Crisi nel Kivu e in Ruanda
Aiuto umanitario, vendita di armi e intervento militare di Eric Toussaint (26 novembre 1966)


Dal genocidio del 1994 alla crisi dell'ottobre/novembre 1996

Negli ultimi due anni, gran parte dell'aiuto umanitario fornito ufficialmente ai profughi ruandesi ad est dello Zaire è servito in realtà per acquisti di armi. Le milizie razziste hutu e quel che resta dell'esercito genocida del vecchio regime di Habyarimana hanno usato il denaro dell'aiuto umanitario per impedire per anni che nel loro paese rientrassero svariate centinaia di migliaia di ruandesi.
I miliziani estremisti hutu e i militari dell'ex esercito ruandese organizzavano una vera e propria dittatura nei campi dei rifugiati. I governi imperialisti ne erano al corrente. Il governo francese è direttamente complice. Prima, durante e dopo il genocidio, le industrie di armi del Nord hanno fornito le loro merci mortifere ai responsabili del genocidio (cfr. Scheda 1).

Antecedenti: dal 1990 al 1993

A partire dal 1990, la dittatura di Habyariana ha accolto un piano di riassetto strutturale imposto dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Una parte rilevante del denaro prestato da queste istituzioni multilaterali è stata usata dal regime dittatoriale per acquistare le armi servite a organizzare il genocidio che ha provocato oltre un milione di morti in tre mesi a partire dall'aprile 1994 (cfr. successivo articolo di Sabine Legrand).
La politica di riassetto imposta dalla BM e dal FMI ha privato del loro reddito i piccoli produttori di caffè (perlopiù hutu) trasformandoli in una riserva di reclutamento per l'esercito ruandese (i cui effettivi sono quadruplicati tra il 1990 e il 1994) e le milizie estremiste hutu. La paga dei militari e dei miliziani proveniva dai soldi ricevuti come prestito. In questo periodo veniva minuziosamente preparato il piano del genocidio.

Attualmente

Il nuovo regime ruandese è costretto dalla BM e dal FMI a rimborsare il denaro che è servito ad armare il braccio degli artefici del genocidio.
Di una parte rilevante delle ricchezze del Ruanda sia appropriano istituzioni e governi che hanno chiuso gli occhi di fronte ai preparativi del genocidio. La Francia si fa rimborsare un aiuto bilaterale che è servito ad acquistare armi dalle industrie francesi.
Il ritorno massiccio dei rifugiati verso il Ruanda possibile grazie allo sbandamento delle milizie estremiste hutu e dell'ex esercito genocida a partire da metà novembre del 1966 (cfr. articolo di Colette Braeckman) ha per il momento sventato i piani degli strateghi militari del Nord, che sognavano di mandare nella zona una forza militare straniera di 12.000 persone.
Scandalosamente, però, i governi del Nord si guardano bene dall'aprire le proprie borse per fare arrivare, senza i propri militari, l'aiuto umanitario di cui ha urgente bisogno la popolazione civile. I governi del Nord (a partire dalla Francia) sono soprattutto preoccupati per la destabilizzazione del regime di Mobutu e manovrano per salvarlo ancora una volta.
Va fatta completamente luce su tutti gli aiuti passati e presenti all'operazione di genocidio. Le milizieestremiste hutu e l'ex esercito ruandese vanno disarmati. I responsabili del genocidio vanno processati in Ruanda.
No all'intervento militare straniero.
Inoltro immediato dell'aiuto umanitario ai rifugiati senza passare per l'invio di un corpo di spedizione straniero.
Appoggio internazionale agli sforzi delle autorità ruandesi di reinserire il meglio possibile i rifugiati che rientrano nel paese.
Annullamento del debito del Ruanda e blocco delle politiche di riassetto strutturale.
Organizzazione di un programma internazionale di distribuzione in favore delle famiglie vittime del genocidio. Versamento di rimborsi e interessi alla popolazione ruandese da parte dei governi del Nord e delle istituzioni multilaterali corresponsabili del genocidio.
Per quanto riguarda lo Zaire, bisogna aiutare la popolazione a liberarsi direttamente di Mobutu: esproprio dei beni detenuti da Mobutu e dal suo entourage all'estero e restituzione di questi al popolo zairese cui sono stati rubati.
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Scheda 1- Nuove rivelazioni sulla vendita di armi ai responsabili del genocidio in Ruanda

Inghilterra - La società britannica Mil Tec Corporation ha garantito in pieno genocidio l'invio di armi all'esercito ruandese. Secondo il «Times» (18.11.'96), il 17 aprile 1994, a undici giorni di distanza dall'inizio del genocidio, questa società ha consegnato all'esercito ruandese munizioni provenienti da Israele; il 3 maggio, invio di fucili AK47 e di mortai; il 9 maggio, 2.500 fucili AK47, 500.000 munizioni e 2.000 mortai da mm 60 provenienti dall'Albania; il 18 maggio (mentre l'ONU aveva decretato l'embargo sulle vendite di armi il 17 maggio), altro stock di armi comprendenti lanicarazzi RPG7; il 13 luglio, altra vendita fatta passare da Tirana per Kinshasa prima di arrivare a Goma, controllata dall'esercito francese nel quadro dell'"Operazione Turchese".
Il «Times» cita il passo di una lettera della MIL Tec Corporation ai militari ruandesi: «Abbiamo sostenuto il vostro governo da oltre cinque anni [...] Dovete rendervi conto che abbiamo derogato per assistere il vostro ministero all'occorrenza».
Belgio - La Fabbrica Nazionale di Herstal (la FNH-Belgique appartiene all'azienda pubblica francese GIAT) avrebbe venduto 1.500 kalshnikov cinesi e rumeni agli estremisti hutu ruandesi rifugiati nel Kivu grazie a una licenza d'esportazione per l'Arabia Saudita. Si sarebbe trovata traccia di parte della vendita - stando al rapporto ONU sui traffici di armi - nell'isola di Iwawa, sul lago Kivu, sottratta agli ex soldati ruandesi dall'Esercito patriottico del Ruanda. La Commissione ONU incaricata dell'inchiesta avrebbe richiesto spiegazioni al Ministero degli Esteri belga, ma sembra non abbia ancora ricevuto risposta.
Francia - La scoperta nel campo i Mugunga di una lettera della società parastatale SOFREMS, che propone il 5 maggio 1994, in pieno genocidio, la vendita di parti di blindati all'Esercito ruandese, mette in luce l'attualità del sostegno militare e diplomatico della Francia all'Hutu Power, sostegno sul quale da oltre due anni sono disponibili diversi elementi (cfr. François-Xavier Verschave in Rapport 1995 de l'"Observatoire permanent de la cooperation française", Desclées de Brouwer, maggio 1995). Alla fine di maggio del 1995, l'organizzazione Human Rights Watch ha pubblicato una Relazione d'inchiesta che segnalava in particolare la consegna all'aeroporto di Goma di cinque carichi di armi per l'Hutu Power, verso fine maggio-inizi giugno del 1994 - dopo il voto all'ONU dell'embargo sulle armi. I carichi comprendevano artiglieria, mitragliatrici, fucili d'assalto e munizioni forniti dal governo francese. Jean-Claude Urbano, allora console francese a Goma, ha giustificato questi carichi spiegando che erano frutto della conclusione di contratti stipulati con l'esercito ruandese prima dell'embargo... Successivamente ha protestato con la HRW ma poi ha desistito (il 9 settembre 1996), subito prima del processo (da un comunicato di «Agir Ici» del 20.11.'96). (Eric Toussaint)



- Zaire
CRONACA DI UN DISASTRO TANTO ANNUNCIATO
di Sabine Legrand (Bruxelles, novembre 1996)



Lo si dimentica troppo presto: in soli quattro mesi, nel 1994 in Ruanda sono state assassinate quasi un milione di persone: per intensità, uno dei più rilevanti genocidi che mai l'umanità abbia conosciuto. La popolazione tutsi è stata sterminata per oltre la metà perché la cricca intorno al dittatore Habyarimana si rifiutava di dividere il potere con l'opposizione e con i ribelli dell'FPR . Per salvare il regime, questa cricca ha predisposto il massacro fin nei minimi particolari ed è probabile che sa anche responsabile dell'assassinio dello stessi Habyarimana. Il genocidio si è fermato solo perché l'FPR era riuscito a conquistare militarmente il paese. I 2.700 caschi blu presenti nel paese non hanno fatto niente per impedire la carneficina. I loro effettivi sono addirittura stati ridotti a 450.
In compenso, un mese dopo, l'ONU decideva di nuovo di mandare sul posto 5.000 caschi blu, decretando inoltre l'embargo alla vendita d'armi al Ruanda. Il Consiglio d'iniziativa ha espresso il proprio accordo all'invio di truppe francesi per «proteggere e portare cibo» alle popolazioni. Non una parola sul genocidio in queste risoluzioni dell'organizzazione internazionale. L'intervento francese (l'operazione "turchese") viene lanciata proprio nel momento in cui l'FPR sta chiaramente per avere la meglio. I militari francesi (e senegalesi) creano una «zona umanitaria» grazie a cui gli artefici criminali del genocidio possono «umanamente» sfuggire a qualsiasi condanna. La zona umanitaria però accoglie anche masse di hutu in fuga. I miliziani estremisti hutu e i residui dell'esercito ruandese in rotta costringono infatti gruppi di popolazione a lanciarsi con loro sulle vie dell'esodo.
E' così che migliaia di rifugiati ruandesi si sono arenati in campi nel Kivu.
Quanto ai caschi blu, sono arrivati con quattro mesi di ritardo sulla decisione di inviarli e sono sbarcati... in Ruanda... dove l'FPR ha preso il potere e il genocidio è terminato.
Nei campi del Kivu le milizie hutu potranno riorganizzarsi tranquillamente. Impediscono ai rifugiati di rientrare nel loro paese. Si riforniscono di armi grazie all'esercito zairese. Stando a un rapporto dell'ONU, anche alcuni paesi occidentali hanno riarmato i criminali, in particolare la Francia, la Gran Bretagna e l'Italia.
Non solo quindi i miliziani hutu sono riusciti a salvare la pelle ma hanno potuto riprendere la lotta per riconquistare il Ruanda. A partire dal Kivu, essi scagliano regolarmente attacchi in territorio ruandese, per destabilizzare il regime... e sopprimere fisicamente testimoni del genocidio. Per il nuovo regime ruandese è una situazione intollerabile.

La fine di un regno

Il secondo elemento al centro della crisi è la crisi nello stesso Zaire. Lo Zaire e un paese ottanta volte più grande del Belgio. Strategicamente situato al centro dell'Africa, è ricchissimo anche di risorse naturali, per cui ha sempre interessato da questo punto di vista le potenze occidentali.
Mobutu è sempre stato un servo astuto e devoto dell'Occidente. Lo Zaire era uno dei paesi di testa dell'"anticomunismo" in Africa; ha appoggiato ad esempio la lotta delle potenze occidentali contro il Movimento popolare di liberazione dell'Angola (MPLA) e contro l'African National Congres (ANC) in Sudafrica.
Dopo il crollo del blocco dell'Est e l'abolizione dell'apartheid, Mobutu è diventato meno utile ai suoi padroni. D'altro canto, le sue concessioni alla democrazia esclusivamente formali creavano difficoltà agli Stati Uniti nell'appoggiarlo incondizionatamente, per cui si sono messi alla ricerca di altri potenziali uomini di paglia. Di fronte a simili mutamenti, Mobutu non è rimasto inattivo. Combinando repressione e promozione a posti di responsabilità, è riuscito a mantenere divisa e a neutralizzare l'opposizione. E per dimostrare di essere l'ultimo baluardo contro il caos, lo ha creato lui stesso.
Già nel 1993, di fronte ai tragici eventi ruandesi, il Nord-Kivu costituiva già il teatro di scontri armati. Furono cacciati o assassinati dei Banyaruanda : si contarono varie migliaia di morti. Con la scusa dell'aiuto umanitario, Mobutu ha finanziato i dirigenti che organizzavano questi massacri. Ancora oggi può trarre vantaggio dagli scontri (cfr. oltre, intervista a Colette Braeckman).

Kivu

L'operazione "Turchese" ha determinato il raduno di circa mezzo milione di rifugiati nel Kivu. Gli estremisti hutu non sono stati disarmati: L'esercito zairese approfitta, rubando e rivendendo l'aiuto umanitario, come pure le armi. Il rientro dei profughi veri nel loro paese avrebbe liquidato gli estremisti e ridotto le possibilità di traffici per i militare zairesi. Già nel 1994 l'esercito si era opposto ai tentativi di volontari di rientrare in Ruanda. Il Primo ministro, Kengo Wa Dondo diede all'epoca l'ordine di consentire ai volontari di superare di nuovo le frontiere, e alcuni lo fecero. E' questa la situazione in cui si è consolidata l'alleanza tra gli estremisti hutu e l'esercito dello Zaire. Gli estremisti hutu intendono creare un "hutuland" nel Kivu, a spese della locale popolazione zairese. L'esercito dello Zaire, da parte sua, già da anni vive alle spalle di questa popolazione, razziando i risparmi della gente e i raccolti di caffè.
Insieme, militari zairesi e miliziani hutu hanno attaccato i Tutsi , veri o presunti. Hanno abbattuto bestiame, assassinato la gente o l'hanno cacciata dalle loro terre.

I ribelli

Nel settembre 1996 ha cominciato a svilupparsi la resistenza dei Banyaruanda. Alcuni sono scappati in Ruanda e sono ritornati con le armi e addestrati. Con l'aiuto dell'esercito ruandese, la resistenza è riuscita ad impadronirsi delle principali città del Kivu.
Questa resistenza rappresenta la fusione tra diversi movimenti raggruppati nell'Alleanza Democratica dei Popoli. Il portavoce, Desiré Kabila, ha dichiarato che si sono organizzati contro gli attacchi e i massacri nonché contro la dittatura di Mobutu.
Lo stesso Kabila era un leader del Partito della Rivoluzione Popolare (PRP), un partito che si richiama al «marxismo-leninismo» ed è presente nel Kivu da vari decenni. Kabila aveva avuto un ruolo nella insurrezione rivoluzionaria mulelista del 1964-'65. Il Ruanda appoggia il movimento perché vuole farla finita con gli estremisti hutu e le loro aggressioni.
Ormai i campi di confine sono vuoti. I miliziani hutu sono riusciti a costringere le popolazioni a penetrare insieme a loro più a fondo in territorio zairese, dove si costituiscono nuovi campi. I fuggiaschi che sono riusciti a separarsi dai miliziani sono autorizzati a tornare in Ruanda quando incontrano i ribelli. Sono stati creati per loro appositi campi.
Il portavoce dell'Alto Commissariato per i Rifugiati (HCR) ha dichiarato: «grandi concentramenti di rifugiaiti si verificano a prescindere dalle milizie, a quanto ne sappiamo, per gruppi di quaranta o cinquanta persone; possiamo raggiungerli rapidamente e potrebbero ritornare subito in Ruanda senza che ci sia bisogno per questo di una forza internazionale d'intervento».

Mobutu vince una prima battaglia

Mobutu è stato operato di tumore alla prostata, ma sembra essersi rimesso abbastanza da riprendere in mano la situazione. Ha già preso contatti con certe cerchie dirigenti francesi per discutere un intervento militare nel caso in cui il suo potere venisse minacciato. Le campagne razziste contro tutti quelli che sono di origine tutsi nello Zaire sono una manna per il dittatore. La gente viene cacciata, perde il lavoro. Kengo viene accusato di essere di origine tutsi e più è minacciata la posizione di Kengo più si rafforza quella di Mobutu; anche all'interno dell'opposizione di Kinshasa, dove ci sono ora tendenze che pensa che le rivalità con Mobutu vadano sotterrate, in nome del nazionalismo zairese. Il Kivu è sempre stata una zona difficile da controllare per il regime dello Zaire. La rete di organizzazioni civili è molto fitta. Il problema è sapere che cosa ne resterà dopo questi tragici eventi.

Intervento militare?

Il dramma umano rischia di assumere dimensioni enormi se non cambia nulla al più presto. I rifugiati portati con loro dai miliziani non possono rientrare in Ruanda. I ribelli lasciano passare gli aiuti con il contagocce, naturalmente per rafforzare la propria posizione nelle trattative. In ogni caso l'aiuto umanitario va urgentemente distribuito.
Ma quale può essere il ruolo di un intervento militare nella zona? Disarmare i ribelli, le milizie o l'esercito zairese? Impossibile rimanere neutrali al riguardo. La comunità deve immediatamente ricavare gli insegnamenti dalle proprie avventure umano-militari. Ricordiamo il caos somalo, la spartizione etnica della Bosnia, la complicità con i criminali ruandesi... altrettanti retaggi degli interventi militari.
L'unica volta in cui l'ONU è intervenuto come tale nello Zaire il ruolo che ha svolto è stato tutt'altro che limpido.
L'ONU si era impegnato ad inviare truppe per aiutare il legittimo governo di Lumumba a garantire l'integrità del paese di fronte alla secessione del ricco Katanga, appoggiato dal Belgio. L'ONU ha mandato le sue truppe solo per imporre una tregua nel momento in cui l'esercito governativo stava avendo la meglio. La secessione del Katanga ha potuto durare così parecchi anni. L'insurrezione di Mulele, da parte sua, è stata repressa dal Belgio con l'aiuto degli americani, e questo ha permesso a Mobutu di rimanere al potere. Ancora, nel 1978, le truppe francesi e marocchine hanno salvato la vita a Maréchal, provocando migliaia di morti nella popolazione civile. Accanto all'inoltro di un aiuto umanitario vanno intrapresi sforzi per una soluzione strutturale dei problemi.
Va interrotta la fornitura di armi ai miliziani. I rifugiati debbono potersene tornare a casa. Il Ruanda deve essere aiutato ad accogliere i rifugiati e ricevere mezzi per il rilancio della propria economia. I responsabili del genocidio vanno processati. Non è possibile la pace finché i criminali godranno dell'impunità. I paesi che li ospitano debbono consegnarli al tribunale internazionale, che deve subito ottenere i mezzi finanziari indispensabili per funzionare efficacemente.
Non si può dare appoggio al Congo o a Mobutu. Va sorretta la democrazia. Le elezioni previste nello Zaire debbono svolgersi. I conti in banca e le ricchezze di Mobutu in Occidente vanno confiscati per poter provvedere alla ricostruzione del paese e della società civile.
Vanno prese iniziative per l'insieme della regione dei Grandi Laghi. L'Africa non può più continuare ad essere la riserva di caccia degli interessi economici occidentali. L'Occidente deve bloccare la politica di saccheggio del continente. Bisogna farla finita con lo scandalo costituito dal flusso di denaro che va dall'Africa verso il Nord sotto forma di pagamento degli interessi del debito. Il continente africano deve avere la possibilità di compiere le proprie scelte economiche.

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Kivu
LE METASTASI DEL GENOCIDIO
Intervista a Colette Braeckman, africanista ed autrice del libro Terre africaine (Fayard, Parigi).


Inprecor - I ribelli hanno il sostegno della popolazione nel Kivu?
Colette Braeckman - Ne dubito. La gente si stupisce del comportamento corretto dei ribelli rispetto a quello cui è abituata da parte dell'esercito zairese, ma i ribelli non conquisteranno l'appoggio della popolazione con l'"educazione popolare". La popolazione locale è da tempo ostile ai Banyaruanda, che sono del resto hutu non meno che tutsi. Questi si spiega con il fatto che il Kivu è una regione sovrappopolata in cui ci sono come conseguenza conflitti per la terra, fonte di cibo. Si indirizza la propria insoddisfazione verso gente di cui si dice che abbiano nazionalità "dubbia". Nel resto del paese non c'è sicuramente un problema di appoggio ai ribelli.

Imprecor - Kabila, il capo dei ribelli, è stato tirato fuori dal cassetto per imprimere una coloritura locale alla ribellione, come sostiene il professor Reyntjens?
C. B. - E' anche un po' quello che ritengo io. C'era sì nella zona una specie di guerriglia dormiente che si occupava di traffico d'oro. Ma Kabilia era ormai inattivo politicamente. Non ha partecipato alla lotta per la democratizzazione né alla Conferenza nazionale. Kigali ha trovato un ribelle locale da ostentare per imprimere un'aura zairese agli avvenimenti. L'opposizione, a Kinshasa, non prende sul serio la rivolta. Quel che c'è da fare è continuare a lavorare a preparare elezioni in tutto il paese, risolvere il problema dei profughi, mantenere l'unità del paese.

Inprecor - Dunque non c'è solidarietà tra l'opposizione a Kinshasa e i ribelli?
C. B. - No. Sbagliano a Kigali o altrove quanti pensano che una rivolta di tutta la popolazione zairese seguirà alla liberazione del Kivu.

Inprecor - Si può parlare di una "Santa Alleanza" intorno a Mobutu per salvare l'unità del paese?
C. B. - Si può parlare di un autentico nazionalismo. La gente pensa che i ruandesi debbano lasciare il paese. Vi sono anche avversari decisi del mobutismo che fanno collette per sostenere la popolazione del Kivu e che richiede l'intervento dell'esercito.

Inprecor - C'è ancora un'opposizione critica nei confronti di Mobutu?
C. B. - Certamente. Il dottor Sondji del Fronte patriottico dice ad esempio che la rivolta è forse un'avventura insensata che fa il gioco di Mobutu, ma che bisogna stare attenti e non dimenticare chi è il nemico principale.

Inprecor - C'è un conflitto tra Mobutu e Kengo?
C. B. - Kengo vuole che le elezioni si tengano e quindi che i rifugiati rientrino. Ha firmato accordi in questo senso. Per Mobutu invece i rifugiati rappresentano una carta diplomatica e politica. I generali gbandi, in particolare il cognato di Mobutu, percepiscono una percentuale sull'aiuto umanitario e si arricchiscono con il commercio delle armi. C'è quindi chiaramente un gioco di interessi diversi. Per Mobutu i rifugiati possono restare più a lungo. Ma a Kinshasa si esige che Kengo se ne vada. Mobutu dipende troppo all'aiuto straniero, in particolare da quello francese, per buttare fuori Kengo. L'Occidente e la Francia vogliono che Kengo rimanga.

Inprecor - La cosa va bene per Mobutu che potrebbe rinviare le elezioni con la scusa del caos nel Kivu?
C. B. - Dipende. Le organizzerebbe, se fosse sicuro di vincerle. La Commissione elettorale indipendente sostiene di volere fare in modo che le elezioni si svolgano correttamente. Se cos' sarà, credo che Mobutu perderà le elezioni. Non può vincerle senza brogli. Se Mobutu si accorge di non potere imbrogliare, vorrà il rinvio. Ma nel caos attuale è facile il broglio.

Inprecor - Kengo ha buoni rapporti con gli Stati Uniti?
C. B. - Li ha soprattutto con la Francia, ma anche con gli Stati Uniti e con le istituzioni finanziarie internazionali, perché paga i debiti.

Inprecor - Gli Stati Uniti lascerebbero cadere Mobutu per Kengo?
C. B. - In effetti puntano su di lui. E' l'uomo dell'Occidente. Il problema però è che nessuno nello Zaire lo sostiene. Non ho incontrato un solo zairese che si dichiari favorevole a Kengo.

Inprecor - Si parla anche dell'ex capo di Stato Maggiore Mayele come eventuale uomo forte...
C. B. - Mayele è stato emarginato da Mobutu nel 1993. Era favorevole al processo di democratizzazione. Egli quindi non ha truppe ai suoi ordini, per il momento, ma è molto popolare. Si dice che se fosse capo di Stato Maggiore i problemi nel Kivu si risolverebbero in pochi giorni.

Inprecor - Quali sono le lagnanze degli studenti che manifestano contro Kengo?
C. B. - Sono scontenti di Kengo per quel che succede nel Kivu e per tutto il resto, in particolare per il programma di austerità. Al tempo stesso, rendono omaggio a Tsisekedi, quindi non si mobilitano in appoggio a Mobutu. Tranne nel caso in cui - e nello Zaire non si può escludere niente - Mobutu operasse una svolta e dicesse: «Ora facciamo un governo con il Primo Ministro che volete. Prendiamo Tsisekedi, mettiamo Mayele a capo dell'esercito, riconquisteremo il Kivu e io rimango al mio posto». In questo caso potrebbe anche vincere le elezioni.

Inprecor - Dov'è in questo momento Etienne Tsisekedi (il principale leader dell'opposizione)?
C. B. - A casa sua. E ‘ molto deludente. Non ha alcuna iniziativa. Non vuole parlare con nessuno, diplomatici o giornalisti che siano. Neanche con me, che conosce da anni.

Inprecor - Come te lo spieghi?
C. B. - Probabilmente pensa di non dovere più partecipare a niente.

Inprecor - Eppure è questo il momento per svolgere un ruolo.
C. B. - Lo penso anche io. E' un problema grosso, soprattutto per i suoi militanti.

Inprecor - C'è il rischio di vedere esplodere lo Zaire?
C. B. - Non credo. A mio avviso c'è un a volontà vera di salvaguardare l'unità del paese, un nazionalismo autentico e un'identità zairese. Minacce all'unità del paese potrebbero venire solo da fuori.

Inprecor - Possono essere disarmate senza intervento militare le milizie estremiste hutu?
C. B. - L'unico che possa farlo, e lo sta facendo, è l'esercito ruandese.

Inprecor - E' un protagonista importante nel Nord del Kivu, per il momento?
C. B. - Naturalmente. Sta facendo quel che nessuno osava fare. Forse è il motivo per cui non sono ammessi giornalisti nel Kivu in questo momento.

Inprecor - Il professor Reyntjens sostiene che sicuramente in Sudan c'è petrolio ed è questo che spiega l'interesse USA per la zona?
C. B. - C'è petrolio in Sudan, ma ci sono risorse anche nel Kivu, molti minerali importanti per l'industria aeronautica e le tecnologie di punta. Si parla di ideologia, ma secondo me il Kivu costituisce soprattutto una riserva di ricchezze che è ancora appena dischiusa e che si intende sfruttare.

Inprecor - Quali sono i rapporti degli Stati Uniti con il Ruanda? Non puntano un po' sul Ruanda per poter costituire un contrappeso nella zona rispetto alla Francia?
C. B. - Gli USA appoggiano il Ruanda perché ne vogliono garantire la stabilità e lo sviluppo. Un po' come con l'Uganda. Vogliono creare una zona stabile nella regione.

Inprecor - Come si spiega che la Spagna voglia oggi inviare truppe?
C. B. - Pur avendo un ruolo marginale, l'amicizia tra Chirac e Aznar è una parte della spiegazione. Non va neppure dimenticato che in Spagna ci sono i conservatori al potere. La lobby cattolica (specie l'Opus Dei) ha un peso rilevante in questo.

Inprecor - Sulla stampa belga si dice che le milizie hutu non inquadrano più i rifugiati. E' esatto?
C. B. - No, è completamente falso. Ciò che accade è un fenomeno di cattura di ostaggi tra i più grandi della storia. I profughi continuano ad essere inquadrati dalle milizie. Sono arrivate in Ruanda persone con ferite da macete sulla schiena e si dice che sono state le milizie, tentando di impedire che rientrassero nel loro paese. Solo l'esercito ruandese può mettere fine a questa situazione, e penso sia questa la convinzione della stessa comunità internazionale, anche se non osa dichiararlo apertamente. Il Ruanda intende farla finita, per motivi ben noti. Nessun altro paese è disposto a inviare l'esercito per eliminare questa cancrena.

Inprecor - Perché la Francia invia truppe nel Congo-Brazzeville, proprio di fronte a Kinshasa?
C. B.- Per garantire il ritorno di Mobutu. Su questo non c'è il minimo dubbio.


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- Zaire
LA FINE DELLA CATTURA DI OSTAGGI
di Colette Braeckman («Le Soire», 16 novembre 1996)


Il peggio non era scontato: i profughi ruandesi, che si credevano dispersi nell'immenso Zaire, in fuga eterna nella boscaglia impervia, erano in realtà ostaggi. Ostaggi di un'odiosa propaganda ideologica genocida, inculcata da anni; ostaggi dei miliziani e dei militari, responsabili di un milione di morti e che, da due anni, approfittavano dell'assistenza internazionale per prelevare imposte di guerra e prepararsi alla vendetta.
Il rientro massiccio dimostra che i profughi altro non erano che prigionieri e che, una volta allentata la presa che i criminali esercitavano su di essi, hanno compiuto una scelta razionale, calcolando i rischi, soppesando paure e speranze: alla fuga incerta attraverso uno Zaire ostile hanno preferito il rientro nel loro paese, malgrado incertezze e timori.. In certo senso, il confine ha funto da setaccio: i profughi "civili" hanno deciso di rientrare, come avevano fatto nell'agosto scorso i compatrioti rifugiati in Burundi, mentre miliziani e militari, dopo la sconfitta ad opera dei "ribelli" (e verosimilmente di fronte all'esercito di Kigali) hanno ripiegato verso Masisi e soprattutto verso Kisangani.
Il modo in cui si è svolta questa gigantesca cattura di ostaggi getta una luce differente sull'atteggiamento della comunità internazionale: se le pressioni di certi paesi desiderosi di intervenire al più presto avessero funzionato, la pesante morsa sui campi non sarebbe stata ancora allentata, mentre al contrario la situazione attuale consente di capire meglio le "tergiversazioni" americane.
Tutto è avvenuto come se, tergiversando, gli Stati Uniti aspettassero che nei campi avvenisse l'indispensabile vaglio tra i criminali e gli altri.
Così stando le cose, restano aperti parecchi problemi, in primo luogo quello dell'impiego della forza internazionale che si pensava ricercasse i profughi attraverso lo Zaire. Se le sue motivazioni erano realmente umanitarie non ha più altro da fare che aiutare i rimpatriati la dove si trovano, cioè in Ruanda. E lì c'è ancora tutto da fare: se infatti questo rientro è un successo per Kigali, il Ruanda resta pur sempre un paese povero e sovrappopolato, con le prigioni piene, con la giustizia che non ha ancora cominciato a funzionare.
L'aiuto internazionale deve ora curare che i profughi recuperino sicurezza e dignità, e l'antidoto migliore contro l'ideologia fautrice del genocidio resta lo sviluppo. Le promesse del governo di Kigali, che assicurava di auspicare il ritorno dei profughi, devono ora essere prese in parola minuziosamente.
l di là del rientro, che rappresenta la fine vera e propria della guerra in Ruanda, resta quindi il futuro di questo martoriato paese. Resta anche quello che diventa il principale problema della subregione: la stabilità dello Zaire. Quest'ultimo "eredita un esercito" di estremisti, ripiegato nelle montagne del Masisi, che terrorizzeranno le popolazioni locali come ieri i contadini hutu: chi dunque libererà lo Zaire dalla minaccia che essi rappresentano?
Si pone inoltre il problema delle rivolte che hanno preso il potere nel Kivu e dei movimenti che probabilmente compariranno a Kisangani e nello Shaba nei prossimi giorni: si tratta di movimenti centrifughi rispetto a Kinshasa, forieri di un possibile smembramento del paese, o piuttosto, stando alle dichiarazioni degli interessati, di movimenti di opposizione alla dittatura, che ambiscono a porre fine all'interminabile transizione per entrare finalmente nel dopo-mobutismo?
Questa sfida condiziona il futuro dell'intera Africa Centrale: la comunità internazionale che invia 12.000 uomini nello Zaire identificherà tali movimenti con un tentativo di liberazione o, con la scusa della stabilità, rafforzerà l'apparato di Mobutu?
Quanto all'opposizione zairese, che resiste a stento alla tentazione nazionalista se non xenofoba, sarà in grado di individuare il nemico principale e di approfittare della breccia che oggi si è aperta?