quel treno del movimento
che svuota la piazza
La giornata del 9 Giugno ha saputo tracciare, passando per le strade di
Roma, la capacità dei movimenti di agire in completa autonomia, lontani e
contro la politica istituzionale di chi oggi con un piede vorrebbe alzarsi
a rappresentanza politica dei movimenti e con l'altro rifinanziare le
missioni militari, costruire nuove basi americane a Vicenza, calpestare il
diritto all'autodifesa dei territori da parte di chi ci vive in Val di
Susa, imporre una vita di sacrifici e bisogni insoddisfatti a milioni di
precari. Un corteo in cui in oltre 100.000 abbiamo affermato con
eccezionale vitalità l'antagonismo alle politiche guerrafondaie del
criminale bush, e tutta la nostra distanza dalle politiche del governo
prodi (oggi entrambi sempre più minuscoli), in materia estera così come
in politica interna.
Dalle giornate di Rostock al 9 Giugno romano passa la riaffermazione di una
soggettività sociale antagonista capace di conquistarsi passo dopo passo
la possibilità di Muoversi Liberamente, di Manifestare, di Resistere
nonostante la militarizzazione, il controllo, la repressione preventiva che
dalle stazioni di tutta italia alla partenza, fino al tentativo di
bloccarci in stazione Tiburtina al rientro, ci hanno accompagnati per tutto
il giorno.
Abbiamo saputo riempire le stazioni ferroviarie di decine di migliaia di
compagne e compagni determinati ad arrivare a Roma; abbiamo saputo imporre
trattative che, nonostante i numerosi tentativi in corso da oltre una
settimana, erano state fino a quel momento provocatoriamente negate da
Trenitalia. A Bologna, punto di concentramento per numerose città del nord
italia, la partenza è stata garantita, al di fuori di ogni rimpiattino
istituzionale, dalla determinazione con cui già dalle 10.00 del mattino i
compagni e le compagne sono arrivati in stazione, ponendosi fin da subito a
ridosso dei binari, violando il blocco fino a quel momento attuato dalle
decine e decine di agenti di polizia disseminati agli ingressi, negli atri,
sulle banchine di partenza. Un mal riuscito tentativo di "ordine pubblico",
delegato da Trenitalia alle forze dell'ordine, che ha sommato
all'asfissiante controllo della piazza romana la deterrenza numerica
preventiva voluta dal governo.
Qui si è giocata anche la partita fra chi in questa piazza ha letto, e
voluto scrivere da protagonista, una grande giornata di mobilitazione senza
compromessi, e quanti hanno deciso di sottrarsi a questa fondamentale
battaglia... optando per qualche bus a basso costo, per una giornata a
basso profilo. Questa scommessa l'hanno vinta tutti coloro che hanno scelto
di respingere con la propria presenza la decentralizzazione del controllo
puntando verso una partecipazione di massa al corteo romano, occupando le
stazioni, forzando le trattative, conquistandosi la libertà di muoversi e
di manifestare.
Qualcuno aveva fatto appello alla necessità di riunire in un unico momento
di piazza il movimento contro le guerre, unilaterali o multilaterali che
fossero. Ebbene, questo è avvenuto. Il movimento era tutto nel corteo di
piazza della Repubblica, lasciando ad una spopolata Piazza del Popolo
l'angusto ruolo di alchemica riconciliazione tra politiche di lotta e di
governo... fallimentare esperimento di rappresentazione di sè come
qualcosa di più che non dirigenze e funzionari di partito, dimostratisi
quanto mai lontani dalle aspettative e dall'immaginario degli oltre 100.000
che hanno manifestato per le vie di Roma.
E' questo lo spazio dei movimenti segnato dal corteo del 9 Giungo, uno
spazio quantitativamente e qualitativamente significativo marcato dalla
crisi di rappresentanza di quei partiti che avevano tentato di attraversare
negli anni passati il composito movimento contro la guerra e che oggi
rimane terreno esclusivo dell'antagonismo e dell'inconciliabilità con le
istituzioni. Chi aveva ad oggi seguito l'impraticabile via della
pacificazione e della permeabilità con un presunto "governo amico", il 9
Giugno ha operato invece una scelta di parte quanto mai esplicativa, in un
corteo su questo coeso e determinato, che ha anche saputo osare la
forzatura del rigido controllo poliziesco impostogli. Chi sulle testate
giornalistiche o nelle conferenze stampa ha parlato, in merito al defluire
del corteo in Piazza Navona e al tentativo di superare gli sbarramenti di
Corso Vittorio, della folle azione di qualche isolato "facinoroso" non
c'era, non ha visto, non ha voluto vedere. Alle cariche della polizia,
susseguitesi fino ad invadere Piazza Navona stessa di gas lacrimogeni e a
circondarla, il corteo ha risposto unitariamente resistendo, senza
disperdersi, ma anzi riprendendo il suo cammino fino ad arrivare alla
stazione Tiburtina, teatro dell'ennesima provocazione poliziesca e di
Trenitalia.
Ad onor di cronaca, in stazione Tiburtina ad attendere i manifestanti una
sbarramento imponente di forze dell'ordine, tra polizia e guardia di
finanza, che si dividevano il compito di sbarrare gli ingressi della
stazione completamente militarizzata, impedendo di fatto ai manifestatnti
di andare a prendere quei treni per il rientro che già in mattinata si era
riuscito ad ottenere. Per due ore si è aperta una trattativa tra i
compagni e i rappresentanti di questura e trenitalia, i quali hanno
trascinato la stessa per ore con il chiaro intento di alzare la tensione
tra le centinaia di manifestanti guardati a vista dagli agenti in assetto
antisommossa. Parallelamente alla stazione termini si assisteva ad una
situazione simile di militarizzazione e forze dell'ordine che impedivano a
gruppi di manifestanti di accedere ai binari.
Era chiaro a tutti e tutte che la nostra libertà di manifestare non è
solo quella di non accetare zone rosse, città militarizzate o divieti di
ogni sorta, ma anche quella di poterci spostare e muovere liberamente senza
restrizioni economiche impossibili da sostenere per tutti i precari e
precarie, che sabato erano a Roma ad opporsi alla visita sgradita di Bush.
Al ricatto fasullo di trenitalia, verso prefettura e questura, la quale
paventando buchi di bilancio dichiarava di non poter far viaggiare senza
pagare i manifestanti, la piazza non è stata più disposta ad accettare
ricatti di sorta sollevandosi convinta e determinata a prendersi quei
treni: compagni incordonati, bandiere che sventolavano, cori e slogan hanno
avuto come risposta cariche della polizia. La piazza ha saputo rispondere
determinata con barricate su tutti i lati del piazzale della tiburtina
presidiato dagli agenti, rimanendo compatti di fronte ai lacrimogeni e ai
manganelli. Dopo un'ora la situazione si sblocca per ordine del prefetto
che intima a trenitalia, per gravi motivi di ordine pubblico, di mettere a
disposizione i treni per riportare i manifestanti a casa: sono due i treni,
uno per torino-milano, l'altro per bologna-padova-venezia.
L'essere riusciti a conquistarsi sia alla mattina, che a tiburtina i treni
per il "No Bush", è stato un passaggio determinante e decisivo da parte di
tutto il movimento, che in caso contrario avrebbe aperto un precedente
pericoloso e ingombrante per quanto riguarda la libertà di movimento e di
manifestare per tutti e tutte.
A maggior ragione nel momento in cui è stata la piazza nella sua interezza
a sbloccare la situazione, riportando la trattativa su un piano più
contingentemente nostro, superando la relativa disattenzione e la scarsa
partecipazione del movimento romano rispetto a quanto in quelle ore si
stava svolgendo in stazione Tiburtina, nonostante l'estraneità di quasi
tutti i presenti al territorio romano e nonostante la vile, seppur
estemporanea, aggressione di stampo fascista che ha provocato il ferimento
di un compagno a seguito del lancio di segnaletica stradale dalla
sopraelevata che fiancheggia la stazione.
Rimane dunque, a bilancio della giornata, la capacità del movimento di
porsi al fianco di quanti nel mondo si frappongono e si oppongono al regime
di guerra permanente. E di farlo autonomamente rispetto alle ambigue
posizioni espresse da un ceto politico difficilmente interprete delle
volontà, delle tendenze e del potenziale espresso da questa piazza fatta
di studenti, migranti, precari, comitati di lotta territoriali, espressione
dei soggetti sociali reali che non si sentono più rappresentati e
rappresentabili da nessuna delle 'sinistre' al governo, e neanche dagli
equilibrismi altermondialisti e buonisti di chi vuole riesumare i fantasmi
di Porto Alegre. La crisi della politica si è quindi materializzata per le
strade di Roma, oltrechè nella diserzione dai seggi elettorali la domenica
successiva. E' un vuoto che si è tradotto in partecipazione e
consapevolezza nella lotta: incontrare, costruire e organizzare una
resistenza comune fra tali soggetti è l'unico modo per riempire ed
allargare questo vuoto, per tradurlo nella determinazione di una forza che
inverta i processi di devastazione sociale cui questo paese è sottoposto
senza soluzione di continuità da più di un decennio.
Infine tutta la nostra solidarietà va a chi per la giornata del 9 giugno
è stato arrestato o incorrerà in procedimenti penali. La solidarietà è
la nostra migliore arma e non possiamo far finta di dimenticarcela...
Laboratorio Occupato CRASH!
C.ollettivo U.niversitario A.utonomo
NO BUSH NO WAR DAY - LA GIORNATA (cronaca, audio e foto) |