IL COMINTERN E LA QUESTIONE MACEDONE


ottobre 2001, di Marie-Paule Canapa, pubblicato in L'experience sovietique et le probleme nationale dans le monde. 1920-1939, edito dall'Institut National des Langues et Civilisations Orientales (Inalco), Paris, 1981. Traduzione dal francese di Cinzia Garolla.

Nel 1918, pur se scossi da diversi movimenti sociali, soprattutto agrari, i Balcani non presentavano alcune delle condizioni favorevoli a una rivoluzione: un proletariato poco numeroso, una popolazione in maggioranza contadina, l'economia ancora poco sviluppata - in compenso erano numerosi i problemi nazionali. Uno dei più importanti era quello della Macedonia, regione popolata in maggior parte da macedoni, ma anche da altre nazionalità (albanesi, turchi, greci, ecc.). I trattati di pace avevano mantenuto la divisione della regione stabilita nel 1913, tra l'appena creato Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (Macedonia del Vardar), la Grecia (Macedonia egea) e la Bulgaria (Macedonia del Pirin), mantendo un conflitto latente con la Bulgaria che rivendicava come proprio territorio la totalità della Macedonia. I macedoni non avevano ottenuto un proprio stato indipendente ed erano soggetti nei vari stati in cui erano divisi a una opera di denazionalizzazione, considerati in Jugoslavia come serbi e in Grecia come greci (slavofoni). In seguito agli scambi di popolazione tra Grecia e Bulgaria, e poi tra Grecia e Turchia, nella Macedonia egea venivano insediati i rifugiati greci dell'Asia Minore, a scapito di turchi e anche di macedoni. In Bulgaria, dove si trovavano i macedoni del Pirin e gli emigrati provenienti da altre zone della Macedonia, di prima e dopo il 1914, i macedoni erano considerati come bulgari e il governo utilizzava il movimento nazionale macedone per arrivare all'annessione di tutta la Macedonia; tuttavia, il governo Stamboliskij (1920-1923) tentò di arrivare a un accordo con la Jugoslavia. Il movimento nazionale macedone, le cui principali organizzazioni erano allora in Bulgaria, era diviso. L'Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone (ORIM), guidata da Alexandrov, Protogerov e all'inizio anche Caulev, si dichiarava erede dell'antica ORIM creata nel 1893, ma conduceva nei fatti una politica a favore del ricongiungimento con la Bulgaria e in appoggio al governo bulgaro (questo orientamento era apparso già prima del 1914, ma all'inizio l'ORIM era a favore di una Macedonia autonoma, mentre l'orientamento filobulgaro era espresso dal Comitato Supremo, creato a Sofia nel 1895). Seguendo le tradizioni della vecchia ORIM, alcuni socialisti macedoni, i Federalisti (T. Panica, F. Atanasov), erano per una Macedonia indipendente in una Federazione balcanica. "Ilinden", l'organizzazione degli emigrati in Bulgaria, era invece abbastanza filobulgara.
L'ORIM fece della regione del Pirin un suo feudo, grazie a bande armate rafforzate dopo il 1922, e dopo il 1923 il suo controllo sulla regione aumentò grazie all'appoggio del governo: vennero riprese le azioni terroriste contro i turchi, con incursioni nella Macedonia jugoslava e greca, il che creava tensione tra la Bulgaria e i paesi vicini. L'ORIM era diventata un'organizzazione reazionaria, con assassinii di oppositori nello stesso movimento macedone e di politici progressisti bulgari; le esazioni di Alexandrov colpivano la stessa popolazione macedone e la degenerazione dell'ORIM si manifestò ancor più dopo il 1924 sotto la direzione di I. Mihajlov, quando si legò all'Italia fascista. Nell'ORIM si era sviluppata un'opposizione contro la politica di Alexandrov. Infine vi erano sparuti gruppi socialisti e comunisti, ma va notato che nella Macedonia del Vardar nel 1920 il partito comunista jugoslavo aveva ottenuto moltissimi voti, tra le altre ragioni anche per il divieto nello stato jugoslavo di partiti nazionali. Era in questa situazione, qui schematicamente riassunta, che il Comintern determinò la sua politica; si tenterà di presentarla a partire dai documenti pubblicati in particolare nella stampa del Comintern.

1. La politica del Comintern

Alcuni fattori generali hanno determinato l'atteggiamento del Comintern verso la questione nazionale nei Balcani, e in specifico verso la questione macedone. Prima di tutto la convinzione che la rivoluzione era possibile: rivolgendosi il 4 maggio 1921 al Congresso del Partito Comunista Bulgaro (PCB), l'IKKI (Comitato Esecutivo del Comintern) evocava le condizioni specifiche dei Balcani che erano più favorevoli alla rivoluzione che in Europa occidentale (borghesia meno organizzata) e affermava che la rivoluzione nei Balcani avrebbe accelerato la rivoluzione in Europa centrale e occidentale, ed anche tra i popoli asiatici, fino ad allora stimolati solo dalla Russia. Un altro fattore era la preoccupazione di proteggere la rivoluzione in URSS, opponendosi alla politica di accerchiamento dell'URSS da parte degli Stati imperialisti che patrocinavano accordi tra Stati balcanici e altri; e l'opposizione allo statu quo internazionale stabilito dalle grandi potenze, il timore anche che gli Stati imperialisti utilizzassero le lotte nazionali tra Stati balcanici ai propri fini, contro l'URSS.
In questo quadro, la situazione della Bulgaria attirò in modo particolare l'attenzione del Comintern. Vi si scopriva una situazione propizia alla rivoluzione (la rivolta del 1918, ed anche il rovesciamento del governo contadino di Stamboliskij e la sua sostituzione con il governo reazionario e nazionalista di Cankov nel giugno 1923). Inoltre, in particolare a proposito della Macedonia, la Bulgaria era ostile ai trattati di pace. Il PCB, legale fino al 1923, aveva un sostegno elettorale non irrilevante, e anche se in seguito fu oggetto di molte critiche era considerato con favore dal Comintern, come testimonia la pubblicazione nel giornale dell'IKKI della sua dichiarazione programmatica: era più "costituito" (forse più legato al socialismo russo) del partito jugoslavo, ancora eterogeneo, e del partito greco ancora in formazione. Il PCB si vedeva così assegnare un ruolo importante nel quadro della Federazione Comunista Balcanica (FCB), organismo incaricato di coordinare l'attività dei partiti comunisti balcanici in particolare sulla questione nazionale. Per quanto riguarda il nuovo Stato jugoslavo, la questione nazionale era un problema centrale, che si esprimeva sul piano politico nel modo più marcato nell'opposizione del partito contadino repubblicano croato al regime centralista e monarchico serbo; nella Macedonia del Vardar, la repressione nazionale impediva l'espressione del movimento nazionale macedone sotto forma di partito politico, ma l'ORIM si manifestava attraverso le sue azioni terroriste provocando un contro-terrorismo ancora più nefasto per la popolazione e creando un contenzioso tra la Jugoslavia e la Bulgaria; per quanto riguarda il PCJ, dopo il suo notevole risultato alle elezioni del 1920, venne disorganizzato dalla sua messa fuori legge nel 1921 e dalla repressione.
E' in queste condizioni che il Comintern è stato portato a interessarsi alle potenzialità rivoluzionarie della questione nazionale nei Balcani, e in particolare in Macedonia, potenzialità ancora maggiori per la base contadina dei movimenti nazionali. Per arrivare alla rivoluzione, i problemi nazionali, il ruolo dei movimenti nazionali non potevano essere trascurati. Nel manifesto del 5 marzo 1920 che si rivolge "al proletariato dei paesi balcano-danubiani e ai partiti comunisti di Bulgaria, Romania, Serbia, Turchia", il Comintern partiva dall'idea che il problema nazionale in questa regione era più complesso del pre-'14, con l'ampliamento di alcuni stati (Serbia, Grecia, Romania) che comprendevano numerose minoranze sottomesse a una nazione dominante, mentre invece la Bulgaria era divisa. Prevedeva nuove guerre tra le borghesie nazionaliste, i cui desideri di conquista erano fomentati, come nel passato, dagli Stati imperialisti. I partiti comunisti dei Balcani erano quindi chiamati a giocare un ruolo più ampio che nei paesi capitalisti dove non c'era una questione nazionale, e la rivoluzione era possibile malgrado il ritardo economico. In secondo luogo, solo la rivoluzione "può liberare le masse operaie e contadine dal giogo economico e nazionale", "da uno sfruttamento che proviene sia dall'estero che dalla borghesia nazionale" - la soluzione era nella formazione di una repubblica balcanica (o balcano-danubiana), socialista, sovietica, federativa. Veniva rigettata la prospettiva di una rivoluzione nazional-borghese. Con questo obiettivo, i partiti comunisti balcanici dovevano sviluppare la loro collaborazione e formare un fronte rivoluzionario unito di tutti i paesi balcanici. Dovevano attirare al comunismo i "settori larghi del contadiname laborioso". Il testo non parlava di alleanza con i partiti o i movimenti nazionalisti.
A proposito della Macedonia, si può ricordare che nel suo IV Congresso del 1922, il Comintern condannò i trasferimenti di popolazione. Gli avvenimenti bulgari portarono il Comintern a intervenire più direttamente sulla Macedonia. Dopo il rovesciamento del governo contadino di Stamboliskij in Bulgaria nel giugno 1923, rovesciamento che vide il PCB passivo perché il colpo di stato veniva interpretato solo come una lotta tra due borghesie (rurale e cittadina), l'IKKI si riunì per criticare la politica del PCB. Il Comintern considerava quanto avvenuto un grave fallimento per la rivoluzione, e rimproverò, tra l'altro, il PCB per non aver considerato nella sua tattica la questione macedone: questo portò le organizzazioni macedoni, deluse dalla politica di Stamboliskij di avvicinamento alla Jugoslavia, ad appoggiare il colpo di stato. Nello stesso tempo, l'IKKI sostenne l'importanza di una politica di accordo con queste organizzazioni macedoni. Si trattava di "organizzazioni di piccoli e poveri contadini", di "un grande passato rivoluzionario, avendo lottato contro il dominio dei grandi proprietari terrieri turchi e della borghesia serba"; d'altra parte, disponevano di "antiche formazioni rivoluzionarie illegali" - che secondo il Comintern, rappresentavano una "forza militare decisiva". Si poteva contare inoltre sulla loro "antica e profonda simpatia per la rivoluzione russa". Nel Manifesto finale sugli avvenimenti in Bulgaria, l'IKKI si rivolse tra gli altri ai contadini e ai rivoluzionari macedoni, giustificandoli per essersi lasciati trascinare nel colpo di stato per il loro risentimento verso Stamboliskij, ma avvertendoli che il nuovo governo, così pronto a tradirli, non avrebbe potuto soddisfare le loro rivendicazioni, realizzabili solo in una Federazione balcanica di governi operai e contadini. Solo un governo operaio e contadino bulgaro poteva "spianare la strada verso una tale Federazione, con la simpatia degli operai e contadini della Romania, della Jugoslavia e della Grecia". L'IKKI chiamava i contadini e i rivoluzionari macedoni a non partecipare al "governo di terrore bianco e a unirsi agli operai e contadini bulgari". Bisogna notare che il PCB in un primo tempo respinse le critiche del Comintern, a suo parere "insufficientemente informato". Kabachev ricordò, tra l'altro, le dichiarazioni prese dal PCB a favore della Macedonia, ma affermò che non poteva esserci una collaborazione con i dirigenti dell'ORIM, sotto influenza borghese e terrorista. Questa replica fu pubblicata nel giornale dell'IKKI. Presto, comunque, il PCB riconobbe i suoi errori, e su istigazione del Comintern si lanciò in una fallimentare insurrezione in settembre.
Nel suo rapporto al V Congresso del Comintern, nel 1924, Manuilsky poneva il problema dell'atteggiamento inadeguato dei comunisti verso i movimenti di liberazione nazionale, citando il caso del comitato macedone di T. Alexandrov. A questo stesso congresso il Comintern definiva la sua posizione sulla questione macedone (e tracia) in una parte speciale della sua risoluzione sulla questione nazionale in Europa centrale e nei Balcani, riprendendo le conclusioni approvate dalla VI conferenza della Federazione comunista balcanica nel dicembre 1923. Per il Comintern, la questione nazionale in Europa centrale e balcanica era una questione politica essenziale. La risoluzione ricordava che la Macedonia (e la Tracia) erano da molto tempo una causa di conflitti tra gli Stati balcanici e nello stesso tempo uno strumento della politica imperialista in questa regione. Attraverso le sue distruzioni economiche, l'asservimento politico e nazionale, la nuova spartizione della Macedonia e della Tracia tra Jugoslavia, Turchia, Grecia e Bulgaria, l'ultima guerra imperialista aveva aggravato la questione nazionale nei Balcani. In questo caso specifico, il Comintern non si soffermava sulla composizione etnica della Macedonia - si parlava di "popolo macedone", riferendosi probabilmente all'insieme della popolazione del paese (nello stesso modo si parlava del popolo tracio). La cosa era soggetta a indecisioni: nel suo rapporto, Manuilsky aveva menzionato i macedoni (5% - 600.000) tra le "nazionalità" in Jugoslavia diverse dai serbi.
Il Comintern metteva d'altra parte sullo stesso piano la Macedonia e la Tracia i cui problemi erano diversi, poiché la Tracia aveva, tra le altre, anche una popolazione bulgara. Inoltre la risoluzione riprendeva il programma della Federazione balcanica per una "Macedonia unita e indipendente", "solo slogan corretto e rivoluzionario", respingendo l'idea di una autonomia per le diverse parti della Macedonia nel quadro degli Stati artificiali esistenti. Per il Comintern, questo programma corrispondeva all'orientamento del popolo macedone delle tre parti della Macedonia, orientamento ancor più accentuato dopo la spartizione. Ma, per il Comintern, il successo della lotta rivoluzionaria del popolo macedone per la liberazione sociale e nazionale era legato a quello degli operai e dei contadini rivoluzionari di ogni paese dei Balcani. I partiti comunisti dei Balcani e la FCB dovevano sostenere il movimento nazionale rivoluzionario delle nazionalità oppresse di Macedonia (e di Tracia) per la creazione di repubbliche indipendenti. La soluzione proposta dal Comintern per la Macedonia era così l'applicazione del diritto dei popoli all'autodeterminazione fino alla secessione proposta per i Balcani in generale. Ciò comportava lo smantellamento dello Stato jugoslavo, come affermato nella parte della risoluzione dedicata alla questione jugoslava - dove si sosteneva il carattere multinazionale della Jugoslavia e si riconoscevano in particolare serbi, croati e sloveni come tre nazioni distinte, e si chiedeva al PCJ di lottare per l'autodeterminazione delle nazioni presenti in Jugoslavia, per la secessione della Croazia, della Slovenia, della Macedonia, e per la formazione di repubbliche indipendenti. Ma questa presa di posizione, che riprendeva il programma sia dei socialisti balcanici d'anteguerra, sia dei socialisti macedoni e anche la posizione tradizionale dell'ORIM (quella dei Federalisti), doveva anche servire da piattaforma per realizzare un avvicinamento dei comunisti con il movimento nazionale macedone, con l'ORIM. Prima di parlare di questo aspetto della politica sostenuta dal Comintern sulla Macedonia, conviene ricordare uno strumento della realizzazione della sua politica, la Federazione Comunista Balcanica.

2. La Federazione Comunista Balcanica

L'attività della FCB

Secondo il Comintern, le attività dei partiti comunisti balcanici nella questione nazionale e in particolare quelle relative alla Macedonia dovevano essere unificate e dirette dalla Federazione Comunista Balcanica - è quanto raccomandava per esempio la risoluzione del 1924. Nei fatti, il PCB ne era considerato l'elemento dirigente, e i suoi segretari generali furono bulgari (Kolarov, Kabachev, Dimitrov). Creata a Sofia nel gennaio 1920, su invito del partito bulgaro, la FCB comprendeva secondo il suo statuto del 1921 la Bulgaria, la Jugoslavia, la Romania e la Grecia - l'ammissione dell'Albania (ma non della Turchia) era prevista quando si fosse formato un partito comunista - e si autoproclamava come il prolungamento delle conferenze socialiste balcaniche del 1910 e del 1915 (da qui la numerazione delle proprie riunioni). Bisogna notare che era stata considerata anche una collaborazione che oltrepassava il quadro balcanico: nei testi del Comintern e della FCB viene usato il termine di "balcano-danubiano". La composizione stessa della FCB fu discussa all'adozione dello statuto nel febbraio 1921, alla seconda conferenza dopo la guerra: l'adesione dell'Austria e dell'Ungheria, i cui rappresentanti erano presenti, fu affrontata ma alla fine respinta, anche se erano comunque auspicati dei legami stretti con questi paesi. Uno dei presidenti della conferenza, il bulgaro Kolarov, aveva giustificato una scelta strettamente balcanica (che prevedeva nel futuro la Turchia) con l'esistenza di legami etnografici, di questioni nazionali (Macedonia, Dobrugia, ecc.), di unità economica, di utilizzazione comune del mare Egeo, di stesso livello culturale e infine di "impossibilità per la rivoluzione di affermarsi in un paese senza un'azione coordinata e senza l'aiuto degli altri", - tutti criteri più o meno fondati; il rappresentante del Comintern aveva anche parlato di somiglianze nelle condizioni dei paesi balcanici. Forse la composizione della Federazione dipendeva, secondo il Comintern, da uno dei compiti principali che gli erano stati assegnati: impedire l'utilizzazione da parte dei paesi della Piccola Intesa dei conflitti tra nazionalità dei Balcani per suscitare la guerra; secondo Rotschild una composizione strettamente balcanica permetteva al PCB di esercitarvi un'influenza preponderante. Da parte loro, i partiti austriaco e ungherese non avevano auspicato di esservi inclusi - per il PCH (rappresentato da G. Lukac), "le condizioni economiche, politiche, culturali legavano più l'Ungheria ad alcuni paesi balcanici separatamente piuttosto che all'insieme della regione e l'orientavano più verso un lavoro comune con la Cecoslovacchia e l'entrata nella FCB non gli sembrava necessaria pur se pronta comunque a stabilire legami con questa"; il PCA (Wertheim) temeva che "un organismo regionale (balcanico, per l'Europa occidentale o per i territori dell'antica Austria-Ungheria) fosse un pericolo per i legami stretti dei partiti comunisti con l'IKKI.
All'inizio praticamente inesistente, l'attività della FCB aumentò negli anni 1923-24 - diverse conferenze vertevano principalmente sulla questione nazionale e sulla Macedonia.
Come sezione del Comintern, la FCB doveva seguirne le direttive, ma secondo alcuni non sarebbe stata una semplice "cinghia di trasmissione" tra il Comintern e i partiti comunisti balcanici nel quadro della politica e della tattica generale del Comintern, ma avrebbe contribuito all'elaborazione più concreta della questione macedone, elaborando posizioni successivamente riprese dal Comintern. Tuttavia l'applicazione di questa politica fu poco efficace.
In questi testi si ritrova la valutazione del Comintern sulla situazione nei Balcani e gli orientamenti di base della sua politica in questa regione - così fin dalla sua prima conferenza nel 1920 e nel "Manifesto della Federazione comunista balcano-danubiana alle classi lavoratrici dei paesi balcano-danubiani": solo la rivoluzione proletaria può risolvere la questione nazionale nei Balcani; la guerra fatta in nome della liberazione e dell'unione nazionale non ha portato la liberazione dei popoli balcanici, ma al contrario, un asservimento nazionale più grande così come una crisi economica, problemi che le borghesie sono incapaci di risolvere, e che li rendono dipendenti dall'aiuto dei grandi Stati imperialisti; per questi stati, i Balcani sono una base per la loro ulteriore espansione nel mondo, mentre le borghesie nazionali balcaniche collaborano con gli imperialisti e praticano una politica reazionaria. La FCB considerava il quadro territoriale dei nuovi Stati balcanici troppo stretto dal punto di vista economico, ma la natura delle borghesie nazionali rendeva inaccettabile qualsiasi soluzione a questi problemi: così una Federazione (jugoslava o altra) tra i regimi esistenti, ogni riavvicinamento tra gli Stati esistenti veniva interpretata come la formazione di un blocco contro l'URSS. Per la FCB la soluzione era in una federazione di repubbliche socialiste balcaniche (nel 1922 la IV conferenza la considerava unita a una federazione mondiale). Nel 1924, la FCB affermò il principio del diritto all'autodeterminazione fino alla secessione e la necessità di lottare contro i trattati di pace e contro la Società delle Nazioni che li difendeva.
La questione macedone fu sollevata per la prima volta nella FCB nel 1922: nel maggio-giugno, Kolarov sostenne la necessità della solidarietà da parte dei partiti comunisti balcanici perché i rifugiati della Macedonia greca e serba in Bulgaria non raggiungessero i ranghi dell'ORIM, ma fu, sembra, alla V conferenza della FCB nel dicembre 1922 a Mosca, che la Federazione prese posizione esplicitamente per l'autonomia della Macedonia (oltre che della Tracia e della Dobrugia). Il rovesciamento del governo contadino di Stamboliskij nel giugno del 1923 in Bulgaria portò la FCB a occuparsi più direttamente della questione macedone. Riunito dal 22 al 24 agosto 1923, il suo comitato sostenne la necessità di applicare la tattica del fronte unico, del governo operaio e contadino, e che il programma della FCB consisteva "non solo nel diritto all'autodeterminazione ma anche nella creazione di una repubblica federativa balcanica". Tenendo conto della possibilità di una rivolta in Macedonia e dell'esistenza dei movimenti nazionali rivoluzionari in Croazia e in altre regioni della jugoslavia, la FCB prevedeva una crisi rivoluzionaria in Bulgaria e in Jugoslavia e una guerra tra questi due paesi, da cui la necessità per i partiti comunisti bulgaro e jugoslavo di definire un atteggiamento comune di fronte alla situazione e ai movimenti nazionali rivoluzionari in Jugoslavia. Il PCJ doveva smascherare il terrore esistente in Macedonia e sostenere il movimento nazionale rivoluzionario; doveva anche rafforzare l'azione del partito comunista in questa regione. Questo illustra il ruolo della FCB nell'applicazione di una politica determinata essenzialmente dalla situazione in Bulgaria - il PCB preparava una sollevazione e già all'inizio di agosto aveva deciso un avvicinamento con l'organizzazione rivoluzionaria macedone prendendo contatti con i suoi dirigenti.
La FCB definisce le sue posizioni e la sua tattica relativamente alla Macedonia e verso le organizzazioni nazionaliste alla VI conferenza (Berlino, dicembre 1923), nella risoluzione sulla questione nazionale nei Balcani, che viene adottata e sarà pubblicata nel marzo 1924. La risoluzione ha per obiettivo immediato quello di separare le organizzazioni nazionaliste dalle borghesie nazionali e in particolare dalla borghesia bulgara di cui denuncia la politica, e di attirarle in una collaborazione con i comunisti. Essa afferma che solo una Macedonia unita e autonoma inclusa in una repubblica balcanica può assicurare "i diritti di tutte le nazionalità di Macedonia, assicurare la pace, le condizioni di uno sviluppo economico, l'indipendenza politica e un'esistenza tranquilla". Il punto di partenza era che la Macedonia era una regione con diversi popoli mescolati, sottointendendo che vi era presente una popolazione bulgara, ma le posizioni filobulgare precedenti venivano attenuate: non si parlava più del popolo bulgaro diviso e di Bulgaria spartita come veniva detto nei primi testi (Manifesto del 1920). Spiegava la soluzione proposta anche con considerazioni geopolitiche: il possesso della Macedonia (da parte di un paese vicino) avrebbe permesso di dominare tutta la penisola; inoltre poiché la Macedonia comprendeva tutte le nazionalità che avevano una posizione dominante nei paesi vicini, senza che nessuna godesse della maggioranza assoluta, comportava che il dominio della Macedonia da parte di un paese vicino avrebbe portato a un'oppressione nazionale della maggioranza della sua popolazione e suscitato lotte nazionali che gli Stati interessati avrebbero utilizzato per i loro fini di conquista. D'altra parte, la lotta per l'indipendenza della Macedonia (e della Tracia) doveva essere condotta dagli operai e dai contadini degli altri paesi balcanici con l'obiettivo di formare un governo operaio e contadino nella Macedonia indipendente (Tracia indipendente) - solo una lotta unita degli operai e dei contadini di tutti i paesi balcanici poteva condurre alla liberazione nazionale, politica ed economica delle nazionalità balcaniche.
La FCB voleva convincere le "larghe masse delle nazionalità" della Macedonia che il solo sostegno possibile era il proletariato e i contadini di tutti i paesi - "l'URSS ha riconosciuto il diritto all'autodeterminazione fino alla secessione, i partiti comunisti del Comintern lottano contro ogni giogo nazionale, economico, politico", è quindi normale che siano al fianco dei combattenti macedoni ( e traci). "Gli operai e i contadini hanno un interesse diretto al successo della lotta delle nazionalità della Macedonia e della Tracia", dati i vantaggi sopra citati di una federazione balcanica con una Macedonia autonoma. Al contrario, la FCB dimostrava che le nazionalità della Macedonia non potevano appoggiarsi alla borghesia di un paese confinante, Bulgaria inclusa. "Dappertutto, la popolazione macedone, qualsiasi sia la sua nazionalità, era sottomessa a un giogo terribile, poiché tutte le borghesie usavano il terrore in Macedonia [durante la guerra NdA]"; oggi essa "cristianizza i pomachi" (Bulgari musulmani). La borghesia bulgara era sempre pronta a servirsi del movimento rivoluzionario macedone ai suoi fini. "Una parte dell'emigrazione macedone in Bulgaria era già stata utilizzata nella contro-rivoluzione, contro la sollevazione operaia e contadina" ("questi macedoni accecati, sotto le spoglie di "macedoni rivoluzionari", erano stati nei fatti mercenari della borghesia bulgara e carnefici dei lavoratori"). La tattica raccomandata dalla FCB era quella di un fronte unico con le organizzazioni nazionali ed eventualmente la partecipazione dei comunisti in queste organizzazioni, "cosa che faciliterebbe il compito dei Partiti comunisti". " I partiti comunisti organizzano le masse dei lavoratori senza distinzione di nazionalità (nel partito, nei sindacati, nelle cooperative)", ma non sono ostili alle organizzazioni che raggruppano le nazionalità intorno a interessi nazionali e culturali. In questa collaborazione con le organizzazioni nazionali, i partiti comunisti dovevano controbilanciare l'influenza della borghesia. Infine, la FCB dava una valutazione positiva della lotta del popolo macedone nel suo insieme; l'organizzazione rivoluzionaria macedone era stata "l'organizzazione e la vera guida della lotta dei popoli macedoni senza distinzione di nazionalità" e aveva saputo sensibilizzare la coscienza esistente nella popolazione che la sola soluzione era una "Macedonia unita e autonoma".
Parallelamente, la conferenza adottava una risoluzione sulla questione jugoslava nella quale si affermava che la Jugoslavia non era il prodotto di una rivoluzione nazionale ma di una vittoria armata; contro gli accordi tra Stati imperialisti il partito comunista doveva lottare per il diritto all'autodeterminazione fino alla secessione, e proporre un fronte unico a tutte le organizzazioni in lotta per questo diritto; rispondendo a una possibile critica sul frazionamento tra nazionalità che avrebbe comportato l'applicazione di questo diritto, la risoluzione precisava che ciò non avrebbe significato nuove barriere, ma era necessario che le nazionalità potessero decidere liberamente del proprio destino, prima che il proletariato, solo soggetto che potesse farlo, unisse i popoli e superasse le frontiere. Dal canto suo, il PCG doveva lottare energicamente contro l'ellenizzazione delle regioni "annesse" e chiedere l'annullamento degli scambi di popolazione.

L'atteggiamento dei partiti membri

La FCB aveva statutariamente il diritto di dirigere e controllare l'attività dei partiti membri per quanto concerneva gli obiettivi e i compiti della FCB (sulla base delle decisioni del Comintern), ma questo coordinamento fu difficile. Bisogna sottolineare prima di tutto che la struttura territoriale dei partiti non corrispondeva alla politica proclamata - i partiti erano strutturati secondo gli stati esistenti, e in specifico non venne creato un partito macedone separato, nonostante la richiesta della FCB al PCJ di staccare dal PCJ le organizzazioni del partito nella Macedonia del Vardar (l'articolo che menziona questa richiesta non precisa se l'obiettivo era creare una organizzazione separata o unire le organizzazioni della Macedonia del Vardar al partito bulgaro). C'era, d'altra parte, da fare i conti con la politica sviluppata da ciascun partito balcanico in funzione della sua situazione specifica. Per il PCB il problema era meno evidente: considerando la Macedonia popolata da bulgari, aveva preso comunque posizione al suo primo congresso nel 1919 a favore di una "repubblica sovietica, socialista, federativa, balcanica" come sola soluzione per salvare i popoli dal giogo nazionale, economico e politico, e dopo la VI conferenza della FCB aveva dichiarato di sostenere la lotta per l'indipendenza dei popoli della Macedonia (della Tracia, della Dobrugia e delle altre regioni balcaniche asservite) (gennaio 1923).
La FCB non aveva inizialmente stabilito una vera collaborazione con il movimento macedone (federalista o altro), volendo esercitare un'influenza diretta sui macedoni, in particolare gli emigrati. Venne creata la Federazione comunista degli emigrati (EKS), che non era di orientamento specificamente macedone, ma era rivolta anche agli emigrati dalla Tracia e dalla Dobrugia, e pubblicava il giornale Osvobozdenie, sembra con poco successo. La Federazione e il giornale furono sciolti ufficialmente nel 1923, quando vi fu un avvicinamento all'ORIM.
La politica del Comintern (e della FCB) sulla Macedonia venne accettata dai rappresentanti dei vari partiti balcanici nelle riunioni della FCB, ma non fu facilmente accettata dai partiti comunisti jugoslavo e greco - la rivendicazione della secessione di una parte del territorio dello Stato metteva in una situazione molto difficile il partito comunista greco (PCG), mentre in Jugoslavia, oltre a questo aspetto, era in discussione un altro approccio alla questione nazionale. Anche se questi partiti integrarono successivamente questa politica nel loro programma, le loro reticenze furono una delle cause delle difficoltà d'applicazione di questa politica, reticenze per le quali questi partiti vennero criticati sia al V congresso del Comintern, sia alla VII conferenza della FCB nel giugno 1924.
L'adozione della politica del Comintern da parte del PCG vide una seria resistenza: nel 1922 il PCG considerava non impegnativa la condanna del Comintern dei trasferimenti di popolazione, ma su intervento di quest'ultimo, ritrattò. Nello stesso modo lo slogan della Macedonia (e della Tracia) unita e indipendente che il rappresentante greco accettò alla conferenza della FCB a fine 1923 suscitò numerosi dilemmi: alcuni, come Kordatos, della "destra" del partito, vi si opposero formalmente, altri pensarono che dovesse essere accettata per solidarietà con la Bulgaria, che era alla vigilia della rivoluzione; infine Stavrides propose di chiedere spiegazioni al Comintern, soluzione che venne adottata. Questa "protesta", così come il rifiuto di pubblicare la risoluzione della VI conferenza della FCB vennero criticati da Manuilsky al V congresso del Comintern (1924), che accusò i Greci di essere sotto l'influenza del socialismo austriaco, del bauerismo; al suo III congresso straordinario (dicembre 1924), il PCG finì per adottare il programma del Comintern e della FCB, e quindi la secessione della Macedonia (e della Tracia) dalla Grecia. Questa accettazione portò a diverse dimissioni, ma le divergenze nel partito rimasero - nel 1930, l'IKKI poteva rimproverare al partito greco "di non aver utilizzato le simpatie delle minoranze oppresse".
Non si può fare a meno di porre il problema di quanto abbia pesato il programma del Comintern sulla Macedonia sul mancato sviluppo del PCG in Grecia, e di quanto questo programma fosse conforme alle condizioni prevalenti in Grecia. Al V congresso del Comintern, il delegato greco Maksimos, che pure ne accettò le decisioni, diede una spiegazione ambigua delle posizioni del PCG: secondo lui il PCG non era contrario all'autonomia della Macedonia, ma criticava il fatto che lo slogan fosse stato adottato senza tener conto delle difficoltà pratiche d'applicazione in Grecia; è così che spiegava la lettera di protesta del PCG al Comintern, lettera che aveva il solo scopo di ottenere istruzioni in merito. Secondo Maksimos, bisognava tener conto del cambiamento della composizione nazionale della Macedonia, per quanto voluta dalla borghesia - "si trovano ora in Macedonia 700.000 rifugiati dell'Asia Minore, era un dato di fatto anche se il PCG vi si era opposto e auspicava che il partito turco facesse lo stesso". In ogni modo, il problema principale non era nei termini posti da Maksimos, e cioè che la "classe operaia e contadina non è pronta ad accettare questa parola d'ordine, sollevata recentemente solo dal partito". In realtà questo programma ostacolava l'azione del partito tra i greci, tra i rifugiati greci in Macedonia. E' innegabile anche che questo programma permetteva alle autorità di presentare i comunisti come traditori della patria e dava un pretesto a persecuzioni.
Gli studiosi concordano in generale sulle conseguenze nefaste di questo programma per il PCG, scorgendovi una causa importante, forse addirittura quella fondamentale, del suo debole radicamento, anche se alcuni sottolineano la mancanza di attività del PCG su altri terreni (masse contadine, ecc.) e la mancanza di efficacia nell'applicazione del programma nazionale (nessuno sforzo di diffusione, nessuna partecipazione di attivisti macedoni), per via dell'influenza del nazionalismo, dell'idea di una grande Grecia tra i membri del partito. Le divergenze sul programma nazionale coincisero con le divergenze all'interno del movimento comunista. La questione nazionale, particolarmente sentita all'epoca nel paese, poteva essere l'occasione di una presa di coscienza dei metodi autoritari del Comintern nei rapporti con i partiti membri. Da questo punto di vista, è significativo il caso di Puliopulos: all'inizio "autonomista", in seguito affermò che la politica relativa alla Macedonia era sbagliata e che lo "slogan di una Macedonia unificata e autonoma era stato catastrofico per il movimento operaio greco" e che era inammissibile che un "comando internazionale decretasse che gli altri partiti comunisti dovevano seguire dei principi incompatibili con le condizioni oggettive del paese". Criticherà successivamente il dogmatismo, il burocratismo nel socialismo, prendendo posizione nel conflitto interno al P.C.U. (b) e nel Comintern per Trotsky, (Kamenev, Zinoviev) e opponendosi alla teoria del socialismo in un solo paese. Sarà espulso dal partito nel 1927 per trotskismo - alla IX sessione dell'IKKI, nel 1928, Kolarov criticherà gli elementi trotskisti del partito greco come intellettuali panellenisti, nazionalisti.
In Jugoslavia, il partito comunista, legale fino al 1921, aveva dato poca attenzione alla questione nazionale nel suo programma. Nonostante questo, alcune nazionalità insoddisfatte, in assenza di partiti politici che potessero rappresentarle, avevano visto nel PCJ un difensore dei loro diritti non solo sociali, ma anche e soprattutto nazionali, come testimoniano i risultati delle elezioni del 1920 all'assemblea costituente. Soprattutto in Macedonia: sui 58 seggi che il PCJ ottenne nel paese, 15 venivano dalla Macedonia dove il partito si affermava come il secondo della regione con il 38% dei voti espressi (c'era stato il 45% d'astensione). Tutto questo senza che il PCJ utilizzasse la questione nazionale nella sua propaganda elettorale, il che non impedì alle autorità di servirsi anche dell'accusa di nazionalismo per perseguitare i comunisti, rimproverando per esempio al PCJ di avere accettato l'appoggio dell'ORIM alle elezioni - accusa che il segretario del partito, S. Markovic respinse. Comunque, durante le riunioni elettorali, degli attivisti in Macedonia avevano potuto usare la lingua macedone e parlare dei diritti nazionali.
Una discussione sulla questione nazionale venne aperta nel PCJ, se non per iniziativa diretta del Comintern, di certo sotto la sua influenza. Il problema croato era al centro dell'attenzione, ma alcuni mostrarono l'importanza del problema macedone, anche se le opinioni restavano divise su questo soggetto. Questa discussione portò a un cambiamento di programma durante la III conferenza del dicembre 1923 (gennaio 1924), poco dopo quella della FCB - il PCJ affermava il diritto all'autodeterminazione dei popoli della Jugoslavia fino alla secessione. Una risoluzione speciale era consacrata alla questione macedone (e a quella della Tracia) che prendeva posizione per una Macedonia unita e indipendente. Era un cambiamento importante nell'atteggiamento del partito, anche se l'esistenza di una nazione macedone non era riconosciuta apertamente. Alcuni rimproverarono più tardi a questa risoluzione di essere stata ambigua sull'atteggiamento verso il movimento nazionale - bisogna aiutarlo o prenderne anche la direzione? L'adozione di queste decisioni non fece cessare le divergenze: alcuni continuarono a considerare la questione nazionale come una lotta tra borghesie nazionali e si opposero alla collaborazione con i movimenti nazionali, non chiedendo lo smembramento dello Stato (S. Markovic). La questione nazionale si trovava al centro di un conflitto più largo nel partito tra la "destra" (rappresentata da S. Markovic) e la "sinistra", quest'ultima divisa a sua volta su questa questione.
A proposito della Macedonia, vi erano divergenze sulla valutazione della natura dell'ORIM. Z. Milojkovic, che rifiutava di vedere nella Macedonia una regione annessa, si opponeva a qualsiasi legame con il movimento nazionale, a suo parere filobulgaro e senza alcun carattere rivoluzionario. Per A. Ciliga, l'ORIM era reazionario in Bulgaria, ma in Jugoslavia aveva un carattere rivoluzionario (perché difendeva l'indipendenza contro la dominazione serba), e il PCJ doveva cercare di crearvi delle frazioni. G. Cviic affermava che il PCJ doveva tener conto della popolarità dell'ORIM per il suo passato di lotta per la libertà e dichiararsi chiaramente come difensore dell'indipendenza macedone, ma il PCJ doveva comunque condannare la politica dell'ORIM. Le divergenze concernevano anche le soluzioni: alcuni erano per una autodeterminazione totale (rappresentanti della sinistra in generale); S. Novakovic riconosceva l'esistenza di una nazione macedone, mentre S. Markovic non riconosceva una nazione macedone, ma una questione macedone, legata al mescolamento di popolazioni, e ne vedeva la soluzione all'interno della federazione balcanica che si sarebbe creata dopo la vittoria della rivoluzione - nel frattempo, come per altre regioni della Jugoslavia, proponeva un'autonomia regionale all'interno della Jugoslavia. Markovic venne criticato nel 1925 da Stalin per il suo atteggiamento verso la questione nazionale in generale, e in particolare per non aver considerato l'importanza di affermare subito il diritto all'autodeterminazione. Dopo le critiche del V congresso del Comintern sul bauerismo, a causa della sopravvivenza delle "deviazioni" di destra, un plenum allargato dell'IKKI si riunì nel 1925 per discutere dell'approccio del PCJ alla questione nazionale. I dirigenti di "destra" riconobbero in modo mitigato i loro errori, e accettarono il diritto all'autodeterminazione fino alla secessione. L'applicazione del programma del PCJ sulla questione nazionale incontrò delle difficoltà di cui si lamentarono i congressi successivi - in particolare le organizzazioni del partito in Macedonia, soggette ad una repressione molto dura, che avevano pochi legami con il centro e si trovavano isolate tra loro. La situazione degli organismi dirigenti del PCJ, costretti all'estero, e le lotte di frazioni, potevano spiegare questa situazione.

3. L'atteggiamento verso il movimento nazionale

Il tentativo d'accordo con l'O.R.I.M.

La politica del Comintern e della FCB verso la Macedonia è stato segnata da un tentativo di accordo con l'ORIM, accordo che non ebbe futuro e la cui storia resta oscura. In questo periodo c'erano contatti con il partito contadino croato, che aderì all'Internazionale Verde alla metà del 1924.
Fin dalla fine del 1921 ci sarebbero stati dei tentativi di riavvicinamento dell'ORIM ai comunisti, e di certo alla conferenza di Genova del 1922 Protogerov ricercò da loro un aiuto materiale. E' nel 1923 che i contatti si svilupparono su iniziativa dei sovietici (sembra in collegamento con gli avvenimenti in Bulgaria), e prima del colpo di stato del giugno 1923 andò a vuoto un progettato viaggio di rappresentanti macedoni (D. Vlahov e Monev, vicino ad Alexandrov) a Mosca. Il PCB, in previsione della sollevazione di settembre, concluse un accordo con l'ORIM (secondo Kosev con la sinistra dell'ORIM, in specifico con A. Vasilov, komitadji fortemente impiantato nella regione del Pirin, di tendenza "federalista", ma legato ad Alexandrov); questo accordo prevedeva la neutralità dell'ORIM durante la sollevazione, in cambio della quale i comunisti si astenevano dall'intervenire in Macedonia. Dei distaccamenti macedoni parteciparono comunque alla repressione della sollevazione, a parere di Alexandrov perché il PCB non rispettò i suoi impegni (settori di macedoni avrebbero partecipato alla rivolta). Ma i sovietici ripresero comunque i negoziati, che sfociarono in un accordo concluso a Vienna all'inizio del maggio 1924. Dato il ruolo dell'ORIM negli affari bulgari (presa temporanea di Kustendil nel dicembre 1922, partecipazione di bande armate al rovesciamento di Stamboliskij nel giugno 1923 e alla repressione della sollevazione di settembre), potè sembrare necessario ai comunisti farsene un alleato (malgrado gli eccessi dei suoi dirigenti) per lottare contro il governo reazionario bulgaro o anche solo per impedire che l'organizzazione macedone venisse usata nella repressione. Le altre correnti del movimento macedone avevano poco peso nel paese ed i loro rappresentanti erano in parte all'estero. L'interesse da parte dell'ORIM stava nell'avere un appoggio esterno e un aiuto materiale da parte di un paese e di un movimento che affermavano il diritto all'autodeterminazione, in una situazione in cui l'organizzazione macedone risentiva dell'instabilità della situazione e dipendeva dal governo bulgaro e dalla sua politica estera (pericolo di un avvicinamento della Bulgaria con la Jugoslavia). Il governo Cankov, al contrario di Stamboliskij, dava un aiuto materiale all'ORIM, ma prendeva anche misure contro i macedoni. Nell'ORIM c'erano inoltre anche correnti più democratiche, anche se mal definite, ostili agli eccessi di Alexandrov e più favorevoli a un'atteggiamento indipendente verso il governo bulgaro. In linea generale, nel movimento macedone in Bulgaria sarebbe esistita una certa ricettività al comunismo fin dal 1918 e non solo dopo il 1924, con la svolta del PCB sulla questione dei movimenti nazionali; c'erano comunisti macedoni nel PCB e al di fuori, in "Sovetska Makedonija", fautrice di una repubblica sovietica indipendente della Macedonia, non legata a una federazione. I macedoni non comunisti erano favorevoli all'aiuto dell'URSS come difensore del diritto dei popoli all'autodeterminazione.
Nelle risoluzioni che esprimevano questo accordo, firmate unicamente dai dirigenti dell'ORIM, l'ORIM accettava un'unificazione del movimento di liberazione nazionale con i Federalisti e un cambiamento della sua politica (condizioni che i Sovietici avevano posto per dare il loro aiuto). Era prevista la fine delle lotte fratricide tra le diverse correnti del movimento macedone e un congresso di unificazione. Da un lato, l'ORIM decise di riorientare la sua politica: nel Manifesto (essendo impossibile contare sull'appoggio delle grandi potenze e dei governi balcanici, in particolare quello bulgaro) l'ORIM dichiarava la rottura con il governo bulgaro di cui denunciava vivamente la politica contraria agli interessi sia macedoni che bulgari. Dichiarava di appoggiarsi alle "correnti europee progressiste e rivoluzionarie estreme" in lotta contro la politica degli Stati imperialisti, contro i trattati di pace e per il diritto all'autodeterminazione dei popoli - al contrario della dichiarazione di principio, il Manifesto destinato alla pubblicazione non parlava espressamente dell'URSS. Inoltre l'ORIM si impegnava a legarsi con le altre organizzazioni rivoluzionarie balcaniche per formare un fronte unico rivoluzionario balcanico. Infine, riprendendo il programma dei federalisti, dei socialisti macedoni e anche del Comintern, si dichiarava per una Macedonia unificata e indipendente che sarebbe entrata in una federazione balcanica, rinunciando così alla riunificazione con la Bulgaria. D'altronde già nel 1922 Alexandrov si era dichiarato per una Macedonia unificata e indipendente, affermando di rinunciare a immischiarsi negli affari interni bulgari: dichiarando di non opporsi ai comunisti voleva forse guadagnare consensi tra la popolazione o prevedeva una richiesta di aiuto all'URSS?
Nonostante i testi non parlassero di rivoluzione socialista l'ORIM motivava la scelta dei suoi nuovi alleati e dei suoi nuovi obiettivi con il loro contributo all'affermazione del diritto all'autodeterminazione dei popoli; dichiarava di lottare per la democratizzazione dei governi balcanici e in specifico invitava sia i macedoni che i bulgari a lottare contro Cankov e a dare un appoggio solo a un governo "veramente nazionale e democratico".
All'inizio del mese di agosto tuttavia Alexandrov e Protogerov negarono di avere firmato il Manifesto, attribuendolo a una "macchinazione" dei comunisti che avrebbero voluto creare una repubblica sovietica nella regione macedone di Petric: il governo bulgaro riprese questa accusa, chiamando in causa il Comintern e l'URSS, e attribuì ai comunisti l'assassinio di Alexandrov alla fine del mese dell'agosto 1924. In realtà Alexandrov fu assassinato dai dirigenti dell'ORIM contrari alla sua partecipazione all'accordo, ma la sua morte servì da pretesto per assassinare come rappresaglia numerosi macedoni di sinistra favorevoli al Manifesto (A. Vasiliev, il comunista Hadzi Dimov, ecc). E' da sottolineare che respingendo le accuse di tentata bolscevizzazione dell'ORIM, il PCB e la FCB negarono qualsiasi accordo con l'ORIM, sostenendo che il Manifesto del 6 maggio mirava alla collaborazione tra organizzazioni rivoluzionarie balcaniche (croati, albanesi, macedoni): sembra invece che questo accordo sia stato davvero firmato dall'ORIM; per Christowes (favorevole all'ORIM) Protogerov l'avrebbe sicuramente firmato, mentre rimarrebbe un dubbio per Alexandrov.
Apparentemente ben accolto tra le fila dell'ORIM e tra la popolazione macedone (l'organizzazione Iliden lo pubblicò), ci si chiese perché venisse rinnegato poco tempo dopo la sua conclusione. Secondo Vlahov, Alexandrov avrebbe avuto paura delle conseguenze una volta di ritorno in Bulgaria e richiese prima che venisse posticipata la pubblicazione del Manifesto, e poi lo rinnegò pubblicamente; anche secondo Rotschild, Alexandrov non aveva previsto la reazione del governo, e da una e dall'altra parte la dipendenza dell'ORIM dal governo bulgaro sarebbe stata sottovalutata; l'accordo avrebbe dovuto essere seguito da una rivolta immediata, ma nei fatti questo era impossibile. Ci si può chiedere perché questi fatti non siano stati presi in considerazione prima. Un'altra spiegazione sarebbe che Alexandrov non era stato sincero firmando il Manifesto. Secondo Kazasov, un ministro bulgaro, c'era l'intenzione di lasciarlo pubblicare, ma per attirare l'attenzione dell'Occidente sulla minaccia di estensione del comunismo in Europa orientale e spingere quindi a una soluzione favorevole alla questione macedone. Secondo Vlahov invece la firma dei documenti da parte dell'ORIM non era una provocazione, ma una volta Alexandrov tornato in Bulgaria, i suoi collaboratori più stretti vi si sarebbero opposti.
Gli obiettivi dei partecipanti all'accordo erano senza dubbio troppo divergenti. L'ORIM era interessata all'aiuto sovietico, ma aveva anche appoggi e collaboratori di ricambio. L'ORIM, il movimento macedone, era anche diviso sia rispetto agli obiettivi (Macedonia indipendente o bulgara), sia rispetto agli appoggi esterni possibili (si era già manifestato una tendenza a ricorrere all'aiuto dell'Italia, interessata alle azioni contro la Jugoslavia, tendenza che in seguito si affermò), e i dirigenti dell'ORIM erano esitanti. Secondo Vlahov, uno dei problemi nei negoziati era stata la difficoltà a riconciliare Caulev, il terzo membro del comitato centrale dell'ORIM che viveva all'estero, con Alexandrov e Protogerov, e riconciliare da un lato l'ORIM e dall'altro i Federalisti.

L'ORIM-U

Dopo questo fallimento una nuova organizzazione fu creata a Vienna, ufficialmente nel settembre 1925, con lo scopo di raggruppare i macedoni fedeli allo spirito del Manifesto del maggio 1924: si trattava dell'ORIM-Unificata, favorevole a una Macedonia unificata e indipendente all'interno di una federazione balcanica. L'ORIM-U si autoproclamava la sola forza rivoluzionaria in rappresentanza dei macedoni e denunciava l'ORIM di Mihajlov per i suoi legami con la Bulgaria e per i suoi metodi di terrorismo individuale, che portavano a una repressione accresciuta. Le dichiarazioni dell'ORIM-U vennero pubblicate dal giornale Fédération balcanique, creato (in conformità all'accordo del maggio) nel luglio 1924 a Vienna come organo di tutti i movimenti nazionali rivoluzionari balcanici, e pubblicato sia nelle lingue occidentali che in quelle balcaniche (più tardi il giornale Makedondko delo fu destinato a creare un legame più stretto tra ORIM-U e popolazione in Macedonia). Né l'ORIM-U, né la Fédération balkanique si dichiaravano comunisti, ma è da notare che al contrario del Manifesto di maggio, lo statuto e il programma dell'ORIM-U parlavano di lotta "per le libertà politiche e per il diritto alla terra per i contadini e di un largo sostegno alle classi economicamente deboli", della preparazione di un'insurrezione popolare generale (dichiarando che l'ORIM-U era una "organizzazione cospirativa" pur non rigettando il lavoro legale), e dell'appoggio delle masse lavoratrici e dell'URSS, "solo paese che difende e applica il diritto all'autodeterminazione". La Fédération balkanique pubblicò articoli sulla soluzione della questione nazionale in URSS, e anche qualche articolo di dirigenti comunisti bulgari e jugoslavi.
Tra i fondatori dell'ORIM-U vi furono dei macedoni non comunisti che avevano partecipato all'accordo del maggio 1924 (Caulev, Panica, e Zankov, vecchio dirigente dell'Ilinden - Caulev e Panica furono presto uccisi dagli assassini dell'ORIM di Mihajlov), ma comunque l'ORIM-U fu nei fatti un'organizzazione d'obbedienza comunista, con dei comunisti al comitato centrale (fra cui il bulgaro N. Poptomov), e animata da D. Vlahov, caporedattore anche della Fédération balkanique, entrato in incognito nel PCB nel 1925. I legami con la FCB sono difficili da stabilire: secondo E. Barker, che si basa su una frase ambigua della risoluzione della conferenza del 1929, la FCB sarebbe stata reticente nel suo appoggio all'ORIM-U. In realtà, in questa conferenza la FCB appoggiò l'ORIM-U e, secondo Vlahov, rappresentanti della FCB (in pratica i dirigenti bulgari, Dimitrov e Poptomov) parteciparono all'assemblea costituente dell'ORIM-U cercando di esercitarvi un'influenza. Ci sarebbero state tuttavia delle divergenze tra Vlahov e la FCB sui rapporti con i macedoni non comunisti: partendo da considerazioni di politica bulgara la FCB avrebbe auspicato una collaborazione più ampia dell'ORIM-U con Sandanov, rappresentante di Mihajlov all'estero, o con i sostenitori di Protogerov (assassinato nel 1928). Dei contatti in effetti c'erano stati, ma non avevano avuto alcun successo per le differenze politiche esistenti. Infine l'ORIM-U si separò nel 1927 da Zankov, accusato di legami con la Jugoslavia.
Essendo un'organizzazione controllata dai comunisti e poichè sul terreno non esistevano altre forze capaci di creare una rete dell'ORIM-U (l'unica presenza in Macedonia era quella dell'ORIM di Mihajlov e Protogerov, filobulgara e terrorista), i partiti comunisti furono incaricati dello sviluppo dell'ORIM-U. A parere di Zografski, la FCB avrebbe raccomandato al PCJ, al PCB e al PCG, di aiutare alla creazione di sezioni dell'ORIM-U, di entrarvi e di dirigerne l'attività (risposta di Vlahov a una richiesta di spiegazioni fatta dai comunisti della Macedonia del Vardar). Anche se ciò riguardò organizzazioni comuniste poco numerose, sono interessanti le discussioni che si svilupparono tra i comunisti macedoni nella Macedonia del Vardar sull'atteggiamento del partito verso l'ORIM-U. Il comitato del partito, alcuni dei suoi membri, dovevano creare direttamente le organizzazioni dell'ORIM-U o piuttosto aiutare dall'esterno alla loro creazione e entrare solo una volta che queste erano state create? Se il partito le creava, c'era bisogno di direzioni separate? Per alcuni, i comunisti dovevano creare le organizzazioni dell'ORIM-U perché erano la sola forza che poteva farlo, essendo l'ORIM di Mihajlov filobulgara e anticomunista, e anche perché i programmi dell'ORIM-U e del PCJ erano molto vicini. Al contrario, altri, in particolare nella direzione regionale per la Macedonia, temevano che il partito si sciogliesse nell'ORIM-U e perdesse il suo carattere di classe, non occupandosi più che della questione nazionale; direzioni identiche per il partito e l'ORIM-U avrebbero presentato lo stesso pericolo (questa posizione aveva i suoi fautori all'interno del comitato regionale per la Macedonia, che infatti s'impegnò ben poco nello sviluppo di una rete dell'ORIM-U). Fu proposta anche l'entrata dei comunisti nelle organizzazioni autonomiste per staccarle dall'influenza di Protogerov e Mihajlov (secondo D. Zografski, questa idea sarebbe stata valida se questi gruppi non fossero stati terroristi e anticomunisti). Secondo Grubisik il problema delle direzioni era legato a quello dell'organizzazione del PC di Veles (Macedonia del Vardar): se il partito era l'organizzatore e il dirigente dell'ORIM-U non erano necessarie direzioni separate, ma, se i non comunisti erano numerosi nell'organizzazione dell'ORIM-U allora era necessaria una direzione separata, in modo che potessero esservi rappresentati. A livello regionale invece erano comunque necessarie delle direzioni separate, data la loro dipendenza da centri diversi. Nella Macedonia Egea e in Bulgaria era previsto, nello stesso modo, che le organizzazioni dell'ORIM-U fossero legate ai partiti comunisti.
Lo sviluppo dell'ORIM-U in Macedonia è stato molto limitato, variabile secondo le regioni ed i periodi. Questo può essere spiegato dall'illegalità dei PC, dal loro debole radicamento, in certi casi dalle condizioni di repressione sul terreno, dal programma dell'ORIM-U (secessionista per la Jugoslavia e la Grecia) e dalla presenza dell'ORIM di Mihajlov. La repressione rendeva ugualmente difficile i contatti con il comitato centrale all'estero (Vienna e anche Berlino nel 1928), e le decisioni del centro potevano non corrispondere alla situazione locale, come rimproverava nel 1929 l'organizzazione dell'ORIM-U di Veles. Comunque i partiti comunisti s'impegnarono poco nello sviluppo dell'ORIM-U. I dirigenti dell'ORIM-U si fecero notare soprattutto per un'attività di propaganda all'estero, realizzata dal giornale Fédération balkanique, che aveva come compito principale quello di diffondere l'idea della liberazione e del diritto all'autodeterminazione dei popoli balcanici e della loro "federazione", chiamando a un fronte unico balcanico; difese anche, sul piano internazionale, posizioni simili a quelle del Comintern; e contribuì a sensibilizzare ai problemi dei Balcani l'opinione pubblica di sinistra in Europa. Il comitato centrale dell'ORIM-U partecipò anche a diverse manifestazioni progressiste (conferenze delle minoranze, ecc.), spesso insieme agli altri comitati nazionali rivoluzionari balcanici ("Comitato balcanico delle organizzazioni nazionali rivoluzionarie"). Ma la Fédération balkanique smise di uscire nel 1931 nelle lingue balcaniche, e poco dopo anche nell'edizione francese. La rete dell'ORIM-U fu smantellata nel 1930 nella Macedonia del Vardar (processo di Veles); vi furono segni di attività in Grecia e in Bulgaria negli anni '30, dopodiché il centro dell'ORIM-U scomparve e Vlahov partì per Mosca. Se l'ORIM-U non potè diventare un'organizzazione nazionale importante nella Macedonia del Vardar, contribuì comunque a formare quadri che, dopo il 1945, raggiunsero il movimento comunista della repubblica di Macedonia nella Jugoslavia socialista.

4. L'evoluzione della politica del Comintern

Dopo il fallimento del tentativo di collaborazione con l'ORIM di Alexandrov e Protogerov, l'attività della FCB conobbe un declino, come fu constatato alla VIII e ultima conferenza nel 1929. In linea con la politica del Comintern di quel periodo, venne sostenuto che il pericolo di guerra veniva dai Balcani, dove i paesi imperialisti volevano creare un blocco balcanico antisovietico e trasformare i paesi balcanici in semicolonie. Il problema nazionale conservava tutto il suo peso, senza che la Macedonia avesse un posto speciale; per la FCB il movimento nazionale rivoluzionario restava una delle correnti del movimento rivoluzionario generale nei Balcani. Venne riaffermato che i partiti comunisti difendevano il diritto all'autodeterminazione fino alla secessione e l'idea di una federazione balcanica tra le repubbliche operaie e contadine di tutti i paesi balcanici, comprese quelle da stabilirsi nelle regioni conquistate (Macedinia, Tracia, Dobrugia). Criticando implicitamente la politica dei partiti comunisti balcanici sulla questione nazionale, la FCB insistette sulla necessità di un reale accordo politico in questo ambito, e uno dei compiti della FCB sarebbe stato quello di stabilire una linea comune per il lavoro dei partiti balcanici sulla questione nazionale e nel movimento nazionale rivoluzionario. I partiti comunisti dovevano dare un appoggio effettivo alla lotta dei popoli oppressi: "il dovere dei comunisti è di lavorare nelle organizzazioni rivoluzionarie per impedire che le potenze imperialiste e i governi balcanici le utilizzino ai loro fini di conquista", smascherando la SDN e l'idea di una federazione che integrasse la Bulgaria alla Jugoslavia di Karadjordjevic. Dovevano essere aiutate le organizzazioni nazionali rivoluzionarie favorevoli a una collaborazione dei popoli oppressi con il proletariato rivoluzionario, come l'ORIM-U, l'OR della Tracia, ecc. I comunisti dovevano creare un fronte unico tra il movimento rivoluzionario delle nazioni oppresse e la lotta rivoluzionaria operaia e contadina dei Balcani e anche tra la lotta dei popoli balcanici oppressi e la rivoluzione dei popoli coloniali, con la rivoluzione cinese e internazionale. Vista la necessità per la rivoluzione nei Balcani di legare la rivoluzione nazionale alla rivoluzione proletaria e alla lotta rivoluzionaria dei contadini lavoratori, i partiti comunisti dovevano tenere conto delle particolarità della lotta nazionale rivoluzionaria e della lotta dei contadini rivoluzionari delle diverse regioni dei Balcani.
E' particolarmente interessante notare che la FCB progettò la lotta partigiana. La guerra imperialista avrebbe creato "le condizioni favorevoli allo scoppio di una rivoluzione nazionale nelle retrovie della borghesia". La FCB prevedeva che con lo scoppio della guerra, data la tradizione di lotta armata di numerose regioni (fra cui la Macedonia), la popolazione si sarebbe opposta ai governi e avrebbe cominciato la lotta per la liberazione nazionale. Siccome molte di queste regioni avevano una natura montagnosa, i partiti comunisti balcanici avrebbero dovuto lanciare la parola d'ordine della lotta partigiana per l'insurrezione nazionale rivoluzionaria, facendo il necessario per coordinare la lotta nazionale e la lotta rivoluzionaria degli operai e dei contadini.
In linea generale, la conferenza prevedeva un rafforzamento della direzione da parte della FCB del lavoro dei partiti comunisti balcanici sulle questioni generali dei Balcani, sotto la direzione e il controllo dell'IKKI. Si ricordava che le decisioni della FCB in quest'ambito erano vincolanti; in caso di conflitto, l'IKKI sarebbe stata l'istanza che avrebbe deciso. Ma questo tentativo di resuscitare la FCB non ebbe seguito, di certo per l'evoluzione della situazione internazionale con l'ascesa del nazismo e il cambiamento di politica del Comintern.
Bisogna comunque notare che, secondo una fonte macedone, il Comintern adottò nella primavera del 1934 un appello ai partiti comunisti balcanici nel quale veniva sottolineata la necessità di un trattamento nazionale autonomo per la questione macedone.
Quando nell'agosto 1935, al suo VII congresso, il Comintern mise l'accento su un fronte unico nella lotta contro il fascismo, il PCG e il PCJ abbandonarono la politica di smembramento dei loro Stati, politica che avrebbe ostacolato la collaborazione con altri partiti politici nella lotta al fascismo. Prendendo a pretesto il cambiamento nella composizione nazionale della Macedonia Egea e la mutata situazione del movimento rivoluzionario nei Balcani e in Grecia in particolare, il PCG al suo VI congresso del dicembre 1935 abbandonò il programma di una Macedonia (e di una Tracia) unificata e indipendente, adottando invece un programma di "totale uguaglianza delle minoranze". Sempre nel 1935, il PCJ affermò che il diritto all'autodeterminazione non significava obbligatoriamente secessione nel quadro jugoslavo (plenum di Split nel giugno 1935, riunione di Mosca in agosto); alla fine del 1934 aveva deciso la creazione di partiti in Croazia e in Slovenia, e previsto, ma non realizzato, un partito per la Macedonia jugoslava.
Infine si deve menzionare l'intervento che fece il Comintern sulla questione macedone nell'agosto 1941 nella controversia che opponeva il PCJ al PCB a proposito dell'organizzazione del partito nella Macedonia del Vardar, allora occupata dalla Bulgaria. Il segretario di questa organizzazione, M. Sarlo-Satorov, rifiutava le direttive del PCJ per la preparazione di una sollevazione, e si era unito al PCB, ma mentre nel periodo precedente il Comintern aveva avuto un atteggiamento piuttosto "anti-jugoslavo", ora confermò l'appartenenza dell'organizzazione del partito nella Macedonia del Vardar al PCJ. Pesò certamente in questa decisione l'importanza per l'URSS, nel suo sforzo bellico, del movimento partigiano in Jugoslavia sotto la direzione del PCJ, che doveva estendersi alla Macedonia. Il Comintern chiamò anche a una collaborazione del PCJ e del PCB in Macedonia, ma i punti di vista dei due partiti rimasero divergenti: il PCJ era per l'insurrezione, il PCB accettava il coinvolgimento nell'esercito bulgaro per cambiarne il carattere fascista dall'interno. Nei fatti, fu necessario per il PCJ cambiare la direzione regionale macedone e inviare parecchi rappresentanti perché venisse realizzata la direttiva del Comintern dell'agosto 1941.

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In un primo periodo, il Comintern considerò i Balcani una regione particolarmente propizia alla rivoluzione. Per il Comintern i problemi nazionali, aggravati rispetto all'anteguerra ed alimentati dagli Stati imperialisti, erano una questione politica essenziale nei Balcani, e costituivano un fattore favorevole alla rivoluzione. Il Comintern e l'organismo regionale creato nei Balcani, la Federazione Comunista Balcanica, si sono interessati alla questione nazionale nei Balcani e alla Macedonia, soprattutto nel 1923-1924, prendendo posizione contro la divisione della Macedonia, per una Macedonia unita e indipendente in una federazione socialista balcanica. Non si parlava di riconoscimento della nazione macedone, ma di popolo macedone, riferendosi all'insieme delle nazionalità presenti - sottintendendo che c'erano dei bulgari o esitando sull'origine della popolazione slava lì presente.
Per il Comintern una Macedonia indipendente corrispondeva alle aspirazioni del popolo macedone (e anche ai suoi interessi economici) e secondo la FCB l'unione a un paese vicino avrebbe significato l'oppressione della maggioranza della popolazione e sarebbe stata una fonte di conflitto tra i vari stati balcanici (la FCB e il Comintern ricordavano l'importanza della situazione geopolitica della Macedonia). Sempre secondo il Comintern solo la rivoluzione socialista poteva permettere la creazione di una Macedonia indipendente. In linea generale l'idea di una rivoluzione nazionale borghese era implicitamente respinta, perché le borghesie al potere erano troppo legate alle potenze imperialiste - gli stati balcanici creati dai trattati di pace erano considerati come l'opera di queste potenze e non di una rivoluzione nazionale. Riguardo alla Macedonia, il Comintern denunciava la politica delle borghesie nazionali (compresa quella bulgara), che cercavano di servirsi del movimento nazionale per i loro fini espansionistici.
Quanto alla politica verso le organizzazioni nazionali esistenti, in un primo tempo il Comintern pensò di attirare verso il comunismo i contadini che rappresentavano la base del movimento nazionale: è il senso dell'Appello del 1920, mentre successivamente il Comintern favorì un accordo con l'ORIM (maggio 1924), che già aveva preso contatti con i sovietici. Il Comintern era arrivato a questa decisione per il ruolo dell'ORIM negli avvenimenti bulgari (partecipazione delle bande armate dell'ORIM nel rovesciamento del governo contadino di Stamboliskij nel giugno 1923, e la sua sostituzione con un governo reazionario e nazionalista, partecipazione di queste bande nella repressione della sollevazione organizzata in settembre dal PCB), perché per lottare contro il nuovo governo il PCB doveva avere l'appoggio o almeno la neutralità dell'ORIM. L'arrivo al potere di un governo nazionalista lasciava prevedere anche una tensione tra la Bulgaria e la Jugoslavia sulla Macedonia. L'avvicinamento all'ORIM si inscriveva in una politica di contatti con i movimenti nazionali dei Balcani, come il partito croato che aderì all'Internazionale verde nel luglio 1924, per arrivare al rovesciamento immediato dei governi reazionari. I sovietici accettarono un avvicinamento con i dirigenti dell'ORIM malgrado i loro metodi discutibili. Nei suoi testi il Comintern parlava delle "organizzazioni macedoni" senza fare differenziazioni tra la politica dei dirigenti dell'ORIM e le correnti all'interno e all'esterno dell'ORIM, mentre la FCB era invece più precisa, riferendosi all'esistenza di questi diversi orientamenti (in un testo del dicembre 1923 diceva che solo una parte dei macedoni s'appoggiava sulla borghesia bulgara e si era lasciata trascinare nella controrivoluzione).
I comunisti ottennero, in cambio del loro appoggio, che l'ORIM annunciasse un cambiamento di politica, prendendo posizione per una Macedonia indipendente, dichiarando di cessare di appoggiarsi sulla borghesia bulgara e di lottare contro il governo reazionario di Cankov, e prevedendo di appoggiarsi sui movimenti progressisti rivoluzionari estremi e di allearsi ai movimenti nazionali rivoluzionari dei Balcani. Ottennero anche la riconciliazione dell'ORIM con i rappresentanti macedoni democratici e favorevoli a una Macedonia indipendente. Questo accordo venne però sconfessato molto rapidamente da due dei firmatari dell'ORIM (Protogerov e Alexandrov); parecchie ipotesi, tra loro complementari, sono state fatte su questa sconfessione. La dipendenza dell'ORIM nei confronti del governo bulgaro non le permetteva di dichiararsi apertamente contro di esso, salvo se una rivoluzione fosse stata imminente. C'erano anche le divergenze nell'ORIM tra coloro che erano favorevoli a un cambiamento di politica e opposti ai metodi arbitrari di Alexandrov e coloro che erano filobulgari e contrari all'accordo di maggio (Alexandrov stesso era esitante, avendo la possibilità di altri appoggi). Questo accordo era comunque fragile per le divergenze politiche esistenti tra i rappresentanti macedoni che parteciparono all'accordo (nel comitato centrale dell'ORIM e tra l'ORIM e i Federalisti), per le loro lotte reciproche, per la sfiducia di molti verso Alexandrov. E soprattutto gli obiettivi dei comunisti e dell'ORIM erano troppo diversi. Anche in Jugoslavia, pur se in un contesto diverso, il partito contadino croato (d'orientamento progressista) riconsiderò l'adesione data all'Internazionale verde - adesione che gli era valsa la messa nell'illegalità e la persecuzione - e alla fine riconobbe il regime monarchico serbo. Le possibilità di rivoluzione, di cambiamento di regime, furono senza dubbio sopravvalutate dal Comintern.
Dopo il fallimento di questo accordo e considerando iniziata una fase di stabilizzazione del capitalismo, l'orientamento fu verso un'organizzazione nazionale nuova, d'obbedienza comunista, l'ORIM-Unificata, a cui aderirono i firmatari dell'accordo di maggio favorevoli all'indipendenza della Macedonia. Ma l'ORIM-U non riuscì a sviluppare una propria rete significativa in Macedonia, ed ebbe soprattutto un'attività propagandista, sviluppata dal suo centro all'estero, a favore di una Macedonia indipendente in una federazione balcanica, denunciando l'oppressione nazionale in Macedonia. Le ragioni di questo mancato sviluppo furono, tra le altre, il fatto che l'ORIM-U era legata a partiti comunisti che vivevano in condizioni di illegalità e di repressione molto dure, che ebbe un programma secessionista e che ebbe come avversario l'ORIM di Mihajlov, che adottava metodi fascisti e si era alleato all'Italia.
La politica del Comintern verso la Macedonia rivela anche i problemi nei rapporti tra Comintern e partiti comunisti dei Balcani. Per ragioni e in contesti diversi, sia il partito jugoslavo, sia quello greco accettarono con difficoltà il programma sulla questione nazionale imposto dal Comintern. Per quanto riguarda il PCG, rivendicare la secessione di una parte del territorio dello stato fu una delle cause della sua stagnazione. Nel PCJ c'era una discussione riguardante l'approccio generale alla questione nazionale, che riguardava numerose nazionalità. Una corrente predominante nel programma del partito fino al 1923 (la "destra" del partito), accordava poca importanza alla questione nazionale, considerata come un problema borghese, e si era opposta alla collaborazione con i movimenti nazionali, mentre la sinistra era per il dirittto all'autodeterminazione dei popoli. In Macedonia, l'idea di una collaborazione con l'ORIM, reazionaria e filobulgara, era più difficilmente proponibile. Specialmente in Grecia la discussione sulla questione nazionale fu legata ai problemi sollevati dalla polemica tra i dirigenti comunisti sovietici e nel Comintern: dei membri del partito che contestavano il modo in cui il Comintern aveva imposto al partito il programma, senza tener conto delle condizioni concrete d'applicazione nel paese, mettevano in causa il burocratismo e si richiamavano al "trotskismo". Si può notare d'altra parte la presenza di un organismo intermedio tra il Comintern e i partiti comunisti balcanici, la Federazione Comunista Balcanica, che avrebbe avuto un ruolo più ampio di una semplice "cinghia di trasmissione" e nella quale il PCB aveva un ruolo importante.
Dopo il cambiamento di politica del Comintern nel 1935, in contesti e con conseguenze diverse, i partiti comunisti di Grecia e Jugoslavia si orientarono verso una soluzione della questione nazionale nel quadro degli stati esistenti, ma il PCJ mantenne comunque l'idea dell'autodeterminazione, prevedendo un partito macedone e riconoscendo la nazione macedone. Il Comintern intervenne nel 1941 nel conflitto tra PCJ e PCB, sostenendo che l'organizzazione del partito del PCJ in Macedonia doveva rimanere con il PCJ: il Comintern approvò nei fatti lo sviluppo della lotta partigiana sotto la direzione del PCJ e mostrò così il modo in cui la sua politica si adattava alle circostanze.