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con l'Irak che resiste
per la resistenza sociale

Il prossimo 20 Marzo il movimento contro la guerra sara' chiamato ancora una volta a scendere in piazza per ribadire il suo "NO" alla guerra e chiedere il ritiro immediato delle truppe di occupazione dal suolo iracheno. La chiarezza di quella che dovrebbe essere una parola d'ordine comune a tutto il movimento ha iniziato per negli ultimi tempi a sfumare in mille distinguo, molte indecisioni e qualche ritrattazione. Alcune sue componenti hanno imposto numerosi "arricchimenti". Ultimamente hanno addirittura contestato il timido riconoscimento al popolo iracheno di resistere.

QUALE MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA?

Un movimento che numericamente aveva ben saputo dispiegarsi in forme di massa nel momento precedente l'attacco e che saldamente aveva mantenuto la sua opposizione a conflitto iniziato, non e' stato in grado di proseguire il proprio compito dal momento in cui, lo scorso primo maggio, Bush jr ha posto la parola "fine" alla propria campagna di conquista. Parliamo di conquista e non di guerra, poiche' non e' certo quest'ultima ad essere "finita" il primo maggio, essendo forse anzi - come molti sostengono - iniziata solo allora.
Se questa presunta "fine" ha zittito il movimento, l'attacco alla caserma di Nassirya ne ha portato la capacita' di risposta politica al suo punto piu' basso. Come gia' era accaduto a seguito degli eventi dell'undici settembre, quella che era una forte istanza critica e demolitrice delle certezze ideologiche del neo-liberismo, arretrava su posizioni di difesa. Un movimento d'opinione che aveva saputo porre all'attenzione dell'opinione pubblica globale le nefandezze del capitalismo, accettava cosi' ingenuamente di giocare la partita secondo le regole del nemico, di passare quindi dal ruolo di accusatore a quello di accusato. La "seconda potenza mondiale", come qualcuno aveva precipitosamente definito il movimento contro la guerra, si faceva all'improvviso piccola.
Cosa e' successo? E' successo che ancora una volta si e' consegnato lo scettro del discorso al nemico, concedendogli il privilegio di decidere sul giusto e sullo sbagliato, di assegnare nomi e definizioni a percorsi che ci appartengono, autorizzandolo cosi' a giudicare, normare, definire le "regole del gioco" della contrapposizione politica. E' questo, ci sembra, il limite del pacifismo assoluto, sistema di valori eretto a ideologia totalizzante, oltre le particolarita' storiche, nel cielo della morale. Per questo e' oggi fondamentale rivendicare ancora piu' chiaramente la nostra posizione in merito alla situazione in Irak, per questo e' ancora piu' urgente prendere una posizione esplicita in merito alla resistenza del suo popolo.

LEGITTIMITA' DELLA RESISTENZA IRACHENA

L'attuale fase della guerra permanente scatenata dal Capitale in tutto il globo, sta trovando nella resistenza dispiegata dal popolo iracheno un nuovo ostacolo alla realizzazione dei progetti imperialistici nell'area. Una resistenza che nelle sue palesi caratteristiche anticoloniali si determina come passaggio fondamentale all'interno del processo di autodeterminazione del paese occupato. In questo pienamente legittima: riafferma il diritto dei popoli a ribellarsi contro l'oppressore e all'autodeterminazione. Il progetto occidentale di fare dell'Irak un nuovo stato vicario dei paesi imperialisti, deve aspettare e fare i conti con una resistenza popolare determinata. Mentre in Europa il movimento, dopo la grande ondata "no war", contestazione di massa e globale ai piani usa, annaspava tra mille distinguo, e un parte di esso faceva il verso alle potenze europee rimaste fuori dalla prima fase delle guerra, in Irak la popolazione locale chiariva espressamente alla comunita' internazionale di voler decidere del proprio futuro autonomamente. D'altronde cosa dovrebbero pensare migliaia di iracheni di un'istituzione internazionale, come quella dell'Onu, mandante ufficiale della prima guerra del Golfo, e principale responsabile di quell'odioso embargo costato milioni di morti, miseria e dolore per la popolazione civile? O ancora di paesi come la Francia e la Germania protagonisti della prima guerra e gia' schierati in prima fila con le proprie aziende per la ricostruzione del paese?
Le diverse fasi della guerra in irak, invasione parziale, sanzioni, zone di interdizione aerea e invasione su vasta scala sono state tutte, tranne l'ultima, avallate dalla comunita' internazionale e nominate ingerenza umanitarie. E' ormai del tutto evidente che non c'e' mai stata alcuna motivazione umanitaria dietro la politica occidentale nel Golfo avallata dalle risoluzioni Onu. Sulle terre irakene si e' giocata una delle piu' sanguinose guerre inter-imperialistiche volte a proteggere gli interessi nazionali dei singoli paesi occidentali in quell'area. Il governo di Saddam mostrava fin dalla fine degli anni '80 una forte propensione all'indipendenza, in materia di gestione delle risorse petrolifere, mettendo a repentaglio l'accesso degli Usa, della Gran Bretagna e in generale delle potenze occidentali, al petrolio del Golfo. Ora in Iraq i rubinetti del petrolio sono gestiti direttamente dall'esercito di occupazione, dalle tute blu degli operai iracheni alla divisa militare di carabinieri e marines, le risorse petrolifere del Medio Oriente sono ormai quasi tutte nelle mani degli USA e dei suoi soci. Il neocolonialismo ha perso la maschera con cui la propaganda occidentale aveva accuratamente rivestito massacri e genocidi, rivelando nelle operazioni belliche e di occupazione in Iraq l'esordio di un nuovo e inedito continuum storico dell'imperialismo occidentale: controllare, rimodellare e ristrutturare il Medio Oriente in conformita', questa volta, al nuovo piano americano di sicurezza nazionale e di ordine mondiale, ossessionato dal problema dell'energia. E' su questo punto che si incunea il presupposto pacifismo di alcuni stati membri del consiglio di sicurezza su cui certe anime belle della sinistra istituzionale e sindacale fanno ora riferimento: Francia, Germania e Russia, Cina e India altro che pacifisti, nel secondo atto della guerra del Golfo vedevano l'attacco all'ultima possibilita' per cui il petrolio fosse valutato in Euro come Saddam aveva gia' fatto nel 2000. Bush e soci occupando militarmente i territori e gestendo manu militari i rubinetti petroliferi hanno tolto dal campo qualsiasi imperialistica speranza all'immissione di petrol-euro nel mercato. All'interno di questa strategia di dominio Israele gioca un ruolo fondamentale: come forza vicaria in loco adesso prepara una nuova campagna di pulizia etnica, di cui la creazione del muro e' solo il primo atto, con l'obiettivo di spingere i palestinesi in Giordania ampliando lo stato israeliano in tutti i territori della Palestina. Con le truppe Usa, inglesi e italiane ai confini iracheni il Medio Oriente si sta preparando a vivere un nuovo capitolo del colonialismo occidentale.
La resistenza popolare agita dagli iracheni si configura quindi come concreta opposizione al dispiegamento dei progetti imperialistici in quel territorio. Se questa esperienza resistenziale sapra' superare i limiti e le contraddizioni interne allo sviluppo politico di nuovi e vecchi nazionalismi o fondamentalismi religiosi si collochera' esplicitamente al fianco del proletariato, dei migranti, e di tutti i popoli sfruttati e oppressi nel mondo dall'Afghanistan alla Colombia, dando alla resistenza globale nuovo impulso e maggiore incisivita'.
In questo senso riteniamo fondamentale sottolineare in questa resistenza il principale elemento che ha, di fatto, bloccato il progetto di comando globale messo in essere dall'apparato economico-militare dell'amministrazione statunitense. Se di fatto gli attacchi preventivi agli stati canaglia si sono bloccati, e l'ipotesi di guerra globale e permanente si e' polverizzata, dobbiamo dire senza se e senza ma che tutto cio' e' merito della resistenza del popolo iracheno.

GUERRA PERMANENTE E RESISTENZA GLOBALE

Il Capitale globale ha tentato di giustificare il nuovo stato di guerra permanente aggrappandosi alle finestre delle Twin Tower, facendo dell'11 settembre la data simbolo per giustificare di fronte al mondo le produzioni di morte e miseria, e le devastazioni ambientali con cui sta tentando di superare la crisi scatenata dalle sue stesse interne contraddizioni. Avviene cosi' che qualsiasi forma di conflitto e insubordinazione sociale venga racchiusa nella parola "terrorismo", catturando in un apparato di controllo e repressione preventiva tutti quei soggetti sociali e politici che si oppongono al nuovo ordine mondiale. Il corpo giuridico borghese sta subendo nei paesi occidentali una concreta torsione in senso autoritario, in risposta al livello antagonistico espresso dalla costituzione materiale, le elite capitalistiche stanno attuando una rivoluzione dall'alto facendo piazza pulita dei diritti sociali, istituendo carceri e deportazioni per la forza lavoro migrante, utilizzando i tribunali come luogo di annientamento dell' opposizione sociale (il processo di Genova, Cosenza, ecc). Eppure questo non basta a riportare il gelo della passivita', del silenzio e dell'asservimento nel mondo. Tutto l'armamentario del Capitale in guerra permanente non basta a domare la massa di migranti, precari, operai e popoli oppressi. Una resistenza duratura dispiegata da quel mondo gia' in rivolta che da anni continua a bloccare il sogno capitalistico della fine della storia nell'orizzonte del mercato mondiale. In Italia la guerra permanente fa sentire il suo peso anche in termini di spese militari, negli USA, come in Europa la spesa sociale e' stata progressivamente ridotta allo zero incrementando le spese militari. Ministero delle finanze in combutta con le banche armate hanno dato il via ad una vera e propria economia di guerra, dove a subirne gli effetti siamo sempre noi, tagli alla sanita' e all'istruzione e nuove divise e lustrini per i carabinieri operanti a Nassirya. Il delirio sicuritario, fomentato da media e politici, ha fatto si che l'utilizzo di nuovi strumenti e tecnologie repressive e utili al controllo sociale militarizzassero le nostre metropoli. Seguendo il modello Gaza e Guantanamo vogliono trasformare le nostre citta' in carceri-serbatoi di forza-lavoro.

SENZA SE E SENZA ONU
RESISTENZA DURATURA CONTRO LA GUERRA PERMANENTE

Il 20 marzo oltre a rivendicare la piena legittimita' della resistenza irakena attraverseremo le strade di Roma con questi contenuti, convinti che oggi piu' che mai sia necessario saper coniugare all'opposizione contro la guerra tutte quelle lotte sociali che dal basso anche in Italia stanno rovinando i piani del capitalismo locale in guerra permanente. Aldila' e fuori la concertazione facciamo della comunicazione, delle pratiche e dell'immaginario antagonista la risposta sociale al regime di miseria e sottrazione che la guerra infinita sta producendo nei nostri territori.

 

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