banlieues |
EDITORIALE |
Il primo numero di una rivista
costituisce quasi per definizione un tentativo: tentativo, innanzitutto, di aprire un
ulteriore canale di comunicazione, che si spera possa essere efficace, comprensibile,
fruibile. Tentativo poi di veicolare attraverso questo canale dei messaggi che abbiano un
senso. Se poi, come è il caso di Banlieues, si tratta di una rivista che vorrebbe essere militante nel senso più proprio del termine, cioè combattiva, creativa, laboratorio di elaborazione di un immaginario sovversivo, bene, se si tratta di questo, allora il primo numero è anche tentativo di aprire un varco teoricopolitico, che faccia strada tra le acque paludose della rassegnazione, del pensiero unico, dellindifferenza, del lavoro imposto. E verso questo tentativo convergono le forze, le motivazioni, le sensibilità, le esperienze e le intelligenze di chi sente che sia un dovere rimettere radicalmente in discussione lo stato di cose presente, con ogni mezzo necessario. Sensibilità, opzioni, ipotesi teoriche spesso non del tutto assimilabili, come emerge dagli interventi di questo primo numero, ma tenute insieme, abbastanza saldamente da scommettere su un progetto, dalla consapevolezza che se le forme economiche, lavorative, culturali, sociali in genere in cui trova articolazione il rapporto di capitale, pervadono ormai ogni ambito del vivere sociale, attraversando i corpi e le menti, i desideri, le aspettative, limmaginario, allora non ci si può più consentire di limitare ad alcune soltanto di queste forme lintervento critico, perché se si spera di poter un giorno demolire quel rapporto, è dai fronti più diversi che occorre assaltarlo. In sostanza, le articolazioni del dominio stanno sussumendo trasversalmente ambiti e universi di senso apparentemente lontanissimi tra loro, legandoli assieme attraverso lesercizio sistematico del disciplinamento, di un disciplinamento che qui è leggero, evasivo, attraente perché lo si subisce inconsapevolmente; lì strisciante, velato, lento; più avanti è violento, brutale, soffocante; più avanti ancora, dietro un muro è assassino, è guardiano, è boia. E così diventa possibile (staremmo per dire: necessario) per una rivista occuparsi della letteratura Pulp, ma anche dellUniversità investita dalla ristrutturazione, delle forme del lavoro nel postfordismo, della prigionia politica. Quello che cerchiamo di suggerire lungo lo snodarsi degli interventi di questo numero, è proprio il senso di onnipotenza, di onnipresenza del disciplinamento che attraversa la società capitalistica, e saremmo soddisfatti se lo scorrere le pagine della rivista avesse procurato una sensazione di oppressione, di controllo totale subito troppo a lungo, di una presenza ingombrante che limita le nostre vite: se cioè saremo stati in grado di insinuare nellimmaginario di chi ci legge, il dubbio che questo non sia poi il migliore dei mondi possibili, né soprattutto lunico. Ma saremmo ancora più soddisfatti se avessimo saputo sviluppare un percorso che dia il senso dellenorme potenza che si agita sotto il manto nero del dominio, del pensiero unico e del disciplinamento sociale. Di quella potenza che non ha ancora trovato modo di esprimere la propria conflittualità perché continua a subire le stratificazioni, le gerarchizzazioni, le atomizzazioni, le separazioni che il sistema costruisce ed impone proprio come antidoti alla sua piena espressione sovversiva. La potenza di cui stiamo parlando è lintellettualità di massa.
Profondi processi di ristrutturazione hanno investito negli ultimi 25 anni il sistema produttivo. In seguito al ciclo di lotte 6873 e alle conquiste che ne sono derivate, una ristrutturazione, già peraltro tendenziale, è diventata necessaria per preservare gli interessi del capitale. Queste trasformazioni hanno ruotato fondamentalmente, ma non solo, intorno alla massiccia introduzione di tecnologie avanzate, le quali hanno fortemente ridimensionato la centralità (prima di tutto economica, e quindi politica) della classe operaia tradizionale allinterno del ciclo produttivo. A questo si sono aggiunti processi di ristrutturazione degli impianti produttivi rivolti allo smembramento delle grandi sedi, a favore della diffusione sul territorio di una miriade di microattività produttive tenute insieme tra loro attraverso gli strumenti informatici di gestione e circolazione delle informazioni (impresa a rete). Dunque, modificazioni strutturali del modo di produzione capitalistico, che producono fenomeni gravi di disoccupazione tecnologica, di precarizzazione del rapporto di lavoro, di incertezza soggettiva, di insicurezza sociale. Ma accanto allelemento tecnologico, un altro fattore relativo allorganizzazione del lavoro ha contribuito a stravolgere il paradigma economico che era stato egemone in questo secolo: si tratta del passaggio da una produzione di tipo rigido, caratterizzata da una netta divisione del lavoro, tra lavoro manuale ed intellettuale, tra mansioni direttamente produttive e funzioni di controllo e gestione, ad un sistema flessibile, in cui le mansioni strutturate verticalmente tendono a lasciare il posto a forme di cooperazione orizzontale tra i diversi soggetti lavorativi(1). Quindi, flessibilità, capacità di innovazione, disponibilità al cambiamento sembrano essere le caratteristiche salienti del nuovo soggetto lavorativo, sia esso lavoratore dipendente o autonomo. In sostanza, la ristrutturazione capitalistica, che possiamo definire come transizione dal modello fordista (rigido, compartimentato, ripetitivo) al modello postfordista (flessibile, leggero, continuamente bisognoso di innovazione), ha prodotto il costituirsi di nuovi saperi, di nuove forme dellagire comunicativo, di nuovi momenti di cooperazione produttiva tra i soggetti. Il capitale ha evocato una potenza produttiva enorme, costituita dallinterazione tra macchine intelligenti (che riducono il tempo di lavoro necessario per produrre) e questa intelligenza sociale, che è sociale perché si esprime nella cooperazione, nella relazione lavorativa e comunicativa tra gli individui. Parliamo dellintelligenza sociale come di una potenza nel senso autentico del termine: riferendoci a qualcosa che ha ancora da esprimersi, da svolgersi compiutamente, perché allo stato attuale questa enorme risorsa intellettuale sociale è subordinata al processo di valorizzazione del capitale, il quale la costringe entro i propri criteri di organizzazione del lavoro, e dunque del tempo, della vita, della società. E quindi la mortifica, la espropria attraverso quella coazione al lavoro che, una volta evocata, le impedisce di venire pienamente in atto. Riprendendo il Marx dei Grundrisse e poi la riflessione teorica che su questo Marx è stata prodotta da una parte dell altro movimento operaio (quello autonomo, non istituzionalizzato), noi riteniamo che, oggi più che mai, sia necessario approfondire i termini della contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione; contraddizione che oggi si dà tra la potenza produttiva sociale che il capitale ha generato attraverso limpiego produttivo della scienza, una potenza, questa, in continuo sviluppo perché continuamente alimentata dal capitale stesso, e la violenza con cui il dominio capitalistico impedisce a questa potenza di rompere le catene del lavoro salariato, dei tempi espropriati, e di esprimersi come potere costituente, cioè come base di nuove forme di cooperazione sociale liberate dalla coazione a produrre(2). Ma con laderire a questa ipotesi teorica, il problema che simpone prepotentemente è quello di individuare le soggettività sociali e lavorative nei confronti delle quali questa contraddizione si consuma in modo pieno, eclatante, ed una volta che sono state individuate, di avviare percorsi di costituzione politica delle stesse, che siano in grado di approfondire la consapevolezza di questa contraddizione, di provocarne unesplosione molecolare, diffusa e permanente. E in questo quadro che abbiamo ritenuto fondamentale rivolgere la nostra attenzione prima di tutto alla situazione universitaria, partendo dallipotesi che la massima istituzione formativa costituisca oggi il laboratorio principale in cui trova svolgimento il processo di costruzione di soggettività intellettuali, da una parte adeguate ad operare e lavorare allinterno dellattuale sistema di produzione, e dallaltra disponibili a subirne i meccanismi di disciplinamento. Rispetto alluniversità, lo accennavamo nellintervento di apertura, riteniamo che essa sia attualmente investita da un processo di progressivo adeguamento alle esigenze del modo di produzione postfordista, il che comporta che anche questa sta attraversando un momento di transizione verso un nuovo paradigma: da ununiversità almeno formalmente di massa, incaricata di formare classi dirigenti nellambito dellamministrazione, delleconomia, della politica, strutturata su moduli formativi rigidi, compartimentati, come rigida e compartimentata è stata finora lorganizzazione del lavoro sociale, si sta approdando verso ununiversità elitaria, che non produrrà più professioni, bensì professionalità, cioè agglomerati di attitudini, di modelli, di filosofie di vita, più che di nozioni e competenze specifiche. E luniversità del sapere postfordista: versatile, flessibile, innovativo, critico per certi versi, se con questo termine intendiamo lattitudine a cambiare, ad innovare lavorando e a lavorare innovando, ad interpretare le diverse situazioni (di mercato, di opportunità, di produzione), e a decidere di conseguenza(3). Ragionando sulluniversità parallelamente al sistema produttivo, anche qui, (e soprattutto qui), dunque, è possibile intravedere lo sviluppo di unintelligenza sociale alimentata dal comando capitalistico; anche qui si tratta di una potenza produttiva enorme, tanto che sempre più spesso questa è direttamente impiegata economicamente attraverso il fluire delle conoscenze e delle tecnologie dalluniversità allimpresa. Anche qui, infine, questa intelligenza sociale e cooperante è ristretta entro esigenze di profittabilità, di immediata valorizzazione del capitale: vincoli che la reprimono e ne imprigionano le forze. Lipotesi forte, su cui crediamo di dover scommettere, e di poter spendere un profondo impegno politico, è allora quella di ritenere che, allinterno dellambiente universitario, come peraltro accade in ambiti sempre più vasti del vivere sociale, stia prendendo consistenza una moltitudine di intelligenze, non sufficientemente omogenea da poter essere rappresentata come una soggettività definita, che però reclama unitariamente sapere, conoscenze, competenze, e che attraverso un lavoro politico di ricomposizione sociale e comunitaria, può trovare il modo di emergere, e di rivendicare coscientemente sapere, conoscenze e competenze, ma entro una dimensione libera, autonoma, di valorizzazione di sé piuttosto che del capitale. Il primo passo verso questo lavoro di ricostruzione dellintelligenza sociale (di ricostruzione di un contropotere dellintellettualità di massa), non può che consistere nel far emergere la contraddizione tra la centralità (economica e sociale) del soggetto studentesco in quanto forza lavoro intellettuale, e il disconoscimento nei fatti di questa centralità, un disconoscimento che si produce nel momento in cui limpresa attinge praticamente senza costi al grande deposito di intelligenza collettiva, di sapere diffuso che oggi è luniversità, ingabbiando e distorcendo le potenzialità di trasformazione che questo deposito custodisce. Tentiamo, dunque, con questo primo numero, di dare consistenza a questo primo passo, attraverso un lavoro di inchiesta relativo proprio al rapporto universitàimpresa, evidenziando di volta in volta gli aspetti più eclatanti di un legame destinato (nelle intenzioni dei rappresentanti del potere costituito) a farsi sempre più stretto, e sottolineando sempre il punto di vista secondo il quale ci opponiamo a questo processo, che è il punto di vista della valorizzazione dellintelligenza sociale e dellesplosione sovversiva della domanda sociale di sapere. Il prossimo numero, la cui realizzazione è un desiderio che ci piace sperare di poter condividere con altri compagni e altre compagne incontrati e incontrate lungo la strada, proverà un passaggio successivo, per noi essenziale: uninchiesta costruita direttamente con i soggetti universitari, che possa essere momento di interazione e di costruzione di coscienza, e che possa preludere a forme di conflitto che vedano finalmente le intelligenze ribellarsi alla lucida stupidità degli apparati di riproduzione ideologica della società, primo fra tutti luniversità. Vogliamo riservare lultimo spazio di questo Editoriale ad una questione per noi importante. Abbiamo lavorato, indagato, discusso e scritto a lungo per la realizzazione del progetto Banlieues. Ma, come scriviamo nellultima pagina, dobbiamo molto di quello che abbiamo pensato e scritto a ciò che tanti compagni e tante compagne hanno pensato, scritto e soprattutto fatto negli anni dellassalto al cielo. Compagni e compagne che ora stanno pagando un prezzo ingiusto a questo Stato violento e brutale (verrebbe da dire sporco), per aver osato quellassalto. Le prime intelligenze da liberare sono quelle dei corpi in esilio o dietro le sbarre. A tutti quei corpi e a tutte quelle intelligenze vogliamo dedicare il primo numero di Banlieues Collettivo redazionale Banlieues
1 "La via giapponese alla produzione leggera inizia dalleliminazione della gerarchia manageriale tradizionale, che viene sostituita da gruppi multiskilled, che cooperano sul luogo di produzione.", J.Rifkin, La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano 1995, p.165; 2 "Da un lato esso (il capitale N.d.R.) evoca, quindi, tutte le forze della scienza e della natura, come della combinazione sociale e delle relazioni sociali, al fine di rendere la creazione della ricchezza (relativamente) indipendente dal tempo di lavoro impiegato in essa. Dallaltro esso intende misurare le gigantesche forze sociali così create alla stregua del tempo di lavoro, e imprigionarle nei limiti che sono necessari per conservare come valore il valore già creato.", K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica delleconomia politica, vol. II, La Nuova Italia, Firenze, p.402; 3 "Il lavoro intellettuale non è fatto del sapere questo o quello, ma del sapere intervenire sulle descrizioni date degli stati di fatto, organizzando le informazioni pertinenti che ne consentono la modificazione. Quando parliamo di qualità totale, parliamo degli orizzonti di arricchimento aperti ad un collettivo che si interroghi sul suo funzionamento; quando parliamo di tecnologie informatiche parliamo di linguaggi formali che organizzano informazioni pertinenti in un modo che consente la produzione di descrizioni diverse da quelle fornite dal linguaggio comune.", L. Castellano, La politica della moltitudine, Manifestolibri, Roma 1996, p. 43;
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