RIFLESSIONI PER UN USO RADICALE DELLA SCRITTURA

 

Il soggetto rivoluzionario è l’egoista cosciente che si pone in antagonismo agli egoismi incoscienti e condizionati dal sistema di valori perpetuato dall’ideologia.

La soggettività radicale è la nostra radice profonda, la radice di ciò che noi tutti abbiamo in comune, la base reale della comunità. La vera soggettività -la radice umana primitiva- potrebbe essere soltanto rivelata in quanto fine definitiva della preistoria come l’emergere delle potenzialità stesse di quella preistoria e come la base nascosta del suo superamento. "Io non sono nulla ma devo essere tutto" (K.Marx)

 

Quelli che vogliono alla svelta scrivere di niente ciò che nessuno leggerà una sola volta fino alla fine, sui giornali o nei libri, vantano con molta convinzione lo stile del linguaggio parlato, perché lo trovano molto più moderno, diretto, facile. Loro stessi non sanno parlare, i loro lettori neppure da quando il linguaggio effettivamente parlato nelle moderne condizioni di vita si è trovato socialmente riassunto nella sua rappresentazione eletta al secondo grado per suffragio mediatico, la quale annovera all’incirca sei o anche otto giri di frase costantemente ripetuti e meno di due centinaia di vocaboli, per lo più neologismi, il tutto sottoposto a rinnovamento per quote di un terzo ogni sei mesi.

I gitani considerano a ragione che la verità non vada mai detta che nella propria lingua; in quella del nemico, deve regnare la menzogna.

Inquadrando l’oggetto in questione nelle forme del linguaggio, è inevitabile non sforzarsi di comprendere in pieno il linguaggio delle forme per chi ha come intento primo il tentativo di un’ analisi critica.

Le citazioni sono utili nei periodi di ignoranza o di credenze oscurantiste. Le allusioni, senza virgolette, ad altri testi che si sanno molto celebri, dovrebbero essere riservate a tempi più ricchi di teste in grado di riconoscere la frase anteriore, e la distanza introdotta dalla sua nuova applicazione. Si rischierebbe, oggi che l’ironia non è più compresa, di vedersi candidamente attribuire l’enunciazione, poi altrettanto sbrigativamente riprodotta in termini erronei.

L’interazione scrittura-linguaggio-cultura deve perciò essere analizzata in tutto e per tutto nell’inscindibile rapporto tra struttura economica della società e sovrastruttura (politica, giuridica, etc.). Non dimentichiamo che la cultura è la sfera generale della conoscenza, e delle rappresentazioni del vissuto, nella società storica divisa in classi; il che significa, in altri termini, che essa è il potere di generalizzazione esistente a parte, come divisione del lavoro intellettuale e lavoro intellettuale della divisione. La cultura staccatasi dall’unità della società del mito conquista l’indipendenza, iniziando un movimento imperialista di arricchimento, che è al tempo stesso il declino della sua indipendenza. La storia che crea l’autonomia relativa della cultura, e le illusioni ideologiche su questa autonomia, si esprime anche come storia della cultura; e tutta la storia conquistatrice di questa può essere compresa come storia della rivelazione della sua insufficienza, come una corsa verso la sua autosoppressione. La cultura è il luogo della ricerca dell’unità perduta e in questa ricerca dell’unità, come sfera separata è costretta a negare se stessa, per cui la fine della storia della cultura si manifesta da due versanti opposti: il progetto del suo superamento nella storia totale, e l’organizzazione del suo mantenimento in quanto oggetto morto. Di questi movimenti, l’uno ha legato la propria sorte alla critica sociale, l’altra alla difesa del potere di classe. Il consumo spettacolare che conserva la vecchia cultura congelata, compresa la ripetizione recuperata delle sue manifestazioni negative, diviene apertamente nel suo settore culturale ciò che è implicitamente nella sua totalità: la comunicazione dell’incomunicabile.

L’intelligenza dell’uomo è direttamente proporzionale alla capacità di vendere le cose prima di ricorrere alla svendita del proprio corpo, come troppo spesso avviene per chi è costretto a concedersi mani e cervello per otto ore, quasi tutti i giorni. Qual è il nostro scopo: aprire una macelleria delle parole. Noi che non facciamo grossi problemi di identità fra professioni considerate oneste e l’onestà di tutte le professioni, ci siamo subito accomodati vendendo pezzi di quel prodotto rarissimo sul mercato che gode miglior fama presso quelle classi dove il linguaggio, apparentemente, è ben più licenzioso. La prima difficoltà consisterà nel superare le ristrettezze del linguaggio, uscire insomma, come avrebbe detto senz’altro un surrealista, dalla logica del periodo e lasciare "le parole in libertà"! Fedeli al principio che la realtà crea il linguaggio, non possiamo tollerare che la parola impedisca alla realtà di esprimersi. Come può infatti una realtà spiegarsi in un linguaggio non stravolto? Prendiamo ad esempio il soggetto: pensate che l’incontro anarchico, non giustificato, quindi casuale delle persone possa essere espresso mediante termini, che hanno la pretesa di essere universali? Vi par logico pretendere logicità da uomini fatti da un mondo illogico? Se i vostri dubbi stanno sul mondo illogico, provate a comprare un ombrello d’estate. Facile, dirà qualche scettico. Bene, replichiamo noi. Usatelo, con il vostro miglior impermeabile in una giornata di pieno sole.

Il soggetto non compie l’azione, dunque, per effetto della non riproducibilità tecnica dell’arte e per la conseguente legge della combinazione che permette un effetto retroattivo di ogni scoperta, anzi abbiamo stabilito che nemmeno era soggetto. Il soggetto, sia chiaro agli scettici, non è né un soggetto, né il soggetto, ma è soggetto a qualche volontà esterna. Possiamo concludere molto arbitrariamente che nessun discorso può essere convenientemente sostenuto da regole inappuntabili poiché non ci è ancora dato di conoscere quello strano personaggio, che viene designato ostinatamente in tutte le sintassi come il soggetto di ogni azione. Cosa ci conduce una così fatta riflessione? Semplice, se nessun soggetto è mai esistito, nessuna azione è mai stata compiuta.

Se ciò viene accettato, è facile stabilire come tutta la storia scritta, e val la pena di ricordare le pericolose analogie che fra scrittura e vita sono già state assodate, sia solo una convenzione simbolica di eventi non ben precisati. Sotto la categoria del non-soggetto rientrano dunque tutti i fatti simbolici: dall’assassinio a scopo umanitario alla violenza gratuita, dal regalo disinteressato all’accordo formale, dal bacio furtivo al fiore con troppe spine, dalla malinconica assenza alla noia più totale, dalla promessa imperitura al tradimento sfacciato, dalla poesia carismatica all’inconscio autistico.

E questo, per chi ha un minimo di confidenza con la dialettica, diventa l’altra faccia, speculare, del discorso fatto di soggetto e predicato: morto il soggetto non possiamo certo tenere in vita il predicato.

L’obiettivo ultimo, quindi, consiste nel solo modo di esprimere se stessi, e sia che lo si faccia con teatralità, vergando righe o discutendo molto, necessariamente non avendo niente da dire di importante. Per chi non avesse capito il senso, è vitale essere dunque disancorati dalla realtà per aver qualcosa di critico da dire sulla realtà; finché si rimarrà fossilizzati dalla quotidianità degli eventi, non si potrà avere coscienza critica. La letteratura non ha più niente da dire? Ora ai poeti non resta altro che intorpidire le proprie acque per farle sembrare profonde e rigogliose. Tanto si ha fede nella vita, in quello che la vita ha di più precario, la vita reale, che alla fine si rischia di perdere la vita.

 

 

Blanca Sur