4 giugno: Bush trema!
Alla fine la giornata del 4 giugno e' scivolata via "senza
problemi" come in molti hanno scritto (e ancor di piu': voluto).
Nel suo insieme la giornata (le giornate se vogliamo prendere
in considerazione anche il timido antipasto del 2 giugno) puo'
leggersi come una sostanziale vittoria del quadro istituzionale
dentro e fuori del movimento.
L'ennesima,
lunga passeggiata sara' archiviata dalla questura romana e dal
governo Berlusconi come obiettivo raggiunto e pericolo scampato.
Il prefetto Serra aggiungera' una stelletta in piu' al suo
medagliere di pacificatore sociale mentre Berlusconi puo' addirittura
permettersi di parlare di un corteo di 7000 persone, sminuendo,
in dichiarazioni, la realta' di una presenza ben piu' massificata...
Eppure tutti i giornali (di destra, di centro, di sinistra
e "di movimento") ci raccontano un'altra storia, secondo la
quale la giornata e' stata: riuscita, gloriosa, memorabile,
vittoriosa e soprattutto "passata".
Chi ha vinto allora? Hanno vinto tutti!
Berlusconi, sul piano della politica interna e della sua legittimita'
internazionale; ma ha vinto anche tutto il centro-sinistra che
potra' finalmente tirare un sospiro di sollievo e convogliare
su altre date e scadenze (12 giugno) rabbia e scontento del
popolo italiano.
Ha vinto Bertinotti, forse aspirante un domani a ricoprire
la carica di ministro degli esteri, cosi' come ha vinto Il Manifesto
che vedra' forse aumentare il volume percentuale delle proprie
tirature.
Ha vinto, ancora una volta, la politica pensata ed agita come
ambito della concertazione e del consenso invece che come pratica
di rottura ed espressione di antagonismo.
Lo spettro di Genova (con troppo ottimismo) veniva fatto aleggiare
minaccioso agli albori di queste giornate, turbando il sonno
di molti.
La riproposizione di uno scenario anche solo lontanamente riconducibile
a quelle memorabili giornate preoccupava fortemente la volonta'
di riscatto tutta elettorale del centro-sinistra e di un ceto
politico di movimento sempre piu' coincidenti sulla scheda di
voto.
Da subito, di questa giornata, la burocrazia del movimento
si e' penata di intralciarne l'organizzazione, sminuirne l'importanza
e sabotarne estensione e forza.
Fin dai presidi e "blocchi" della mattinata emergeva nitido
quale avrebbe dovuto essere il livello di radicalita' che il
movimento era tenuto a rispettare, quali i limiti invalicabili
della sua protesta: evidente l'assoluta compatibilita' di questo
tipo di azioni, nonostante la buona fede e la genuina voglia
di partecipazione di quanti vi hanno preso parte.
Ancor piu' esplicita la totale disponibilita' istituzionale
a tollerare quel livello di dissenso.
Era chiaro che avremmo potuto trascorrere l'intera giornata
a bloccare il traffico e impedire la circolazione in una Roma
gia' di per se' piegata in quel senso dalla blindatura che altri
avevano deciso.
La compatibilita' come orizzonte unico del movimento si e'
cosi consolidata a tal punto che un semplice slogan sintetizza
il massimo della rottura esprimbile, mettendo insieme tutti,
da un centro-destra assetato di smentite ad un centro-sinistra
timoroso di compromettersi troppo; per arrivare a settori di
movimento che si sentono in obbligo di prendere le distanze.
Dentro questa manifestazione e' mancata la ricerca di dare
una dimensione politica alla scadenza, che trasformasse la mobilitazione
di massa contro la guerra in contrapposizione chiara alla presenza
del torturatore Bush, al ruolo assunto in Iraq dal governo Berlusconi.
Il 4 giugno cadeva in un momento importante, forse cruciale,
per legittimare un nuovo passaggio nelle forme di oppressione,
di occupazione e di dominio sull'Iraq.
Si e' deciso di non porre il problema della rottura nella costruzione
del conflitto, e quindi di non puntare a definire effettive
forme di contropotere come momento fondamentale per cambiare
i rapporti di forza nel sistema sociale e nel quadro internazionale.
Il centrosinistra, la ruota di scorta Bertinotti, la burocrazia
del movimento e gli aspiranti carrieristi politici hanno i loro
interessi da difendere: quelli che nascono nella cabina elettorale
e si manifestano nel teatrino della politica istituzionale.
Nulla deve turbare questo tran-tran. Non la rottura, non la
trasformazione, interessa a costoro. Cio' per cui essi lavorano
e' il semplice riequilibrio sistemico del dominio capitalista
e imperialista.
Un momento diverso rispetto a queste logiche e' stato il tentativo
di raggiungere l'ambasciata Usa presso la Santa Sede collocata
sulla collina adiacente al circo Massimo.
Si e' trattato di un indicazione concreta che tuttavia aveva
un preciso senso politico di alterita' alle logiche istituzionali
e legalitariste delle nomenklature politiche del movimento.
Pur avendo espresso dei limiti nella sua praticabilita' ha
rappresentato una voce discordante dal coro che sottolinea i
limiti politici espressi dal movimento e richiede di aprire
una battaglia, di non breve durata, per invertire una tendenza
che appare oggi maggioritaria e che fattivamente disarma le
potenzialita' politiche del movimento e lo conduce all'esaurimento.
La ricerca di una nuova concertazione che coinvolge e condiziona
sempre piu' lo sviluppo di numerose lotte sociali rischia di
produrre dei risultati nefasti sia sulle realta' sociali interne
al nostro paese sia nel quadro internazionale.
Questo sottende una profonda incomprensione sull'effettivo
futuro che a breve si prospetta.
Non e' certo con una risoluzione dell'Onu o con una dichiarazione
formale che prima o poi si dara' legittimita' a un governo autonomo
iracheno in grado di disinnescare la polveriera incendiata nel
Medio Oriente dagli interventi americani e israeliani.
La situazione internazionale non puo' comunque essere pacificata
nel breve periodo e sicuramente un'eventuale rielezione di Bush
provochera' una estensione della presenza armata e nuove forme
di resistenza e di guerra che dilagheranno anche in Europa e
nei nostri territori.
Solo stando dalla parte del conflitto e reinventandosi nella
pratica dello scontro - come gia' avvenne da Seattle a Genova
- il movimento potra' delinearsi come alternativa reale alle
barbarie del capitalismo per essere all'altezza del nuovo che
il domani ci riserva.
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