Qui di seguito il testo di un bollettino del Comitato di Solidarietà con il Kosova uscito prima che la guerra del 1999 terminasse.

 

KOSOVO. DOMANDE E RISPOSTE



marzo 1999 del Comitato di Solidarietà con il Kosova

 

Introduzione
Con questo bollettino intendiamo rispondere alle pi tipiche domande che ci siamo sentiti rivolgere da settori pacifisti, sindacali e di sinistra. Il nostro comitato si propone di rivolgersi a questo tipo di pubblico per cercare di gettare un ponte tra il movimento operaio e il movimento pacifista e internazionalista occidentale nelle loro varie espressioni (partiti di sinistra, sindacati, centri sociali, associazioni, ecc.) e la lotta di liberazione del Kosova. Ci pare infatti che l'opinione pubblica di sinistra sia male orientata dai mezzi di informazione ed anche dal peso di pregiudizi. Del resto solo se la sinistra europea saprà costruire una fattiva solidarietà con le nazionalità oppresse, vi sarà la possibilità che queste non si illudano, per risolvere i propri problemi, di poter far ricorso alle potenze da sempre nemiche sia dei lavoratori che dei popoli oppressi.

SERBI ED ALBANESI

"Gli albanesi del Kosova hanno già goduto di un'ampia autonomia nella Jugoslavia di Tito, ma non si sono accontentati e sono passati a un'ingiustificata richiesta estremistica d'indipendenza."

E' vero che il Kosova ha goduto per un breve periodo (nei fatti, dal 1974 al 1981) di un'ampia autonomia formale. Tuttavia questa autonomia non ha mai assunto forme democratiche e non è mai stata espressione della libera scelta dei kosovari. La sua creazione è stata il risultato di un riassetto interno della Jugoslavia federale, imposto dall'alto al fine di cercare di chiudere spazi, con la creazione di nuove classi burocratiche locali, alle mobilitazioni popolari che in tutta la federazione chiedevano un maggiore diritto all'autodeterminazione dal basso. Inoltre, attraverso massicci aiuti finanziari forniti dalla federazione al Kosova come provincia pi povera della federazione, quest'ultimo non solo è stato costretto a perpetuare il suo ruolo di regione sottosviluppata fornitrice di materie prime per l'industria jugoslava, ma ha visto anche l'insediarsi al potere di una burocrazia che era pi legata al potere centrale di Belgrado dispensatore di fondi che al popolo kosovaro. Quando i nodi sono venuti al pettine nel 1981 e gli albanesi del Kosova si sono mobilitati in massa contro questa colonizzazione, la risposta del governo jugoslavo è stata quella di inviare i carri armati e di rendere inefficace l'autonomia, che è stata in seguito cancellata definitivamente con la forza e illegalmente negli anni 1989-1990, ancora una volta ignorando le mobilitazioni di centinaia di migliaia di lavoratori, studenti e disoccupati del Kosova. E' da allora e sulla base delle esperienze di svariati anni in cui le repressioni e la colonizzazione sono proseguiti nonostante la formale ampia autonomia, che la richiesta d'indipendenza è diventata patrimonio di tutti gli albanesi del Kosova, anche delle forze pi moderate come la LDK di Rugova. Inoltre, non va dimenticato che chi nella Jugoslavia di Tito chiedeva, anche solo pacificamente, che il Kosova diventasse una repubblica all'interno della federazione veniva sottoposto a processi-farsa e punito con pene che potevano superare i dieci anni di prigione, mentre pene della stessa entità venivano inflitte a chi criticava il sistema burocratico o denunciava le repressioni.

"L'UCK è sorta all'improvviso e in maniera molto sospetta, legittimata da subito dagli USA."

L'UCK ha radici lontane, che trovano origine nelle lotte interne al movimento albanese. Il nucleo fondatore è costituito da persone legate al Movimento Popolare del Kosova (LPK), una organizzazione marxista-leninista che opera nell'emigrazione ed è stata in conflitto con le dirigenze della Provincia autonoma del Kosova, ai tempi della Jugoslavia di Tito, e con la leadership di Rugova e del suo partito LDK, successivamente. L'UCK, che ha cominciato a operare in maniera organizzata nel 1996, dopo che con gli accordi di Dayton era stata messa un'ipoteca sulle richieste di indipendenza dei kosovari, ha ottenuto un seguito di massa non solo nelle campagne, ma anche tra gli studenti delle città, quando ha aperto la prospettiva di una via all'indipendenza alternativa a quella delle politiche attendiste dei leader kosovari moderati sostenuti da USA ed Europa. Gli USA, infatti, hanno sempre sostenuto la linea di resistenza passiva di Rugova perchè tornava loro utile, in un momento in cui altri conflitti erano in atto, che il Kosova non minacciasse la stabilità della Serbia. Nel 1997 gli USA hanno ufficialmente chiesto e ottenuto il rinvio delle elezioni per il Parlamento "clandestino" del Kosova, premendo per una partecipazione degli albanesi alle imminenti elezioni in Serbia e in Jugoslavia e quindi per una loro integrazione nel sistema politico serbo. Quando il conflitto armato è scoppiato un anno fa, gli Stati Uniti hanno implicitamente legittimato le stragi serbe, verificatesi da lÏ a pochi giorni, definendo per bocca del loro inviato nei Balcani, Gelbard, l'UCK come una formazione terrorista. Nei mesi successivi l'Occidente ha fatto di tutto per mettere l'UCK sotto il comando dei leader "moderati" come Rugova e, quando non vi è riuscita, dopo un colloquio tra l'inviato Holbrooke e alcuni esponenti dell'organizzazione, ha implicitamente avvallato la cruenta offensiva serba dell'estate del '98, astenendosi dal mettere in atto qualsiasi pressione politica, se non quando l'offensiva era ormai terminata con una vittoria di Belgrado. Un primo interessamento, limitato unicamente agli Stati Uniti, si è avuto solo con il recente vertice di Rambouillet, quando alcuni importanti dirigenti dell'UCK si sono dimostrati disponibili a cessare la lotta armata e a rinunciare, o rimandare a tempi indefiniti, le richieste di indipendenza, nell'ambito di una collaborazione con l'ala dei kosovari moderati.

"Chi finanzia l'UCK? Sembra provato che si finanzia con soldi provenienti da attività come droga, traffico d'armi, ecc."

Molti si domandano chi finanzia l'UCK. Ma nessuno si domanda: chi finanzia Milosevic? La domanda ci dovrebbe riguardare da vicino visto che l'Italia tramite l'accordo STET-Telekom serba ha rimpinguato le casse dello stato serbo di 900 miliardi. Oggi la repressione nel Kosova è pagata anche con soldi italiani. Non vogliamo comunque sfuggire alla domanda. Chi la fa perÚ ignora che il terrificante sforzo compiuto da sette anni di società parallela è stato finanziato dalla diaspora, in concreto dai lavoratori kosovari all'estero che danno il 3% del proprio stipendio. Per finanziare l'UCK la tassazione è ancora superiore. Irridere questo sforzo di autofinanziamento da parte di militanti democratici e di sinistra, per dimensioni simile a quello condotto per anni dagli eritrei, è davvero paradossale: significa ignorare i sacrifici di migliaia di immigrati. Forse l'UCK ha anche entrate di diverso tipo, non lo sappiamo perchè l'unica fonte al riguardo è quella dell'Arma dei Carabinieri, che non è precisamente una fonte considerata attendibile da militanti internazionalisti, ma in tutti i casi: che cambierebbe? Prima di tutto fonti di finanziamento opinabili riguardano gran parte dei movimenti di liberazione, compresi tutti quelli storicamente sostenuti da democratici e sinistra: curdi, palestinesi, irlandesi, colombiani, ecc. Del resto molti scrupoli non se li è mai fatti nemmeno il movimento operaio quando si è trovato alle strette, a cominciare dalle rapine che effettuavano i bolscevichi. In secondo luogo perchè le fonti di finanziamento di una delle parti in causa dovrebbe in qualche modo relativizzare il sostegno a una causa giusta? Non abbiamo alcun bisogno di attendere il sorgere della forza politica kosovara che piace a noi per sostenere la lotta di liberazione di un popolo oppresso.

"Milosevic sarà pure un poco di buono ma svolge oggettivamente una funzione antimperialista."

Milosevic, un ex alto dirigente d'azienda, ha cominciato la sua carriera politica negli anni '80 cercando attivamente un sostegno da parte degli USA, che in parte, a periodi alterni, glielo ha concesso. Il problema è che questa sua aspirazione si è scontrata con il suoi disegni gran-serbi che gli USA non hanno potuto sempre accettare perchè significava destabilizzare completamente l'area. Rimane il fatto che Milosevic, soprattutto negli ultimi anni, è stato sempre il punto di riferimento della diplomazia occidentale per ogni soluzione sul campo, ruolo che egli ha sempre accettato e attivamente cercato, come a Dayton nel 1995 o con gli accordi Milosevic-Holbrooke sul Kosova dell'ottobre '98, con i quali gli USA non hanno nemmeno preso in considerazione un coinvolgimento della parte albanese, scegliendo come unico riferimento il leader di Belgrado. Il regime di Milosevic, inoltre ha stipulato e ha offerto ancora di recente, contratti per investimenti di migliaia di miliardi con aziende occidentali in Serbia.

"Se, come dite, l'imperialismo non favorisce o non ha favorito la frammentazione della ex e dell'odierna Jugoslavia, perchè USA ed Europa insistono ad attaccare la Serbia che di quella Federazione è sempre stata perno?"

Perchè è la direzione di Milosevic che provoca i maggiori problemi. La ex-Jugoslavia era una federazione dove, specie nell'ultimo periodo, l'equilibrio dei poteri pendeva nettamente dalla parte serba. Lo dimostra il fatto che al momento della rottura la quasi totalità dell'armamento pesante era in mano serba, nonchè il grosso del corpo ufficiali. Dunque la lotta delle altre nazioni per l'autodeterminazione si è dovuta misurare con la Serbia, che coltivava il sogno di estendere il proprio dominio sulla Bosnia e la Croazia. Quasi tutte le potenze occidentali hanno attivamente scoraggiato e cercato di posticipare il pi possibile l'indipendenza di Slovenia, Croazia e Macedonia. L'Italia in particolare si è mostrata particolarmente attiva in questo campo. La dinamica a favore dell'indipendenza perÚ ha obbedito ad aspirazioni popolari (grandi manifestazioni di massa hanno preceduto le varie dichiarazioni), non certo a diabolici piani che l'imperialismo ha studiato a tavolino.

"Non è possibile un'indipendenza del Kosova, perchè quest'ultimo è storicamente la culla della civiltà serba."

Il Kosova non è la culla della civiltà serba, visto che lo stato serbo medioevale è nato pi a nord, nell'area dell'odierno Sangiaccato, dal quale i serbi di allora sono partiti militarmente alla conquista di varie zone dei Balcani, tra cui il Kosova che, ricco di risorse all'epoca importanti, ha consentito loro di costruire numerosi monumenti, conservatisi nei secoli, nonostante i conflitti nell'area, grazie al rispetto di tutte le popolazioni nei loro confronti, albanesi compresi. Ma che senso ha risalire al medioevo per giustificare la colonizzazione e le repressioni di oggi? In realtà, il mito del Kosova "culla della civiltà serba" è stato riesumato all'inizio di questo secolo dall'ambito letterario al quale era stato giustamente confinato, quando la giovane e aggressiva borghesia di Belgrado aveva bisogno di una strumentazione ideologica per giustificare le proprie guerre di conquista e di rapina, illudendo i giovani contadini e operai che mandava a morire al fronte. Un altro gruppo dominante aggressivo, quello dei burocrati di Belgrado guidati da Milosevic, si è riappropriato di tale mito negli anni '80 per i medesimi progetti di egemonia e di controllo militare. Milosevic, prima della fine degli anni '80, non aveva mai aderito al revival nazionalista, ma quando ha avuto bisogno di nuovi temi per portare avanti la sua scalata al potere, è ricorso a tale mito e alla cancellazione con la forza nel 1989-90 di ogni autonomia politica del Kosova, cosa che gli ha tra l'altro consentito di disporre di un numero maggiore di seggi all'interno della presidenza collettiva jugoslava e di mettere quindi in atto le sue politiche egemoniche a livello federale.

"La vostra impostazione non tiene conto della minoranza serba in Kosova: non ha forse dei diritti?"

La minoranza serba ha dei diritti all'interno di uno stato sovrano come potrà essere il Kosova libero. Oggigiorno non ha senso parlare di ciÚ perchè quella minoranza è parte integrante dell'oppressore. Tra loro ci sono senz'altro cittadini che non appoggiano la politica di Milosevic (e per questo respingeremo qualsiasi atto terrorista ed indiscriminato contro la popolazione serba del Kosova), ma è indubbio che quella minoranza goda di privilegi rispetto alla stragrande maggioranza albanese. Ha l'impiego garantito, l'accesso all'istruzione, alla sanità, non corre il pericolo di essere calpestata dall'esercito serbo, puÚ parlare liberamente la propria lingua e praticare la propria cultura. Una volta liberato il Kosova certamente a questa minoranza dovranno essere garantiti i diritti che spettano a qualsiasi altra minoranza.

"Se il Kosova diventasse indipendente, sarebbe giusto sostenere un'eventuale successiva lotta dei serbi del Kosova per creare un proprio stato a parte?"

Il Kosova è un'area geografica con confini precisamente determinati e una storia propria. La popolazione serba vi è stata sempre presente, anche se a cavallo tra l'800 e il '900 vi è diventata minoritaria. I circa 200.000 serbi del Kosova non sono distribuiti uniformemente sul suo territorio e ogni proposta di creazione di un loro stato indipendente o di un loro territorio autonomo potrebbe avvenire unicamente attraverso deportazioni di centinaia di migliaia di persone (albanesi o serbi) e violenze inimmaginabili, si tratterebbe cioè di una soluzione come quella cui mirano le forze nazionaliste in Bosnia. Per questo motivo siamo contrari a una tale soluzione e sosteniamo invece il totale rispetto dei diritti democratici e nazionali dei serbi all'interno del Kosova. Oltre a questa fondamentale posizione di principio, va notato che nella storia i serbi autoctoni del Kosova sono stati brutalmente sfruttati, economicamente e politicamente, dai vari regimi succedutisi a Belgrado. Negli ultimi venti anni circa i serbi del Kosova hanno goduto di privilegi (posto di lavoro garantito a scapito degli albanesi ecc.), ma come è regolarmente accaduto in passato, questi privilegi hanno portato comunque i serbi del Kosova a essere coinvolti (pagandone spesso duramente le conseguenze) in situazioni di conflitto che invece non hanno mai toccato direttamente Belgrado o il territorio serbo e che trovano la loro origine al di fuori del Kosova.
Oggi esistono forze serbe, guidate da uno sparuto gruppo di leader un tempo legati a Milosevic, che minacciano la formazione di un'entità territoriale autonoma, ma le loro richieste sono solo uno strumento di minaccia funzionale agli interessi di Belgrado e con scarso seguito in Kosova.

LA LOTTA PER IL DIRITTO ALL'AUTODETERMINAZIONE

"Come si può chiedere alla sinistra di appoggiare la lotta degli albanesi del Kosova quando tra loro non vi sono forze di ispirazione socialista o comunista?"

Per una ragione molto semplice: la sinistra dovrebbe stare sempre dalla parte dei soggetti sociali oppressi anche là dove questi per varie ragioni non sono riusciti a darsi delle espressioni politiche che a noi piacciano. Se in una fabbrica ad esempio gli operai lottano contro dei licenziamenti, noi tenderemmo a sostenere le loro lotte e le loro rivendicazioni, ma ciÚ non ci porterebbe automaticamente a condividere le scelte del sindacato nel quale quegli operai si riconoscessero. Per rimanere solo negli avvenimenti dell'ultimo anno, è stata giusta la lotta delle masse indonesiane contro uno dei pi feroci dittatori del mondo, anche se le direzioni politiche che hanno tentato di cavalcare quelle proteste non ci piacevano e non erano certo di sinistra.
Rimanendo sul terreno delle lotte delle nazionalità oppresse nessuno di sinistra negherebbe l'appoggio alla causa palestinese, eppure oggi nel campo politico palestinese sono rimaste solo forze di centrodestra come Al Fatah, o integraliste: la sinistra palestinese si è infatti eclissata in questi ultimi anni, dunque la nostra iniziativa contro il sionismo dovrebbe per questo proporzionalmente diminuire? Dobbiamo separare dunque l'appoggio a cause giuste, dall'appoggio alle forze che sul campo ambiscono a rappresesentare quelle cause.
Ciò ci consentirà tra l'altro di evitare di mantenere atteggiamenti ingenuamente acritici nei confronti di quei movimenti di liberazione che si proclamano di sinistra, ma che tante volte hanno prodotto viva delusione in chi li ha sostenuti. Naturalmente questo atteggiamento provoca delle difficoltà, ma consente anche un rapporto ricco e dialettico tra solidarietà e forze in campo.

"Il problema vero non è collocabile sul terreno nazionale, ma su quello di classe: qual è l'interesse della classe operaia kosovara?"

Quando la classe operaia kosovara esisteva non ha lasciato alcun dubbio a proposito.
Come qualsiasi classe operaia che si rispetti ha messo al primo posto la questione nazionale. CiÚ non è solo naturale: è giusto. Ed è un atteggiamento che ha difeso innanzitutto Marx quando non solo diceva a proposito dei polacchi che il loro primo dovere era battersi per la liberazione nazionale del proprio Paese, ma diceva agli operai inglesi che il LORO pricipale problema era la liberazione del popolo irlandese e che finchè questo non fosse stato libero nemmeno loro avrebbero potuto sperare di liberarsi.
E si veda bene che all'epoca la direzione della lotta di liberazione irlandese era tutt'altro che socialista. La classe operaia kosovara, soprattutto i minatori, hanno dato vita ad eroiche lotte di resistenza all'inizio degli anni ottanta e novanta contro l'oppressione nazionale serba, e la rapina dell'autonomia è stata combattuta con uno sciopero generale.
Oggi la classe lavoratrice kosovara è ridotta ai minimi termini.
Gran parte dei Kosovari infatti sono stati licenziati. Ma come in ogni mobilitazione nazionale tutti i settori della popolazione partecipano alla lotta: studenti, donne, giovani, contadini.
Del resto: non è stato così anche nella NOSTRA lotta di liberazione? Gli scioperi del '44, senza precedenti per ampiezza nell'Europa occupata, non avevano forse un chiaro significato politico ANCHE antitedesco?
Quando una nazione è sopraffatta da un'altra sappiamo molto bene qual è il settore della popolazione che reagisce con pi forza: non i capi, non i burocrati, non i ricchi, che cercano sempre un qualche aggiustamento con l'invasore, ma operai, contadini, giovani, donne.
Così è stato nel caso dell'URSS invasa dalle armate nazifasciste, così nel caso della Cina invasa dal Giappone, ecc.

"Ma perchè mai dovremmo difendere il diritto all'autodeterminazione? Non dobbiamo difendenderlo sempre e comunque. E' assolutamente secondario rispetto alla questione di classe."

Quando si parla di diritti la cosa pi saggia da fare per capire se un certo diritto è giusto o meno, prioritario o no, è domandarsi in tutta onestà: e se capitasse a me? Poniamo che noi italiani precipitassimo in una situazione come quella degli albanesi del Kosova. Immaginiamoci un quadretto divertente: scendono gli svizzeri, si insediano nel nostro territorio, rimangono ultraminoritari ma, grazie al fatto che hanno le armi, fanno il bello e cattivo tempo. Ad esempio ci chiudono le scuole, ci impediscono di studiare la storia nazionale, ci licenziano, per strada ci fermano e ci picchiano in maniera arbitraria. Per il solo fatto di essere italiani. Che cosa risponderemmo ad un inglese che dalla sua tranquilla città ci mandasse a dire scocciato: "uffa, questi italiani, ma perchè parlano di autodeterminazione, ancora non hanno capito che la priorità è la lotta di classe?" Oppure dicesse: "agli italiani secca essere dominati dagli svizzeri? Boh, non so se sostenere la loro lotta o no: mica si puÚ sempre essere a favore del diritto all'autodeterminazione!" In realtà questo scenario in Italia si è sistematicamente avverato dalla caduta dell'Impero Romano in poi e non solo con gli svizzeri. Ogni episodio di orgoglio etnico è puntualmente e giustamente sottolineato da tutti i libri di storia a qualsiasi corrente politica essi appartengano. Con che coraggio allora noi italiani, popolo che non è oppresso da nessun altro perchè se ne è liberato con lunghe e sanguinose lotte, ma che al contrario oggi opprime alcune nazionalità presenti sul nostro territorio come immigrati, ecc. diamo lezioni di comportamento ad altri popoli che invece sul terreno nazionale liberi non sono?

"Un popolo oppresso poi può diventare a sua volta oppressore di un altro popolo. Pensiamo ad esempio ai croati che si sono liberati del dominio di Belgrado per poi fare la pulizia etnica nella Kraijna e cacciarne tutti i serbi."

Certo, questo è storicamente accaduto. Ma non vediamo alcuna altra soluzione che giudicare di volta in volta dove è l'oppresso e dove è l'oppressore. Non possiamo esimerci dal salvare una persona che sta per essere ammazzata solo perchè c'è venuto il sospetto che poi, lasciata in vita, questa potrebbe ammazzare qualcun altro: ciÚ che farebbe chiunque dotato di buon senso, avendone la possibilità, è di salvare quella persona e poi vigilare perchè a sua volta non uccida e nel caso minacciasse di farlo correre in aiuto della nuova vittima. Quindi era giusto sostenere il diritto dei croati all'autodeterminazione, cosÏ come oggi dobbiamo difendere il diritto dei serbi di Croazia a far ritorno alle loro case. Oggi dobbiamo difendere il diritto dei kosovari all'indipendenza e dal giorno dopo lottare per i diritti della minoranza nazionale serba.
Se si appoggiano le aspirazioni indipendentiste dei kosovari, poi sarà la volta di quelle della Macedonia e di ogni altra minoranza nazionale.
Nel mondo esistono centinaia di popoli, dagli indios latinoamericani alle minoranze nazionali europee, ecc. che non godono del diritto all'autodeterminazione. Il fatto che si propaghino esempi positivi di vittoriose lotte di liberazione perchè non dovrebbe essere visto con favore da parte di chi si batte per l'affermazione universale del diritto dei popoli all'autodeterminazione? Del resto non abbiamo mai sentito nessun militante di sinistra spaventarsi di fronte alla prospettiva che da uno sciopero in una scuola la protesta studentesca possa poi dilagare nella città, nel Paese e in tutta Europa, anzi in cuor suo è ciÚ che auspica. Dunque se riteniamo ingiusto che ci siano popoli sottomessi da altri popoli, e riteniamo giusto invece che ci si ribelli a questa forma di oppressione, perchè non augurarsi che queste lotte si moltiplichino? Inoltre, in Macedonia come altrove, non sono le giuste rivendicazioni delle minoranze l'elemento "pericoloso", quanto piuttosto le ambizione egemoniche e reazionarie di gruppi di potere interni o di stati confinanti che hanno come obiettivo tali minoranze. Sono questi gruppi di potere e queste dirigenze statali che devono quindi essere considerati i veri "destabilizzatori".

"Ma se si accettano ogni volta le richieste indipendentiste di chiunque succede che uno si alza alla mattina e dice "mi faccio il mio stato"! Poi cosa facciamo: lo stato di quelli coi capelli lunghi, quello delle orecchie a sventola!"

La domanda centrale per analizzare una situazione sociale è: c'è o no oppressione? Ci sono varie maniere per verificare se questa oppressione esiste, analizzando di un determinato soggetto il suo grado di libertà, le possibilità di ascesa sociale, ecc. E' l'oppressione che definisce l'oppresso e non viceversa. Se cioè non vi fossero discriminazioni non vi sarebbero soggetti sociali separati. CiÚ vale anche nel caso delle nazionalità. Facciamo degli esempi. Se i neri degli USA non fossero discriminati, se cioè dal fatto di nascere con la pelle nera non derivasse la minima discriminazione anche semplicemente psicologica, i neri, come soggetto sociale, non esisterebbero. Il colore della pelle sarebbe una normale variante come il colore degli occhi o dei capelli. Ma il fatto che per varie ragioni storiche essi siano nei fatti discriminati ha fatto sÏ che i neri fossero separati dal resto della popolazione ed elaborassero ad esempio una autonoma cultura. Prendiamo gli indios andini: furono isolati dal razzismo della società bianca, questo permise loro di mantenere, rielaborata ed aggiornata, una propria autonoma cultura. La separazione dovuta all'oppressione cioè ha generato una "diversità" che viene oggi dagli indios rivendicata e accompagnata da richieste di autogoverno o integrazione a seconda della forza politica che si fa interprete dei loro interessi. Quindi il problema non è di "quello che si alza alla mattina", ma di soggetti sociali che sono oppressi e che cercano di rispondere con richieste di autogoverno ad una situazione di separazione discriminante. La popolazione del Nord Italia non è oppressa da quella del Sud, ma è vero invece l'inverso, come prova qualsiasi indicatore di produzione, distribuzione e trasferimento di ricchezza e la considerazione di cui godono i meridionali quando vengono al Nord. Quindi dato che non c'è oppressione del Sud contro il Nord siamo contro la Lega Nord perchè il suo, anche se si trattasse di nazionalismo, sarebbe il nazionalismo dell'oppressore. Volentieri invece difendiamo la popolazione del Sud storicamente discriminata.

"Le lotte nazionali però sono quelle che portano violenze, sangue, guerre, non sono come le proteste studentesche."

Noi sosteniamo le lotte di liberazione dei popoli oppressi, certo non i morti e le guerre. Ma una volta stabilito il diritto di ogni popolo a decidere del proprio destino dobbiamo ammettere anche il suo diritto all'autodifesa e alla scelta della forma di lotta da adottare per liberarsi. Vi sono oppressioni cosÏ forti per combattere le quali le persone mettono in conto di rischiare la propria vita. Del resto non è stato cosÏ quando in Italia la Resistenza ha combattuto l'invasore tedesco? Certo la nostra guerra di liberazione ha avuto anche altre valenze (di classe, ecc.), ma anche un significato di carattere nazionale. Se noi predichiamo ai kosovari di rassegnarsi al dominio serbo, allora dobbiamo essere pronti anche a rivedere il giudizio che noi di sinistra diamo della Lotta di Liberazione. Le decine di migliaia di morti che ha provocato la lotta partigiana dunque sarebbero state inutili e tanto sarebbe valso aspettare che se la sbrigassero gli americani. Il popolo italiano ha fortunatamente deciso di comportarsi diversamente e oggi la Resistenza è uno dei pochi fenomeni storici di cui possiamo andare orgogliosi. PerÚ non si capisce perchè neghiamo questa stessa possibilità, con atteggiamenti paternalistici, ai kosovari. Del resto i kosovari hanno provato per sette anni a portare avanti una lotta pacifica non violenta. Si è trattato probabilmente dell'esperimento pi partecipato di impiego di mezzi pacifisti ad un livello che, fatte le debite proporzioni, nemmeno l'India di Gandhi ha raggiunto.
Eppure quei sette anni hanno visto un graduale peggioramento delle condizioni di vita dei kosovari nella pi totale indifferenza internazionale. L'esempio kosovaro dimostra chiaramente, purtroppo, che è assai improbabile che un popolo riesca a liberarsi dall'oppressione senza difendere con le armi la propria lotta. Negli casi storici che abbiamo di fronte del resto si è sempre visto che l'oppressione si è determinata con una violenza iniziale da parte dell'oppressore. Basti pensare ad esempio al terrorismo ed alla pulizia etnica compiuta dai sionisti nei confronti dei palestinesi nell'immediato secondodopuerra. Non è avvenuto diversamente nel caso kosovaro la cui unione alla Jugoslavia è stata imposta al costo di migliaia di vittime nell'immediato secondo dopoguerra.

"Con un'impostazione di questo tipo si dà spazio all'ideologia nazionalista. Il nazionalismo è l'ideologia che ha scatenato due guerre mondiali."

Non esiste un'ideologia nazionalista. Esiste un nazionalismo degli oppressi ed uno degli oppressori. Il primo va sostenuto mentre il secondo va combattuto. Le idee infatti sono il frutto della storia concreta degli uomini. Le idee "nazionaliste" di popoli oppressi sono le idee che nascono da una situazione di ingiustizia. Quelle dei dominatori costituiscono invece la strumentazione ideologica per giustificare l'ingiustizia. Alcuni esempi. I neri degli USA nella loro lotta contro l'oppressione della società bianca hanno dato vita ad importanti fenomeni culturali (dalla musica al cinema passando per la letteratura) ed anche a un sistema di idee che tende a valorizzare la loro lotta, la loro esistenza, la loro specificità contro l'ideologia nazionalista bianca. Possiamo condividerle o meno ma non possiamo mettere sullo stesso piano l'orgoglio nero ed il razzismo del Ku Klux Klan. Il nazionalismo italiano risorgimentale è studiato in tutte le nostre scuole senza suscitare lo scalpore di alcuno, eppure condanniamo il nazionalismo di Mussolini. E' ovvio che sia cosÏ: il primo era il grido di un popolo al quale le grandi potenze dell'epoca negavano il diritto alla unificazione, il secondo era il nazionalismo imperiale di chi voleva soggiogare altri popoli. Non sono le ideologie nazionaliste a scatenare le guerre, dato che le idee non uccidono, le guerre scoppiano perchè vi sono oppressi ed oppressori, oppure perchè gli oppressori non riescono a mettersi d'accordo per spartirsi un qualche bottino.

"Le aspirazioni indipendentiste di piccoli popoli non hanno alcun senso dal punto di vista economico: sono destinati ad essere dominati da quelli pi grandi."

E' un'argomentazione che sentiamo ripetere dai tempi della guerra jugoslava. Si prevedevano per la Slovenia e la Croazia destini miserrimi, eppure i dati statistici non sembrano dare ragione a queste fosche profezie. Dell'ex-Jugoslavia l'odierna Jugoslavia è il pezzo pi grande, ma è anche quello che sta peggio e certo non solo per le sanzioni che ha subito. L'idea che a piccolo stato corrisponda minor sviluppo economico non è vera e non è mai stata vera nemmeno nel Medio Evo, altrimenti la Russia avrebbe dominato il mondo. Il Lussemburgo, quattro volte pi piccolo del Kosova, ad esempio è uno dei paesi a pi alto reddito in Europa e non è dipendente da alcun capitale straniero. Il Kosova è grande 10 volte Hong Kong e 18 volte Singapore, che, pare, goda di ottima salute economica. La Russia del resto, il pi grande paese del mondo, non pare oggi un posto molto comodo dove risiedere. Certo, grandi spazi economici privi di barriere doganali favoriscono lo sviluppo capitalistico, entro certe condizioni. Ma, ammesso e non concesso che per gente di sinistra la principale preoccupazione debba essere lo sviluppo capitalistico, non si capisce perchè non immaginare che un Kosova indipendente o una Albania riunificata non possano promuovere insieme ad altri un mercato comune o chiedere l'ingresso in quello d'altri. Lo farebbero con le proprie forze e sulla base delle proprie scelte.

"Il fine ultimo delle forze politiche albanesi kosovare è quello di arrivare alla costituzione della grande Albania."

E se anche fosse? Quella albanese è una nazionalità divisa tra tre stati: Albania, Macedonia e Jugoslavia (concentrata nel Kosova, ma con pezzi anche in Serbia e Montenegro), perchè mai non dovrebbe avere il diritto, se cosÏ desidera, di unificarsi? Il discorso pacifista è ben bizzarro: protesta quando vi sono piccoli popoli che vogliono l'indipendenza perchè i piccoli stati sarebbero economicamente poco sostenibili, e protesta contemporaneamente anche contro la prospettiva di una unificazione, cioè della formazione di uno stato pi ampio. L'Italia ha combattuto tre guerre d'Indipendenza, considerate con gran vanto pi o meno giustificato da tutti i filoni politici italiani dalla destra all'estrema sinistra. Non si è trattato d'altro che di guerre per unificare una nazione divisa tra vari stati: perchè negare ad altri un diritto che noi ci siamo presi un secolo fa? Cosa avremmo risposto a coloro che ci avessero detto (e ve ne furono): "Mazzini! Garibaldi! Ma che fate, cosÏ alimentate la violenza! E se poi dopo di voi cominciano anche i tedeschi e poi chissà chi altro, dove si andrà a finire?" E in effetti all'epoca anche la Germania era frammentata e solo con una serie di guerre riuscÏ a garantirsi l'unificazione. Sia chiaro: non stiamo dicendo che siamo favorevoli alla Grande Albania, diciamo solo che la decisione se unificarsi o meno deve essere lasciata a quei popoli una volta liberatisi dagli oppressori.

"L'unica soluzione la si può trovare all'interno di una Federazione Balcanica, l'unica che possa evitare il periodico scoppio di conflitti."

Periodicamente salta fuori il sogno della Federazione Balcanica. Non si capisce sulla base di cosa. Il sogno ha una qualche parvenza di sinistra perchè era stata una prospettiva adombrata a suo tempo dall'Internazionale Comunista, ma questa parvenza sparisce se facciamo un paio di considerazioni. Prima di tutto è chiaro che i popoli balcanici, se liberi di decidere, possono fare ciÚ che credono, anche, è ovvio, unirsi in una federazione. Il problema è nel "se": se liberi. Altrimenti diventa una fregatura dire agli albanesi: voi restate divisi tra vari stati, tanto poi questi stati si federeranno. E no: prima di tutto si deve dare la possibilità agli albanesi di autodeterminarsi, altrimenti è come chiedere loro di scegliere tra una piccola prigione oggi ed un'altra pi grande, forse, domani. Inoltre: perchè questa fissazione su una federazione "balcanica"? E' una questione di vicinanza geografica? E allora perchè non si preme affinchè Messico e USA si unifichino? Oppure la Cina e la Corea, o l'Italia con Malta e la Tunisia? Questa proposta di Federazione Balcanica fatta da italiani suona anche un po' razzista, è come dire: "sentite, smettetela di litigare, unitevi tra voi e lasciateci in pace"; altrimenti non si capirebbe perchè non si chieda la costituzione della "federazione dei popoli adriatici": mettiamo insieme l'Italia con la Crozia, l'Albania e la Grecia!

"Parlare di confini nell'epoca della globalizzazione in cui si va al superamento degli stati nazionali è assurdo."

Se i confini sono diventati così poco importanti, perchè allora il governo serbo si accanisce cosÏ tanto contro i kosovari? Perchè non verificare se Milosevic si convince vantandogli le meraviglie della globalizzazione? In realtà non è vero che i confini si stanno estinguendo, si stanno rafforzando. L'Europa ha allentato i propri interni ma per rafforzare quelli esterni. Oggi la maggior parte dei cittadini del mondo non può arrivare in Italia nemmeno come turista. E questa sarebbe l'epoca del dissolvimento dei confini?

KOSOVO E GRANDI POTENZE

"L'origine dei conflitti nell'area è da ricercarsi nell'interesse dell'imperialismo a destabilizzare la regione per poterla dominare meglio."

Ciò che nel Kosova le grandi potenze vogliono evitare è un eccesso di repressione. A loro andava benissimo la repressione serba degli ultimi sette anni, non meno terribile di quella odierna con solo qualche omicidio in meno. Non hanno mosso un solo dito per alleviare l'oppressione nazionale subita dagli albanesi, limitandosi a qualche pacca di incoraggiamento a Rugova e alla sua lotta non violenta. Ma da quando il popolo è insorto le grandi potenze vogliono evitare un eccesso di repressione che comporterebbe centinaia di migliaia di profughi in giro per l'Europa e il pericolo di guerra con l'Albania e l'entrata in scena a catena di altri soggetti.
Allo stesso modo vogliono evitare che i kosovari si guadagnino l'indipendenza perchè ciò scatenerebbe una reazione a catena sugli albenesi di Macedonia che a sua volta solleticherebbe gli appetiti di bulgari e greci, ecc. Questa è la ragione per cui l'estate scorsa, prima di fare la voce grossa, la NATO ha coscientemente aspettato la provvisioria sconfitta dell'UCK.

"E allora: cosa vogliono gli imperialismi, perchè si impicciano?"

Ogni imperialismo ha interessi specifici da difendere. Ma tutti sono accomunati da un unico intento: assicurare la stabilità dei Balcani. Non è vero che è interesse dell'imperialismo provocare guerre. L'interesse dell'imperialismo è quello di creare le condizioni pi propizie per i propri commerci e profitti, il che, certo, a volte vuol dire anche la guerra, ma è un mezzo cui non ricorre molto facilmente oggi, dato che ormai ha maturato l'esperienza che una guerra non si sa mai come vada a finire. Nei Balcani tutte le potenze occidentali vogliono la "pace", la loro pace, che significa che i confini arbitrari stabiliti dalle grandi potenze non si toccano. E' solo con questa "pace" che per loro è possibile immmaginare nella regione una qualche penetrazione economica. E' solo nella breve parentesi seguita a Dayton che l'imperialismo italiano ad esempio ha potuto cominciare a fare affari con Milosevic, poi bloccati dalla crisi Kosovara. Le spese per il mantenimento delle truppe in Bosnia sono ben maggiori di qualsiasi affare che si possa concludere nella Bosnia di oggi. Le divergenze tra le potenze riguardano come assicurare questa stabilità. La Germania di Kohl, quella di Schroeder ancora non si capisce bene, immaginava che il maggior fattore di instabilità fosse costituito da Milosevic. Anche gli USA lo pensano, ma realisticamente hanno deciso di adottarlo come interlocutore e pensano anche di aver trovato il modo di ottenere da lui il massimo delle concessioni: minacciando di tanto in tanto l'arrivo dei bombardieri. Per l'Italia, il Regno Unito e la Francia invece la Serbia è un interlocutore sufficientemente affidabile, solo vorrebbero che fosse un po' meno macellaio.

"L'imperialismo italiano non è rilevante, si tratta di imperialismo straccione."

Considerare quello italiano oggi come un imperialismo straccione fa il paio con altri luoghi comuni tipo "italiani brava gente", ecc. L'Italia è la settima potenza mondiale e svolge già oggi compiti all'altezza del suo rango imperialista. Ad esempio ha attivamente contribuito a sedare e normalizzare la rivoluzione politica nell'Albania del 1997, contribuisce a stabilizzare la Bosnia, ha un grosso contingente in Macedonia e guida di fatto una forza interbalcanica di pronto intervento, a egemonia NATO, di stanza in Bulgaria. L'Italia è un attore di primo piano, sa molto bene quali sono i suoi specifici interessi imperialisti e li difende anche contro gli USA, come dimostra la recente vittoria della sua diplomazia sulla nuova composizione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Naturalmente ciò non ci rende particolarmente felici. Il fatto che l'Italia abbia una politica autonoma non significa affatto che questa sia una politica giusta. Nella sinistra si era diffuso il comodo luogo comune che vedeva l'Italia "serva" degli USA. E dunque la rivendicazione principale consisteva nel chiederne l'"indipendenza". No: l'Italia ha una sua autonoma politica da grande potenza, a diretto contatto con i suoi interessi economici. Ha partecipato a normalizzare il Libano negli anni ottanta ad esempio ed oggi è il suo primo partner commerciale. legittimo il sospetto che spesso gli italiani che ridicolizzano la politica di potenza dell'Italia lo fanno per evitare di combattere il proprio imperialismo, i propri capitalisti, prendensosela con quelli che vivono ad un paio di oceani di distanza.

"In realtà dietro gli attacchi alla Serbia la Germania soffia sul fuoco come ha già fatto con la Jugoslavia, per poter dominare economicamente sui Balcani."

Le grandi potenze fanno i loro giochi. Non si capisce perÚ perchè se si tiene in cosÏ gran conto l'operato della Germania non lo si debba fare altrettanto con le altre potenze. Italia, Francia e Regno Unito, che hanno sempre difeso finchè hanno potuto Milosevic e hanno intrapreso e intraprendono grandi affari con lui, non hanno forse i propri disegni? Sono pi "buoni" di quelli tedeschi? Dividiamo gli imperialismi in buoni e cattivi? Inoltre la Russia ha sempre difeso sfacciatamente le scelte di Milosevic. Perchè c'è nella sinistra questa forza inerziale a considerare la Russia "di sinistra" rispetto agli USA? Solo perchè è pi debole? La Russia è nella fase terminale della transizione al capitalismo, ha un presidente, Eltsin, che è di destra: perchè mai dovrebbe raccogliere le nostre simpatie?

"Perchè l'Occidente interviene in Kosova e non in Kurdistan?"

L'Occidente non interviene per aiutare i popoli, ma per curare i propri interessi e dunque valuta di volta in volta chi aiutare e chi attaccare. CosÏ ad esempio aiuta i curdi del nord dell'Iraq in funzione anti Saddam, ma fornisce armamenti ai turchi per far strage dei curdi in territorio turco. L'eccesso di repressione in Turchia non lo infastidisce troppo. La massa dei rifugiati infatti non arriva in Occidente, ma si ferma sulle città turche dell'ovest (a Instambul pi di un quarto degli abitanti è di origine curda). Inoltre la repressione stile terra bruciata non provoca una grossa destabilizzazione dell'area. La Turchia inoltre è ben integrata nel sistema di difesa occidentale. In Kosova invece la massa dei rifugiati si riverserebbe direttamente in Europa (non si fermerebbero mica in Serbia...), inoltre una repressione feroce costringerebbe l'Albania a entrare in guerra ed esacerberebbe le tensioni in Macedonia. La chiave per capire il comportamento occidentale è: stabilizzare. Vogliono stabilizzare il che vuol dire mantenere gli attuali confini stabiliti alle spalle dei popoli, per continuare a fare i loro affari.

"L'unica soluzione per evitare la guerra è una tregua garantita sul campo da truppe sotto l'egida dell'ONU o dell'OSCE."

E' una tregua che salverebbe la coscienza di tutti, ma che certo non risolverebbe il problema nazionale albanese. L'invasione del Kosova da parte dei paesi imperialisti congelerebbe la situazione e renderebbe fisicamente impossibile l'accesso all'indipendenza del Kosova. Gli accordi mirerebbero a disarmare l'UCK o a renderne impossibile i rifornimenti di armi. Inoltre, ONU e OSCE sono anch'esse organizzazioni portatrici degli interessi conflittuali degli stati imperialisti. L'OSCE ha dato ampia prova, in soli pochi mesi di presenza nel Kosova, di essere solo un canale delle mire egemoniche delle grandi potenze, subordinando sempre il proprio operato agli interessi conflittuali di queste ultime, che sono andati ad aggiungersi alla già tragica situazione sul campo.

"Il più grande aiuto che si possa dare alla popolazione kosovara è garantire sul posto la presenza di mediatori di conflitti, progetti di cooperazione ecc."

La presenza di volontari ecc. è senz'altro utile per permettere a degli italiani di prendere coscienza di ciò che accade, per stabilire legami di solidarietà ecc. ma se questo movimento si pone finalità politiche ambigue e che non hanno nulla a che fare con un vero pacifismo che rispetti innanzitutto le volontà dei popoli allora va combattuto, perchè è dannoso alla causa kosovara. Come nei conflitti di classe, cosÏ in quelli nazionali non si puÚ essere neutri: o si sta con gli oppressi o con gli oppressori. E' l'oppressione nazionale che genera la violenza e non il contrario. Impedendo che emerga la rabbia degli oppressi, la si comprime soltanto perchè non si intaccano le sue cause generatrici e si rende cosÏ pi difficoltosa la possibile risoluzione pratica del problema, avvallando nei fatti l'oppressione che c'è già. Inoltre il pericolo è che si finanzi una burocrazia della cooperazione con un corpo separato di funzionari che in realtà sulla cosiddetta "mediazione dei conflitti" ci campano. Non diciamo che rubano: diciamo che ci vivono. L'unica solidarietà di cui c'è necessità è quella disinteressata e unilaterale di cui dovrebbero farsi promotori la sinistra, il pacifismo e l'internazionalismo europei a difesa delle nazionalità oppresse.

"Se siete a favore della causa kosovara perchè non appoggiate un'eventuale intervento NATO, con bombardamenti sulla Serbia o con la creazione di un protettorato in Kosova?"

Non siamo favorevoli ai bombardamenti NATO e non condividiamo la speranza in questo senso che nutrono molti albanesi kosovari. La NATO non è un'organizzazione di benefattori. In tutta la sua esistenza si è sempre mossa contro il diritto all'autodeterminazione dei popoli. Lo stesso riguarda l'ONU, sotto la cui egida si sono condotte le guerre imperialiste in Corea e in Iraq. Identico discorso per l'OSCE, costituita pi o meno dagli stessi Paesi. Il problema infatti non sono gli organismi, ma: chi ci sta dietro, chi li finanzia? Sono le grandi potenze di questo mondo. La NATO ha fatto la voce grossa solo dopo che l'UCK era stata parzialmente sconfitta e dichiara continuamente che NON vuole l'indipendenza del Kosova. L'unica cosa che vogliono evitare è un eccesso di repressione che provocherebbe intollerabili problemi.

"Ma se siete contrari agli interventi della Comunità Internazionale come potete sperare che da soli gli albanesi possano difendersi dall'esercito serbo?"

Pensiamo infatti che i kosovari non debbano assolutamente essere lasciati soli. Il problema è CHI li puÚ aiutare. La condizione indispensabile è che loro stessi contino sulle proprie forze e non deleghino alle grandi potenze e alle loro organizzazioni. In secondo luogo sono il movimento operaio, i sindacati, i democratici, gli internazionalisti, in Italia, in Europa e nel mondo che devono mobilitarsi per un sostegno attivo alla loro lotta di liberazione. Con aiuti anche materiali e con la pressione e la mobilitazione costante sul proprio territorio.