LA MACEDONIA RITROVATA (1941-1944)


ottobre 2001, di Vladimir Claude Fi_era, pubblicato in Les peuples slaves et communisme de Marx à Gorbatchev, Paris, 1992. Traduzione dal francese di Cinzia Garolla.

I tedeschi si assicurarono la lealtà della Bulgaria mantenendo sul suo territorio la 12 armata di List. E' per ricompensare i propri alleati e allo stesso tempo per disperdere l'esercito lontano da Sofia che fecero occupare alla Bulgaria la Serbia limitrofa (1° corpo d'occupazione), la Macedonia e la Tracia occidentale, e parzialmente, la Macedonia egea (5° corpo). Dedeagac e Skopje vengono infine riunite alla loro supposta madrepatria bulgara, cancellando l'oltraggio del trattato di Neully. I comunisti del POB, Partito Operaio Bulgaro (comunisti), dall'aprile 1941 appprovano in coro con l'opinione pubblica e i circoli militari patriottici (gruppi Zveno e del generale Zajmov). Inoltre infiltrano il comitato regionale del PCJ (Partito Comunista Jugoslavo) per la Macedonia, ribattezzato dal suo segretario Satorov (alias Charlot, o Sarlo) comitato regionale del POB in Macedonia. Quest'ultimo, nel suo appello del luglio 1941, proclama che "solo.l'aiuto. del proletariato russo condurrà alla vittoria", quando nello stesso momento, il PCJ fa un'analisi completamente diversa del ruolo dell'URSS: aspetta dal "paese del socialismo.la liberazione sociale e nazionale di tutta l'umanità lavoratrice". Orientando i suoi sforzi verso l'esercito grande-bulgaro vittorioso e conquistatore, il POB è contrario alla lotta armata in Macedonia, mentre il PCJ la raccomanda e quindi, da luglio, esclude Satorov dal partito e ordina la riorganizzazione del settore macedone. Improvvisamente, nell'agosto 1941, l'IC (Internazionale Comunista) decide, per "ragioni pratiche", che la "Macedonia serba", cioè ex-jugoslava, fa parte della Jugoslavia, e che è quindi di competenza del PCJ. Così per la prima volta, Mosca fa la scelta politica di una Jugoslavia multinazionale. Resta il fatto che l'IC lascia pendente la questione della Macedonia bulgara e greca, e quindi dell'unità della nazione macedone. Tuttavia sotto il primo appello slavo dell'agosto 1941 figurano separatamente rappresentanti dei popoli jugoslavi, bulgari e un macedone, il famoso D. Vlahov. Il movimento slavista, in un primo tempo, farà mostra di uno jugoslavismo molto discreto, preferendo rivolgersi ai popoli dell'antico regno, uno per uno. Invece, Vlahov vi figurerà come un simbolo di un panmacedonismo autonomista distinto dai due fratelli slavi nemici. Nel settembre-ottobre 1941, una sollevazione popolare macedone scoppia nella Macedonia egea (città di Drama, regioni di Kostura, Vodena e Lerina). Unisce i macedoni e i greci contro l'occupante bulgaro. Quest'ultimo reprime selvaggiamente, bruciando 15 villaggi e massacrando parecchie migliaia d'insorti (da 3 a 15.000 secondo le fonti). I bulgari che hanno vietato l'uso della lingua macedone e per i quali la "Macedonia integrale" fa parte dell' "Unificazione Nazionale", mettono la sollevazione sul conto dei "partigiani greci". Nei fatti, sono i titoisti che organizzarono la resistenza macedone, malgrado gli occupanti, gli amici di Mihajlovic, i separatisti dell'ORIM (Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone) (diretta da Vanco Mihajlov) e i comunisti bulgari e greci. I sovietici che hanno coperto l'accordo di Vienna del 20 aprile 1941 con il quale i tedeschi assegnavano questa regione alla Bulgaria e che continuano a intrattenere relazioni diplomatiche con quest'ultima, tergiversano a lungo. Il 27 febbraio 1942 un telegramma dell'IC fa sapere al CC (Comitato Centrale) del PCJ che il suo omologo bulgaro desidera l'unione dei comunisti macedoni in un partito indipendente. Questa nuova linea sarà utilizzata dai macedoni d'obbedienza titoista come un passo verso la "debulgarizzazione" (cosa che non era certo nelle intenzioni del POB), per spingere i sovietici indecisi dalla loro parte.
Questa revisione verrà fatta in due tempi. In una prima fase, Maslaric difende a Mosca con Vlahovic l'integrità territoriale della Jugoslavia in lotta, evitando di ridurla alla sua componente serba rivendicata d'altronde da Mihajlovic. Dal dicembre 1941, il PCJ chiede all'IC. di cessare di sostenere i cetnici e il 16 giugno 1942, la radio titoista, "Slobodna yugoslavija", li denuncia da Mosca; l'informazione è ripresa lo stesso giorno, e per la prima volta, dall'agenzia TASS. Gli jugoslavi approfittano della loro posizione privilegiata al "Comitato di Tutti gli Slavi" e nella squadra di filoslavi riunita intorno a Piceta e Nejedly per seppellire definitivamente la concezione della vecchia "Federazione Balcanica" e dell'IC sulla questione macedone. Così nel settembre 1942, Vlahov spinge il suo vantaggio e parla di "Slavi macedoni" oppressi come i serbi dai fascisti tedeschi e bulgari e fa emergere il carattere non bulgaro della Macedonia del Vardar. Nello stesso momento, Kolarov non ha diritto che al Istoriceskij Zurnal , riservato agli storici e all'élite dell'intellighenzia sovietica per rimettere in discussione questo nuovo orientamento: si limitava a una concezione puramente geografica della Macedonia ridotta alla Macedonia del Vardar. Non fa parola della Macedonia e dei Macedoni del Pirin annessi dalla Bulgaria da prima del 1941 e comprende sotto il termine Tracia la Macedonia egea. Quest'ultima resta per lui un concetto sconosciuto, e fa degli insorti di Drama dei membri della "popolazione locale in maggioranza bulgara". Per lui, la Jugoslavia si riduce ai "partigiani serbi" e la solidarietà verso di loro con il sostegno della rivendicazione degli ufficiali dello Zveno di evacuazione totale della Serbia dal primo corpo di occupazione. Invece, Kolarov e il PCB che non vogliono troncare con gli "ufficiali patrioti", non avranno una parola di condanna per l'esercito di occupazione in Macedonia, né ne reclameranno il suo ritorno e ciò fino alla fine del conflitto.
La tesi jugoslava sarà confermata dagli stessi sovietici, il 16 novembre 1942. Nel suo opuscolo destinato ai quadri politici dell'esercito, Cerykh parla degli slavi macedoni come entità etnica a parte, né serba né bulgara e precisa che la Macedonia del Nord (Vardar, Skopje) è più vicina ai serbi che i suoi vicini sud-orientali. Se al primo AVNOJ del novembre 1942, Tito riferisce dei suoi successi " in gran parte (dovuti) ai nostri grandi fratelli slavo russi e a tutti i popoli dell'Unione sovietica" è per non essere in debito nella corsa ai superlativi slavi e per segnare la sua riconoscenza per l'aiuto del PC e dell'agenzia slava di Mosca di cui Maslaric è uno dei vicepresidenti. Qualche giorno dopo, nell'organo del CC del PCJ, mostra il suo gioco: per lui "lotta di liberazione nazionale e questione nazionale sono strettamente legate in Jugoslavia". Non si tratta assolutamente di ritornare a ciò che esisteva sotto il "regime precedente". A meno di contentarsi di chiacchiere, questa lotta ha, "oltre a un senso panjugoslavo, un significato nazionale per ogni popolo in particolare", cioè la "liberazione di Croati, Sloveni, Serbi, Macedoni, Albanesi, Musulmani, ecc.", nel quadro della fraternità di tutti i popoli della Jugoslavia. Sottolineiamo che i macedoni (e non più solo slavo macedoni), con gli albanesi e i musulmani, sono così riconosciuti per la prima volta ufficialmente come nazioni e che Tito non fa dell'esclusivismo slavo.
E' la seconda tappa della strategia del PCJ: sbarazzatisi dell'ipoteca cetnica, cioè della resistenza monarchica serba (Mihajlovic e il governo monarchico così come l'IC consideravano la Macedonia come una Serbia del Sud o banovina provincia del Vardar), i titoisti spingono per la costituzione di strutture macedoni separate. Altre ragioni li muovono a ciò: infatti, dall'estate 1942 davanti alla strenua resistenza dei sovietici e il poco vantaggio che porta ai tedeschi l'instabile Grande Bulgaria, l'Abwehr, per assicurare la retroguardia della Wehrmacht e preparare eventuali elementi di ricambio in Macedonia, prende contatto con l'ORIM. Propone un aiuto materiale e finanziario al suo "esercito macedone" che combatte i titoisti. Tuttavia, dopo il tentativo sfortunato del Regno Montenegrino Indipendente, fondato dal vecchio partito federalista montenegrino e dove l'Italia non ha potuto impedire il sollevamento del 1941, i dirigenti tedeschi respingono questo piano di Canaris. Da un lato, la Macedonia rappresenta una piattaforma politica strategica senza pari con il cul-de-sac montenegrino, dall'altro, il Reich deve controllare la lobby bulgara, senza contare la rivalità del RSHA di Schellenberg e della Gestapo con i servizi di Canaris. D'altronde, una lettera pubblicata a Berlino dai servizi di Goebbels non definisce la Macedonia e la Tracia come "terre tedesche sotto amministrazione provvisoria bulgara"? Inoltre dopo Stalingrado e quando comincia la disfatta italiana, il PCJ forma, all'inizio del marzo 1943, il CC del PC Macedone, che nel luglio dello stesso anno, con lo stato maggiore macedone creato un po' prima, costituisce la prima brigata dell'ELN (Esercito di Liberazione Nazionale) jugoslavo e un embrione di amministrazione. In ottobre, cinque mesi dopo il terzo meeting slavo, al sesto plenum del comitato slavo, Maslaric tratta il primo punto all'ordine del giorno, "la vittoria dei patrioti jugoslavi". Qui esalta la lotta "mano nella mano dei Serbi, Croati, Sloveni e Macedoni" all'interno dell'esercito-Stato jugoslavo, facendo riferimento alla costituzione di un battaglione bulgaro "Khristo Botev" dell'ELN formato da disertori e da prigionieri di guerra. Nei fatti, questo battaglione non sarà ufficialmente "battezzato" che nel dicembre 1943, in una corsa di velocità si instaura ormai tra i jugoslavi e i bulgari. Questi ultimi arretrano su tutto, senza però cedere sull'essenziale. Il "Comitato di Tutti gli Slavi" rappresenta un eccelente barometro dell'evoluzione della posizione sovietica. Nel 1941 e all'inizio del 1942 si consideravano i popoli e i combattenti senza distinzione d'appartenenza statale. Così Vlahov sedeva a parte come macedone. Nel 1943, si distingue tra paesi slavi ed emigrazione slava. Nel secondo caso, non si riconoscono ormai che i governi in esilio, le loro unità in URSS e i partigiani (polacchi comunisti e titoisti). Ecco perché il popolo bulgaro è ufficialmente ammesso, ma è il macedone V. Tomov (Poptomov) che parla a suo nome, come "militante bulgaro". Il caso macedone non è ancora deciso, così Vlahov non interviene al congresso. Il suo obiettivo, come anche quello di Tomov, è quello di una Macedonia unificata in una federazione sud-slava che unisca jugoslavi e bulgari. Questa posizione è condivisa dall'emigrazione macedone filocomunista negli Stati Uniti, concentrata nel Michigan e in Ohio: il suo leader, G. Pirinski, difende questa linea dal 1931, data della trasformazione dell' "Unione dei Gruppi Progressisti Macedoni in America" in "Macedonian People's League". Durante la guerra è ribattezzata "Macedonian-American People's League". Non mette in evidenza il suo carattere bulgarofilo, preferendo parlare di unificazione balcanica e di unità slava. Così si ritrova su una piattaforma comune con i Bulgaro-Macedoni della "Federazione dei Clubs Culturali bulgaro-macedoni" e del giornale Narodna Volja (La causa del popolo) che pure sostengono il Comitato Slavo di Mosca.
Al VI plenum, la Macedonia è rappresentata dal solo Vlahov, "militante macedone". Al suo fianco, come membri bulgari del presidium del "Comitato di Tutti gli Slavi", siedono i vecchi, S. Blagoeva, F. Kozovski, A. Stojanov. Comunque tra gli "invitati" che rappresentano nei fatti le direzioni comuniste, si nota, nella delegazione bulgara, oltre Kolarov, il macedone V. Tomov (Poptomov). Stojanov e Blagoeva fanno le autocritiche dei bulgari verso i serbi risalendo fino ai peccati del 1913, omettendo i peccati attuali commessi in Macedonia. Quanto a Poptomov, benchè ufficialmente bulgaro, lui parla ormai in quanto macedone, denunciando l'occupazione e il saccheggio della Macedonia e della Tracia da parte dei "fantocci bulgari" e dei loro maestri tedeschi. Ogni volta gli slavi macedoni compaiono nella sua relazione come popolo occupato e non come popolo resistente al fianco dei serbi, croati e sloveni, di cui fa l'elogio. Come Vlahov, in un articolo della stessa epoca, e contrariamente a Maslaric, riflette le opinioni dei partigiani comunisti macedoni stessi. Questi, tra marzo e novembre 1943, passano sotto silenzio nelle loro dichiarazioni il legame tra la loro lotta e quella degli altri popoli di Jugoslavia, esprimendo l'avversione della loro nazione per l'unitarismo del passato e una diffidenza tenace che ancora rimane. Poi scoppia, il 29 novembre 1943, la bomba del secondo AVNOJ. Viene creato uno Stato jugoslavo a Jaice a partire dalla struttura militare titoista. E' uno Stato federale: la Macedonia diviene una delle sue componenti e quattro macedoni raggiungeranno nell'AVNOJ i loro fratelli serbi, croati, sloveni, montenegrini e musulmani bosniaci diventati, dopo l'aggiunta dei correligionari erzegovinesi, musulmani e basta. Come un diavolo che esce dal suo buco, Vlahov, il padre fondatore, il garante della continuità politica macedone, diventa vicepresidente per la Macedonia del presidium dell'AVNOJ. Dietro di lui, Vladimir Tomov, sotto il nome di Popotomov, diventa, in quanto "pubblicista macedone", membro (in absentia) di questa "vece" (assemblea legislativa) rivoluzionaria, passando improvvisamente dal campo bulgaro al campo jugoslavo. Sono insieme al generale M. Apostolski, capo di stato-maggiore dell'ELN per la Macedonia, e di M.M. Andonov-Cento, vecchio militante dell'opposizione unificata, incarcerato dai bulgari fino all'ottobre 1943.
Se i titoisti macedoni accettano questa rappresentanza, non è per controllare i bulgari, ma per obbligarli a riconoscere la Macedonia del Vardar, federativa, come nuovo polo di unificazione di tutti i macedoni, che siano "serbi", "greci" o "bulgari". I partigiani macedoni di Grecia ricevono infine dai comunisti greci l'autorizzazione di costituire un "Fronte Slavo Macedone" nel quadro dell'EAM. I comunisti bulgari dell'interno non si sbagliano: nel dicembre 1943, il Fronte Patriottico Bulgaro, pubblica una dichiarazione "per una Macedonia unificata, libera, indipendente, al di fuori di ogni Stato balcanico quale esso sia", dichiarazione approvata dal PCB e ciò dopo la proclamazione delle decisioni del 2° AVNOJ, che faceva della Macedonia un membro della federazione jugoslava. Sicuramente più pan-slavista di linguaggio che la decisione di Jaice, questa posizione è politicamente più strettamente nazionalista e antijugoslava.
Sulla questione slavo-macedone, solo la linea jugoslava avrà d'ora in poi voce in capitolo. Nell'aprile 1944, Vlahov, diventato vicepresidente del Comitato Slavo, pubblicherà su Slavjane un testo sulla lotta che conducono, secondo lui, i cimquemila soldati del generale Apostolski e che passa in una prima fase per la creazione della nuova Jugoslavia. I bulgari non sono più in grado di controbilanciare l'influenza jugoslava al Comitato Slavo e in URSS in generale: i loro testi non "passeranno". Anche le loro ultime manifestazioni di cattiva volontà dipendono dalle loro stesse organizzazioni interne e non giungono alle tribune internazionali. Al contrario: in queste stesse tribune, Dimitrov aggirerà l'ostacolo. Trae argomento dalla parentela slava russo-bulgara, dai ricordi del 1878 e dal "tentativo teutonico di avallare gli slavi" per pregare i sovietici di continuare a essere "pazienti" con la Bulgaria. Cerca di gonfiare lo slavismo bulgaro per creare una dicotomia slavi-tedeschi che metterà, geneticamente, i bulgari dal lato migliore. Condanna infine l'occupazione dei "popoli slavi vicini", della Macedonia e della Tracia e saluta gli insorti titoisti e greci (ben poco slavi!). Tre mesi dopo, facendo il bilancio di Mosca e Teheran, scongiura i bulgari di uscire dal cerchio dei dannati prima che sia troppo tardi. Non è più questione di slavi in generale: i popoli "slavi vicini" sono sostituiti dai "popoli vicini", i "popoli balcanici" e il loro capofila, la Jugoslavia. Mai parla di macedoni in quanto tali.
Gli jugoslavi, dal canto loro, si sforzano di coordinare l'azione dei partigiani balcanici jugoslavi, greci, albanesi e bulgari. Oltre ai suoi aspetti strettamente militari, questo progetto s'inscrive nella lunga tradizione della Federazione balcanica nel movimento socialista jugoslava. Nell'estate 1943, Vukmanovic-Tempo parte per l'Albania per porre le basi di uno "stato-maggiore balcanico". Nel novembre 1944, V. Stojnic, delegato del PCJ al II plenum del CC del PC Albanese, parla di unire l'Albania alla Jugoslavia in una confederazione, "cioè ancora più strettamente". Federazione balcanica o federazione sud-slava, così come la intende il compiacente Adamic, nel novembre 1943, una cosa è certa: sarà filosovietica e ciò, anche se gli Anglo-Americani lo disapprovano. Circondati dalla loro recente gloria, i titoisti manifestano una fierezza nazionale un po' ombrosa che costituisce il vero fondamento della loro politica. Nel 1943, Tito esprime la sua determinazione a vedere il suo paese rappresentato alle conferenze da cui dipenderà "il destino dell'Europa" e il proprio. Anche se rappresentano "un territorio relativamente piccolo", gli jugoslavi non vogliono che si consideri la loro nazione un "paese di terz'ordine" dominato dai Grandi. Quindi, per avere peso intorno al tavolo delle trattative, quale miglior mezzo della federazione sud-slava o balcanica? Per quanto riguarda l'URSS, rispondendo ai turchi che si inquietano e ai "reazionari" anglosassoni o polacchi emigrati, difende l'amicizia e l'unificazione dei popoli slavi per evitare la balcanizzazione, assicurare la pace in Europa orientale e in tutta l'Europa, impedire infine una nuova invasione da parte della Germania. Tuttavia, non una parola sui diversi progetti di federazione; il solo esempio citato è il protocollo polacco del dicembre 1943: la Polonia non deve che unirsi ai cecoslovacchi e ai sovietici. Nessun avvicinamento senza partecipazione del "popolo russo", al quale va la "simpatia" di tutti gli slavi. Se si misura lo slavismo su questo metro, anche i bulgari saranno presto digni intrare come gli jugoslavi. A condizione che che si impegnino a ricercare con questi ultimi "un regolamento amichevole del problema, nazionale e territoriale" come li assicura Dimitrov, nel dicembre 1943. Ma gli jugoslavi fanno emergere la loro leadership: Kardelj, nell'aprile 1944, pone da un lato che la Macedonia possiede una direzione "veramente nazionale", dall'altro che la linea di divisione tra le "piccole nazionidell'Europa sud-orientale" passa tra coloro che hanno lottato e coloro che hanno "collaborato". Seguono dei nomi: la Grecia, l'Albania e il loro "esempio" e "ispirazione", la Jugoslavia, fanno parte del primo tipo; l'Ungheria, la Romania, la Bulgaria, "ecc." del secondo e "ogni popolo è responsabile del suo governo". Avanza qui un approccio diverso da quello del blocco slavo preconizzato dai sovietici e dai bulgari. Sarà anche la prima volta dall'inizio della guerra che qualcuno sostiene le sue posizioni basandosi sulle analisi di Marx. Kardelj cita il giudizio di Marx sugli slavi nel 1848 e aggiunge che a questo titolo coloro che traggono profitto dalla distruzione degli altri devono assumersene la responsabilità. Gli jugoslavi non hanno rifatto l'errore dei "cechi e slavi del sud" del 1948. Questa polemica si rivolge prima di tutto a degli slavi, quindi alla Bulgaria, dove un governo fascista resta "dominante" e dove, come in Ungheria o in Romania, la lotta contro questo "o non è cominciata, o è così debole che non è diventata un fattore politico decisivo". In questo stesso giorno, che segna il terzo anniversario dell'invasione della Jugoslavia, a Mosca, Cervenkov, cognato di Dimitrov, si batte il petto come bulgaro, per espiare la "la lotta fratricida, contro gli slavi i fratelli jugoslavi", esortando i suoi compatrioti a seguire l'esempio del battaglione Khristo Botev nella lotta contro il nemico dei "popoli balcanici". Il 6 agosto 1944, Dimitrov, nell'introduzione a un opuscolo che raccoglie i suoi due ultimi articoli della Pravda, va ancor più lontano: se la prende con lo sciovinismo grande-bulgaro, responsabile dell'assenza di sollevazione e anche di cambiamento politico che "qualsiasi uomo di Stato serio avrebbe dovuto fare". Anche alcuni circoli antifascisti "sottovalutano la lotta armata" con l'ELN jugoslava e gli "insorti macedoni" e greci. I bulgari si piegano davanti a Belgrado, perché sanno che il loro paese non sarà risparmiato e vedono che non potranno convertire la squadra governativa al Fronte patriottico. Ormai, la politica nazionale bulgara passa attraverso la denuncia della Grande Bulgaria. Sul piano balcanico, ciò significa la collaborazione (e la federazione?) di tutti i popoli balcanici su un piano generale, la collaborazione con l'URSS. Così sperano di riscattarsi dai loro errori. Cervenkov assiste a Mosca, nel luglio 1944, alla riunione che commemora il terzo anniversario della sollevazione jugoslava. L'URSS fa pressione sul governo Bagrjanov perché rompa con Hitler e si apra agli elementi del Fronte Patriottico e avvisa la Bulgaria, e non solo il suo governo, della sua responsabilità. Unica soluzione: raggiungere il popolo russo, il suo liberatore, e "la famiglia dei popoli slavi innamorati di libertà". Nessuna menzione viene fatta della federazione balcanica, criticata al contrario come paravento degli elementi reazionari, turchi in particolare. Sicuramente, viene raccomandato di allearsi ai popoli slavi e balcanici vicini, ma questo, unicamente in un'ottica di prosecuzione della guerra dal lato giusto. Il 5 settembre 1944, l'URSS dichiara la guerra alla Bulgaria e penetra nel paese. Il 26 agosto 1944, il CC del POB, nella circolare n°4, e lo stato maggiore generale dell'esercito della sollevazione nazionale, avevano infine chiamato alla sollevazione concependola come un appoggio in zona urbana alle iniziative dei "militari patriottici". Il 9 settembre, un governo del Fronte Patriottico diretto da K. Georgiev, uno dei faziosi del 1934, si costituisce in fretta e in furia e aiuta i sovietici a liberare Sofia. Il 22 settembre, a Craiova, dietro il fronte rumeno, Tito, sulla strada per Mosca, riceve una delegazione di Sofia e firma con questa un accordo che mira alla conclusione rapida di un armistizio, e l'impegno del vecchio-nuovo esercito bulgaro al fianco dei fratelli jugoslavi. L'esercito bulgaro è posto sotto il comando supremo del maresciallo sovietico Tolbukhin che dirige le operazioni nei Balcani. I sovietici non domandano che il mantenimento del "governo democratico e (dell') ordine attuale" che passa attraverso "il mantenimento di tutti gli ufficiali di valore" e raccomandano ai loro protetti di stringere amicizia con i loro vicini balcanici, in particolare jugoslavi. Impongono loro di "riconoscere il diritto del popolo macedone alla sua autodeterminazione". Gli jugoslavi sono più precisi nelle loro condizioni: il CC del POB, alias PCB, nella sua lettera a Tito del 2 novembre 1944, riconosceva il "nuovo Stato macedone" nel quadro della federazione jugoslava "attraverso la quale è aperta per la prima volta e in modo deciso la via alla realizzazione dell'ideale dei Macedoni per una Macedonia libera e unificata". Così i bulgari ammettono il principio della cessione a termine della Macedonia del Pirin, cioè la creazione di una federazione. I sovietici non domandano tanto: si astengono dal parlare di modifica di frontiere e, dopo la conclusione dell'armistizio, considerano che i bulgari abbiano fatto un'onorevole riparazione. Hanno già in parte "espiato" dal momento che non hanno dichiarato la guerra all'URSS, che hanno resistito e che amano il popolo russo. Così, l'estirpazione del fascismo sarà per loro "molto più veloce che negli altri paesi liberati". Lo stato d'animo della popolazione bulgara è molto poco omogeneo: i reggimenti che occupano la Tracia e la Macedonia, demoralizzati, sono presi dal fermento rivoluzionario. Scoppiano degli ammutinamenti e i soldati si costituiscono in soviet rivoluzionari. Molotov spinge i comunisti bulgari a "riportare alla ragione" questi estremisti. D'altra parte, le unità, di recente costituite dal governo "patriottico" e inviate sul fronte di Srem in Serbia si ammutinano, a Stip in particolare, per altri motivi. Proclamano: "Noi non vogliamo andare a Berlino! Vogliamo andare a Salonicco!". La Macedonia si trova ancora una volta al centro della polemica. Nello stesso momento, gli jugoslavi protestano davanti Korneev per le brutalità dei soldati sovietici verso la popolazione civile del paese. Tolbukhin e i suoi assistenti, che hanno la massima facilità sull'esercito bulgaro ma non i suoi partigiani, prendono partito per i bulgari nella questione macedone e la stampa sovietica minimizza sistematicamente il merito dell'ELN jugoslavo. Hanno bisogno di bulgari docili. Ora il Fronte Patriottico conta tra i suoi membri numerosi ufficiali il cui smalto filorusso mal nasconde i sentimenti grandi-bulgari. C'è anche il macedone Poptomov che passa alla fine del 1944, dopo una nuova capriola politica, dalla direzione del PCJ all'UP (Ufficio Politico) del POB per diventare, nel dopo guerra, un ministro degli esteri violentemente anti-jugoslavo.
Un dialogo tra sordi s'instaura anche tra jugoslavi e sovietici. A Vukmanovic-Tempo che dichiara: "i comunisti bulgari volevano prendersi la Macedonia", Zeltov, il responsabile politico dell'esercito di Tolbukhin, risponde: "i bulgari amano l'Armata Rossa, voi no". Lo stesso argomento è usato da Stalin un mese dopo: davanti a Kardelj nel novembre 1944, elogia l'esercito bulgaro e dichiara che l'amicizia russo-sud-slava deve regolare questi malintesi. Tito ottiene infine, malgrado il parere di Tolbukhin, la partenza dei bulgari che si sono trasferiti sul fronte di Budapest. Pijade, vice presidente dell'AVNOJ, può scrivere in Slavjane, in dicembre, che i partigiani macedoni hanno combattuto con i loro fratelli jugoslavi, gli albanesi e i greci. Nessuna traccia dei bulgari, cosa che non toglie che "il popolo macedone abbia vinto". Ma non avrà più diritto alle colonne dei periodici rappresentativi dove si mostra la nuova amicizia sovietico-(russo)-bulgara. Insomma, Mosca fa tutto ciò che è diplomaticamente possibile per avere degli Stati clienti, nel senso romano del termine, e diffida degli zeloti del marxismo che potrebbero rappresentare un secondo polo politico-ideologico. Come di regola in Europa orientale, la questione nazionale serve da pretesto e da rivelatore.