EDITORIALE

Sistemi formativi e produzione di soggettività

L’imperativo categorico della razionalità economica

L’insubordinazione alla disciplina, la creatività dispiegata, la nuova “professionalità” costituiscono le tre maschere dietro le quali si cela il modello ideale di studente postfordista, funzionale ai nuovi meccanismi di accumulazione flessibili. Il lavoratore immateriale in formazione non deve fornirsi di pacchetti di sapere standardizzato né di un mansionario rigido e compartimentato. Non è più un’armatura marionettistica che governa il corpo, il sistema attraverso il quale vanno a strutturarsi il vincolo e la subordinazione, ma l’auspicio ad una nuova libertà tesa ad ampliare l’asservimento.

Ebbene, a far saltare le lancette degli orologi e sabotare la disciplina di fabbrica non sono bastati la Comune di Parigi o i movimenti degli anni ‘60 e ‘70: questi hanno accelerato i processi di ristrutturazione forzando un marchingegno oggi completamente rivoluzionato dal capitalismo hi-teak e dall’egemonia tendenziale del lavoro immateriale.

Cosa determina, dunque, nel nuovo scenario, il controllo dei comportamenti e la loro razionalità economica? Cosa incanala attitudini generiche, esperienze di vita, gusti e desideri sui binari sinuosi della valorizzazione capitalistica attuale?

Questa funzione viene oggi assorbita dal principio della “professionalità”, il principio che nella sua astrattezza, non perde passo nel far interiorizzare l’imperativo concreto della produzione.” La professionalità è il versante soggettivo del controllo d’impresa sulla distribuzione delle committenze. Nella sua inderminatezza il concetto di professionalità istituisce la commensurabilità di qualunque talento, qualità o scelta di vita alla produzione di merci nella condizione del postfordismo. In questo concetto è riassunta ed esibita la sussunzione di tutto ciò che restava al di fuori della sfera del lavoro (gusti, abitudini, amicizie, interessi culturali ) alla regola del lavoro salariato”1.

Siamo dunque al paradosso secondo il quale la vita, dispiegata contro l’alienante disciplina di fabbrica, pare abbia vinto la propria battaglia colonizzando essa stessa il lavoro2, salvo poi riscoprirsi funzionalizzata, nella sua interezza, agli attuali meccanismi di valorizzazione.

Convivono in questo modo, amplificandosi vicendevolmente, un più di libertà e un più d’asservimento, un più di criticità e un più di lavoro non retribuito, il pane e le rose…

Per superare situazioni di stallo, per reinventare il prodotto e l’organizzazione di impresa modellando l’uno e l’altra su un mercato della domanda, per interpretare i desideri del consumatore “ pilota “ e procedere nell’innovazione, l’impresa postfordista cerca una forza lavoro capace di oltrepassare i confini ed “ uscire dal seminato “, siano essi i mansionari lavorativi del vecchio operaio massa, le caratteristiche della produzione in serie o le competenze acquisite sul posto di lavoro.

L’impresa non cerca dunque, di esercitare un comando sui corpi assoggettandoli al rigore dei tempi di lavoro; essa cerca di selezionare “ spiriti liberi “ spesso al di fuori del tradizionale contratto di lavoro subordinato, per funzionalizzarli agli aumenti di produttività che possano renderla competitiva all’interno di un mercato in continua trasformazione.

Riportiamo qui di seguito, un famoso gioco logico che risulta paradigmatico dei test psico- attitudinali utilizzati nella selezione del personale e che potrebbe avvalorare la lettura che proponiamo.Il gioco esemplifica una situazione di stallo e pone il problema del suo superamento rimuovendo i vincoli (non sempre oggettivi ) ed uscendo dai confini apparenti.Si disegnano nove punti allineati a tre a tre:







Poi s’invita l’interlocutore a toccarli tutti con quattro segni consecutivi di penna, senza precisare nessun’altra condizione. Come si vede, il risultato è semplice solo per chi non è rimasto ingabbiato all’interno del disegno.





I cantieri dei mezzi di produzione cognitiva

Questa novità strutturale nei meccanismi di funzionamento della produzione, sembra governata da alcuni dei termini e delle coordinate con cui siamo soliti analizzare certe “ sovrastrutture “.Si palesa infatti, nei gangli dell’organizzazione economica della produzione, un umanesimo granitico leggibile con le parole di Focault: “l’umanesimo è ciò che ha inventato volta per volta queste sovranità assoggettate che sono l’anima ( sovrana del corpo, sottomessa a dio ), la coscienza (sovrana nell’ordine del giudizio, sottomessa all’ordine della verità ), l’individuo (sovrano titolare dei suoi diritti, sottomesso alle leggi della natura o alle regole della società)”3. E pare che le regole, siano l’accettazione incondizionata dello stato do cose presente e del sistema di produzione capitalistico, anche quando, al suo interno, la cooperazione sociale dell’intellettualità diffusa, la comunicazione nel bacino dell’intellettualità - massa, le stesse relazioni sociali fra gli individui, costituiscono l’arteria vitale del sistema produttivo.

Questo “ umanesimo strutturale “ ha così garantito a questo sistema sociale la sua dialettica, il suo sviluppo e la propria sussunzione, mentre dalle nostre parti, talvolta ci si chiede dove si sia sbagliato e quali porte sul baratro abbia spalancato la chiave dell’”emancipazione”.

La scuola, l’università, le agenzie formative in genere, assumono oggi funzioni strutturali, ed insieme all’industria della comunicazione, ricoprono un ruolo paragonabile a quello assolto in passato dall’industria dei mezzi di produzione.

Anche qui sembra proliferare, fomentata da più parti, una circolazione di saperi snella, flessibile, decentrata, pronta a modulare gli ambiti di riferimento in modo elastico, ed incline a trasmettere metodologie e strumenti polifunzionali, in luogo di competenze specifiche a rischio di rapida obsolescenza.

Spesso addirittura, il lavoro delle università, si limita a rilevare i saperi e le qualità presenti sul territorio, per poi incanalare quelle che già galleggiano fluide in un bacino interattivo che preesiste, consolidando processi di soggettivizzazione e d’attribuzione e differenziazione dei ruoli.

La “produzione di soggettività”, nel postfordismo diventa elemento fondamentale del sistema.

Se l’università rappresentava, in passato, l’apparato istituzionale attraverso il quale la società assicurava la sua riproduzione, oggi rappresenta un’agenzia decentrata attraverso la quale il sistema produttivo garantisce la propria continua reinvenzione. “ La cultura - diceva Debord - deve avere, nella seconda metà del nostro secolo, il ruolo motore nello sviluppo dell’economia, che fu quello dell’automobile nella prima metà, e delle ferrovie nella metà del secolo precedente”4.

I processi di riforma e di ristrutturazione che investono ed ammodernano il sistema formativo, sono, infatti, orientati a valorizzare in senso produttivo, la preziosa “merce sapere” con la quale lavorerà il cognitariato che oggi si sta formando. Parallelamente diventa necessario arginare la possibilità che esso si costituisca in opposizione al sistema, ricostruendo la storia delle discipline in senso meramente evolutivo e lineare. La scuola e l’università raccontano, o più stesso danno per scontato, continuità storica e processi d’emancipazione, scongiurando incessantemente la rottura e la potenza dell’”avvenimento”.

A questo modo, i movimenti popolari vengono presentati come conseguenza delle carestie, delle imposte, della fame; il mutualismo è la cooperazione di inizio secolo, come ammortizzatori sociali ante litteram; le crisi economiche ed occupazionali, come risultato delle speculazioni borsistiche o come fattori congiunturali; i movimenti degli anni ‘60 e ‘70, come vettori di modernizzazione. Mai le lotte dell’operaio massa prima dell’operaio sociale poi, vengono riconosciuti come “avvenimento di rottura” piena ed incondizionata, battaglia per la “presa del potere”, liquidazione della dialettica e presa d’atto di un potere costituente autonomo.

Così la società postfordista, la meno conservatrice che si possa immaginare, ed il sapere postfordista, il più progressivo, critico ed innovativo che si sia presentato al vaglio della storia continuano a non muovere un passo sulla questione dell’”avvenimento” e su quella del “potere”5.

Si è avuta la necessità di bandire l’uno e l’altro dagli apparati formativi istituzionali, per poter dislocare i conflitti in una dimensione dialettica completamente interna al sistema sociale, e così nella fase che vede affiorare quel più di libertà e criticità necessaria alla nuova articolazione produttiva, si tenta di declinare la praticabilità di un pieno dispiegamento dell’una e dell’altra per il rovesciamento dello stato di cose presente.



Microfisica della rivoluzione

L’adesione al modello dominante di razionalità economica costituisce anzi metro e misura d’ogni attitudine ed abilità e quest’adesione si presenta come uno degli aspetti determinanti di quella professionalità che prima enunciavamo.

Il dominio continua ad articolarsi su un livello concreto quando uno studente di farmacia sviluppa una ricerca, a costo zero , per una multinazionale; quando un ristoratore sfrutta, in nero, la manodopera precaria o immigrata; quando un produttore autonomo di software lavora tredici ore al giorno per rispettare i tempi della commessa; ma il dominio più pressante, precondiziona di tutti gli altri rimanere quella astratta disponibilità della vita a servire il capitale come fosse un imperativo categorico interiorizzato senza condizioni.

Il problema non si pone, come potrebbe sembrare, nei termini delle esigenze di una “rivoluzione culturale” dentro e fuori le università, perché non ci sono intellettuali e non c’è presa di coscienza che abbia da venire.

C’è invece la possibilità materiale di una presa d’atto. Non coscienza della propria condizione e costruzione lenta della battaglia politica per la presa del potere, ma consapevolezza della propria potenza costituente ed applicazione autonoma del risultato.

Si tratta di fondare una “microfisica della rivoluzione”, una quotidianità della trasformazione, che lungi dall’attendere il momento propizio per rompere gli orologi sulle piazze principali, prenda atto che all’interno di un percorso collettivo, all’interno della cooperazione sociale, all’interno dei percorsi di lotta e di elaborazione politica, le lancette sono già ferme, moltiplicate o scomparse a seconda, della fondazione del tempo che desideriamo per il mondo che a da venire.



1 Bascetta, Bronzini, Lo statuto che non c'è, in Stato e diritti nel postfordismo, Manifesto libri, 1996, p. 68

2 Cfr. Bussoni, Una vita al lavoro, Derive Approdi n°16, 1998, pagg. 31 e sg.

3 Focault, Al di là del bene e del male, in Microfisica del potere, Einaudi, 1977, pgg. 58-59.

4 Debord, La società dello spettacolo, Einaudi, 1967.

5 "L'avvenimento e il potere sono quel che è escluso dal sapere qual è organizzato nella nostra società."

Focault, op. cit.

 


1 Bascetta, Bronzini, Lo statuto che non c'è, in Stato e diritti nel postfordismo, Manifesto libri, 1996, p. 68
2 Cfr. Bussoni, Una vita al lavoro, Derive Approdi n°16, 1998, pagg. 31 e sg.
3 Focault, Al di là del bene e del male, in Microfisica del potere, Einaudi, 1977, pgg. 58-59.
4 Debord, La società dello spettacolo, Einaudi, 1967.
5 "L'avvenimento e il potere sono quel che è escluso dal sapere qual è organizzato nella nostra società." Focault, op. cit.


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