storia
e funzionamento del copyright
tratto da Internet ed il mito del copyright
(sintesi realizzata da Blogmatic
di un piu' lungo commento
di Karl Fogel)
La prima legge sul copyright fu una legge di censura. Essa
non aveva niente a che fare con la protezione dei diritti degli
autori, o con il loro incoraggiamento a produrre nuove opere.
Nell'Inghilterra del sedicesimo secolo i diritti degli autori
non correvano alcun rischio ed il recente arrivo della macchina
per stampare (la prima macchina per copiare del mondo) era qualcosa
che stimolava gli scrittori. Cosi' stimolante, infatti, che
il governo inglese comincio' a preoccuparsi per le troppe opere
che venivano prodotte, non troppo poche. La nuova tecnologia,
per la prima volta, stava rendendo ampiamente disponibili letture
sediziose ed il governo aveva bisogno urgente di controllare
il fiume di materiale stampato, essendo allora la censura una
funzione amministrativa legittima come la costruzione di strade.
Il metodo scelto dal governo fu di stabilire una corporazione
privata di censori, la London Company of Stationers (Corporazione
dei Librai di Londra), i cui profitti sarebbero dipesi da quanto
bene essi avrebbero realizzato il proprio lavoro. Agli Stationers
fu concesso il diritto su tutta la stampa in Inghilterra, sia
per le vecchie opere che per le nuove, come premio per mantenere
un occhio stretto su cio' che veniva pubblicato. Il loro documento
di concessione diede loro non solo il diritto esclusivo di stampare,
ma anche il diritto di cercare e confiscare le stampe ed i libri
non autorizzati e addirittura di bruciare i libri stampati illegalmente.
Nessun libro poteva essere stampato fino a che non era entrato
nel Registro della corporazione e nessun'opera poteva essere
aggiunta al registro finche' non aveva passato il censore della
corona, o era stato auto-censurato dagli Stationers. La Company
of Stationers divento', in effetti, la polizia privata, dedita
al profitto, del governo.
Il sistema era stato apertamente progettato proprio per servire
i venditori di libri ed il governo, non gli autori. I nuovi
libri venivano immessi nel registro della corporazione sotto
il nome di un membro della corporazione, non sotto il nome dell'autore.
Per convenzione, il membro che aveva registrato il libro manteneva
il "copyright", il diritto esclusivo di pubblicare
quel libro sugli altri membri della corporazione, e la Court
of Assistants della Corporazione risolveva le dispute su eventuali
infrazioni.
Questa non fu semplicemente una nuova manifestazione di qualche
forma di copyright preesistente. Non e' come se gli autori avessero
avuto precedentemente il copyright, che ora era stato tolto
a loro e dato agli Stationers. Il diritto degli Stationers era
un nuovo diritto, per quanto fosse basato su una lunga tradizione
di concedere i monopoli alle corporazioni, in modo da usarle
come mezzo di controllo. Prima di questo momento il copyright
- cioe' il generico diritto, tenuto privatamente, di proibire
agli altri la copia - non esisteva. La gente stampava normalmente,
quando aveva la possibilita', le opere che ammirava, un'attivita'
che e' responsabile della sopravvivenza di molte di quelle opere
fino al giorno d'oggi. Naturalmente si potrebbe proibire la
distribuzione di un documento specifico a causa del suo potenziale
effetto diffamatorio, o perche' esso era una comunicazione privata,
o perche' il governo lo considera pericoloso e sedizioso. Ma
queste sono ragioni di salute pubblica o danno alla reputazione,
non di diritto di proprieta'. In alcuni casi c'erano stati anche
privilegi particolari (allora chiamati "patenti")
che consentivano la stampa esclusiva di certi tipi di libri.
Ma fino alla Company of Stationers non c'era stata un'ingiunzione
globale contro la stampa in generale, ne' una concezione del
copyright come una proprieta' legale che potesse essere posseduta
da una parte privata.
Per circa un secolo e mezzo questa associazione funziono' bene
per il governo e per gli Stationers. Gli Stationers trassero
profitto dal loro monopolio e il governo esercito' il controllo
sulla diffusione delle informazioni tramite gli Stationers.
Tuttavia, verso la fine del diciassettesimo secolo, a causa
di maggiori cambiamenti politici, il governo allento' le sue
politiche censorie e fece terminare il monopolio degli Stationers.
Cio' significava che la stampa sarebbe dovuta ritornare al proprio
stato anarchico precedente e naturalmente fu una minaccia economica
ai membri della corporazione, abituati come erano ad avere la
licenza esclusiva di produrre libri. La dissoluzione del monopolio
avrebbe potuto essere buona per autori a lungo soppressi e stampatori
indipendenti, ma essa suonava come un disastro per gli Stationers,
ed essi rapidamente elaborarono una strategia per mantenere
la loro posizione nel nuovo clima politico liberale.
Gli Stationers basarono la loro strategia su un riconoscimento
decisivo, che e' rimasto da allora alle aziende editoriali fino
a oggi: gli autori non hanno i mezzi per distribuire le proprie
opere. Scrivere un libro richiede solo penna, carta e tempo.
Ma la distribuzione di un libro richiede presse per la stampa,
reti di trasporto ed investimenti iniziali in materiali e macchine
compositrici. Cosi', ragionarono gli Stationers, le persone
che scrivono avranno sempre bisogno della collaborazione di
un editore per rendere il loro lavoro disponibile alla generalita'.
La loro strategia uso' questo fatto fino al massimo vantaggio.
Essi andarono in Parlamento e fornirono l'argomento, basato
sulla storiella-di-allora, che gli autori avevano un inerente
diritto di proprieta' naturale su cio' che scrivevano e che
inoltre questa proprieta' poteva essere trasferita ad altre
parti per contratto, come ogni altra forma di proprieta'.
Il loro argomento riusci' a convincere il Parlamento. Gli Stationers
avevano fatto in modo da evitare l'odio verso la censura, poiche'
i nuovi diritti di riproduzione avrebbero avuto origine dall'autore,
ma essi sapevano che gli autori avrebbero avuto ben poche possibilita'
di scelta oltre che firmare per trasferire questi diritti ad
un editore per la pubblicazione. Ci fu qualche disputa giudiziaria
e politica sui dettagli, ma alla fine tutte e due le meta' dell'argomento
degli Stationers sopravvissero essenzialmente intatte e diventarono
parte della statutory law inglese. Il primo copyright riconoscibilmente
moderno, lo Statute of Anne (Statuto di Anna) fu approvato nel
1710.
Lo Statuto di Anna viene spesso richiamato dai campioni del
copyright come il momento in cui gli autori ricevettero finalmente
la protezione che essi meritavano da tempo. Ancora oggi esso
viene referenziato, sia in argomentazioni legali che in stampati
dell'industria editoriale. Ma interpretarlo come una vittoria
degli autori contrasta sia con il comune buon senso che con
i fatti storici. Gli autori, che non avevano avuto il copyright,
non vedevano nessuna ragione di chiedere improvvisamente il
potere piuttosto paradossale di evitare la diffusione delle
proprie opere, e non lo fecero. Le sole persone preoccupate
della dissoluzione del monopolio degli Stationers erano gli
Stationer stessi, e lo Statuto di Anna fu il diretto risultato
della loro campagna di lobbying.
Nelle memorabili parole del contemporaneo Lord Camden, gli
Stationers "...vennero in Parlamento come supplicanti,
con le lacrime agli occhi, infelici e sfiduciati; essi portarono
con se' mogli e bambini per provocare compassione e indurre
il Parlamento a garantire loro una sicurezza legale." Per
rendere piu' appetibili i loro argomenti, essi avevano proposto
che il copyright fosse originato dall'autore, come una forma
di proprieta' che poteva essere venduta a chiunque - aspettandosi
correttamente che il diritto sarebbe stato venduto quasi sempre
ad un editore.
Questa proposta fu un'astuta mossa tattica, perche' il Parlamento
voleva impedire il ristabilimento di un monopolio centralizzato
nel commercio dei libri, con la sua potenzialita' di un ripristino
della censura da parte della Corona. Benjamin Kaplan, professore
di legge emerito all'universita' di Harvard e rispettato studioso
del copyright, descrive brevemente la posizione degli Stationers:
"...gli Stationers fecero il caso che essi non potessero
produrre quei fragili prodotti detti libri e cosi' incoraggiare
gli uomini istruiti a scriverli, senza una protezione contro
la pirateria... C'e' un apparente tracciato dei diritti verso
una fonte ultima nel fatto della proprieta' intellettuale, ma
prima di dare a cio' grande importanza dobbiamo osservare che,
se la stampa come commercio non fosse messa nuovamente nelle
mani di pochi monopolisti, ...se lo statuto venisse ad essere
effettivamente una specie di "patente universale"
...un legislatore sarebbe condotto naturalmente esprimersi in
termini di diritti nei libri e quindi di diritti iniziali negli
autori. Un legislatore sarebbe comunque consapevole che i diritti
di solito passerebbero immediatamente agli editori per assegnazione,
cioe' dall'acquisto dei manoscritti come nel passato... Penso
sia piu' vicino alla verita' dire che gli editori videro il
vantaggio tattico di proporre gli interessi degli autori insieme
ai propri e questa tattica produsse un certo effetto sul tono
dello statuto".
Lo statuto di Anne, preso nel contesto storico, e' la pistola
fumante della legge sul copyright. In esso possiamo vedere l'intero
apparato del copyright moderno, ma ancora in forma indistinta.
C'e' la nozione del copyright come proprieta', come pure la
proprieta' intesa realmente per gli editori, non per gli autori.
C'e' la nozione della societa' che ne beneficia, incoraggiando
la gente a scrivere i libri, ma nessuna evidenza viene offerta
per mostrare che la gente non scriverebbe libri in assenza copyright.
La discussione degli Stationers fu piuttosto che gli editori
non potrebbero permettersi di stampare libri senza una protezione
dalla concorrenza e che gli autori produrrebbero poche opere
nuove senza un'aspettativa di distribuzione. Questo [argomento]
non era del tutto in malafede; le corti ed il Parlamento non
sarebbero stati cosi' favorevoli se effettivamente fosse stato
del tutto incoerente. Gli editori furono ora efficacemente costretti
a pagare gli autori in cambio dei diritti esclusivi di stampa
(sebbene in effetti gli Stationers a volte avessero pagato gli
autori anche prima, semplicemente per garantirsi il completamento
e la consegna di un'opera). Gli autori che riuscirono a vendere
questo nuovo diritto agli stampatori non ebbero particolari
motivi di lamentarsi ...e naturalmente, non si sente parlare
molto degli autori sfavoriti. Il consolidamento del copyright
dell'autore probabilmente contribui' al declino del patronato
come fonte di reddito per gli scrittori e ad alcuni autori consenti'
perfino, benche' sempre una piccola minoranza, di sostenersi
solamente dai diritti d'autore che i loro editori dividevano
con loro.
Ma la testimonianza storica globale e' chiara: il copyright
fu progettato dai distributori per sovvenzionare se stessi,
non i creatori.
Questo e' il segreto che l'odierna lobby del copyright non
ha mai il coraggio di dire ad alta voce, perche' una volta che
venisse ammesso, diventerebbe chiaro in modo imbarazzante il
vero scopo della successiva legislazione sul copyright. Lo statuto
di Anne fu semplicemente l'inizio.
Assegnando la premessa che il copyright debba esistere, il
governo inglese si trovo' sotto pressione per estendere sempre
di piu' i termini del copyright. Nella lunga saga legale che
segui', non e' importante la particolare sequenza di leggi e
verdetti, ma l'identita' dei querelanti: essi erano proprio
il tipo di interesse affaristico stabile e consolidato, capace
di sostenere la controversia e di fare pressioni per decenni
- erano cioe' editori, non autori. Avevano proposto il copyright
dell'autore per interesse economico e solo dopo che la stampella
di un monopolio basato sulla censura era stato tolto a loro.
Quando fu evidente che la tattica funzionava, essi spinsero
per rinforzare il copyright.
Il modello e' questo ancora oggi. Ogni volta che il congresso
degli USA estende i termini o la portata del copyright, cio'
e' il risultato di pressioni dell'industria editoriale. A volte,
i gruppi di pressione metteranno in mostra un autore o un musicista
superstar, una faccia umana per quello che e' essenzialmente
uno sforzo dell'industria, ma e' sempre molto chiaro cosa sta
accadendo in realta'. Tutto cio' che dovete fare e' guardare
chi sta pagando le fatture degli avvocati e dei gruppi di pressione,
il cui nome compare nei registri delle sentenze della corte
- gli editori.
Tuttavia la campagna secolare dell'industria per una forte
legge sul copyright non e' semplicemente avidita' riflessa.
E' una naturale risposta economica alle circostanze tecnologiche.
L'effetto del torchio tipografico e successivamente della tecnologia
di registrazione analogica del suono, avrebbe reso le opere
dell'ingegno inseparabili dai mezzi per la loro distribuzione.
Gli autori avevano bisogno degli editori come l'elettricita'
ha bisogno dei fili. L'unico metodo economicamente praticabile
per raggiungere i lettori (o gli ascoltatori) era la stampa
di massa: produrre insieme migliaia di copie identiche, poi
spedirle fisicamente ai vari punti di distribuzione. Naturalmente
ogni editore, prima di accettare un tale investimento, preferisce
comprare o prendere in leasing il copyright dall'autore, proprio
come naturalmente incita il governo ad estensioni piu' forti
possibili del copyright, il meglio per proteggere il suo investimento.
In questo non c'e' niente di intrinsecamente strumentale; e'
pura economia. Dal punto di vista degli affari, il funzionamento
della stampa e' un progetto rischioso e scoraggiante. Comporta
alti costi iniziali del supporto fisico (sia esso la polpa dell'albero,
nastro magnetico, dischi in vinile, o dischi ottici incisi),
oltre a macchinari complessi e costosi per stampare il contenuto
sul supporto. Inoltre c'e' l'investimento occulto del controllo
della copia matrice: poiche' un master difettoso puo' ridurre
il valore di tutto il lavoro, gli editori e gli autori incontrano
considerevole difficolta' per generare una versione del lavoro
pulita e priva di errori prima della stampa. Qui c'e' poco spazio
per un processo incrementale o evolutivo; il lavoro deve essere
reso quasi perfetto prima che il pubblico possa vederlo. Se
degli errori sono trascurati, dovranno essere tollerati nel
prodotto finito, almeno fino al riavvio del processo per la
ristampa successiva. L'editore deve anche negoziare i prezzi
ed allineare i percorsi di distribuzione, che e' non soltanto
un problema di contabilita', ma di spese fisiche, di camion
e treni e contenitori per trasporto. Infine, come se tutto questo
non fosse abbastanza, l'editore e' costretto a spendere ulteriore
denaro per il marketing e la pubblicita', per avere una migliore
possibilita' di recuperare almeno tutte le spese.
Quando ci si rende conto che tutto questo deve accadere prima
che l'opera generi un penny di reddito, e' poco sorprendente
che gli editori sostengano fortemente il copyright. In termini
economici, l'investimento iniziale degli editori in ogni opera
individuale - cioe' il loro rischio - e' piu' grande di quello
dell'autore. Gli autori in se' non avrebbero desiderio intrinseco
di controllare la copiatura, ma gli editori lo hanno. Naturalmente
gli autori hanno tanto piu' bisogno degli editori in un mondo
si e' riempito di reparti di marketing sostenuti dalle royalty
degli editori. La concentrazione dei redditi di distribuzione
provoca inevitabilmente la logica familiare di una corsa agli
armamenti.
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