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dai territori liberati di venaus verso nuove battaglie, preparando vicenza

I compagni e le compagne dell'area antagonista, presenti all'8° campeggio No Tav e riuniti in assemblea, propongono una riflessione e lanciano un messaggio sui nodi cruciali dell'autonomia dei movimenti e la costruzione di conflitto. Ri-partendo dal No Tav e dalle indicazioni che ci ha saputo fornire.

Questo movimento attraversa oggi una nuova fase ma, diversamente dai resoconti mediatici, non si tratta né di divisione né di debolezza. La polarizzazione e il diverso posizionamento, rispettivamente dei comitati e delle amministrazioni comunali, all' "offerta di dialogo" governativa non sono sintomo di una spaccatura all'interno del fronte ma il risultato di un processo sempre aperto di confronto e chiarificazione. In questi mesi i comitati hanno approfondito il proprio ruolo propositivo e di direzione all'interno del movimento, sviluppando in numero e qualità la propria capacità mobilitativa. La differenza da cogliere, all'interno di un No Tav sempre e comunque riaffermato, è molto semplicemente tra 2 modi differenti di affrontare la sfida consegnataci, specchio in piccolo di una più generale differenza nel fare politica: da un lato ritiro della delega e assunzione di responsabilità, dall'altro riproposizione di tavoli "di confronto". Il primo sedimenta incompatibilità con la politica della rappresentanza; il secondo pretende di addomesticare la ricchezza del movimento alle consuetudini concertative. Nel radicalizzarsi delle posizioni, il movimento afferma la propria autonomia.
Su questo orizzonte il No Tav investe e agisce la crisi della rappresentanza.

Il sistema dei partiti vive oggi una verticale perdita di legittimità nell'intero corpo sociale. La politica istituzionale si riduce sempre più ad un puro ruolo di amministrazione e gestione dell'esistente, dove sempre più scoperta è la difficoltà di adempiere a questo compito, in un divario sempre più allargato tra i bisogni dei molti e gli interessi dei pochi. Una sola progettualità, un solo obiettivo informa questo agire: riprodurre e garantire l'esistenza di un ceto politico, sempre uguale a se stesso, navigato nel recuperare i conflitti e l'incompatibilità delle eccedenze sociali.
Nel solco apertosi tra la Liberazione di Venaus e la fondazione del presidio di Vicenza, si dà la possibilità di una ripresa forte dei movimenti sociali. Ma la crisi della rappresentanza non investe soltanto la politica del Palazzo. Ad un livello molto più profondo essa attraversa e stravolge anche il personale politico del movimento.
A partire da Genova 2001 le potenzialità conflittuali, insite nell'affermarsi sulla scena pubblica di una nuova generazione politica, sono state compresse e de-potenziate dall'incrostazione, in seno al movimento, di un ceto politico preoccupato più di garantirsi un domani lavorativo in rappresentanza di esso che di svilupparne le dinamiche di rottura.
Un movimento come il No Tav, pur partendo da posizioni ben più moderate, ha spazzato via nella pratica le strettoie di un dibattito sterile durato anche troppo a lungo. Alla contrapposizione manichea tra violenza e non-violenza ha sostituito la ben più concreta opposizione tra legittimità dei movimenti costituenti e legalità dell'ordine costituito.

Ri-partire dal No Tav, preparare Vicenza, significa oggi porsi il problema della metropoli e dell'intervento che vi vogliamo costruire. L'attuale ciclo dei movimenti presenta una fase inedita di accerchiamento della metropoli mentre è proprio nel cuore delle città, dentro il tessuto metropolitano, oggi tanto ricco di contraddizioni quanto avaro di proposte riproducibili, che dobbiamo ripartire a sedimentare pratiche e immaginari di conflitto, esplicitare proposte di rottura e tentativi di ricomposizione. In troppe delle nostre città la disgregazione e l'atomizzazione del corpo sociale trova conferma speculare nella frammentazione delle situazioni e degli aggregati militanti. Ridare centralità e fiato ai centri sociali significa allora tornare ad essere modello effettivo di alterità e contrapposizione, avanguardia linguistica e tecnologica, centri di contro-produzione mediatica e segnica, embrioni urbani di quella ingovernabilità dei territori esplosa in Val Susa e a Serre, nelle proteste popolari contro i rifiuti e nei primi passi del movimento contro il Dal Molin.

L'amministrazione della metropoli e la garanzia di funzionamento dell'intera macchina produttiva e riproduttiva continuano a essere le preoccupazione di fondo della politica delle istituzioni. Far saltare l'equilibrio, praticare la rottura, costruire forme di contro-cooperazione devono tornare ad essere gli obiettivi-guida delle realtà dell'antagonismo sociale. Dentro questo orizzonte, il nodo scoperto continua ad essere quello della soggettività politica e militante da costruire, contro il professionismo della politica e le retoriche dello spontaneismo. Solo dove esistono strutture il progetto diventa possibile.
I terreni su cui rilanciare l'iniziativa continuano ad essere davanti ai nostri occhi ordinati secondo la duplice logica di guerra e precarizzazione sociale, mentre squadracce sparse si danno il compito di rispondere, da destra, agli effetti collaterali della globalizzazione capitalista. In questi ambiti è la nostra voce ed il nostro intervento che devono costituire punto di riferimento e autorganizzazione.

Tendenze positive e segnali incoraggianti sono accorsi negli ultimi mesi. Si sono moltiplicati gli appuntamenti organizzati e preparati dal movimento e per il movimento, in totale autonomia da partiti e apparati; la giornata del 9 giugno in particolare ha segnato un punto di non-ritorno nel rapporto (troppo a lungo ambiguo) tra movimento e ceto politico istituzionale: da una parte decine di migliaia di donne e uomini coscienti della posta in gioco e coerenti con un opposizione "senza se e senza ma" alle politiche di guerra, dall'altra il misero fallimento della sinistra burocrazia di piazza del Popolo.
L'autunno che si prepara potrebbe essere molto caldo. Un governo sempre più in bilico e tenuto insieme con la colla si appresta a giocarsi tutto sulla partita delle pensioni, grimaldello su cui sembra girare la passabilità di buona parte della sua politica economica. Segnali di nervosismo e contro-tendenza iniziano a darsi nella base elettorale e sindacale di molta sinistra istituzionale. La lobby delle grande opere tornerà certo all'attacco ma già sappiamo che in Val Susa, e speriamo in altri territori, si preparano le barricate.

Come realtà dell'area antagonista siamo però consapevoli che - su tutte - sarà cruciale la battaglia di Vicenza. Sulla capacità di risposta che i movimenti sapranno costruire, si definirà la legittimità retroattiva di molte battaglie condotte in questi anni e l'apertura di possibilità su molte altre a venire. La questione che si gioca intorno al Dal Molin dà ragione al percorso pluriennale che tra mille fatiche ha cercato di tenere insieme il globale ed il locale, la difesa dei territori e l'opposizione alla guerra infinita.
Vincere a Vicenza vorrà dire realizzare Genova e aprire 1000 Venaus. Per questo facciamo appello alle strutture di movimento e alle soggettività sparse a concentrare le energie e preparare le risposta: città per città, territorio per territorio, è a Vicenza che oggi dobbiamo vincere.

 

Le realtà di area antagonista presenti all'8° campeggio No Tav
riunite in assemblea

Venaus _ Libera Repubblica _ 27 luglio 2007

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