Le analisi proposte in questa rivista sono frutto di una riflessione collettiva, per questo abbiamo deciso di non firmare individualmente neppure un articolo.
Molti ragionamenti scaturiscono da una rielaborazione, da una riattualizzazione di lavori prodotti dall’altro Movimento Operaio, più o meno recentemente.
Un filo rosso unisce Banlieues agli anni dell’"assalto al cielo": è il legame delle molteplici memorie, dell’immaginario sociale, delle lotte e del sapere autonomo che nelle rivolte operaie e studentesche si è creato e legittimato.
E’ il filo rosso del desiderio comunista.
Così ci appare difficile immaginare, prefigurare trasformazioni sociali radicali se prima non vengono liberati gli anni ‘70 e le menti e i corpi che in quell’imponente movimento di liberazione, in quello storico ciclo di lotte espressero una straordinaria ricchezza culturale e politica che si articolò sulle piazze, nelle fabbriche, nelle università, nei quartieri delle metropoli con pratiche diverse, armate e non e su più piani.
E’ fondamentale, nel proporre una soluzione politica per i prigionieri e gli esuli, partire dal comune riconoscimento del valore positivo delle diversità dei linguaggi ed esperienze per farle cooperare in rete: un circuito virtuoso nel quale ogni struttura o singolarità possa portare, in piena autonomia, idee e risorse ad un progetto comune che porti alla fine della barbara legislazione dell’emergenza come "libertà provvisoria sociale" e alla fine della prigionia politica come eterna vendetta di stato.
La verità è che ancora oggi, a oltre vent’anni da quegli avvenimenti, marcisce nelle galere parte di una generazione di donne e di uomini che arrivò anche all’ uso delle armi per combattere un regime odioso e corrotto, il regime delle stragi di Stato, di Gladio, dei tentati golpe fascisti, degli operai, braccianti e studenti ammazzati sulle piazze, nonché di quella Tangentopoli che allora gli stessi giudici che ora si atteggiano a "difensori del popolo truffato" fecero finta di non vedere; perché organici fino in fondo al potere democristiano/picista erano troppo impegnati a gestire i processi alle soggettività rivoluzionarie organizzate e non come fossero stati plotoni d’ esecuzione. Nemmeno ai tempi più oscuri dei tribunali speciali fascisti, infatti, si vide comminare secoli di carcere a raffica come negli anni ‘70.
Ed è paradossale anche per la stessa "legalità" borghese che una commissione bicamerale stia riscrivendo la Costituzione di questo paese in una realtà latino americana che vede oltre duecento prigionieri politici in carcere, in certi casi da vent’anni, e circa altrettanti esuli.
Si impone oggi una forte spinta dal basso che riesca a scardinare le fondamenta che reggono la mostruosità politica e la vergogna delle leggi dell’emergenza.
Occorre dar luogo ad una battaglia a livello nazionale per la liberazione degli anni ‘70, occorre concentrare le energie di tutte le esperienze dell’antagonismo politico e sociale, di tutte le realtà di base e dell’auto organizzazione, ma anche di più ampi settori della cultura libertaria perché si addivenga ad un provvedimento di soluzione politica che, senza condizione alcuna e nessuna differenziazione, restituisca la libertà ai prigionieri politici e garantisca il ritorno agli esuli.