissima rappresentatività di Rugova, che, tra l'altro, fino a pochi giorni prima continuava a sostenere che l'UCK non esisteva o era solo un'invenzione dei servizi segreti serbi. L'unica conseguenza di questo incontro è stata quella dell'inasprirsi degli scontri sul terreno.

A giugno le forze serbe si trovano ad avere perso il controllo di buona parte del territorio del Kosovo ed è proprio in questo momento che entra per la prima volta in campo la NATO, con la minaccia di effettuare raid aerei, progetto ben presto rientrato a favore di un ben pi ambiguo piano di schieramento di forze del Patto Atlantico in Macedonia e in Albania, ai confini con il Kosovo, il cui effetto sarebbe stato soprattutto quello di arrestare i flussi di armi destinate all'UCK. Ma anche questo progetto viene accantonato, viste le difficoltà logistiche in Albania e quelle politiche in Macedonia, paese con un'ampia minoranza albanese e dove sono imminenti decisive elezioni politiche.

Così, mentre l'UCK amplia sempre pi il proprio controllo del terreno, giungendo non lontano da Pristina e conquistando un importante centro minerario, le grandi potenze riprendono le proprie attività diplomatiche, che vedono questa volta il mediatore statunitense Holbrooke incontrare alcuni esponenti dell'UCK, nel tentativo di convincerli ad accettare la leadership di Rugova e del suo parlamento per aprire trattative con Belgrado. Le componenti pi influenti dell'UCK non accettano tale ipotesi e vengono a trovarsi in una posizione sempre pi isolata: l'UCK é oggetto non solo dell'ostilità dei paesi occidentali e della LDK di Rugova, comunque allo sbando, ma anche del premier in esilio Bukoshi, che gestisce tutte le raccolte di fondi all'estero, un canale di finanziamento vitale per la guerriglia, e che da qualche tempo, dopo una breve ed evidentemente non radicale frattura, si è riallineato con Rugova. Non è un caso che, dopo l'affronto del "rifiuto" opposto a Holbrooke, l'UCK diventi oggetto di una campagna propagandistica, di chiara matrice statunitense, che ne afferma i legami con gruppi fondamentalisti islamici.

Fallito il tentativo statunitense, così come ogni tentativo di Rugova di fare riconoscere all'UCK e ai partiti di opposizione il proprio parlamento come organo rappresentativo del Kosovo, mentre coloro che si oppongono a Rugova chiedono la creazione di un Consiglio di Unità Nazionale dove vengano rappresentate equamente tutte le forze, UCK compresa, le capitali occidentali cessano di fatto ogni attività diplomatica, mentre le forze speciali serbe danno il via a un'altra offensiva massiccia e distruttiva, che in agosto comincerà a dare i primi risultati con la conquista da parte delle forze di Belgrado di importanti centri, come per esempio Malisevo e Junik. La tattica usata nel corso dell'estate è quella della "terra bruciata", messa in atto con il bombardamento a distanza dei villaggi e la successiva penetrazione delle forze speciali al loro interno per completare l'opera di distruzione. Si viene così a creare un enorme flusso di rifugiati (allla fine dell'estate saranno almeno 300.000) perlopi all'interno dello stesso Kosovo, ma che mette in difficoltà anche i paesi vicini come l'Albania e il Montenegro.

A livello politico, l'unico fatto rilevante è il definitivo rifiuto di Rugova di dare vita a strutture rappresentative dell'intero spettro politico albanese e la conseguente nomina di Adem Demaci, che abbandona la propria carica di presidente del Partito Parlamentare, a rappresentante politico dell'UCK. A settembre le fratture all'interno del movimento albanese si fanno pi evidenti e assumono in alcuni casi un carattere violento: viene ferito in Albania, in circostanze misteriose, il portavoce dell'UCK, Jakup Krasniqi e poco pi tardi, il 21 settembre, a una sola settimana dal tentato "golpe" di Berisha, viene ucciso a Tirana Ahmed Krasniqi, capo delle FARK (Forze Armate della Repubblica del Kosova). Queste ultime sono state create dal governo in esilio di Bukoshi, da tempo ritornato sulle medesime posizioni di Rugova, allo scopo di assumere dall'esterno la direzione militare dell'UCK, alla quale rimprovera una mancanza di strategia e di competenze militari, oltre a una struttura troppo "orizzontale" e insufficientemente gerarchica. A tale scopo, vengono reclutati nelle FARK comandanti con un curriculum ben diverso da quello dei comandanti sul terreno: si tratta in massima parte di ex ufficiali dell'Esercito jugoslavo, alcuni dei quali con un passato molto dubbio, come lo stesso Ahmed Krasniqi, che nel 1991 ha partecipato all'assedio di Osijek, in Croazia, dalla parte dei serbi.

Lo scontro ha anche una sua dimensione politica, che coinvolge in parte l'Albania: tra la fine di settembre e i primi di ottobre vi è uno scambio di reciproche accuse tra il Quartier generale dell'UCK, che tra le altre cose condanna il tentato golpe di Berisha a Tirana, e lo stesso Berisha, che accusa senza mezzi termini l'UCK di non avere accettato nell'estate il consiglio degli statunitensi di accettare la leadership di Rugova e di aprire trattative con Belgrado. Berisha inoltre si scaglia contro i capi dell'UCK definendoli degli "avventurieri marxisti" e ricordando loro che è necessario seguire i consigli della comunità internazionale per giungere a "una nuova Dayton, nella quale i principi secondo cui i confini non devono essere cambiati con la violenza e il principio dell'autodeterminazione vengano armonizzati".

In realtà a lungo termine diventerà evidente che proprio questi ultimi fattori, l'accettazione del dettato occidentale e della leadership di Rugova, da una parte, e la disponibilità a rinunciare all'indipendenza in cambio della protezione di USA ed Europa, sono al centro degli obiettivi delle FARK e dei loro ispiratori, Bukoshi, Berisha e Rugova. L'operazione FARK riuscirà soltanto a metà: la sigla che la contraddistingue scompare nel giro di poche settimane, ma molti di questi comandanti riusciranno a conquistare posizioni importanti all'interno dell'UCK che, mai molto coesa al suo interno, assumerà così un'identità ancora meno facilmente individuabile.

A settembre le forze serbe hanno ripreso ormai il controllo di gran parte del Kosovo, mentre le strutture dell'UCK sono in rotta e circa il 20% degli abitanti della regione vive in condizioni di profugo. E' a questo punto che tornano in campo le cancellerie occidentali e la NATO afferma che sono in corso di preparazione piani per eventuali bombardamenti della Serbia (piani che tuttavia nel giugno precedente erano stati dichiarati dalla stessa NATO come già pronti), mentre riprendono le pressioni per l'apertura di trattative tra albanesi e serbi, pressioni nel cui ambito viene presentata una prima bozza di accordo del mediatore statunitense Hill, che prevede per il Kosovo solo l'autonomia e, parallelamente, ha come proprio punto centrale la garanzia dell'integrità territoriale della Jugoslavia. Con la formulazione di un ultimatum per l'apertura di trattative, pena bombardamenti NATO contro obiettivi serbi, si ha un'escalation artificiale della tensione, che dura fino all'arrivo all'ultimo minuto a Belgrado del mediatore Holbrooke, che era stato emarginato dai processi diplomatici dopo l'insuccesso dell'estate precedente.

 Holbrooke giunge il 13 ottobre a un accordo "di pace" con la controparte serba, in virt del quale vengono sospese le minacce di bombardamento. Il particolare pi eloquente di questo accordo è che esso viene stipulato unicamente tra Holbrooke e Milosevic, senza che la parte albanese venga in alcun modo coinvolta. L'accordo, mai reso pubblico in versione integrale o ufficiale, prevede la cessazione delle ostilità, la riduzione delle forze serbe presenti in Kosovo (ma la cifra stabilita in un primo momento viene aumentata di lì a pochi giorni), l'apertura di trattative e l'arrivo in Kosovo di una missione di osservatori, che viene successivamente affidata all'OSCE, un'organizzazione che non vanta alcuna esperienza di questo tipo, ma che risulta molto conveniente dal punto di vista diplomatico, poiché al suo interno vi sono tutti i paesi europei, Russia inclusa, pi gli Stati Uniti.

Per alcune settimane vi è un'effettiva diminuzione delle ostilità, dovuta anche alla sconfitta subita dall'UCK sul terreno, ma quello che sembra fallito in partenza è il processo delle trattative, in conseguenza anche della sempre pi evidente competizione tra gli Stati Uniti e l'UE riguardo a chi dovrà avere l'egemonia di un processo di pace. Mentre i verificatori OSCE tardano a insediarsi in Kosovo (ai primi di dicembre dei 2000 previsti ne erano arrivati solo 700) il mediatore statunitense Hill, in collaborazione con i vari rappresentanti di UE e OSCE, stende ai primi di novembre una nuova bozza di accordo che, rispetto alla prima, prevede maggiori garanzie per gli albanesi e la creazione di una forza di polizia del Kosovo, ma esclude ancora esplicitamente ogni prospettiva di indipendenza e ogni meccanismo di autodeterminazione, anche in tempi futuri, per i kosovari. La proposta viene rifiutata da entrambe le parti, anche se quella albanese afferma che si tratta di una base per possibili future versioni pi accettabili, a patto che venga presa in esame l'effettuazione di un referendum per l'indipendenza dopo un periodo temporaneo di tre o cinque anni.

Nello stesso periodo, in Serbia vengono avviate tutta una serie di clamorose epurazioni a livello politico: vengono rimossi dal loro incarico il capo dei servizi segreti, il numero due del Partito Socialista e, infine, il Capo di Stato maggiore dell'Esercito Perisic, noto per avere ai tempi raso al suolo la città di Mostar, in Bosnia, ma con buoni agganci con l'Occidente e in particolare con la NATO. Contemporaneamente, vengono aperte trattative con l'ex oppositore Vuk Draskovic, che nei primi giorni del '99 entrerà infine nel governo di Belgrado, mentre, con un astuto giocare, vengono fatti rientrare vari scioperi e manifestazioni con la scusa dell'"emergenza nazionale". Sempre a novembre, viene decisa la creazione di una forza NATO in Macedonia per la protezione dei verificatori OSCE in Kosovo, forza che verrà successivamente ampliata fino a trasformarsi a febbraio nel nucleo di un possibile intervento diretto della NATO in Kosovo. A livello internazionale, si tratta di una missione di estrema importanza, perché è la prima del Patto Atlantico interamente europea.

Ai primi di dicembre, dopo alcune settimane di stallo, viene presentata una nuova bozza di accordo di Hill, che questa volta accoglie apertamente numerose richieste della parte serba (come il controllo da parte del sistema giudiziario serbo dei tribunali del Kosovo, il diritto di veto delle minoranze nazionali su ogni questione di importanza vitale, mentre nemmeno l'integrità del Kosovo viene pi salvaguardata, essendo esplicitamente citata la possibilità di una sua spartizione). La parte albanese lo rifiuta immediatamente in blocco e, dopo breve, anche quella serba: con gli albanesi divisi politicamente, e le potenze occidentali divise anch'esse su chi dovrà avere il controllo di un eventuale accordo, Belgrado coglie l'occasione per lanciare una serie di offensive, la pi importante e massiccia delle quali sarà quella di Podujevo alla vigilia di Natale, preparata con cura nei giorni precedenti mediante un massiccio ridispiegamento di forze pesanti serbe in Kosovo. Uno degli obiettivi delle forze serbe è quello di logorare la guerriglia dell'UCK e di costringerla a consumare scorte di munizioni e altri materiali militari, tagliando contemporaneamente le sue vie di rifornimento, il tutto in vista della prevista ripresa delle ostilità a tucco campo in primavera.

Nelle settimane successive al Natale le offensive di questo tipo si moltiplicano, mentre i rappresentanti occidentali se la prendono soprattutto con gli albanesi, con particolare veemenza in particolare gli europei. Questi sviluppi culminano il 15 gennaio con la strage compiuta dalle forze serbe nel villaggio di Racak. Quest'ultimo si trova al centro di una zona controllata dalle forze UCK pi ostili a Rugova, nella quale nei giorni precedenti al massacro le forze speciali serbe avevano condotto una vasta offensiva con carri armati e artiglieria pesante che provoca un'ondata di profughi. Si tratta di un'operazione che viene semplicemente registrata dai verificatori OSCE, senza alcuna denuncia esplicita di quanto in corso. Il 15 gennaio le forze serbe entrano a Racak e compiono un massacro uccidendo 45 albanesi, tra i quali un bambino e alcuni anziani, senza subire alcuna perdita. Il fatto viene scoperto solo il giorno successivo e, al di là dell'ampio risalto datogli dai media, non provoca nell'immediato reazioni concrete in ambito occidentale: la Casa Bianca adotta una linea di basso profilo e convoca solo una riunione di viceresponsabili dei vari settori competenti per la politica estera, mentre gli europei, in sede NATO, premono affinché si prenda tempo prima di assumere una posizione.

A tale proposito non si può notare la sospetta coincidenza delle "rivelazioni" lanciate da alcuni giornali francesi, che in realtà non rivelano nulla sulla dinamica dei fatti e provengono inoltre da fonti anonime che hanno visitato il villaggio varie ore dopo che le forze serbe vi avevano cominciato le loro azioni e su invito di queste ultime, girandovi un filmato che non è mai stato mostrato a nessuno. Il successivo, discorde avviarsi di una nuova ondata di iniziative diplomatiche, avviene in un momento in cui gli albanesi stavano per avviare un difficile processo di trattative politiche, su iniziativa in particolare degli ambienti pi vicini a Demaci, per raggiungere una posizione unitaria, ma equa.

Su iniziativa soprattutto europea, viene annunciata in tutta fretta una conferenza di pace con scadenze precise e con la minaccia, senza tuttavia alcun ultimatum preciso, di passare a bombardamenti o a operazioni di blocco dei rifornimenti di armi all'UCK nel caso in cui la trattativa avesse dovuto fallire o le parti avessero dovuto rifiutare di parteciparvi. I tempi fissati sono troppo stretti perchè possa svolgersi la prevista serie di incontri tra le varie parti albanesi alla ricerca di una posizione comune: le ali albanesi moderate accettanno immediatamente la proposta della conferenza, che si svolgerà a Rambouillet, così come la parte serba, dopo uno scontato voto in parlamento.

La decisione dell'UCK di partecipare ha invece un corso pi travagliato: il rappresentante politico dell'organizzazione, Adem Demaci, si pronuncia contro la partecipazione alla conferenza perché la bozza di accordo presentata alle parti prevede solo un'autonomia con la conservazione dell'integrità territoriale della Jugoslavia e nessuna prospettiva per un'autodeterminazione dei kosovari, nemmeno dopo un periodo transitorio. Demaci tuttavia lascia l'ultima parola al Quartier Generale dell'UCK, che dopo alcuni giorni decide di partecipare alla conferenza. Il resto è cosa di questi giorni: le trattative convulse all'ultimo minuto, la prima proroga e, visto il mancato accordo delle due parti, un'ulteriore rinvio al 15 marzo per una nuova conferenza a Parigi, mentre Belgrado continua a rifiutare il piano di dispiegamento di forze NATO in Kosovo e all'interno dell'UCK persistono forti divisioni in merito all'accordo, in particolare riguardo alla cancellazione di ogni prospettiva di indipedenza e al disarmo dell'UCK stesso.