SECONDO DOSSIER CHIAPAS

 

 

 

Inchiesta sulla situazione dei diritti umani 15-25 Novembre 1999

 

 

 

 

Documenti e testimonianze raccolte dalla Commissione Civile Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani

(CCIODH)

 

 

 

 

a cura del Consolato Ribelle del Messico - Via Luzzago 2/b 25126 Brescia

telefono 03040181

 

1. Introduzione

 

Questo documento, è un dossier che raccoglie le impressioni della Commissione Civile Internazionale di Osservazione per i Diritti Umani (d’ora in avanti CCIODH) ottenute dalle richieste, denunce e aspirazioni che ci hanno fatto pervenire le comunità visitate, insieme alle opinioni raccolte nelle interviste sostenute con differenti interlocutori, durante la seconda visita d’osservazione che la CCIODH ha realizzato in Messico tra il 15 e il 25 novembre 1999.

Questa seconda visita è stata motivata dalla volontà di comprovare sul campo se, trascorso un anno e mezzo dal primo dossier, si sono prodotti cambiamenti nella situazione dei diritti umani in Chiapas e nel senso degli stessi. D‘altra parte, si tratta anche di una manifestazione dell‘impegno e delle responsabilità assunte da questa Commissione per quanto riguarda la continuazione e il monitoraggio delle raccomandazioni espresse a seguito della prima visita.

Per la realizzazione del compito di osservazione, la CCIODH ha potuto contare, questa volta, su 41 persone di 10 differenti paesi, provenienti, seguendo la filosofia che ha accompagnato la sua creazione, da un’ampia gamma di settori della società civile: movimenti sociali, università, chiese, partiti politici, ONG, sindacati, giornalisti, intellettuali e studenti. È convinzione condivisa da tutti i suoi membri che la difesa e la promozione dei diritti umani, così come dei diritti collettivi dei popoli e delle minoranze etniche, sono principi base dell’umanità per il conseguimento di una vita dignitosa e giusta per tutte le persone e per tutti i popoli.

A differenza della prima visita della Commissione, in cui tutti i suoi componenti avevano potuto usufruire del visto FM3 (concesso dalle autorità migratorie che riconoscono il lavoro di osservatore internazionale), in questa seconda visita della Commissione sono stati concessi solo 11 visti. Questa circostanza ha provocato che non si abbia potuto godere delle garanzie amministrative necessarie per il normale svolgimento del lavoro della Commissione, così come per il libero transito sul territorio messicano. In questo senso, bisogna precisare che, nei posti di controllo della polizia migratoria e nei posti di blocco militari dai quali la commissione è passata, siamo stati oggetto di costanti e ripetuti controlli della documentazione, così come dei bagagli dei suoi componenti, oltre il fatto che, la maggioranza di questi, è stata filmata e fotografata. Egualmente, nelle interviste sostenute con i rappresentanti delle strutture governative sono stati accettati come interlocutori solo quei membri in possesso del visto FM3.

 

2. Riassunto delle attività

 

 

 

Nei dieci giorni di lavoro di questa seconda visita della Commissione, che sono quelli permessi dalla normativa, abbiamo realizzato tre tipi d’attività.

Da una parte, abbiamo sostenuto delle interviste con rappresentanti d’istituzioni ufficiali che hanno competenze all’interno del conflitto chiapaneco; dall’altra, con rappresentanti di organizzazioni e collettivi della società civile messicana.

Infine, abbiamo realizzato un ampio itinerario che ha toccato diverse comunità indigene, dove ci siamo incontrati con le loro autorità e abitanti.

Quest’itinerario ha incluso la maggior parte delle zone di conflitto: las Cañadas, la Zona Norte, Los Altos e la Selva, i cinque Aguascalientes, così come i prigionieri politici dei CERESO di Yajalón e Cerro Hueco, quindi, in linea di massima, abbiamo ripetuto le visite dell’anno precedente.

A queste visite va aggiunta l’osservazione realizzata nelle comunità che sono state lo scenario di conflitti durante tutto quest’anno, com’è il caso di Amador Hernández, Taniperla, La Trinidad o San Juan de la Libertad.

Nella gran parte dei casi, ci siamo incontrati con le autorità comunitarie di opposizione, i Consigli Autonomi e il Comando Generale dell’EZLN. Nello stato del Chiapas, abbiamo avuto incontri con le organizzazioni della società civile: Ong, organismi dei Diritti Umani, movimenti sociali e rappresentanti delle comunità; inoltre con la Croce Rossa Internazionale, il PRD e con l’équipe del governatore Albores Guillén.

Allo stesso modo, a Città del Messico abbiamo intervistato organizzazioni della società civile: Ong, organismi dei Diritti Umani e movimenti civili, sociali e studenteschi; inoltre la Croce Rossa Messicana, membri della COSEVER, Samuel Ruiz; a livello istituzionale, ci siamo incontrati con i membri della COCOPA, "Instituto Nacional de Migración", la Commissione dei Diritti Umani del Congresso dell’Unione, il Coordinatore del Governo per il Dialogo in Chiapas e la Commissione Nazionale dei Diritti Umani.

Ci rammarichiamo profondamente della mancanza di risposta alle richieste d’intervista che, per iscritto, abbiamo trasmesso alla Presidenza della Repubblica, al Ministero degli Interni (SEGOB), alla Procura Generale della Repubblica, alla Presidenza della Commissione dei Diritti Umani del Senato della Repubblica e alle autorità militari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Interviste

3. A. Interviste con rappresentanti istituzionali

Per una miglior comprensione del contenuto delle interviste effettuate con realtà istituzionali, crediamo sia utile precisare prima una serie di questioni. In primo luogo, si deve richiamare l’attenzione sulla congiuntura in cui la Commissione ha realizzato la sua visita. Essendo effettuata nel novembre del 1999, sia il governo messicano, sia il partito al potere (PRI) e l’insieme delle forze politiche con presenza istituzionale, in un modo o nell’altro, si trovano nel pieno del processo che porterà alle elezioni presidenziali, che avranno luogo nel luglio del 2000. È anche il momento in cui l’Unione Europea e il Messico, stanno compiendo gli ultimi passi per la definitiva ratifica dell’Accordo globale di cooperazione. Infine, la nostra visita è avvenuta pochi giorni prima della visita dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, signora Mary Robinson.

1. Intervista con la Comisión de Concordia y Pacificación (COCOPA)

Carlos Payán (PRD): Noi riteniamo che c’è un elemento che impedisce al processo di pace di avanzare è l’interruzione del dialogo, dovuto alla mancata attuazione da parte del governo degli Accordi di San Andrés e, al rifiuto dell’EZLN di tornare a trattare con un governo che non ha mantenuto la parola data. D’altra parte gli zapatisti, in un accordo precedente, avevano adottato il principio secondo cui nessuno avrebbe interrotto il dialogo per nessuna ragione e poi loro lo hanno interrotto. Allora ci sono qui due violazioni rispetto al dialogo. Le attività della COCOPA si sono viste così ridotte al minimo. Consideriamo di estrema importanza come si sono perseguiti delitti come quello di Acteal ed El Bosque, dove le responsabilità delle autorità a più alto livello non sono state sottoposte a giudizio. Il governo, si mette in contatto con la COCOPA e procede alla liberazione di prigionieri, di cui noi vorremmo sapere di quali reati si accusano.

Vorremmo saperne di più sul ruolo della COCOPA in questo momento. Che effetti ha provocato lo scioglimento della CONAI nello scenario attuale? Che cosa pensate della lettera proposta da Diódoro Carrasco? Come valutate la militarizzazione in Chiapas e la situazione della paramilitarizzazione? Credete davvero che l’esercito svolge la funzione di pacificatore, di assicurare i servizi sociali, contribuendo quindi alla soluzione del problema? Come vedete il ruolo dell’osservazione internazionale in Chiapas? Qual è la vostra opinione sul programma di pianificazione Progresa? Ed infine, la COCOPA tiene in considerazione i risultati della Consultazione del 21 marzo?

Membro della COCOPA: Non c’è una posizione unica della COCOPA rispetto a queste questioni. Le opinioni variano secondo le posizioni politiche di ognuno di noi. Pertanto le informazioni che vi daremo sono quelle dei singoli membri e non della COCOPA nel suo complesso.

Carlos Payán (PRD): Il problema della paramilitarizzazione è la sua crescita. In Chiapas i gruppi paramilitari sono protetti e finanziati per occuparsi dei lavori più sporchi. Sono già state fatte denuncie al ministero degli Interni perché sia impedita ogni loro attività. Riguardo al ritiro dell’esercito federale, non ci sono possibilità fino a quando l’EZLN non ritiri la sua dichiarazione di guerra. Quello che si è chiesto è un riposizionamento perché lo schieramento utilizzato è eccessivo. Ma poiché una delle parti non dialoga è difficile percorrere questa strada. D’altro lato è importante chiarire alcuni concetti: la guerra; non c’è guerra, non c’è un confronto armato tra le due parti. Questo silenzio da ambedue i lati armati è garantito dalla legge creata dalla COCOPA. C’è un altro tipo di guerra che è quella di bassa intensità, la guerra in cui si creano i paramilitari, in cui si cerca di dividere le comunità. Ci sono le violazioni dei diritti umani, e non mi riferisco solo a quello che è accaduto ad Acteal, ma alla situazione in generale delle comunità indigene, la grave situazione di oblio in cui si trovano queste comunità.

Luis H. Alvárez (PAN): Io ho fatto parte di questa commissione sin dall’inizio. Concordo sulle violazioni dei diritti umani, giacché un ampio settore della popolazione del Chiapas, prevalentemente quello indigeno, patisce la povertà e la miseria. E questo è un dato di fatto. Però gli scontri che accadono in quei luoghi rispondono ad interessi diversi e sono possibili per l’atteggiamento tenuto da entrambe le parti: da un lato il governo che non ha avuto la capacità di imporre un disarmo generale, ma anche la decisione unilaterale dell’EZLN di sospendere il dialogo. E all’assenza del dialogo si deve anche il ruolo limitato che sta svolgendo la COCOPA in questo momento. E per questa stessa ragione la scomparsa della CONAI non ha significato molto. Riguardo alla militarizzazione, concordo sull’impossibilità di un ritiro dell’esercito fino a quando permanga la dichiarazione di guerra dell’EZLN e nelle comunità ci sono diverse opinioni a proposito della permanenza o meno dell’Esercito Federale. Rispetto alla Consultazione, i suoi risultati erano prevedibili.

Benigno Alandro (PAN): Riguardo alla questione degli osservatori internazionali di diritti umani, il fatto di presentarsi con dei visti turistici affermando di essere degli osservatori, per il proprio beneficio di gruppo, ha provocato molti problemi e questo non è accettabile in nessun paese al mondo. Gli osservatori di diritti umani, per noi, sono benvenuti però riguardo alla loro attività, attenzione, perché non hanno imparato a utilizzare il linguaggio che noi stiamo cercando di implementare in questo conflitto. Non c’è guerra nello stato del Chiapas e la nostra commissione ha svolto attività per la pace. Siano benvenuti gli osservatori accreditati, come il fatto che non rendano dichiarazioni che possano danneggiare il paese.

Carlos Payán (PRD): Vorrei chiarire alcune cose: se la Costituzione del mio paese afferma che qualsiasi persona al momento dell’entrata in esso ha diritti concessi dalle leggi, allora tutti i turisti e gli osservatori acquisiscono gli stessi diritti di osservare, dire, e opinare ciò che vogliono.

Il tema degli osservatori è interessante, poiché noi ci consideriamo osservatori dei diritti umani, lo siamo in qualunque angolo del mondo. Le Ong dei nostri paesi non hanno mai affermato che lì si tutelano i diritti al 100%. La legittimità che ci viene dal preoccuparci per i diritti delle minoranze dei nostri paesi, con questa stessa pensiamo che voi, noi e qualunque cittadino democratico del mondo, deve poter entrare ed uscire liberamente. Il visto FM3 è un requisito sufficientemente discusso da Amnesty International e da Global Exchange, e ce lo hanno concesso in modo selettivo. Siamo stati seguiti da macchine senza targa e quando questo succede, evidentemente la politica che si sta seguendo in Messico è abbastanza questionabile ed è molto facile tirare in ballo la questione del nazionalismo, ma pensiamo che la lotta per i diritti umani sia una lotta di tutto il mondo democratico e che sia necessario aprire le porte in qualunque paese.

Membro della COCOPA: Vi risponderò con un detto messicano: "L’asina non era ombrosa, le bastonate l’hanno resa tale". Voi sapete bene che sono arrivati dei turisti che si sono fatti passare per osservatori e che hanno espresso giudizi sulla politica del paese. Questo ha obbligato le autorità migratorie ad esercitare le loro funzioni.

Javier Gil (PRI): Voi siete appena rientrati dal Chiapas, mi piacerebbe conoscere le vostre impressioni e sapere quali violazioni dei diritti umani sono state compiute.

Abbiamo visto che esiste davvero una guerra di bassa intensità in Chiapas e le conseguenze le subiscono soprattutto gli indigeni; abbiamo ricevuto molte lamentele e denunce, di cui la maggior parte per la presenza dell’esercito su terreni comunitari, lo accusano di portare violenza, droga e prostituzione. Le donne e i bambini hanno paura di uscire. È stata inoltre denunciata la presenza di gruppi paramilitari, soprattutto nella regione de Los Altos e nella Zona Norte; denunce sulla violazione del libero transito, sorvoli a bassa quota e inquinamento dei fiumi. Abbiamo visto le comunità di desplazados, Polhó, Acteal, Guadalupe Tepeyac, dove denunciano la perdita delle loro terre. Queste sono le principali denunce. D’altra parte il governo dello Stato non riconosce l’esistenza dell’impunità e dell’ingiustizia. A noi preoccupa che sia un conflitto congelato e che è possibile risolverlo con il dialogo.

Javier Gil (PRI): Chi è contro chi, in questa guerra di bassa intensità e come lo avete costatato?

I principali attori sono l’esercito e i paramilitari contro gli indigeni, con esempi come Acteal ed El Bosque. È una guerra di bassa intensità perché ci sono atti di non guerra ma è in ogni caso una forma di aggressione verso le comunità, ad esempio l’occupazione di terreni, i sorvoli a bassa quota, l’inquinamento, ecc.

Javier Gil (PRI): Quanto voglio dirvi è che lì esiste un conflitto intercomunitario tra coloro che hanno ventilato la soluzione ai loro problemi attraverso la via armata e coloro che non hanno scelto questa via; avete potuto registrare anche questo? C’è molta gente che non ha intrapreso la via armata per la soluzione dei suoi conflitti; avete registrato anche che l’EZLN non ha l’adesione assoluta in tutte le comunità e che c’è un grande dissenso su questa via e che questa gente sta pagando le conseguenze di un conflitto. C’è inoltre gente che esige la presenza dell’esercito affinché non ci siano dispute come quelle di Acteal. La questione è se ci sia o no la capacità di analizzare la problematica con obiettività e trarne un giudizio imparziale. Voi registrate la guerra ma non registrate il grande sforzo di questo paese affinché non ci sia guerra: la cosa più importante è che lì non ci sono combattimenti, nonostante esista una dichiarazione di guerra e nonostante esista un gruppo di messicani che imbracciano il fucile, ed è preservato il diritto alla vita; questo paese è da oltre cinque anni che cerca di risolvere il conflitto in pace ed esiste una legge che esige che questo si risolva per la via del negoziato. Nonostante che la controparte del potere esecutivo non si presenta al tavolo da tre anni, non sono eseguite denunce giudiziarie contro queste persone. A pagarne le conseguenze sono le centinaia e migliaia di bambini che non possono avere una risposta alle loro molteplici necessità. Noi l’anno scorso siamo andati dalla dirigenza zapatista e abbiamo detto loro: "Lavoriamo ad un’agenda di lavoro per arrivare ad una soluzione pacifica del conflitto", ma fino ad oggi non ci hanno risposto.

L’EZLN non ha dato risposta all’ultima proposta emessa dal ministero degli interni, nonostante abbia già pubblicato diversi comunicati. Noi ci chiediamo se davvero l’EZLN vuole risolvere la questione. Per favore registrate che gli sforzi sono per la pace e non per la guerra. L’esercito è lì perché nonostante una dichiarazione di guerra non ci sia la guerra, e do responsabilità l’EZLN per non aver fatto nulla per continuare i negoziati. In tutti gli Stati del paese ci sono indigeni, l’unica questione complicata che abbiamo è in Chiapas, dunque, non c’è guerra di sterminio contro gli indigeni del paese, non è contro le comunità, bensì su qualcosa di molto concreto.

Le facciamo notare che in questi giorni abbiamo lavorato con la persecuzione di automobili che ci hanno inseguito; la persecuzione e il ricorso alla violenza l’abbiamo sentita nelle comunità priiste e così non è possibile fare né le interviste né svolgere il lavoro di osservazione.

Soledad Baltazar (PAN): La COCOPA non ha potuto fare molto e la scomparsa della CONAI ci ha lasciati in una situazione ancora peggiore. Il comunicato del ministero degli interni lo consideriamo un’apertura formale ma consideriamo anche che l’EZLN, non rispondendovi, non vuole riprendere il dialogo, per lo meno in questo sessennio. Secondo noi questo comunicato però non rispetta le cinque condizioni che ha posto l’EZLN per riprendere il dialogo e dimostra anche che non c’è apertura per discutere nel dialogo. La situazione è andata man mano deteriorandosi: ora c’è un eccesso di militari ma allo stesso tempo l’esercito non può andarsene per via dell’iniziativa del governo. Non siamo d’accordo con il fatto che debba essere l’esercito a far rispettare la legge sulle armi, essendo questo un compito che riguarda Seguridad Pública. Affidare certe responsabilità all’Esercito, in cui viene a contatto con la cittadinanza, significa da un lato mettere in pericolo i diritti dei cittadini e dall’altro che i civili siano trattati come non dovrebbero. L’esistenza di gruppi civili presumibilmente armati ha provocato una recrudescenza del conflitto. Riguardo al progetto Progresa, ne ignoro i contenuti. Dal nostro punto di vista, la Consulta è stato un teatrino montato per far rispondere molte comunità ad un questionario parziale e quindi i risultati della consulta zapatista non meritano alcun appoggio.

Mi piacerebbe sapere se vi siete incontrati con qualcuno dell’EZLN e come credete che la COCOPA potrebbe agire. Noi non vogliamo la guerra ma la pace.

In diverse comunità abbiamo registrato lamentele riguardo al fatto che vari ospedali offrano denaro alle donne perché si sottopongano all’intervento di legatura delle tube oppure a farsi fare iniezioni per non avere figli e questo è stato denunciato come parte del programma Progresa in varie zone del Chiapas.

Per quel che riguarda le interviste con l’EZLN, abbiamo incontrato Tacho e Marcos. Quest’ultimo ha fatto un intervento di circa due ore in cui, tra l’altro, ha parlato di una guerra di sterminio contro le comunità indigene che servirebbe a controllare le risorse naturali dello Stato del Chiapas. Riguardo alla ripresa del dialogo, ha affermato che i membri del CCRI non hanno preso una posizione rispetto alla proposta fatta dal ministero degli interni. Il nostro suggerimento alla COCOPA, considerando le nostre esperienze in altri conflitti del mondo, è che quello che non si deve mai perdere è la vocazione a lavorare intensamente per il dialogo. Crediamo che questa vocazione non può essere considerata né un’intromissione né un essere eccessivamente pretenziosi.

FelipeViscencio (PAN): Considero deplorabile il fatto che siate stati ostacolati nel vostro lavoro di osservazione. Il conflitto è frutto della decomposizione sociale che si vive nella zona e che ha avuto origine nell’ingiustizia del modello che ha prevalso nel paese. Quando è scoppiato il conflitto armato le posizioni si sono esacerbate; posso capire questa scelta armata ma non la condivido. I problemi che hanno dato origine al conflitto non sono stati affrontati a fondo, le autorità hanno peccato di omissione in più occasioni. Non condivido quanto dice Javier Gil quando afferma che l’EZLN non vuole una soluzione del conflitto. Io penso che l’EZLN voglia trovare una soluzione ma è giunto alla conclusione che non vuole proseguire per la via del dialogo con il governo attuale, il che mi sembra irresponsabile perché, al di là dei calcoli politici e delle strategie, qui è in gioco la vita della gente. Il paradosso è che due forze contrarie si trovano a rafforzare lo stesso schema. Per cui considero inaccettabile l’atteggiamento dell’EZLN di fronte al dialogo. Questo è il dilemma che ci troviamo ad affrontare come COCOPA. Mi sembra sui generis che il dialogo sia stato inscritto in una cornice legale, il che non ha alcun parallelo con altri conflitti. Se per qualsiasi ragione le parti in conflitto ritengono che in questo momento la via del dialogo non è percorribile, svuotano di contenuto questa commissione. La sua eventuale paralisi non si deve alla mancanza di capacità o di volontà ma alla chiarissima mancanza di una volontà di dialogo da entrambe le parti. Le competenze della COCOPA sono limitate, non siamo il fattore decisivo per la pace. Mi sembra inconcepibile che l’EZLN si neghi ad avere qualsiasi contatto con istanze che coadiuvano il dialogo; questo è, per noi, un colpo mortale. L’intransigenza zapatista si trasforma in un perfetto pretesto per il governo federale che non compie quei passi che sarebbe suo dovere compiere.

Aurora Bazán (PVEM): Noi siamo molto preoccupati per gli indigeni, l’ingiustizia e la guerra di bassa intensità. Ma sino a quando le due parti non mostreranno volontà di dialogo, la nostra commissione non potrà fare niente, e difficilmente si giungerà ad una soluzione per il Chiapas.

In precedenza la COCOPA aveva fatto una proposta sugli Accordi di San Andrés: attualmente la COCOPA continua con lo stesso impegno verso questi?

Felipe Viscencio (PAN): La COCOPA non acquisisce alcun impegno senza le parti. La COCOPA nel suo limitato margine di manovra, ha assunto obblighi che non le competono, ma lo ha fatto perché entrambe le parti l’hanno richiesto e abbiamo fatto lo sforzo più onesto per plasmare in legge ciò che concerneva agli Accordi di San Andrés e che le parti avevano l’obbligo di accettarla, ma una delle parti non l’ha accettato. La responsabilità della COCOPA è di sperimentare altre alternative, insistere su una via che non è stata approvata da una delle parti, non ha alcun senso.

Javier Gil (PRI): Nel settembre del ‘96 l’EZLN ha deciso di sospendere il dialogo, in seguito la COCOPA si accinge a ricostruire questo dialogo e ottiene via libera per elaborare una legge basata sugli Accordi di San Andrés. Nel marzo del ’97 la COCOPA fissa la sua posizione, e realizza una serie di consultazioni di giuristi che le annunciano che il documento in questione era perfettibile. Non era obbligo nostro portare il progetto di legge al Congresso, poiché questo è un testo che volevano entrambe le parti, e negli Accordi di San Andrés è stabilito che sarà l’Esecutivo a portare gli stessi alle istanze di dibattito nazionale. Questo testo non fu portato al Congresso affinché questo progetto prendesse la qualità di iniziativa, né per l’Esecutivo, né per i governatori, né per i senatori, né per i membri della COCOPA. La negazione al dialogo dell’EZLN sta solo puntando ad una linea di deterioramento della società. In questa zona è danneggiata la vita familiare, comunitaria, religiosa. La comunità di Amador era una base molto importante ed oggi ti trovi con una comunità che è li, ma senza direzione, e il danno ai suoi costumi viene da qualcosa di nuovo, dal potere del fucile, uno con il pretesto di risolvere la questione e l’altro per mantenere l’ordine e tutto questo preme sulla comunità. Ed il responsabile, in questo periodo di sospensione del dialogo, è l’EZLN.

Membro della COCOPA: Io affronterò rapidamente il tema del programma nazionale PROGRESA, che è un programma di lotta alla povertà, programma di salute, istruzione ed alimentazione, nelle zone più emarginate. È in atto da oltre tre anni e non ha nulla a che vedere con i programmi di pianificazione familiare. Il programma PROGRESA riguarda i bambini e le bambine: nelle comunità indigene si festeggia la nascita di un bambino, mentre se si tratta di una bambina non è un fatto degno di nota, il bambino è alimentato meglio ed è mandato a scuola, alle bambine l’alimentazione non arriva mai allo stesso livello, non vanno a scuola e a 13-14 anni sono già incinte. Quindi questo programma serve ad aiutare a risolvere questa diseguaglianza di genere e alla madre che è incinta e alle bambine è offerto cibo; per quanto riguarda l’istruzione sia i bambini sia le bambine devono frequentare la scuola e, se c’è una borsa di studio, questo è uno stimolo perché le bambine frequentino la scuola e l’altra condizione è che si rechino al centro sanitario. Non ha niente a che vedere con la pianificazione familiare. All’interno dei programmi di salute ne esiste uno mondiale riguardante la pianificazione familiare e contro le malattie veneree, nelle nostre comunità rurali l’AIDS è un fattore in aumento per l’espatrio di migranti verso gli Stati Uniti che quando ritornano, infettano le donne della comunità. Questo programma di salute e pianificazione è gratuito e volontario. L’iscrizione al PROGRESA non è condizionata alla pianificazione familiare. In Chiapas esiste un forte rifiuto verso ogni genere di programma di sviluppo sociale, istruzione e salute. Non vogliono nulla che sia di origine governativa, quando, proprio all’origine del conflitto, c’era la mancanza di tutto questo. Si rifiuta tutto, come, ad esempio, la strada che si voleva costruire ad Amador Hernández, una strada sollecitata da circa quindici anni.

A questo punto mi piacerebbe affermare che senza dialogo non esistono possibilità di risolvere il conflitto, la nostra funzione non è di intermediazione ma di coadiuvanza, ed è veramente triste sapere che nonostante tutto lo sforzo che si fa, c’è un evidente silenzio ed è di una delle parti, l’EZLN quali siano le sue ragioni. Dall’altra parte sì c’è apertura, ci sono stati incontri con l’Esecutivo federale, con il ministro degli interni, è tangibile la loro apertura. Mentre però continua il silenzio dall’altra parte, non si potrà fare niente, né riguardo ai paramilitari né riguardo al riposizionamento militare, ecc.

Dunque, vi ringraziamo per l’interesse dimostrato e per aver preso in considerazione la COCOPA.

2. Intervista con il coordinatore governativo del dialogo Emilio Rabasa Gamboa e con Alan Arias

Rabasa: Dopo quanto accaduto ad Acteal, la strategia del governo si è modificata totalmente poiché, oltre al dialogo con l’EZLN, esistevano altre problematiche. Ha esteso la strategia a sette ambiti che includevano il dialogo con l’EZLN ma anche l’affrontare le cause del conflitto creando progetti d’assistenza sociale alle comunità indigene; quindi si stabilì un meccanismo di coordinamento tra il Governo Federale, gli organismi dipendenti dal Governo Federale, coordinati dal ministero degli interni, e il Governo statale per far giungere alle comunità i programmi d’istruzione, sanità, comunicazione, acqua potabile, ecc. Ciò era in atto già dal 1995 però da quel momento si comincia a dar loro un maggior volume di risorse, si accelerano e si concentrano nelle zone più povere e di maggior emarginazione. Un aspetto del mio lavoro è stato quello di occuparmi delle cause del conflitto; a me tocca coordinare questi organi, controllare il bilancio una volta approvato dal Congresso. Vi consegno un documento che contiene i risultati ottenuti in questi cinque anni nel campo educativo, sanitario, sviluppo della produzione e preservazione delle risorse naturali, aspetto importante dato che in Chiapas esiste la maggior riserva ecologica del Messico e la quarta al mondo, i "Montes Azules" e le zone limitrofe.

Un altro aspetto importante, è che noi crediamo che non si possa dare soluzione al problema con il dialogo, se permangono le cause del conflitto e lo stesso Marcos lo ha riconosciuto. Non abbiamo ancora risolto questa questione perché sono stati molti gli anni d’abbandono, di politiche sbagliate in materia di sviluppo sociale della regione, però si è avanzati in aspetti molto importanti come la questione della terra, si è creata una politica agraria basata su accordi con organizzazioni contadine e indigene per evitare occupazioni e dare ai membri di queste organizzazioni la sicurezza e la certezza del possesso delle loro terre. Sono stati sottoscritti più di 200 accordi con circa 60 mila persone e ora il problema agrario è in sostanza risolto, non ci sono grandi estensioni di terra da ripartire e se è vero che in alcune zone ci sono ancora piccole occupazioni, anche nella zona dei "Montes Azules", queste non sono rilevanti dal punto di vista numerico. Quella agraria è una questione fondamentale in questo problema, poiché una delle ragioni che hanno provocato la sollevazione, è stata proprio la mancanza di certezza riguardo alla terra e alla sua proprietà, e in questo si sono fatti dei passi avanti. Per quel che riguarda l’istruzione, 86 bambini su 100 possono andare a scuola, mentre nel ‘94 erano meno di 70. Ora ha accesso alle strutture sanitarie pubbliche l’89% della popolazione totale dello Stato, il numero dei maestri è aumentato a 10.000 in questi quattro anni così come quello del personale sanitario. L’acqua potabile arriva già a più di 2.600.000 chiapanechi su una popolazione di 3.000.000. Il problema non è risolto ma lo sforzo è stato costante e le risorse di bilancio non sono state ridotte.

Un altro problema che si è aggiunto sono state le inondazioni nella zona costiera che hanno provocato 200 morti e una grave distruzione della base economica della regione, per fare fronte alla quale, sono stati stanziati circa 2 miliardi di pesos fino all’anno 2000. In questo modo il Chiapas ha smesso di essere il fanalino di coda degli Stati più arretrati, ora è salito di due gradini e si trova sopra gli stati di Veracruz e Guerrero. Questa politica non ha cessato di avere problemi in alcune zone dove, anche se sono molto poche, l’EZLN ha le sue basi d’appoggio zapatiste che non hanno permesso l’arrivo dei programmi educativi, sanitari, ecc., e questo ha creato una situazione molto precaria, molto spiacevole per queste comunità che stanno peggio che nel 1994. Il Governo non vuole forzare ad accettare questi programmi ma non può neppure disinteressarsi delle condizioni di questa gente. Allora, per far fronte a questa situazione, abbiamo preso accordi per un interscambio di note con la Croce Rossa Internazionale, con i suoi uffici a Ginevra, riportandola sul territorio. Questa si è coordinata con la Croce Rossa Messicana per poter entrare in comunità quali Polhó, Acteal, Xoyep in cui non si vuole la presenza governativa. Una questione molto importante è quella di evitare il diffondersi di epidemie e si è lavorato intensamente per la diffusione delle vaccinazioni. Purtroppo nel 1996 nella zona di Las Margaritas, a La Realidad, l’EZLN ha espulso la Croce Rossa Messicana, e quindi quella Internazionale. Qui c’è un problema molto serio perché circa 10 mila persone non stanno usufruendo di alcun tipo di servizio medico nonostante siano presenti due centri di attenzione medica della Croce Rossa Messicana, appoggiata dalla Croce Rossa Internazionale, ma che ora sono chiusi, nonostante le nostre insistenze e nonostante il pericolo di epidemia di dengue, soprattutto nella zona di Las Margaritas. Noi abbiamo insistito con la Croce Rossa Messicana e con quella Internazionale, affinché tornassero nella zona, e cercato di convincere l’EZLN che la mancanza di un programma sanitario nella zona espone la popolazione a molti rischi. Purtroppo non è stata ricevuta alcuna risposta. Questa è una delle strategie: la politica sociale.

Un altro problema sono le vie di comunicazione, non solo per il transito delle persone ma anche per la costruzione di scuole e per portare l’elettricità. Alcuni mesi fa nella comunità di Amador Hernández si è cercato di impedire la costruzione di una strada. L’EZLN si è opposto, in un primo momento con circa 60 persone, argomentando che sarebbe servita a far passare l’esercito. L’argomentazione è assurda perché lì vicino, a 12 chilometri, è situata la caserma di San Quintín che non ha bisogno di quella strada. Poi da 60 sono passati a 250 persone, minacciando la popolazione di Amador Hernández che era favorevole alla strada; così, si è presa la decisione di difendere la popolazione e gli addetti alla costruzione, che ci fosse la presenza di tre compagnie di polizia militare e questo ha provocato un po’ di tensione. Abbiamo cercato di arrivare ad un accordo, tramite un funzionario politico dello Stato, per cercare di convincerli a darci garanzia che la popolazione di Amador Hernández non sia attaccata né aggredita in caso di ritiro della polizia militare, ma non si è giunti ad alcun accordo. Il Governo Federale ha preso, quindi, un’altra decisione importante: interrompere la costruzione della strada. Questo è un caso molto indicativo di come si è cercato di frenare lo sviluppo sociale della zona.

La costruzione delle strade è stata sollecitata più di dieci anni fa oppure di recente? I programmi non sono stati adattati ai bisogni delle comunità, ma sono stati pensati per creare divisioni e imposti da una delle parti in conflitto verso le comunità…

Rabasa: sì, così è stata la controversia… Il procedimento che si segue per determinare la costruzione di una scuola, ecc., è quello di tenere una serie di riunioni tra lo Stato e le comunità, poiché loro decidono in modo collettivo e non individuale ed è impossibile fare qualcosa contro la volontà della comunità. Perfino la Croce Rossa Internazionale ha avuto problemi ad entrare in alcune comunità come Sabanilla semplicemente perché la comunità non si fida di loro. L’elaborazione dei programmi si decide dalle assemblee comunitarie. Non si può forzare una comunità senza che poi si producano dei problemi molto seri. Non abbiamo scelto, quindi, tra comunità priiste o perrediste oppure con criteri ideologici derivanti dal conflitto, zapatisti inclusi. Siamo stati molto attenti a superare il clientelismo. I criteri sono l’emarginazione e la povertà. Nelle comunità che non vogliono che entriamo, noi non entriamo.

Un membro della comunità di Amador Hernández ha chiesto perché, dato che la costruzione della strada è stata sospesa, rimangono le forze di sicurezza militari?

Rabasa: perché c’è un altro settore della comunità maggioritario che vuole la strada e allora, normalmente, quando si producono conflitti di questo tipo, la gente che non è d’accordo con gli zapatisti chiede protezione per poter continuare a vivere lì. La COCOPA, durante la sua permanenza nella comunità, ha realizzato numerose interviste e la sensazione che ne ha tratto è quella di una profonda divisione nella comunità.

Secondo le informazioni di cui disponiamo, quelli che chiedevano la strada erano gente della "ARIC Independiente" che poi cambiarono opinione al riguardo.

Rabasa: però ci sono anche altre organizzazioni… L’ARIC è l’organizzazione più antica presente in "Las Cañadas" e la più estesa. È stata creata dopo il Consiglio Nazionale Indigeno degli anni ‘70, per la difesa dei diritti politici, sociali e, soprattutto, per la questione della terra. A causa del conflitto si è divisa in tre parti: una piccola parte che appoggia gli zapatisti, un’altra piccola parte, circa il 10%, è la "ARIC Independiente", che è quella cui voi vi riferite, mentre la parte maggioritaria è a favore della strada perché ne trarrebbe dei benefici per il commercio. Ma, per rispondere direttamente alla vostra domanda, il fatto è che l’esercito non starebbe lì se ci fosse stato un accordo tra di loro, vi resterà. fino a quando la base zapatista, che tra l’altro non è la maggioranza della popolazione e proviene da altre comunità, non giunga all’accordo che non ci saranno atti di vendetta verso coloro che erano a favore della strada. Noi non possiamo disattendere il resto della popolazione che non è zapatista.

Mi sembra che di questi problemi se ne dovrebbe occupare la Seguridad Pública, non i militari…

Rabasa: In primo luogo, non si tratta di militari ma di polizia militare. La polizia si trova in una fase di ristrutturazione che non è ancora conclusa giacché si sta incorporando una forza femminile che dovrebbe dedicarsi ad azioni dissuasive. Questo processo però non è ancora terminato e pertanto non si può disporre di elementi dello Stato per garantire la sicurezza di fronte alla presenza di 250 zapatisti; la polizia militare è presente come forza ausiliaria a quella pubblica, il che è previsto dalla legge fino a quando il conflitto non si sarà risolto.

Questa consegna di terre, riguarda anche gli zapatisti che le hanno occupate? Gli zapatisti affermano che effettivamente il Governo ha comprato delle terre ma che la consegna dei titoli di proprietà a queste comunità è una questione in sospeso fino alla ripresa del dialogo.

Rabasa: Non abbiamo alcuna obiezione nell’estendere questo programma alla base zapatista. Anche il Ministro per la Riforma Agraria lo ha fatto loro sapere. Noi siamo disponibilissimi ad integrarli ma loro non vogliono.

Arias: Non è che le terre in Chiapas non abbiano proprietari. Il problema è che c’è stato un accumulo di generazioni, un’esplosione demografica che ha provocato sempre più generazioni di contadini che richiedono la terra; ma la terra non è inesauribile. Il Governo mediante un programma di "Fideicomiso" ha acquistato delle terre da privati che ha poi ridistribuito e che in certi casi corrispondevano a terreni occupati. Inoltre esiste una riserva di un buon numero di ettari riservati al momento della firma degli accordi di pace con l’EZLN per beneficiare i militanti, non le basi d’appoggio, ma la milizia dell’EZLN che fossero interessati a un pezzo di terra da coltivare. Non ci sono discriminazioni; molte delle organizzazioni che hanno firmato il patto sono simpatizzanti zapatisti.

Si può essere d’accordo o no sulla presenza dell’esercito, ma cosa succede con i paramilitari? Nessuno Stato di Diritto permette sul suo territorio la presenza di forze paramilitari. Allora, perché ci sono paramilitari? La polizia non può o non vuole agire? Dal punto di vista dei diritti umani è molto preoccupante che esistano questi gruppi civili armati. Qual è la sua opinione e la sua analisi al riguardo?

Arias: La mia opinione è che la presenza di gruppi armati è illegale, che il Governo e, ovviamente, l’esercito non li stanno né creando né appoggiando e che si tratta di una questione molto complessa. Tutto ciò obbedisce ad un fenomeno di autoprotezione poiché gli zapatisti hanno raggruppato gente come miliziani, allora la popolazione che non vuole seguire la via armata e non è d’accordo con i metodi degli zapatisti, si è sentita minacciata e, di fronte alla crisi di Seguridad Pública dello stato del Chiapas, ha dovuto ricorrere alle armi come metodo di difesa. Il Procuratore di Giustizia ha riconosciuto l’esistenza di circa 12 o 14 gruppi, ma non tutti sono antizapatisti, ce ne sono anche pro zapatisti. Il disarmo, così come lo vuole realizzare il governo, è attraverso la "Ley de armas" ma arrivando anche ad un accordo con l’EZLN, perché se si disarma un gruppo, l’altro rimane più vulnerabile, il che non significa che si tolleri questa situazione per mantenere un equilibrio di forze, quello che fa il governo è indagare e, quando trova qualcuno, lo arresta. E con l’EZLN si è insistito per sederci ad un tavolo e trovare una soluzione ma loro non hanno voluto. In ogni caso abbiamo già compiuto un ulteriore passo lanciando una lettera aperta in cui proponiamo anche un ufficio per le denunce con protezione speciale per i testimoni.

Ciò che richiama l’attenzione con questi gruppi è che i morti, come ad Acteal o a El Bosque, sono sempre dalla stessa parte…

Rabasa: Le statistiche assicurano che dove c’è un gruppo paramilitare ce n’è o ce n’è stato uno zapatista, e se ti trovi in una zona dove la maggioranza è zapatista ti andrà molto male e viceversa. Nelle statistiche ci sono più morti antizapatisti che zapatisti. Il caso di El Bosque è molto particolare e non rappresenta uno scontro tipico tra gruppi civili armati. Il periodo più duro è stato ne ’97, nella Zona Norte, perché lì non c’era l’esercito. Dove zapatisti ed esercito si trovano a faccia a faccia, come a La Realidad, le statistiche mostrano che ciò è meno frequente, mentre avviene dove non esiste forza pubblica. Accettiamo che ci sono dei gruppi paramilitari come nel caso di "Paz y Justícia" e la sua grande rivale è Ab’xuc, e nel caso di Chenalhó ed Acteal, e noi del governo lamentiamo che nella zona non c’era stata maggiore presenza di Seguridad Pública. Per quanto riguarda l’impunità, esistono però dei casi isolati mentre nel caso di Acteal ci sono stati 100 arresti di antizapatisti. La spiegazione fornita dalla PGR è che si è trattato di una vendetta seguita a una serie di 17 assassinii di persone antizapatiste avvenuta in precedenza. Si è già giunti a sentenze di condanna: è stato arrestato e condannato con il massimo della pena il Presidente Municipale. Poi sono stati inoltrati degli ordini di cattura verso prozapatisti per i fatti precedenti alla strage di Acteal ma non sono stati messi in pratica poiché il diritto si applica sempre e solo quando non provochi un male maggiore. Così come c’è molta gente di organizzazioni civili che esprimono simpatia agli zapatisti, c’è anche un altro settore molto ampio in Messico che li osteggia e che chiede al governo di intervenire contro di loro. Il punto politico fondamentale è che senza la partecipazione dell’EZLN al disarmo sarà impossibile disarmare altri gruppi.

Però è strano che se si consulta la banca dati del Centro Fray Bartolomé de las Casas si nota l’enorme sproporzione nel numero di morti tra gli zapatisti e gli altri. Si tratta di dati in cui compaiono nomi e cognomi…

Rabasa: Io vi inviterei a creare una banca dati dopo aver visitato la zona di Los Altos, perché non è affidabile una banca dati di un’organizzazione che evidentemente è a favore dello zapatismo. Se fosse fatta un’indagine più profonda vi rendereste conto che la lista del Fray Bartolomé è molto lontana dalla realtà. Con ciò non voglio mettere in discussione il lavoro del Fray Bartolomé nella difesa dei diritti umani, però loro sono a favore degli zapatisti. Nelle organizzazioni per i diritti umani esiste ancora una questione di immaturità rispetto al loro lavoro di difesa, anche se questo si può dire anche del governo che ha maggiori responsabilità, però nei diversi dati che ci offrono le Ong c’è confusione tra la denuncia e la documentazione: per esempio, il Fray Bartolomé non si occupa di quei reclusi di Cerro Hueco che sono stati incarcerati per la strage di Acteal, se sono violati i loro diritti umani, al Fray Bartolomé non interessa. E questo è l’andazzo, perché non hanno denunciato le 21 morti precedenti la strage di Acteal?

Lei ha parlato di una proposta di legge per il disarmo generalizzato…

Rabasa: No, non è ancora una proposta di legge. L’anno scorso il governo ha lanciato un’iniziativa per il disarmo che doveva però passare attraverso il Congresso dell’Unione ma che poi non è passata. Quando parlo di iniziativa lo faccio a livello politico, poiché una soluzione sostanziale del conflitto non può che riguardare il disarmo, compreso quello dell’EZLN.

Come responsabile per il dialogo fino a dove arriva il suo potere propositivo? Penso a El Salvador dove fu creata una forza di polizia congiunta, l’entrata in campo di una forza di interposizione…

Rabasa: Fino a dove sia necessario, non ho alcuna limitazione. Entrambe le parti sono d’accordo sul fatto che non ci sia bisogno di una forza internazionale per risolvere il problema. In ogni caso io sono aperto a qualsiasi proposta. Durante i dialoghi di San Andrés il governo propose la creazione di 7 corridoi al cui esterno fossero presenti forze militari ma al cui interno fosse l’EZLN ad occuparsi della tutela del territorio. Purtroppo l’EZLN ha deciso che il disarmo fosse una questione da trattarsi alla fine del dialogo.

C’è un’iniziativa di legge per il disarmo derivata dagli Accordi di San Andrés, quindi: perché non assumere la proposta elaborata dalla COCOPA su cui entrambe le parti si trovavano d’accordo e assicurare quindi un consenso, oppure la proposta della COCOPA non era di vostro gradimento?

Rabasa: Perché il Governo stima che un terzo della proposta della COCOPA non è fedele al contenuto degli Accordi di San Andrés. Per quel che riguarda la questione della terra, la COCOPA ne propone la collettivizzazione totale nelle comunità indigene. Ora, l’ejido, la proprietà comune della terra, rappresenta la porzione maggiore, mentre la proprietà gestita esclusivamente dalla comunità rappresenta solo il 13% del territorio. Inoltre ci sono anche le proprietà private e quelle che appartengono alla nazione. Cercare di passare da questo 13% al 100%, disconoscendo l’ejido e il resto, creerebbe un problema sociale gravissimo. E questa legge si applicherebbe non solo in Chiapas, bensì in tutte le comunità indigene del paese. La COCOPA vuole subordinare il municipio, terzo livello di governo, all’esistenza del popolo indigeno. Si pensi ai problemi che ciò provocherebbe per identificare i popoli: il popolo maya, per esempio, si estende per tutto il sud est; si tratta di organizzazioni precedenti la Conquista e che furono poi divise in Stati, e questo non si è pattuito a San Andrés, dove quegli Accordi prevedono un’ampia partecipazione dei popoli indigeni nella struttura municipale. Un’altra differenza molto importante è che la proposta della COCOPA prevede che l’uso dei mezzi di comunicazione avvenga senza licenza. Queste sono le differenze di base tra il governo e la COCOPA. Il governo ha detto: non sono d’accordo su questi punti ma sono disposto a negoziare. L’EZLN rispose che non era d’accordo. Per sbloccare la situazione è stata redatta quindi questa lettera aperta, prendendo in considerazione gli Accordi di San Andrés affinché gli zapatisti non siano esclusi. Solo che a questo punto né loro riusciranno a convincerci della bontà della proposta della COCOPA né noi convinceremo loro di quella del presidente, quindi che sia il senato a decidere e allora abbiamo inviato la lettera.

Dall’esterno, questa rottura del dialogo è difficile da capire e si percepisce come unilaterale...

Rabasa: Farò alcune precisazioni, gli Accordi di San Andrés sono stati firmati dall’EZLN e dal Governo Federale e ciò che è ancora in discussione è la loro applicazione, poiché non erano state previste le modalità di esecuzione. Una volta scritti gli Accordi, è sorto il problema su quale sia la loro interpretazione adeguata nei confronti della Costituzione. Allora entrambe le parti hanno deciso di affidare questo compito alla COCOPA e non si è mai detto: "il progetto che elaborerà la COCOPA è quello buono", essendo questo solo un pre-progetto da sottoporre a entrambe le parti. Gli zapatisti lo hanno valutato pur non essendo totalmente d’accordo, mentre il governo dice: "non sono d’accordo su questi punti, non su tutto, ma andiamo avanti nei negoziati.

Passando ad un altro argomento, perché queste restrizioni all’osservazione internazionale?

Rabasa: Non abbiamo voluto restringere le possibilità di osservazione. Le regole furono introdotte dopo il conflitto con il gruppo italiano che non è venuto a fare osservazione, bensì attivismo e, nonostante le regole, il numero di osservatori l’anno scorso non è diminuito, ma è aumentato a 400 presenze di 29 organizzazioni con visto. Sono completamente d’accordo sulla necessità di discutere le regole affinché i visti siano per 10 o 15 persone oppure riguardo al numero di giorni. Il governo stesso ha offerto di presentare alle Ong che ponevano questi problemi il progetto con i nuovi regolamenti prima di metterlo in pratica.

Arias: Grazie al nuovo regolamento sugli osservatori si sono evitati conflitti con loro, il che dimostra la bontà del regolamento. Molti dei gruppi che vengono non sono di osservatori ma di simpatizzanti e la nostra Costituzione è molto pignola sul fatto che gli stranieri non possono partecipare alla vita politica. In ogni caso noi stessi, quando la situazione è molto tesa, proponiamo le visite nello Stato.

Rabasa: Io non credo proprio che se entrassi in Spagna come turista e cercassi di incontrare qualcuno del Ministero per discutere dell’ETA e del problema basco, sarei ricevuto in quanto turista? Ovviamente no! E allora perché il Messico deve accettare per forza che persone che non sono neanche osservatori, bensì turisti, discutano di problemi politici? Tuttavia sì che parlo volentieri con gli osservatori, anzi, voi l’anno scorso avete pubblicato un dossier e noi, questi dossier di osservatori veri, li prendiamo in seria considerazione. Brevemente, vi riassumerò le iniziative intraprese sulla base delle conclusioni cui siete giunti nel vostro dossier: cosa è stato fatto? A metà giugno si è fatta una proposta di dialogo diretto alla presenza del ministro degli interni che la COCOPA ha portato a La Realidad il 17 giugno 1998. A tutt’oggi questa proposta è stata ignorata dall’EZLN. Poi, dal 20 al 22 novembre si è svolta una riunione a San Cristóbal de las Casas in cui la COCOPA ha consegnato all’EZLN un’altra proposta di dialogo e l’EZLN l’ha rifiutata adducendo che loro non sono la commissione di intermediazione. Ecco, io non condivido questa argomentazione, ma la rispetto. Allora il coordinamento, nella persona di Alan Arias, ha insistito per consegnarla personalmente, ma l’EZLN ha rifiutato. Rispetto all’attuazione degli Accordi di San Andrés, abbiamo fatto la proposta della lettera aperta, un ulteriore passo, in cui, per la prima volta, abbiamo risposto ad ognuna delle condizioni poste dall’EZLN. Fino ad ora non ci hanno risposto. Riguardo al progetto della COCOPA, il governo nella lettera aperta non vi si oppone, propone uno schema che includa l’EZLN e che sia determinato dal Senato in base agli Accordi di San Andrés. Rispetto alla proposta di consolidare la CONAI, questa si è sciolta senza consultare le parti; ha soltanto presentato il suo atto di scioglimento. Nella lettera aperta proponiamo una nuova intermediazione che sia nazionale, apartitica e civile. In questo senso abbiamo già nominato i rappresentanti governativi per la COSEVER. Rispetto al mettere fine alla militarizzazione e alla paramilitarizzazione, il governo è disposto a trattare con l’EZLN riguardo le posizioni tattico-operative; noi siamo disposti a discutere le posizioni. Quando mi dicono che le proposte della lettera non hanno seguito per la presenza dei militari, rispondo che nelle 5 condizioni poste dall’EZLN non è chiesto il riposizionamento dell’esercito, il che ci porta a dubitare sull’atteggiamento positivo dell’EZLN rispetto al dialogo.

Arias: L’EZLN ha dichiarato guerra allo Stato, quindi è normale che uno Stato persegua un gruppo armato ed eviti scontri con le comunità. Rispetto alla raccomandazione riguardante l’accesso alla giustizia e la fine dell’impunità, il governo ha promosso, dall’agosto del 1998, una crociata nazionale contro la violenza e l’impunità con un ampio programma concertato tra la Federazione e gli Stati, e questo si sta già applicando. Per quel che riguarda il Chiapas, sull’accesso alla giustizia nella zona indigena, stiamo lavorando alla creazione di tribunali indigeni che non esistevano. In quanto all’amnistia, nella lettera si sollecita la liberazione di prigionieri politici e dal 7 settembre fino ad oggi sono state liberate 48 persone. Ritorno dei desplazados: dal 1998 ad oggi, si è ottenuto il rientro del 30%; si continua il programma sanitario del governo lì dove ci lasciano entrare. Tra il 1998 e il 1999 sono morte 4 persone di salmonellosi, due minorenni e due adulti, per non aver voluto far entrare il servizio sanitario. In Messico è stata creata una commissione interministeriale per i diritti umani cui partecipano il ministero degli esteri, degli interni, la Marina, l’esercito e la PGR. C’è stata anche una riunione del Senato che ha concesso piena autonomia alla CNDH (Commissione Nazionale per i Diritti Umani).

Rabasa: Rispetto a un relatore dell’ONU, il governo del Messico ha insistito affinché venisse la signora Mary Robinson. Con questo, in un certo senso, siamo venuti incontro alle vostre raccomandazioni e siamo a vostra completa disposizione.

 

 

 

3. Intervista con il responsabile dell’Instituto Nacional de Migración (INM) Alejandro Carrillo Castro

26 novembre 1999.

Quest’intervista si è svolta nella sede dell’INM, a Città del Messico, cui hanno partecipato, oltre al signor Carrillo Castro, altri funzionari di questo dipartimento del Ministero degli interni (SEGOB).

Carrillo Castro, sin dall’inizio, ha condotto l’intervista in un tono cordiale, affermando, più volte, la buona disposizione dell’Amministrazione messicana nei confronti dell’osservazione dei diritti umani, dal momento che, il governo del suo paese non ha nulla da nascondere e che, peraltro, si trova nettamente schierato tra i difensori dei diritti umani in tutti i forum internazionali. Dopo questa sua introduzione, Carrillo Castro si è mostrato disposto a rispondere a qualsiasi tipo di domanda.

Abbiamo iniziato con il fargli presente che, quanto meno, sembrava contraddittoria la politica restrittiva del suo dipartimento nei confronti dei gruppi e delle persone osservatori dei diritti umani con la difesa, di quegli stessi valori, che il governo, rappresentato dalla sua persona, diceva di incarnare.

Carrillo Castro ha risposto ripercorrendo la linea lungo cui si è mosso, durante gli ultimi anni, il suo dipartimento rispetto ai gruppi di osservatori dei diritti umani. Ha indicato che la Costituzione del 1917 era, effettivamente, diffusa, nella sua stesura, riguardo alla "non intenzionalità politica" che si esigeva agli stranieri in Messico. Per questo era necessario concretizzare la proibizione al fine di rendere chiari i limiti di ciò che si considerava "espressione politica" permessa agli stranieri. In questa direzione, quindi, l’articolo 11 riconosce il libero transito degli stranieri, salvo i casi contemplati nelle Disposizioni che lo sviluppano.

Fin dal 1994, sempre secondo Carrillo Castro, l’Amministrazione ha deciso di aprire la strada alla presenza di osservatori nei processi elettorali, aprendo un dibattito interno sull’ampliamento di questa all’ipotesi di ambiti non elettorali - e qui rientrerebbe l’osservazione dei diritti umani – e sui limiti – zone di conflitto, numero dei componenti del gruppo, comportamento rispettoso della vigente legislazione - che questa estensione dovrebbe contemplare. Durante questo processo, determinate organizzazioni messicane… il Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas si è arrogato la competenza di concedere "visti di osservatore", fatto che, secondo lui, eccedeva, evidentemente, dalle competenze legali dell’organizzazione emittente e situava gli stranieri, possessori di detto accredito, alcuni di questi in modo ingenuo e ben intenzionato e altri non tanto, in una situazione di illegalità.

Abbiamo, quindi, manifestato il nostro disaccordo rispetto alla sua lettura dei fatti, argomentando l’assurdità che, in una qualsiasi democrazia occidentale, ci fosse bisogno di un permesso per verificare in situ la situazione reale dei diritti umani. Come esempio della contraddittorietà delle sue posizioni, gli abbiamo esposto i problemi che la CCIODH aveva avuto per realizzare il suo lavoro, date le restrizioni alla concessione del visto FM3 ai suoi componenti.

Carrillo Castro ha espresso che il problema radicava nell’atteggiamento che i gruppi di osservatori avessero adottato, differenziando chiaramente tra coloro che venivano a svolgere un lavoro serio e a non creare problemi – tra i quali ha citato la CCIODH -, e quei gruppi – ha posto come esempio la visita della Commissione italiana "Ya Basta" – il cui obiettivo reale non era l’analisi della situazione dei diritti umani, ma, bensì, l’appoggio a gruppi armati insorgenti e il creare problemi all’amministrazione messicana. Nei casi come il nostro, la CCIODH, l’Amministrazione adottava un atteggiamento generoso, come avevamo potuto comprovare noi stessi, dal momento che, a costo di non attuare la normativa che limita a dieci il numero massimo di concessioni del FM3 per ogni gruppo di osservatori, nel nostro caso, avevano rinunciato a "realizzare una lettura restrittiva della normativa", ampliando a 11 il numero degli FM3 e permettendo ai membri della CCIODH che non possedevano il visto di svolgere liberamente il loro compito

Gli abbiamo risposto che non ammettevamo alcun tipo di restrizione all’osservazione dei diritti umani ma che, giocando ancora sul suo terreno, la CCIODH non era un gruppo bensì una "piattaforma" di gruppi, il che impone un’altra interpretazione della norma. Al tempo stesso, abbiamo fatto notare che non era vera l’assenza di ostacoli, dato che l’insicurezza ci ha accompagnato per tutto il viaggio, sia per il rischio di essere espulsi sia per le condizioni, come, ad esempio, i forti controlli militari in Chiapas e l’inseguimento di gruppi di nostri osservatori da parte di veicoli senza targa che hanno fotografato, con un atteggiamento di sfida, i membri della CCCIODH.

La sua risposta è stata che, anche se l’Amministrazione aveva mostrato chiaramente una disposizione al dialogo con la CCIODH, non poteva essere responsabilizzata degli eccessi di alcune persone che, d’altra parte, senza alcuna prova stavamo collegando ai corpi di polizia.

Ha insistito sul fatto che il numero massimo di dieci persone per gruppo e la limitazione dei giorni di permanenza nel paese, erano misure orientate, esclusivamente, a garantire l’efficacia e la sicurezza dei membri delle organizzazioni non governative straniere sul suolo messicano. L’Amministrazione, però, è aperta all’apprendimento e all’esame mutuo con organizzazioni che, come la CCIODH, dimostrino serietà e responsabilità. Inoltre, su questa linea, attualmente stanno studiando la possibilità di aumentare a più di dieci il numero degli osservatori per gruppo.

Infine, gli abbiamo chiesto in che modo influivano su quelle che, per noi, restano delle misure restrittive poste dall’Amministrazione messicana al lavoro di osservazione, le recenti sentenze favorevoli ai ricorsi presentati da osservatori stranieri espulsi dal Chiapas.

Dando per conclusa la riunione, Carrillo Castro ha preferito non pronunciarsi sui temi giuridici che ora sono competenza dei tribunali, ma ha di nuovo insistito sulla disponibilità del suo governo ad agevolare il lavoro di qualunque gruppo di osservazione disposto a rispettare le leggi messicane e a svolgere la propria funzione con rigore ed indipendenza.

 

 

 

 

 

4. Intervista con il governo dello stato del Chiapas

22 novembre 1999

Una delegazione della CCIODH si è incontrata nella città di Tuxtla Gutiérrez con alcuni rappresentanti del governo statale del Chiapas. All’intervista hanno partecipato i seguenti funzionari: Alfonso Utrilla Gómez, Segretario per lo Sviluppo Agricolo; Eduardo Montoya Lievano, Procuratore Generale della Giustizia del Chiapas; Cesar A. Corzo Velasco, Segretario per lo Sviluppo Turistico; Ismael Delfín Cristiani, Segretario Tecnico di Governo; José Alfredo Castellanos Domínguez, Sottosegretario per lo Sviluppo Sociale; Lourdes Morales, Coordinatrice dell’Area dei Diritti Umani. Quanto segue è la trascrizione dell’intervista:

Governo del Chiapas: Riguardo all’assistenza ai desplazados, il governo dello Stato è intervenuto nel campo della salute e dell’istruzione, dove ha messo a disposizione tutti i servizi necessari alle comunità. Si sta lavorando ai rifornimenti in coordinamento con la Croce Rossa. Stiamo collaborando con loro, offrendogli un lavoro organizzato che si sta conducendo nelle comunità di Polhó, Acteal, X’oyep, Tzanembolom, Tzajalchén, per citarne alcune. Tutto questo avviene in un ambito generale per intervenire sul tessuto sociale delle comunità, svolgendo un lavoro adeguato quando i desplazados devono rientrare nei loro villaggi. Nel lavoro inerente al loro ritorno, abbiamo un atteggiamento imparziale verso quelle comunità che accolgono di nuovo le persone sfollate. Stiamo quindi dando un’assistenza egualitaria, un’assistenza contundente, in tutte quelle azioni governative che si stanno realizzando nell’ambito della salute, istruzione, distribuzione e somministrazione di alimenti. Queste azioni sono attuate in modo coordinato dalla Croce Rossa Messicana, dalla Croce Rossa chiapaneca e dal governo dello Stato, attraverso la segreteria della protezione civile, oltre che in modo programmatico, ben definito rispetto a come arrivare alle comunità, portare assistenza e rifornimenti sufficienti. Questo è quanto facciamo in materia di assistenza.

Penso che, fondamentalmente, ciò che dobbiamo rendere evidente è che gli interventi del governo derivano da una volontà condivisa con le comunità, convinte e non obbligate, a prendere la decisione di incorporarsi nuovamente ad una vita armonica, perché le attuali condizioni di sicurezza, di rispetto, dei diritti, permettono che questo possa avvenire con garanzie per tutte le persone. È importante ricordare qui che l’assistenza sanitaria, educativa, abitativa, alimentare e di opportunità lavorative si svolgono in modo equilibrato tra chi è rimasto e chi fa ritorno. Non abbiamo chiapanechi di prima o di seconda classe! Chi torna è benvenuto, non è obbligato a farlo, ma le condizioni sono migliorate e molti desplazados stanno ritornando, per propria volontà, reintegrati e reinseriti nelle proprie comunità. Questo è un fatto di grande importanza e lo potrete riscontrare nelle vostre osservazioni e nelle vostre visite.

Un altro tema che abbiamo trovato di interesse nel vostro dossier, è quello relativo ad aspetti della giustizia. Emergono varie parti di questa nota sulla giustizia e relative a questo tema, che è molto connesso a quello della sicurezza; desidereremmo che il signor procuratore commentasse questo punto. Sappiamo che in seguito vi riunirete con il Presidente del Tribunale che potrà comunicarvi maggiori informazioni sull’aspetto propriamente della giustizia, sull’ambito della divisione dei poteri esistente in Chiapas, dove viene rigorosamente rispettata; ma, poiché un fatto è così legato ad un altro, chiediamo al signor procuratore di fare un qualche commento al proposito, perché esistono ordini di cattura, c’è un miglioramento nelle condizioni di sicurezza e si è ristabilito un clima di fiducia.

Funzionario: Riguardo al primo tema, quello dei desplazados, è importante farvi conoscere che nei giorni scorsi, il presidente municipale di Chenalhó - l’area con maggior incidenza di popolazione sfollata - ha fatto una serie di dichiarazioni, messe per iscritto e firmate anche da sessantatré agenti municipali di Chenalhó, dove danno avviso a tutti i desplazados chiedendo loro di tornare ai luoghi d’origine. Questo documento da loro firmato verrà consegnato alla CCIODH, nel caso non siate ancora stati a Chenalhó, altrimenti ve lo darà qui il presidente municipale. In esso viene offerta protezione a tutte le comunità del municipio di Chenalhó, si rispettano su tutto ciò che corrisponde alle aree in cui hanno piantato il caffè, si appoggia la popolazione e le vengono restituite le abitazioni; inoltre viene data la sicurezza richiesta affinché vengano bene accolti e possano così reinserirsi nelle loro comunità d’origine.

Questo è importantissimo, perché prima non esisteva questa comunicazione diretta tra i desplazados e le autorità municipali. Proprio per questo, questa attenzione che si vuole offrire, e che si sta già offrendo, ai desplazados di tutta la zona di Chenalhó, è stata manifestata tre volte al governatore dello Stato e resa pubblica su tutti i mezzi di comunicazione. Questo è molto importante e gli si sta dando priorità.

Eduardo Montoya Lievano: Signori, io rappresento ciò che è la procura della giustizia nello Stato del Chiapas e, sicuramente, dopo la sicurezza interna dello Stato, è quella di maggiore importanza e al tempo stesso, la più dibattuta.

So che voi venite qua con mezzi leali. So che voi siete gente pensante. Sicuramente sapete che quando il governatore Albores inizia a farsi carico del Chiapas, del potere esecutivo, si trova davanti, tra altre cose, il problema più grave di tutti: la sfiducia. Una sfiducia generata perché dal 1994 al 1997, le autorità incaricate di offrire sicurezza giuridica a tutta la popolazione, hanno sicuramente equivocato la politica di buona fede del governo federale, nel senso di privilegiare il dialogo. Tuttavia, questo privilegio è andato a gruppi di delinquenti, dal 1994 al 1997, sotto "protezione" tra virgolette, perché il governo dello Stato non ha mai fatto connessione tra l’EZLN e i gruppi di delinquenti. Nondimeno, abbiamo riconosciuto e l’opinione pubblica se n’è accorta, gruppi di delinquenti organizzati dediti al sequestro, al contrabbando, all’assalto, al furto, all’omicidio, cresciuti in modo incredibile all’ombra del movimento sociale. Questo, lo ripeto, sotto il pretesto del movimento armato. In un dato momento, l’autorità ha avuto paura di applicare la legge poiché temeva avrebbe compromesso il dialogo. Si è trattato di un’interpretazione erronea della buona fede del governo federale. Perché un’interpretazione erronea? Perché con questo si è generata impunità. L’impunità è la mancata applicazione della legge al suo momento contro i delinquenti. Questo cos’ha provocato? Ha provocato, tra altre cose, che la gente decidesse di farsi giustizia da sé. Volete un esempio? Acteal. Questo triste esempio di Acteal, ha fatto sì che il governatore Roberto Albores sentenziasse che nel Chiapas non dovrà più accadere una cosa simile. Da lì il suo impegno è stato: "Applicheremo la legge".

Vedo che voi siete in buona fede, come vi dicevo prima, ho letto i vostri precedenti e so che mi capirete nella mia figura di procuratore della giustizia. Noi non perseguiamo idee, né religioni, né posizioni politiche. Questo è stato messo bene in chiaro. Voglio dirvi che sotto la guida di Roberto Albores Guillén, la procura della giustizia dello Stato si è rigenerata. Innanzi tutto si è pulita da sé. Abbiamo dovuto incarcerare molti poliziotti corrotti, dei pubblici ufficiali che non facevano il loro dovere. Ora abbiamo dato loro la preparazione necessaria. Cosa è stato detto, però, all’opinione pubblica? Quello che asserisce il sistema di sicurezza nazionale. Abbiamo già quasi il 100% dei sequestratori in carcere, coloro che da tempo erano all’opera. Abbiamo già quasi del tutto sradicato il contrabbando e l’agguato sulle strade. Sì, questo aveva messo in fuga il capitale dal Chiapas e ci aveva danneggiato tutti senza distinzioni: impresari, indigeni e meticci. Senza l’arrivo di capitali in Chiapas, eravamo un popolo sempre più impoverito e, nonostante che qui generiamo ricchezza, energia elettrica e petrolio, siamo un popolo povero. In questa situazione, la cosa più importante di tutto, è stata la determinazione del governatore: la legge viene applicata senza distinzione alcuna. Non permetteremo un altro Acteal. Le autorità non commetteranno più omissioni. La cosa più importante, però, è che il governatore Albores riconosce, e ha riconosciuto fin dall’inizio del suo mandato, che la causa che ha dato origine alla ribellione armata era giusta. Il governatore Albores ha assunto come proprie le bandiere della giustizia sociale, della giustizia di fatto, e così, il portare il progresso alle comunità. Quindi, l’unico modo perché il Chiapas potesse uscire dall’impasse è far sì che le istituzioni facciano il loro dovere. Sfortunatamente, però, i gruppi più radicali hanno voluto trovare, per ognuna di queste buone azioni, dei pretesti per affermare che il governatore Albores vuole far scontrare i gruppi tra loro, mentre, in fondo, quanto voleva fare il governatore era: facciamo giustizia, affinché non accadano più altre stragi come Acteal; facciamo sì che l’autorità compia il proprio dovere morale, affinché la società creda in noi. Ora, signori, siamo il secondo Stato del sud est della Repubblica Messicana con il minore indice di delinquenza. Le statistiche parlano da sole. Questo è avvenuto in soli diciannove mesi ed ha implicato uno sforzo enorme. Tuttavia, questo non ha nulla a che vedere con la determinazione politica di continuare ben disposti al dialogo, e voi ora ne siete a conoscenza. Il suo servitore, il procuratore della giustizia, su ordine del governatore del Chiapas e in relazione alla lettera aperta inviata dal governo federale per la ripresa del dialogo, ha prosciolto 48 persone in attesa di giudizio, tutti simpatizzanti zapatisti. Questo è appena accaduto, gli ultimi prigionieri sono usciti 36 o 48 ore fa. Non sono stati assolti, ma li abbiamo liberati in assenza di reati di sangue. Il governatore Albores ha preso questa decisione, quella di fare il primo passo, e noi continueremo a farne molti altri. Stiamo lavorando con il potere giudiziario del Chiapas che è un potere diverso, è un potere indipendente dal nostro. Sul tema della sicurezza, stiamo lavorando insieme al presidente del tribunale di qua. Ci saranno centinaia di casi da esaminare. Speriamo che la settimana prossima io abbia in mano un elenco per poter così, con l’autorizzazione del governatore, desistere dal procedere e, altri simpatizzanti zapatisti che non sono incorsi in gravi reati, possano essere liberi di uscire. Perché, vi ripeto, noi non perseguiamo alcuna ideologia politica, che questo sia ben chiaro, stiamo perseguendo i delinquenti. Siamo stati criticati in molte occasioni, ma senza alcuna giustificazione. So che voi capirete il messaggio di chi ha la responsabilità della sicurezza davanti alla legge, davanti alla società e davanti al governatore del Chiapas. La storia ci giudicherà come un governo che in questo momento sta cercando di fare il proprio dovere. La società altrimenti non crederebbe più in noi. L’allevatore era già sul punto di comprare la sua pistola per difendere il suo rancho, perché non entrassero a rubargli il bestiame. Il contadino voleva già comprare il suo modesto fucile calibro 22 per difendere il suo ejido. Questo non poteva continuare ad accadere in Chiapas. Recentemente, poco tempo fa, da alcuni giorni, si è verificato un conflitto grave tra contadini che avevano imbracciato il piccolo fucile calibro 22 per un problema di terre. Abbiamo arrestato le autorità dell’ejido. Sia ben chiaro, per noi è uguale mettere in carcere un politico, un ricco o un campesino che non hanno capito che non possono più farsi giustizia da sé. È un lavoro difficile, ma ci stiamo riuscendo. Le statistiche parlano da sole. Speriamo che questo sia il cammino perché, se continuiamo a toccare troppo soavemente la società tutta, allora arriveremmo alla conclusione che la legge è di troppo, che non avrebbe più ragione di esistere nella Costituzione una legge penale; di conseguenza, la legge della giungla ci danneggerebbe tutti e, in poco tempo, nascerebbero gruppi di civili armati e ognuno di loro difenderebbe il suo modo di pensare, la sua religione, il suo partito politico. In Chiapas, questo, non deve accadere. Qui, il governatore Albores, contrariamente a tutto quello che hanno detto i gruppi che vi hanno informato dall’estero, vuole che noi li disarmiamo tutti. Inoltre, voglio dirvi che ogni giorno abbiamo il nostro personale sparpagliato, l’avete sicuramente visto sulle strade. I nostri poliziotti, perfettamente identificati, non più quel genere di poliziotto inetto, sgarbato, no, ma quello che tratta tutti nello stesso modo. Dall’auto di lusso al camion, gli agenti chiedono in modo rispettoso, il permesso di svolgere il controllo, affinché non trasportino armi o droga. In questo senso, in Chiapas si è molto abbassata la percentuale dei decessi per morte violenta. L’ideale, però, sarebbe che tutti, un bel giorno, deponessero qualche piccola arma che possiedono perché non hanno fiducia nella legge. Perché compro la mia pistola? Perché la polizia non fa niente. Noi vogliamo dimostrare loro che la polizia, sì, agisce e che è onesta, e non tollera più che io vada in giro con la mia arma, perché non ce n’è bisogno, perché il mio avversario merita rispetto.

In Chiapas ci sono villaggi come Agua Fria. Conoscerete sicuramente il problema di Agua Fria. Toccò a me, occuparmene, quando ero viceprocuratore operativo. Vi andai di persona il giorno che accaddero i fatti e vi dico che, quasi personalmente ho arrestato il responsabile. In tutti i villaggi avviene che tra fratelli - in un paesino di appena dodici casette - si odino tanto tra loro, perché non sono capaci di accettarsi: tu sei perredista, e non te lo perdono; tu sei priista, e non te lo perdono. Questo genere di odio si era generato anche qui. Ora si sono già abituati ai nostri pattugliamenti, si sono già accorti che non li facciamo oggetto di persecuzione. È per la loro propria sicurezza. Agua Fria non voleva la presenza della polizia. Andai a parlare con loro in tre occasioni, su ordine del signor governatore, e, credetemi, mi fa molto piacere sapere che adesso la polizia va e viene da lì e che gli agenti ricevono sia dai perredisti sia dai priisti, l’invito a bere una bibita; a volte portiamo loro degli aiuti. La causa dell’odio, era perché questo ragazzo (José Tila, assassinato nel 1998, cui è stato dedicato il precedente dossier della CCIODH, N.d.T.) è stato oggetto di un’imboscata tesa in modo così scaltro e questo fatto avrebbe portato come conseguenza che, se non intervenivamo, in poco tempo tutta la famiglia dell’assassino sarebbe stata trovata morta, perché c’era la necessità di vendetta. Attraverso la nuova politica del signor Roberto Albores, si è riusciti ad evitarlo. Questo è, a grandi linee, una parte del progetto che riguarda la procurazione della giustizia, signori.

Cesar A. Corzo Velasco: Nella riunione che si è tenuta ieri, voi avete mostrato interesse a conoscere, oltre ai temi specifici che hanno trattato l’ingegnere e il signor procuratore, un altro tema relativo al vostro precedente dossier: qual era e qual è l’azione e l’orientamento del governo in relazione ai diritti umani? Molto brevemente, per non abusare del vostro tempo, vorrei fare alcuni commenti aggiuntivi. Uno di questi, forse da cui parte tutto il resto, si riferisce al tema citato dal procuratore: garantire l’applicazione della legge e stabilire lo stato di diritto. Questa è una delle priorità che l’amministrazione del governo di Albores ha fissato come uno degli obiettivi di maggiore importanza. Per riuscirvi, abbiamo avuto un primo incontro con tutto il popolo del Chiapas. È stata fatta una grande consultazione, una votazione senza precedenti, in cui tutta la società, i campesinos, gli impresari, gli allevatori, gli indigeni, gli studenti, hanno espresso quale fosse il loro reclamo più urgente, e il maggiore è stato l’ordine, l’applicazione della legge, lo stato di diritto, la sicurezza. In quella direzione, si è focalizzata la prima azione del governo. Evidentemente, affinché questo fosse congruente, c’era la necessità di rafforzare l’aspetto legislativo e di dotare tutta l’azione del governo di un ambito giuridico. In quest’ambito giuridico, abbiamo trovato soluzioni molto importanti: come la legge sui diritti e la cultura indigeni, che ha apportato un significato specifico riguardo alle tradizioni, la conoscenza che la comunità indigena ha i suoi propri concetti di vita, e l’inquadramento di questo concetto di vita indigena con i loro stessi costumi, usi, tradizioni e giustizia, in un quadro istituzionale. È cessato lo scontro. Di complemento, c’è stata consapevolezza. Oggi, lo avrete visto nelle comunità indigene, le autorità tradizionali convivono con quelle costituzionali. Siamo riusciti ad ottenere questa possibilità di convivenza. Abbiamo lavorato intensamente, anche nell’avvicinare il governo a tutte le comunità, nel dare un quadro costituzionale a realtà, di vicinanza e di partecipazione nel governo, abbiamo fatto dei passi avanti, e ne stiamo facendo altri. Nell’ambito della creazione di nuovi municipi, la rimunicipalizzazione è all’interno della legge, nel suo rispetto. C’è chi sta cedendo spazi per i nuovi municipi e chi sta cogliendo le nuove opportunità del nostro governo. Sono sette i municipi costituiti giuridicamente e nel pieno rispetto della divisione dei poteri: proposti dall’esecutivo, sanciti dai deputati del nostro potere legislativo. Il governatore fa la proposta, trasmette l’iniziativa e, evidentemente, la soluzione arriva da coloro che hanno il compito di legiferare. In Chiapas e in Messico, è il potere legislativo a legiferare. Abbiamo avuto una certa cura perché ciò si realizzasse in questo modo. Inoltre, abbiamo la giustizia indigena come un esempio da seguire per tutto il resto delle nostre responsabilità con le comunità. Oggi abbiamo tribunali di pace e di coscienza indigena, in cui le autorità tradizionali, nei loro usi e costumi, senza staccarsi dall’ambito costituzionale, hanno la possibilità di trattare le condizioni specifiche, come quelle che necessitano dell’impartizione della giustizia che dia rispetto a questa tradizione e a questo costume.

Evidentemente, è anche importante menzionare quanto prima diceva, con dovizia di particolari, il signor procuratore. Riguardo alla sicurezza, non si tratta solo di far calare l’indice dei delitti, ma la libera circolazione sulle strade del Chiapas, senza blocchi stradali né sparatorie. Con assoluta precisione, possiamo assicurare che, durante l’amministrazione di Roberto Albores, non c’è stato un solo blocco stradale che non sia stato risolto. Preciso che mi riferisco a quelle che corrispondono alla sua amministrazione. Abbiamo continuato, innanzi tutto, a cercare di risolvere quelle situazioni in cui si è imbattuto questo governo e che continuano a presentarsi. Non ci sono più sequestri. Abbiamo indagato tutto e stiamo risolvendo il problema. Non esiste l’impunità verso nessuno, né squilibri nell’applicazione della legge. Si è parlato molto su temi che sembrerebbe non debbano essere trattati ad un tavolo, e men che meno da parte del governo: l’aspetto del disarmo. Che sia chiaro, con questo non si pretende in Chiapas di creare una situazione che disconosca la legislazione federale. Il Chiapas favorisce le possibilità di questo transito alla normalità e al lavoro, perché il governatore e il governo sono convinti che è attraverso il lavoro, il recupero della fiducia, l’opportunità di avere un’entrata, la possibilità che ci siano cibo, salute o vita, che verrà consolidata la pace. La pace non si consolida per decreto. Chi non ha opportunità deve cercarle. In Chiapas stiamo creando le opportunità, senza invadere il terreno federale, essendo un ponte tra chi decide di fare qualcosa e chi ha il compito di risolverlo. Naturalmente non c’è invasione, non c’è alcun disconoscimento o indisciplina. Sono azioni, una dopo l’altra che vanno a dare sempre più senso. Però, perché fare ciò senza un ambito reale? Esiste una commissione statale per i diritti umani. Non ci sono precedenti su quanto ha fatto il Chiapas rispetto alle commissioni di diritti umani. La nostra commissione ha autonomia, non dipende gerarchicamente dall’esecutivo. Possiede caratteristiche di un organismo di Stato che ha la possibilità agire con un proprio criterio e di intraprendere un suo percorso. Il governatore l’ha rispettata e ha trasmesso l’iniziativa al Congresso per conferire piena autonomia alla commissione statale per i diritti umani. La nomina del presidente della commissione statale si svolge su proposta del governatore, con una terna di nomi e viene sancita dal Congresso. Non ci sono precedenti. Nessun altro Stato, oppure se c’è non così chiaramente come il Chiapas, ha preso la decisione di dare alla commissione questo spazio e questa rappresentatività. Il nostro rapporto con la commissione statale è rispettoso, ma stretto. Non la consideriamo come un organismo di fastidio, ma, al contrario, come un organismo di aiuto, di arricchimento. Diamo seguito alle denunce, rispettiamo le raccomandazioni. A volte siamo d’accordo, a volte no, ma li rispettiamo. Anche con la commissione nazionale abbiamo attualmente un esercizio assolutamente istituzionale e rispettoso. Prendiamo in considerazione ciò che può essere imputabile all’amministrazione del governatore Albores, ma quasi non abbiamo ricevuto alcuna raccomandazione su questo esercizio o su questa amministrazione di governo. La maggioranza di quelle ricevute corrispondono a fatti successi prima dell’arrivo del governatore. Siamo istituzionali, con la commissione nazionale abbiamo, tutti i mesi, una riunione di avvicinamento per conoscere come stiamo risolvendo la difficile questione e prendendo credito, non sulla carta, ma nei fatti. Infine, la nostra realtà è buona quanto basta per non disconoscere che in alcune cose siamo in grado, altre no, ma facciamo lo sforzo e tutto quanto ci è possibile. Il Chiapas è un altro Chiapas. Oggi il Chiapas realizza uno sforzo molto orientato all’attività produttiva, alla comunicazione, alla creazione di opportunità d’impiego, all’equilibrio delle comunità, al rafforzamento nel campo sanitario e abitativo. In Chiapas sono state costruite in un anno, o anno e mezzo, più o meno, più di 20.000 abitazioni. Non c’è nessuno che fa altrettanto. In più lo facciamo in modo partecipativo, lavorando insieme alla comunità, con la supervisione del governo, con l’accordo di tutti. La virtù del governo di Albores è di star avvicinando il processo della presa di decisioni alle comunità. Oggi abbiamo i consigli comunitari che sono organi di partecipazione della comunità. Le comunità vengono consultate, le comunità danno la loro opinione, le comunità decidono quali opere e in che luoghi, secondo maggioranza e consenso. Il governo non è autoritario, è un canalizzatore. Come ha giustamente detto il procuratore, l’insurrezione sociale in Chiapas è guidata da Roberto Albores. L’insurrezione sociale, cioè la protesta, la guida il leader dell’insurrezione sociale, che è lo stesso governatore. Noi non ci scontriamo, ma che nessuno venga a fare il leader, perché lo stesso governatore che riconosce ed è lo stesso governatore che arresta. E questo, insisto, è dimostrabile con i fatti. Come si diceva prima, voi siete arrivati in Chiapas da diversi giorni, sapevamo della vostra presenza ma non abbiamo interferito. Vi sarete accorti che nessuno vi stava vigilando, né ci sono state intromissioni da parte nostra. Questo starà a voi, se voi non lo chiedete, non avverrà. Siamo sicuri di essere sulla buona strada. Siamo così sicuri che, né per la vostra visita, né per la visita della signora Robinson, stiamo facendo alcuna dissimulazione. Accettiamo la nostra realtà, siamo quel che siamo e siamo orgogliosi di come stiamo andando. Questo è un po’ il profilo di cosa c’è in Chiapas.

Vorremmo sapere, per favore, dei prigionieri. La CCIODH ha fatto visita ai prigionieri nel carcere di Yajalón: loro dicono, primo, di essere stati ingiustamente accusati di delitti senza alcun fondamento; secondo, di essere considerati come prigionieri politici e, tuttavia, vengono mescolati con i prigionieri comuni; terzo, di non ricevere assistenza medica. Se si ammalano, devono pagare il medico e se non hanno i soldi, non possono curarsi. Cosa pensate di questo?

Credo che questa proposta la trasmetteremo, in tutto il suo contenuto, al governatore. Per quanto riguarda i prigionieri politici, l’esposizione è stata molto chiara. Spero che voi vediate altrettanto chiara la mia esposizione. In Messico, il "Ministerio Público", ossia, la procura della giustizia dello stato, è la sola istituzione che può svolgere indagini e perseguire i reati. L’organo giudiziario, in se stesso, non può farlo. Il "Ministerio Público", per portare davanti a un giudice, deve prima dimostrare che è stato commesso un reato e i reati sono definiti all’interno del codice penale. Il codice penale dice: chi commette reato di omicidio, questo, questo e questo; chi commette reato di contrabbando; chi commette reato di esproprio, ecc.

Normalmente, in Chiapas, ci imbattiamo in casi come quello in cui alcuni membri di partiti politici, incluso il PRI, sono incorsi in gravi reati e in altri meno gravi come il reato di esproprio. Proprio ieri sera, a Yajalón, abbiamo avuto un incontro con i dirigenti dell’organizzazione "La Voz de Cerro Hueco". Ci hanno dato la lista di all’incirca 104 o 110 presunti prigionieri politici e, voglio dirvi, avevamo la migliore intenzione di esaminarla, ma, per cominciare, non esistono reati politici. Ci sono però reati che hanno origine nella questione del possesso della terra, com’è stato qui per molto tempo ma, come diceva il signor segretario del turismo, oggi è una realtà dare sicurezza sia all’ejidatario sia al piccolo proprietario; sì, dare loro la medesima sicurezza di poter lavorare la propria terra senza timori, quello che prima non succedeva. In precedenza c’erano invasioni di ejidatarios nei confronti di ejidatarios, di ejidatarios nei confronti dei piccoli proprietari, di piccoli proprietari che sconfinavano in terre comunitarie, ecc. Sappiamo che questa situazione esiste, ma nel codice è prevista come un reato. Questo tipo di reati hanno iniziato ad essere risolti dalle autorità agrarie a partire dalla nomina di Roberto Albores. Sono stati acquistati dei terreni. Allora, nel momento in cui la parte offesa denuncia: "Mi hanno portato via le terre, mi rivolgo al "Ministerio Público". Il "Ministerio Público" ordina il sequestro, emette il mandato di cattura, vengono messi in carcere coloro che hanno prodotto l’invasione e si restituisce il bene e l’ordine giudiziario. Quando, però, il bene è stato restituito, quando la parte lesa ha ricevuto il suo denaro, cerchiamo di rilasciare i reclusi. Dove non sono stati commessi reati di sangue, tentiamo di aiutare il campesino, la povera gente: non sono prigionieri politici. Ma, purtroppo, nel caso di Yajalón, il 98% sono accusati di omicidio. Il problema qui è che non si tratta di prigionieri politici. Il problema qui è che un priista ha ammazzato un perredista, un perredista ha ammazzato un priista. Questi sono delitti, indipendentemente da quale sia la loro ideologia politica, da qui nasce la confusione. Per consegnarli all’autorità competente, occorrono molte prove, testimonianze, prove giudiziarie, ma tutto indica una presunta responsabilità. È il giudice che ha valutato ed ha emesso una sentenza, ma noi non ci impegniamo a desistere in casi gravi come l’omicidio, lo stupro o il reato di sequestro di persona. Purtroppo, molti di questi reati si trovano nella lista dei prigionieri prima menzionata e quindi non se n’è venuti a capo. È molto diverso gestire una situazione di esproprio e una di omicidio. In breve tempo, se si desiste, la stessa commissione dei diritti umani andrebbe contro il procuratore. Dunque, qui in Chiapas non esistono prigionieri politici. Esistono politici che sono prigionieri, ma di tutte le ideologie. Proprio lì abbiamo politici prigionieri che non sono precisamente indigeni né niente del genere.

Ora vorrei approfittare di questo spazio per fare un commento sui municipi autonomi. Ho inteso che voi avreste fatto delle domande su questo tema e quindi mi porto avanti. Il governatore del Chiapas non ha mai ordinato che si smantellassero questi municipi. Vediamo il caso di Taniperla: nell’ejido de Taniperla sono i fittavoli che si querelano, perché i membri del nuovo governo autonomo hanno toccato le terre degli ejidatarios e questi si sono presentati al "Ministerio Público" e hanno chiesto che si applicasse la legge. In questo caso c’era un reato di danno tra contadini. Nel caso di Aguatinta, non vi siamo andati perché non avevano commesso un’azione punibile, ma avevano fatto solo delle dichiarazioni e noi, per questo, non sottoponiamo a giudizio nessuno. Tuttavia, a Taniperla, tra l’altro, avevano delle carceri clandestine, quasi delle gabbie, e di questo ha parlato la stampa, in cui per 17 giorni hanno imprigionato degli stranieri, dei guatemaltechi. Come abbiamo potuto constatare quando ci siamo andati, è stato per un reato di carattere civile e questo è proibito dalla nostra Costituzione. Nessuno può essere privato della propria libertà per un reato di carattere civile. Allora, tra altri reati, vi era quello della privazione illegale della libertà ai danni di stranieri. In questo caso siamo intervenuti e abbiamo arrestato i responsabili del governo autonomo coinvolti in questo. A quel punto è stato sciolto il famoso municipio autonomo. L’obiettivo, però, non è mai stato quello di colpire chi, per una qualche ragione, cercava di sostenere un’azione politica, ma chi stava commettendo reati sanzionati dal codice penale. Ad El Bosque si sono dovuti compiere ordini di cattura perché erano stati commessi nove omicidi nell’arco di tre mesi. Ad essere danneggiate erano delle persone di un ejido che non simpatizzavano con il resto della popolazione e che sono venute in questi uffici, dicendo: "O intervenite o noi, domani mattina alle cinque, andiamo a farci giustizia con le nostre mani." Siamo dovuti andare e, purtroppo, il governo dello Stato ha dovuto assumersi le proprie responsabilità, vi ripeto, perché non vogliamo più altri Acteal, altri scontri tra civili. Quindi, tutto ha la sua ragione d’essere. Qui non ci sono reati politici, ve lo dico in tutta onestà. Il nostro codice penale – con molto piacere vi farò avere il codice penale del Chiapas – riflette reati gravi che sono quelli che attentano contro l’integrità delle persone o contro il loro patrimonio. Riguardo invece al tema della sanità, sarà il signor segretario ad informarvi.

Segretario: Molto bene, riguardo all’assistenza sanitaria che è stata loro data, in relazione alla domanda da voi posta su Yajalón, posso dirvi che sono stati completamente assistiti. Noi facciamo dei controlli permanenti attraverso ognuno dei direttori di questi centri penitenziari ed inoltre ci sono controlli medici periodici perché venga determinato lo stato di salute di ognuno dei reclusi. Abbiate la sicurezza che, da questo lato, noi non riceviamo delle lamentele permanenti.

Ci permette una domanda? Secondo i rapporti di cui siamo in possesso, pubblicati dal Congresso dell’Unione, dalle testimonianze delle comunità che abbiamo visitato e da quanto abbiamo potuto vedere direttamente, ci siamo resi conto che è in atto una militarizzazione o che è possibile pensare esista una forte militarizzazione del territorio chiapaneco. Cosa potete dirci al riguardo?

Bene, io credo che questa è un’esagerazione. Credo che la presenza dell’esercito abbia due significati: la protezione delle garanzie delle persone di fronte alle aggressioni dei delinquenti, poiché chi oggi sta creando disordine nello stato del Chiapas si è convertito più in delinquente che in ribelle; secondo, questa protezione per poterla ottenere dobbiamo lasciare prova d’istituzionalità e non una casistica di scontri che potrebbero darsi tra le medesime comunità che aggrediscono e gli aggrediti. La presenza dell’esercito non è solo su di un piano armato, è sul piano dell’assistenza sociale, di programmi di collaborazione, di rimboschimento, di assistenza alla comunità, di pulizia del letto dei fiumi, di emergenze in generale. Non va oltre lo stretto necessario, è presente perché ci sta aiutando anche nella costruzione di strade, nella ricostruzione nella zona costiera: abbiamo avuto un gravissimo problema a causa delle inondazioni e l’esercito ha avuto un ruolo fondamentale. Anche nel nord dello Stato, dove stiamo affrontando il problema delle inondazioni negli Stati di Tabasco e Veracruz, abbiamo avuto la presenza dell’esercito, come è successo nel Chiapas. Quanto avviene qua in un senso di collaborazione, viene ingigantito in un senso di disorientamento. Hanno voluto che venisse tolto tutto, hanno voluto avere impunità, hanno voluto ritornare a permettere lo scontro tra le nostre stesse genti, hanno voluto imputare al governo dello Stato le responsabilità di aggressione. Ma noi non cadiamo nella trappola, saremo istituzionali. Sono istituzioni di ambito federale. Non dimentichiamo inoltre che esiste una serie di distorsioni rispetto alla possibilità della legge sul dialogo, che non dà impunità, dà uno status di cui bisogna tenere conto e tutti quelli che hanno cattive intenzioni vorrebbero che li togliessimo, per propiziare di nuovo lo scontro e il disordine. La posizione dell’esercito è rispettosa con la sovranità e con il governo dello stato del Chiapas, come il governo del Chiapas è assolutamente rispettoso con la presenza dell’esercito, nient’altro.

Permettetemi di dire che nella legge federale messicana l’esercito ha alcune funzioni molto chiare: combattere il narcotraffico e far rispettare la legge sulla detenzione di armi ed esplosivi. Il Chiapas, purtroppo, è il passaggio obbligato della droga verso gli Stati Uniti: 1) per via della selva; 2) perché, purtroppo, esiste la convinzione che qui potrebbe avvenire una proliferazione della compravendita di armi. Questo potrebbe mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Si stanno compiendo due obiettivi che è un loro obbligo compiere con questi in tutta la Repubblica Messicana. Con questo la ragion d’essere della presenza dell’esercito si giustifica completamente davanti alla legge. È una menzogna che stia perseguitando le comunità filozapatiste.

Non esiste, quindi, una mancata attuazione delle funzioni tra esercito e polizia statale?

Per niente, l’indagine sui crimini la persegue esclusivamente il "Ministerio Público". L’esercito c’è per applicare la legge federale sulle armi e gli esplosivi. I suoi posti di blocco hanno questo fine e le sue incursioni servono a sradicare piantagioni del narcotraffico. Voi ve ne sarete resi conto: c’è gente che, approfittando della situazione, si è dedicata a un cattivo uso dei nostri terreni. Quante estensioni di marijuana e papavero abbiamo scoperto, purtroppo!

Crediamo che dopo i fatti di Acteal, che è stato quel triste avvenimento che ha sensibilizzato l’opinione pubblica messicana ed internazionale, tutto il mondo ha valutato come positiva la razionalizzazione politica e anche la sensatezza politica della firma degli Accordi di San Andrés da parte del governo federale, con l’attuazione di tangenza delle autorità locali e statali, e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Queste sue attuazioni, questo modello, questo programma di governo che voi proponete, che ci sembra abbastanza corretto nel testo e negli scopi, si inquadra o no nell’applicazione di questi accordi e, fino a che punto, questo modello di governo ha ricevuto consenso dalla controparte che ha firmato gli accordi, con l’EZLN o con i suoi interlocutori politici? Perché altrimenti, - Lei ha parlato prima del suo consenso - ci sarebbe un chiaro riconoscimento istituzionale, politico, di una controparte in un conflitto, che inoltre porta al riconoscimento, da parte del governatore Albores, delle cause di questo conflitto. Quindi, fino a che punto avete potuto, e avete avuto la volontà politica, che l’altra parte ne divenga attrice perché il risultato sia l’optimum nella linea degli Accordi di San Andrés?

Penso che voi stessi avete la risposta, perché voi siete gente informata. L’appello reiterato, insistente, spesso più insistente di quanto molti vorrebbero, del presidente del Messico e del governatore, viene fatto in tutti gli ambiti, in tutte le regioni del Chiapas e in tutti i forum nazionali. Si è insistito nell’invitare la dirigenza dell’EZLN affinché si sieda a dialogare. Davanti all’intransigenza non si può dialogare. C’è un’intransigenza totale, una mancanza di rispetto verso le loro stesse cause, figuriamoci verso il governo. Verso le loro origini e i loro presunti obiettivi. Non c’è risposta, c’è aggressione, distorsione. Noi insistiamo, il tavolo è pronto, nel momento in cui loro desiderano. Non solo da parte del Chiapas, che è una circostanza a cui bisogna dar credito, ma l’ambito del conflitto con l’EZLN ha un ingrediente, fondamentalmente, a livello federale. Ma la volontà del presidente, del ministro degli interni, in quanto autorità responsabili, è dichiarata. Lo è anche nelle interlocuzioni che hanno stabilito tramite il coordinatore per il dialogo, ed è avallata e, tutti i giorni, ribadita dal governatore. Il governatore, nel suo ambito, sta praticando il dialogo tutti i giorni, con tutti i gruppi. Non con l’EZLN, perché esiste intransigenza da quell’ambito, ma con i produttori, con i coltivatori di mais, con gli allevatori e con le organizzazioni sociali e con chi è a favore e con chi è contrario. Il tavolo del segretario, il tavolo del procuratore, lo stesso tavolo del governatore, è un tavolo di dialogo e di mutua comprensione. Non esiste autoritarismo, né aggressione, né repressione. In Chiapas si governa con il popolo, per il popolo.

Solo un’ultima questione, vorremmo chiedervi qualcosa sulla giustizia per tutti. Siamo stati alcuni giorni fa ad Agua Fria e ci siamo imbattuti, non solo con la testimonianza diretta, ma con una serie di testimonianze e di dati che avvallano che la nostra richiesta sia più insistente. Riguardo alla morte di José Tila, che non è stata accettata, non diciamo la sua morte, ma la relazione tra questa e la nostra visita, perché è stato assassinato nel febbraio del ‘98,poche ore dopo essersi incontrato con noi. Pochi giorni fa abbiamo parlato con la vedova, il figlio e il padre di questo signore. Mentre stavamo tornando, per strada abbiamo incrociato quattro signori a cavallo che il padre ha identificato come gli assassini. Abbiamo qui il nome di sette persone delle quali solo una è stata arrestata, Mateo López Pérez. Gli altri signori che abbiamo incrociato, non li conosciamo, ma ci fidiamo della parola del padre che, come testimone oculare dell’assassinio del figlio, ci ha detto: "Quelli sono gli assassini, si sono dati alla macchia e sono stati nascosti per un anno, ma ora passeggiano da queste parti. Mi hanno minacciato, dicendo che io sono l’unico testimone. Se sparisco io, c’è impunità". Inoltre, il 18 settembre, questi signori, i López Pérez, che sono Mateo, Plácido, Pablo, ecc., hanno preso a colpi di machete la struttura di legno dell’accampamento degli osservatori. Erano ubriachi e dicevano, in sintesi, che non sarebbe stato fatto niente contro di loro perché sono del governo. Queste sono le testuali parole, perché ne abbiamo preso nota. Quindi ve le trasmettiamo per un obbligo morale ed etico, al di là del lavoro di osservatori. Secondo la linea che Lei ha proposto, che non esiste impunità per nessuno, non capiamo come mai questi signori vadano tranquillamente a spasso e continuino a minacciare il padre della vittima. Noi siamo solo un tramite, non posso fare altro, né nomi, né fatti. Non lo certifichiamo, perché non è questo il nostro ruolo, ma abbiamo l’obbligo, nella linea di attuazione che hanno espresso il governo e la cancelleria di fare giustizia per tutti, di chiedervi di intervenire in modo particolare su questi fatti.

Siate certi, la prossima volta che ci vediamo, che saranno stati arrestati.

Lasciateci però dire che questi signori stanno vivendo ad Agua Fria come se niente fosse. Dato che si tratta di una questione che ci tocca da vicino, vi saremmo grati se poteste informarci sullo sviluppo degli eventi.

Ora vi prendiamo i dati.

 

 

 

5. Intervista alla Comisión Nacional de Derechos Humanos (CNDH), sede di San Cristóbal de las Casas

Siamo ricevuti dal Coordinatore Generale per le zone di Los Altos e Selva del Chiapas, Dott. Luis Jimenez Bueno, e dai visitatori aggiunti per la coordinazione delle zone Los Altos del Chiapas, Dott. Josè Alberto Sanchez Osuna e Dott. Jesus Ernesto Molina Ramos.

Prima di dare inizio alla riunione, le persone che in quest’intervista rappresentano la CCIODH comunicano che a causa della conferma ricevuta solo oggi, 24 novembre, della concessione dell’intervista, i nostri compagni con visto FM3 sono in viaggio per Città de Messico, e quindi noi, che abbiamo risposto al loro invito, siamo qui in qualità di accompagnatori:

CNDH: Per noi rappresentanti della CNDH, è molto importante avere la possibilità di confrontare i nostri punti di vista con voi. Io ringrazio, in nome di quest’ufficio, per l’occasione che ci date. Vi ringraziamo per averci preso in considerazione, è molto importante per noi scambiare punti di vista e poterne parlare. Noi qui stiamo vivendo il problema, ne abbiamo una visione, voi però ricevete dell’informazione che ha un’altra prospettiva. Quindi è molto importante che voi la possiate contrastare. Vi ringrazio per questo e speriamo che nelle vostre future visite a questo paese continuiate a prenderci in considerazione. Siamo a vostra disposizione, stimiamo molto il vostro lavoro e lo teniamo in conto. Qualsiasi commento è valido e molto bene accetto.

La CNDH ha competenza in tutta la Repubblica Messicana, principalmente quando si tratta di atti di autorità a carattere federale, pubblici ufficiali a carattere generale. L’unico ufficio che la CNDH mantiene permanentemente in tutta la Repubblica si trova proprio qui a San Cristobal, dove vi trovate in questo momento. - Perché si mantiene la presenza in Chiapas? Precisamente perché si tratta della zona di conflitto. È molto importante segnalare che il coordinamento del movimento zapatista si è creato dal febbraio del 1994, in pratica dal sorgere del movimento zapatista. Da allora ad oggi si mantiene in pratica una presenza in tutto lo stato per venire a conoscenza del rispetto, o delle violazioni dei diritti umani.

- Cosa facciamo noi quando riceviamo le denuncie? Bene, riguardo a questo andrò un po’ oltre.

- Come riceviamo le denunce? Secondo la nostra legge possiamo aprire dei fascicoli dalle denunce ricevute direttamente dalle persone che si dicono danneggiate, possiamo iniziare le denunce d’ufficio. Significa che quando veniamo a conoscenza di un problema di competenza della CNDH, agiamo immediatamente. Possiamo ricevere denunce per telefono, fax, per lettera o con qualsiasi altro mezzo. Una volta ricevute le denuncie diamo il via alle indagini; ci costituiamo nei luoghi ove si suscitano i conflitti e i problemi. Chiediamo informazioni alle autorità considerate responsabili della violazione dei diritti umani. Valutiamo infine tutto il flusso d’informazione che si ha sui denuncianti, testimoni, sulle autorità, ecc.… a quel punto si pronuncia la CNDH. Agiamo soltanto se il soggetto è un’autorità federale. La prima ipotesi si riferisce agli atti tra privati cittadini, noi però agiamo quando si tratta di autorità federali: l’esercito, la polizia federale stradale, che sono i corpi che vigilano sulle strade. I poliziotti giudiziari e gli agenti del ministero della Repubblica, quello pubblico, entrambi dipendenti dalla Procura Generale (PGR). Altri pubblici ufficiali sono i medici e le infermiere dell’Istituto Messicano per l’Assistenza Sociale (IMSS). Sono considerati anche quei pubblici ufficiali a carattere federale che potrebbero violare dei diritti umani. Oltre al caso dei funzionari delle carceri, che non sono federali, è stabilito dalla legge della funzione nazionale dei diritti umani che trattiamo nelle questioni dei penitenziari e allora possiamo quindi intervenire in qualunque angolo della Repubblica anche se l’autorità è ad esempio municipale, nelle carceri di distretto, oppure nei centri di detenzione sociale dei diversi stati. Vi faccio un commento, questa è la competenza formale, ossia in accordo alla costituzione politica degli Stati Uniti Messicani, e al regolamento interno alla CNDH, però facciamo delle eccezioni.

Facciamo un’eccezione, conosciamo la situazione che impera nello stato, che è molto delicata. Conosciamo alcuni precedenti molto chiari, che includono atti particolari di una od un’altra persona che in principio non sono di competenza della CNDH ma che si possono tradurre poi in un conflitto maggiore e in un problema tra famiglie, tra gruppi sociali, tra simpatizzanti o militanti di partiti politici. Oppure tra comunità, cioè, si tratta di una storia reale che abbiamo davanti tutti i giorni. Quindi, ciò che facciamo quando veniamo a conoscenza di un conflitto è intervenire.

- Intervenire per cosa? Per informare le persone riguardo a quali istanze possono rivolgersi per risolvere i problemi. Inoltre, informiamo le autorità che hanno a che vedere con quel problema, che è di loro competenza risolvere. Dipingiamo un quadro della situazione perché intervengano e opportunamente intervengano a risolvere pacificamente, nell’ambito dei diritti umani, il conflitto tra le persone.

- Per cosa? Affinché non ci siano conseguenze e non accadano disgrazie di cui lamentarsi come accaduto nel caso di Acteal. Vi dico questo per darvi un esempio in più.

Non ci limitiamo alla competenza formale ma andiamo oltre. Scriviamo subito all’autorità municipale, alle autorità statali e alle autorità statali, ecc., che non hanno a che vedere con il reclamo formale sui diritti umani, che però compete a loro intervenire, e non solo ma addirittura risolvere il problema. Allora, una volta avvisati, restiamo al pendente.

Nel caso di Acteal avevamo sì ricevuto avviso di cosa sarebbe successo, si erano dati dei precedenti a quei problemi; di fatto il governatore dello stato era stato opportunamente sollecitato per l’adozione di misure cautelari. Non vennero però adottate e così è successo quel che è successo. Si è trattato di un fatto annunciato e parte della responsabilità passò alle autorità governative.

Ora la situazione è diversa. Due anni fa accadevano dei fatti di questo tipo, attualmente avviene un altro genere di accadimenti, forse con alcune costanti. Cercherò di essere più chiaro.

- Quali sono le costanti? Quando voi siete venuti, nel 1998, c’erano gruppi di abitanti che erano costretti a fuggire dalle loro comunità per la violenza interna dei loro posti. Attualmente continua a succedere. Esattamente due settimane fa, circa, membri della società civile "Las Abejas" del municipio di Chenalhó furono obbligate a fuggire da Canolán e si trasferirono ad Acteal. Quindi sì, continuiamo ad avere popolazione sfollata; abbiamo qui dei gruppi che continuano ad essere sfollati.

Anche la presenza dell’esercito messicano è una costante. Ci sono altre situazioni che sono variate un po’ negli ultimi mesi, soprattutto durante il 1998. I conflitti più gravi si sono suscitati dal momento in cui il governo ha iniziato a mettere in atto operativi per intervenire nei cosiddetti municipi autonomi.

Ci sono stati dei detenuti, nel caso di El Bosque, persone che hanno perso la vita. L’ultimo fatto di questo tipo è stato El Bosque, avvenuto nel 1998. Da quel momento in poi non ci sono stati operativi di questa portata.

Noi lo interpretiamo, in un certo senso, come una situazione che non ha generato maggiori conflitti. Continuano ad esserci rimostranze delle comunità nel senso che sono oggetto di qualche genere di pressione da parte delle autorità federali, statali, ecc.… Ma il fatto che le autorità governative non abbiano condotto a termine operativi di questo tipo, lo interpretiamo ciò abbia evitato la comparsa del genere di conflitti come quelli avuti nel 1998.

La presenza dell’esercito nelle comunità:

Abbiamo visitato le comunità per indagare quali ne fossero effetti, quando la comunità ci dice apertamente: la presenza dell’esercito mi danneggia per questo, questo e questo. Allora si interviene sull’esercito, si vede, si analizza la questione e infine la CNDH si pronuncia. Qui c’è in atto una situazione molto delicata, sarò molto franco, e sicuramente ne sarete già informati: ci sono comunità che non ci comunicano informazioni. Ci sono istituzioni considerate da loro governative, allora esse si chiudono. Noi arriviamo alla comunità, tentiamo di ottenere informazioni per avere degli elementi, e quindi, potremmo pronunciarci, conoscere esattamente quali sono le ingiustizie di cui sono oggetto, e, a volte, le comunità non ci comunicano informazioni. Spesso c’è chiusura e ciò rende difficile intervenire in questi casi. Però non significa che vi rinunciamo, ci frena, ci ritarda. Dobbiamo allora bussare ad altre porte, dobbiamo prendere contatti con Ong per vedere se hanno qualche contatto per accedere alla comunità. Allora le procedure per risolvere e affrontare questo genere di problemi sono più lente di come si vorrebbe. Vorremmo muoverci subito ma spesso la comunità non ce ne dà l’opportunità. Il fatto che l’esercito istalli un accampamento non è una violazione dei diritti umani. Ciò che noi dobbiamo conoscere è in cosa consiste il reclamo della gente. L’esercito può prendere possesso di un luogo X, però il fatto di entrarne in possesso non è una violazione dei diritti umani. Ci sono quindi molte conseguenze che possono sorgere dall’occupazione dell’esercito messicano, come ad esempio può essere che si sia installato su un terreno che non è di sua proprietà. Dipende da ogni caso concreto. Se lei mi cita un caso concreto io potrò risponderle. Potrebbe darsi il caso che voi ora avete molti casi in mente, ve ne hanno raccontati moltissimi. Ci sono casi di cui noi non siamo a conoscenza, però perché? Per questa chiusura, di cui vi ho parlato. Allora se voi ci informate, noi possiamo intervenire.

Questo è uno dei punti in cui siamo d’accordo, sull’importanza di tenere questo genere di incontri. Ci sono casi di cui voi farete rapporto che noi aspettiamo ansiosamente per iniziare le indagini. A volte i conflitti sono tra comunità e comunità e non per l’intervento delle autorità.

Denunce sull’esistenza di servizi sanitari nelle carceri:

Sono i casi di attività congiunte della Commissione dei Diritti Umani, già da diversi anni ed esiste una terzo ispettorato generale esclusivo per seguire questioni penitenziarie. Questi, senza la mediazione di alcun reclamo, hanno in supervisione praticamente tutti gli edifici penitenziari della Repubblica Messicana.

Quando loro individuano dei problemi, li risolvono e si pronunciano. I casi concreti posso conoscerli anch’io. Cioè, il coordinamento non ha bisogno di supervisioni, se non compete al terzo ispettorato. Quando noi riceviamo una denuncia de un internato, perché non ha ricevuto assistenza medica, ovviamente interveniamo subito, come per tutti gli altri casi che seguiamo. Comunque non ci limitiamo a fare una gestione del caso, ma sempre ci manteniamo attenti e ne diamo un seguito. Manteniamo un costante contatto con l’internato. Andiamo a vederlo tutte le volte che sia necessario fino ad avere la certezza che gli è concessa l’attenzione medica necessaria. Vorrei farvi una richiesta, forse l’avete già considerato: l’anno scorso il dossier che avete realizzato lo avete consegnato direttamente alla CNDH, alla sede a Città del Messico e qui in Chiapas. La richiesta che vi faccio è che se ne avete la possibilità, fatelo ancora nello stesso modo. Mi interessa moltissimo, che al più presto possibile possa venire a conoscenza e così intervenire in modo opportuno. Siamo a vostra disposizione, è un piacere.

 

 

 

 

 

6. Incontro con il Comitato della Croce Rossa Internazionale (CICR)

22 novembre 1999, San Cristóbal de las Casas

Il CICR è stato presente in Chiapas dal 1994 alla fine del 1995.

Nei primi mesi del ‘98, dopo la strage di Acteal, la Croce Rossa Messicana è stata investita dalle accuse di faziosità nel conflitto (con posizione pro-governo), di scorrettezze nei confronti dei rifugiati che erano sotto la sua protezione e anche di malversazione di fondi. Questa questione ha dato luogo ad un processo.

Di fronte a questa situazione, un numero considerevole di organizzazioni della società civile messicana ha fatto pressioni affinché la Croce Rossa Internazionale tornasse in Chiapas. Nel maggio del 1998, è stato concluso un accordo tra il governo messicano e il CICR.

Il Dott. Mueller, responsabile di una delegazione del CICR, che ha preferito che quest’intervista non fosse registrata, ha presentato le diverse modalità d’intervento della sua organizzazione e le relazioni di questa con la Croce Rossa Messicana. Mueller ha preferito non rispondere alle nostre domande riguardanti:

La situazione sanitaria nei campi di desplazados; su questo tema ha consigliato di rivolgerci al ministero della sanità e alla Croce Rossa Messicana;

Le informazioni raccolte a Polhó, secondo cui il programma della Croce Rossa in quel luogo avrebbe dovuto terminare alla fine dell’anno (1999);

L’atteggiamento dei rifugiati nei riguardi del CICR;

L’atteggiamento del CICR verso i costumi, a tutti i livelli, dei rifugiati indigeni.

Ha dichiarato che l’assistenza alimentare e medica è coordinata con la Croce Rossa Messicana.

Riguardo al tema dell’alimentazione, si sta provando a variare i cibi, proponendo alla gente la realizzazione di orti di leguminose.

Nell’ambito medico, rispondendo alle nostre domande relative ad alcune preoccupazioni trasmesseci dai rifugiati, Mueller ha preso appunti ma non ha fatto commenti. Gli è stata posta la questione inerente alla sterilizzazione forzata delle donne indigene, compreso il caso di determinati farmaci iniettati alle donne in cambio di un contributo economico.

Cambiando argomento, Mueller ha affermato che gli interventi nel campo agricolo, abitativo, di rifornimento d’acqua e di promozione del diritto internazionale umanitario sono di responsabilità unica del CICR.

Per quanto riguarda l’agricoltura, l’esempio dato è stato quello della fornitura di silos, per conservare il mais e le sementi. Alle domande concernenti il problema dell’accesso dei rifugiati alla terra, Mueller ha risposto che il CICR lavora con l’obiettivo di favorire trattative su questo punto tra le parti in conflitto.

In quanto alla promozione del diritto internazionale umanitario, ha informato che il CICR sta impartendo all’esercito, in Chiapas e in tutto il Messico, seminari sulla sua applicazione in caso di conflitto.

Le zone dove il CICR sta svolgendo attività sono Las Cañadas e Los Altos. Nella Zona Norte si stanno invece preparando a possibili interventi oltre che delle visite ai prigionieri nel carcere di Yajalón.

Riportandogli le testimonianze dei desplazados riguardo alla questione della Croce Rossa Messicana, Mueller ha riconosciuto la parzialità di questa, in altre parole il suo coinvolgimento a lato del governo. Ha inoltre aggiunto che l’immagine del CICR all’interno dei campi è diversa, è visto come più neutrale.

Spiega che il CICR e la CRM non sono legate da relazioni gerarchiche, anche se il CICR finanzia, prende visione e valuta il lavoro della Croce Rossa Messicana.

Sul problema specifico del centro sanitario di San José del Río, sulla strada per La Realidad, segnalato come della Croce Rossa, ha assicurato che gli impiegati non sono né del CICR, né della CRM. Ha poi aggiunto che si tratta di un caso molto complicato.

 

 

 

 

 

3. B. Interviste alle comunità indigene

Questa parte del dossier presenta la problematica del conflitto dal punto di vista delle comunità indigene visitate. Riporta le loro inquietudini, la loro preoccupazione e riproduce le denunce che queste hanno valutato opportuno rendere note all’opinione pubblica nazionale ed internazionale.

Oltre a riunire descrizioni di situazioni particolari, l’intenzione di questo dossier è apportare elementi per una comprensione globale della natura del conflitto e dei suoi effetti. Inoltre, mentre nel primo dossier della Commissione (elaborato nel marzo del 1998) si poneva l’enfasi su fatti puntuali, prodotti dalla situazione del momento, questa volta i nostri interlocutori hanno evidenziato maggiormente il modo in cui la prolungazione del conflitto colpisce la loro vita quotidiana, lede il loro diritto di transitare, produrre e commerciare, e pregiudica la loro libertà di agire secondo la propria cultura e tradizione.

Quest’introduzione serve quindi per chiarire che, sebbene si osservino manifestazioni simili in tutte le comunità, esistono particolarità che hanno a che vedere con l’ubicazione geografica e/o la struttura sociale ed economica di ciascuna comunità o regione. Per questo, cercheremo di precisare meglio il contesto incontrato in ogni luogo visitato, così come di far risaltare alcuni aspetti che ci sembrano caratteristici del conflitto e che vengono illustrati, in modo specifico, in un resoconto o in un altro. Perciò, a San Andrés e ad Oventic, si descrivono le strategie utilizzate per negare e annichilire le strutture indipendenti dal governo, costruite in base agli Accordi di San Andrés. Le relazioni su Polhó e la Zona Norte esemplificano la problematica degli sfollamenti (desplazamientos) a causa della violenza paramilitare con diverse sfaccettature: il concentramento di masse di rifugiati ed i problemi che questo genera nel caso di Polhó, l’impunità di cui godono i gruppi paramilitari e l’insicurezza che ne deriva per il controllo che questi esercitano sulle vie d’accesso alla Zona Norte.

Da parte sua, la testimonianza raccolta a El Nuevo Brillante, (nella zona di Los Altos) documenta la violenza contro le comunità, dove la morte di 8 persone avvenuta durante l’attacco al Municipio Autonomo di San Juan de la Libertad è imputabile direttamente alle forze militari.

Il caso del Municipio Autonomo Ricardo Flores Magón presenta l’installazione prolungata dell’esercito dopo aver fatto irruzione nella comunità di Taniperla, l’11 aprile del 1998, ed il controllo che, da allora, esercitano gli abitanti appartenenti al partito ufficiale - che si estende alle comunità limitrofe – e che arriva al punto di impedire, con metodi intimidatori, qualsiasi visita di osservatori esterni.

Questo, a sua volta, spiega la resistenza alla costruzione di strade - che favoriscono una maggiore penetrazione dell’esercito – riscontrate specialmente ad Amador Hernández (nella regione Selva), come pure nel Municipio Autonomo di San Manuel e nella comunità Patria Nueva (nella regione di Ocosingo).

Infine, a Morelia appaino distintamente gli sforzi delle autorità costituzionali (del vicino municipio di Altamirano) per mantenere uno stato di polarizzazione interna mediante la pratica di una politica di favoritismo verso i suoi affiliati e di minacce alle autorità autonome, mentre a Moisés Ghandhi, si pone l’accento sullo strangolamento economico, frutto del blocco all’accesso alla strada istituito dalle autorità della caserma militare confinante con la comunità.

 

 

1. San Andrés Sacamch’en: incontro con il sindico municipal del Consiglio Autonomo e i rappresentanti del Consiglio

Il giorno 19 novembre 1999, una delegazione della CCIODH si è recata a San Andrés Sacamch’en, nei Los Altos del Chiapas. Dopo aver subito un controllo da parte di funzionari dell’Instituto Nacional de Migración, appostati in una casetta a lato della base dell’Esercito Federale all’entrata del paese, gli osservatori si sono diretti alla presidenza municipale, sede del Consiglio Autonomo, e sono stati ricevuti da alcuni suoi membri guidati dal sindico (vicepresidente) municipale che, in assenza del presidente, si è incaricato di ricevere la comitiva.

Il paese di San Andrés ha un’importanza particolare, tanto che, nel 1996, è stato la sede del dialogo fra i rappresentanti del governo federale e i delegati dell’EZLN. E’ il luogo dove, nel febbraio del 1996, sono stati firmati gli accordi noti come "Accordi di San Andrés", che, in seguito, sono stati disconosciuti dal governo provocando così la rottura del processo di dialogo. Per questo, l’incursione realizzata da Seguridad Pública il 7 aprile 1999 per reinsediare il presidente municipale costituzionale ha assunto un carattere simbolico, tanto più se si considera che l’operazione è stata realizzata solo due settimane dopo la Consulta Nazionale promossa dagli zapatisti su cultura e diritti indigeni, base degli accordi firmati a San Andrés. Le autorità intervistate hanno ricordato i fatti del 7 aprile, ponendo l'accento sulla loro indipendenza dal governo e sul sostegno maggioritario di cui godono fra la popolazione delle 37 comunità che formano il Municipio Autonomo. Hanno messo l’accento sulla mobilitazione di massa che si è prodotta l’8 aprile 1999 e che ha provocato l’espulsione degli effettivi di Seguridad Pública e permesso di recuperare il locale della Presidenza Municipale. Tuttavia, hanno segnalato che hanno avuto grosse difficoltà per mantenere il presidio installato per vigilare la sede del Consiglio Municipale Autonomo – che all’inizio è arrivato a riunire più di mille persone – sia per l’approvvigionamento, principalmente alimentare, che per mancanza di risorse nel trasporto di volontari da altre comunità al centro municipale. Hanno espresso la loro speranza che presto cominci a funzionare la scuola media, attualmente in costruzione nell’Aguascalientes di Oventic. Questa scuola darà un’opportunità ai giovani della regione di ricevere una formazione – nella loro lingua e in spagnolo – alternativa a quella che offre il governo.

Durante tutta l’intervista, il tema della mancanza di mezzi è stato indicato come l’ostacolo principale al buon funzionamento del Municipio. È stato menzionato tanto nell’ambito della salute, con la mancanza di medicine, quanto nella manutenzione degli automezzi. La mancanza di mezzi per il combustibile e le riparazioni limita le possibilità di azioni a favore della popolazione del municipio. A questo punto, sono state menzionate le difficoltà che sperimentano gli abitanti a circolare liberamente, a causa dei posti di blocco dell’esercito installati alle entrate del paese.

A questo riguardo, le autorità del municipio hanno manifestato stanchezza per lo stato di occupazione permanente provocato dalla presenza dei militari, che si traduce in perquisizioni, controlli di identità, occupazioni di terreni e appropriazione indebita di risorse naturali, come acqua e legna, da parte dei soldati. Inoltre, hanno segnalato il disagio causato nelle comunità dalla presenza di prostitute al seguito dei soldati. Sebbene abbiano giudicato le attività dei gruppi paramilitari come "calme" negli ultimi tempi, hanno detto di sentirsi minacciati in permanenza, come persone e come autorità autonome. Sospettano che le autorità istituzionali legate al PRI non hanno desistito dall’intenzione di riprendere il controllo della presidenza municipale e temono che nel futuro possano ricorrere ad azioni di forza affidate a elementi paramilitari piuttosto che alla polizia.

Il municipio autonomo di San Andrés funziona in forma indipendente dal governo e le sue autorità sono al servizio della comunità senza ricevere alcuna remunerazione per svolgere i propri incarichi. La loro possibilità di azione e i loro movimenti sono limitati dalla presenza dell’esercito, che interferisce anche nel normale svolgimento delle attività economiche e produttive della popolazione.

Sebbene fossero presenti vari membri del Consiglio Autonomo, alle domande ha risposto spesso il Sindico Municipal, che in qualche caso ha tradotto gli interventi di alcuni dei presenti.

Sindico Municipal: Grazie per la vostra visita, giacché qui stiamo occupando la Presidenza Municipale. Questo è un luogo dove si è costruita una presidenza per volontà maggioritaria della gente di questo paese, il quale prima si chiamava Larráinzar.

È arrivato il tempo in cui la gente ha cominciato a organizzarsi poco a poco, per vedere dove sta il governo e come sta agendo. Allora abbiamo cominciato ad organizzarci contro il governo e a separarci da lui, perché prima in questo paese eravamo priisti al 100%. Però, quando abbiamo visto come agivano i priisti, abbiamo iniziato ad organizzarci e a formare nuove autorità municipali indipendenti dal governo. Non prendiamo niente dal governo, siamo in resistenza, stiamo lavorando organizzati. Questa presidenza è stata costruita dal governo, ma l’abbiamo recuperata ed è dove ci troviamo ora. Però, ripeto, non siamo in linea con il governo. Abbiamo camminato. È come un figlio che cammina già e non gli piace il governo. Il governo ci è molto ostile perché al nostro Municipio Autonomo appartengono 37 comunità. A quel punto il municipio si è formato ed organizzato. Questo è il progresso che abbiamo fatto. Quando il governo ha visto che eravamo organizzati, attraverso le sue istituzioni come il Seapi (Segretariato Statale per l’Attenzione ai Popoli Indigeni), per esempio, invece di appoggiarci il 7 aprile 1999 è venuto a smantellare questo municipio. Così si sono ripresi la sede della presidenza municipale e, al momento del loro arrivo, noi abbiamo abbandonato il locale. Non c’era altra scelta. Ce ne siamo andati tutti noi del Consiglio, gli anziani e le autorità, perché è venuta Seguridad Pública, la polizia giudiziaria (federale), insieme anche a molti agenti del governo per recuperare la presidenza e così, in tutta tranquillità, è potuto rientrare il presidente municipale priista. Ma, dato che abbiamo l’appoggio di 37 comunità, appena queste sono venute a sapere cosa stava succedendo hanno cominciato a mobilitarsi e ad organizzarsi e così siamo riusciti a recuperare nuovamente il municipio. Hanno invitato la gente e convocato assemblee urgenti perché la presidenza era accerchiata. Allora si sono accordati per realizzare un movimento forte e hanno invitato altra gente da Los Altos del Chiapas perché li aiutassero a recuperare la presidenza. Molta gente è venuta a vedere, a manifestare e ad esigere il ritiro di Seguridad Pública. Non so che gli prese alla polizia, il fatto è che poco a poco è stata accerchiata da vari gruppi. Quando hanno visto che la gente era molta – il piano era di comportarsi pacificamente ma la gente arrivò arrabbiatissima, perfino i bambini – hanno chiesto spazio per uscire ed evitare così provocazioni. Così se ne sono andati, grazie alla forza, all’unità dei molti che sono arrivati. Fu così che recuperammo la presidenza. Abbiamo il sostegno popolare ed è per questo che siamo riusciti a rientrare e finora continuiamo a stare qui. E tutto questo non avviene con tranquillità ma con sofferenza, non abbiamo alcun stipendio, assolutamente, rendetevi conto. Dal movimento dell’8 aprile, la gente continua a presidiare giorno e notte. Vengono uomini e donne da varie parti de Los Altos del Chiapas. Così andiamo avanti, un po’ tristemente, ma fintantoché la gente vuole lottare, noi dobbiamo resistere perché siamo stati nominati dal popolo e non dal governo. Questa è il punto fondamentale. Stiamo collaborando come autorità municipali per decisione della gente, non per decisione del governo né di Seguridad Pública. Ovvio, la polizia viene sempre da queste parti, l’esercito messicano passa e anche gente della presidenza istituzionale. Quando passiamo per la strada ci perquisiscono, di questo voi siete testimoni. In questo centro municipale c’erano cinque posti di blocco. Così è la situazione, non c’è più la tranquillità di prima. Fino al ’94, non c’erano posti di blocco, né militari, eravamo tranquilli, ma è così da quando è cominciata la guerra e questo continua.

Vogliamo approfittare per esporvi i bisogni della gente. Qui abbiamo sette automezzi. Sono stati riparati da noi ma, a parte questi sette veicoli, non abbiamo risorse economiche. Questo è il nostro punto debole. Così, se volete, potete informare qualcuno che forse ci può aiutare in questo senso, perché a causa della mancanza di mezzi non possiamo usare questi veicoli. Abbiamo un camioncino e non possiamo usarlo, neanche il camion da carico che è in officina. La sua riparazione, secondo il preventivo che ci hanno fatto, richiederebbe la somma di 15mila pesos. È abbastanza difficile per noi perché qui non siamo produttori, non arriviamo neanche all’autosufficienza alimentare. Ma la lotta è forte, questo sì. Il problema sta nei mezzi economici ed anche, come ho già menzionato, nel fatto che come autorità non abbiamo salario, ma stiamo lottando insieme alla gente.

Volevo parlarvi anche del presidio. All’inizio c’era molta gente e mandava appoggi, mandava alimenti. Ora non arriva più niente. Questo è il primo punto: riguarda gli alimenti per chi fa il presidio. Se qualcuno ha la volontà di aiutare questi compagni, la cosa è nelle sue mani, può farlo in qualsiasi modo, sia politicamente sia in altra maniera.

Sono venuti anche altri osservatori della società civile, come voi, per appoggiare il presidio, ma ora non c’è gente. Lo striscione sta lì ma non c’è gente.

La verità è che queste sono le necessità di questo municipio. Perché qui siamo nel pubblico, perché qui ci sono due presidenti municipali, quello del PRI e quello nostro ed è una situazione difficile, ma la cosa principale è dove siamo arrivati. Grazie.

Vorremmo conoscere più a fondo la situazione dei diritti umani delle comunità, intendiamo cioè i diritti umani come diritti collettivi. Ci sono stati altri incidenti come quelli del 7 aprile, movimenti dell’esercito e movimenti di gruppi paramilitari?

Adesso i gruppi paramilitari sono calmi, ma ci sono. Secondo le informazioni che ci arrivano, ci sono voci di un loro ritorno, ma non sono confermate.

Ora sembra che stia riprendendo, sono giunte voci alle nostre orecchie di cui noi teniamo conto, perché quando arrivarono il 7 aprile tutto era cominciato così: circolavano voci e notizie, tramite altra gente, sul fatto che i priisti volevano venire a recuperare la presidenza.

È per questo che noi qui stiamo vigilando, sopportando. È per questo che, ripeto, nel presidio non c’è gente.

Durante l’incursione del 7 aprile è stata notata la presenza di paramilitari: sono arrivati prima della polizia, insieme o come?

Il 7 aprile, sono arrivate insieme solo Seguridad Pública e la polizia giudiziaria, i paramilitari non si sono fatti vivi. Qui non si fanno vedere perché sono gente del posto. È venuto solo il presidente priista con la polizia, gli agenti giudiziari e funzionari del governo.

La comunità risente dei posti di blocco militari?

Parlando dell’Esercito Federale, quello che disturba di più è che non rispetta i cittadini. Per esempio, se la gente ha degli alberi sul proprio terreno, i militari non li rispettano, li tagliano senza chiedere il permesso, dicendo solo che, essendo federali, sono loro che comandano. Per di più, sebbene noi siamo tutti di qui, ci domandano dove viviamo, chi siamo, ci chiedono un documento di identità e non credono che siamo del posto e questo ci danneggia. A volte, anche solo per andare ai nostri terreni, a fare la raccolta o qualunque altro lavoro, ci chiedono ancora di identificarci o ci fanno scendere dal veicolo. È così che agisce l’esercito. E se la gente risponde che è del posto, i soldati si arrabbiano ancora di più e fanno più controlli. Lo so anche per esperienza, perché ho viaggiato dappertutto.

Il fatto di non poter circolare liberamente ha pregiudicato la produzione oppure si è potuto raccogliere normalmente il caffè?

I più danneggiati sono i proprietari dei terreni su cui è accampato l’esercito, perché, anche se possiedono poca terra, i soldati non li rispettano, vi si accampano e piantano le loro tende; noi siamo andati a parlarci poiché questo ci danneggia ed è, inoltre, una mancanza di rispetto. Ovvio, non lo fanno tutti, però ci sono dei compagni che, anche se volessero reclamare per il loro terreno, non possono farlo perché quelli che lo occupano sono armati. Questo è il problema.

Vi siete sentiti minacciati direttamente come persone, come membri di questo Consiglio?

Dalla settimana scorsa, il presidente municipale priista con i suoi seguaci si sta preparando per rientrare di nuovo in questo locale, però cercano di farlo in altre forme, non come la volta scorsa. Ci arrivano delle informazioni, ma non sappiamo quanto ciò sia vero. Però, di minacce ce ne sono.

Noi stiamo molto in prima linea, siamo molto esposti, ma non possiamo ancora fare una denuncia come abbiamo fatto dopo il 7 aprile, stiamo aspettando di vedere quello che succede e, se ci sarà bisogno, faremo una denuncia.

I soldati danno il cattivo esempio alla gente perché portano qui delle donne di altre posti, e fanno cose alla vista di tutti, senza rispettare la gente.

In realtà, prima la gente non era così, o meglio, non è gente di qui quella che si comporta in questo modo; però la gente di qui è esposta all’esempio delle donne o delle ragazze che sono portate qui. I soldati non sono disciplinati. Questo succede tutti i giorni, arrivano le donne e vanno con i soldati. Questo è il cattivo esempio che abbiamo visto.

Qual è la situazione della salute qui nel municipio? Avete assistenza?

Qui c’è un centro di salute del governo che però spesso non dà assistenza e, se la dà, non ci sono medicinali. Per quanto la gente ci vada, dicono sempre che non ci sono mezzi per il trasporto dei malati. Ci sono molte necessità. Ci sono addirittura persone che vengono da noi, qui alla presidenza, per chiederci di risolvere il trasporto dei malati poveri, ma non ne abbiamo i mezzi, neanche per la benzina.

Abbiamo promotori di salute, ma mancano i medicinali. È difficile. Quando abbiamo iniziato il presidio, sono venuti dei promotori di salute ed io ho fatto richiesta, tramite Enlace Civil e altre Ong indipendenti, attraverso delle lettere, per ricevere medicinali. Non li abbiamo però ricevuti, allora i promotori di salute hanno chiuso il centro perché non c’è modo di assistere la gente.

Nel centro di salute del governo ci sono dottori? Anche l’esercito ha offerto assistenza medica?

A noi no. L’esercito qui non viene. Nel centro di salute del governo c’è un dottore però a volte non lo conosciamo neanche, non si lascia conoscere. Ma in altri ospedali, ad esempio a Bochil, una donna mi ha raccontato che ad operare le donne è un colonnello. E questo non è ammissibile, la situazione è molto confusa. Se ci fosse un ospedale nostro, un dottore nostro…questo è quello che vogliamo! Abbiamo già una clinica ad Oventic, dove, a volte non ci sono medicine.

E riguardo all’istruzione?

C’è un insegnamento impartito dal governo. Noi non abbiamo un sistema educativo nostro, sappiamo però che ad Oventic stanno costruendo una scuola e siccome stiamo funzionando in modo centralizzato, stiamo aspettando. Certo, è già passato un anno e questa ancora non funziona, ma i ragazzi hanno speranza. Questa sarà la loro scuola, con il loro insegnamento, perché noi siamo separati dal governo. C’è la gente del governo e ci siamo noi. Ora dobbiamo ricorrere all’insegnamento governativo perché ancora non abbiamo un sistema nostro.

Come partecipa la gente della comunità alla presa di decisioni?

Ci sono commissioni nelle quali uomini e donne si sono organizzati.

Quando viene gente da altre comunità a fare il presidio, questo interferisce con i lavori quotidiani?

Il problema principale è quello del trasporto ed è per questo che vengono ormai in pochi. Non ci sono soldi per la benzina.

 

 

 

 

 

2. Aguascalientes di Oventic: incontro con il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (CCRI-EZLN)

Nella giornata del 19 novembre 1999, una delegazione della CCIODH ha visitato l’Aguascalientes di Oventic. Dopo un periodo di attesa, siamo stati accolti da due membri del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno dell’EZLN. La conversazione si è svolta nell’auditorio dell’Aguascalientes.

Le domande sono state elaborate per iscritto e, in seguito, risposte dagli interlocutori della CCIODH.

Agli intervistati è stato richiesto di fare una rassegna della situazione dei diritti umani, nel periodo intercorso dalla prima visita di questa commissione nel febbraio 1998.

Nel corso dell’estesa conversazione sostenuta con gli osservatori, gli intervistati hanno toccato temi diversi come la salute, l’istruzione, ma il problema che ha avuto maggiore risalto è stato quello della militarizzazione della zona e le sue conseguenze sulla popolazione. Al riguardo sono state espresse molteplici denunce che presentiamo qui di seguito:

Segnaliamo che la persecuzione verso le comunità, come i suoi effetti secondari, sono percepiti dai nostri interlocutori come una strategia messa in atto dai rappresentanti civili e militari del governo: ad esempio l’escalation di aggressioni è interpretata come diretta conseguenza della presenza di gruppi paramilitari e, che l’incremento della circolazione di armi e l’assenza di controllo sul possesso di queste, ha favorito la formazione di bande di aggressori che agiscono senza venire arrestati dalle forze dell’ordine. Lo stesso fenomeno è osservato e riportato dai rappresentanti delle comunità della Zona Norte, in relazione alla divisione del gruppo paramilitare Paz y Justicia (vedi la relazione della visita a Jolnixtiè, ultimo paragrafo).

Allo stesso modo, non è forse casuale che le denunce di tentativi da parte di individui a bordo di veicoli, di far salire con la forza dei minorenni trovati soli, ciò sia vincolato nel racconto, all’introduzione, nelle comunità, di droghe, alcolici e prostitute, interpretato quindi come una tattica per accrescere la decomposizione sociale delle comunità.

L’insicurezza provocata dai fatti precedentemente citati, nonostante l’imponente dispositivo militare nella regione e il fatto che siano riportati costanti controlli e detenzioni arbitrarie, rafforza – nell’opinione degli intervistati – l’impressione che le forze dell’ordine compiano un ruolo di controinsurrezione e non di protezione della popolazione.

La recente legge sulla rimunicipalizzazione è percepita come l’altra parte di un meccanismo teso innanzi tutto alla divisione tra le comunità affini al governo e le comunità di opposizione, e poi al controllo di queste ultime quando a livello amministrativo sono dichiarate dipendenti dalle prime.

D’altra parte, con l’esempio delle 14 famiglie facenti parte dell’organizzazione Las Abejas che, per non aver partecipato alla consulta interna per l’elezione del candidato presidenziale del PRI, sono state espulse il 7 novembre scorso dalla comunità di Canolal, gli interlocutori della CCIODH ad Oventic hanno illustrato le possibili tensioni che possono incrementarsi man mano si avvicina il processo elettorale del 2000.

Riguardo al tema dell’istruzione hanno espresso che lo Stato mantiene un controllo ferreo sulla nomina dei maestri, annullando addirittura, in alcuni casi, il contratto a coloro che appartengono ad organizzazioni non ufficiali e rimpiazzandoli, invece, con altri che esercitano una funzione di controllo sulla comunità. In seguito, hanno presentato alla Commissione il loro progetto di scuola media alternativa che attualmente si trova in una fase di formazione per i maestri con diploma di scuola media provenienti dalle comunità limitrofe. Anche se hanno espresso la speranza di poter dare il via alle lezioni nel gennaio prossimo, non hanno omesso le enormi difficoltà incontrate per l’ottenimento di fondi sia per la sua costruzione sia per il materiale didattico. La scuola è stata pensata per accogliere i giovani di tutta la regione. Ultimata la costruzione del dormitorio, il problema principale sarà quello di assicurare l’alimentazione dei futuri alunni.

Il controllo esercitato sulle comunità nell’ambito militare, economico, sociale e educativo è aumentato in forma particolarmente inquietante nel campo della sanità attraverso il programma governativo PROGRESA presentato alla popolazione come attenzione medica verso donne e bambine.

Secondo gli intervistati, le donne beneficiarie del PROGRESA ricevono somme tra i 160 e i 200 pesos messicani ogni due mesi in cambio dell’impegno da parte loro, mediante la firma di un contratto, a sottoporsi a un check-up medico e a ricevere una vaccinazione. Nessuno ha potuto specificare la natura della vaccinazione applicata però gli intervistati hanno espresso una seria preoccupazione riguardo ai possibili effetti secondari che la somministrazione prolungata di questa potrebbe arrecare a chi la riceve; hanno però aggiunto che nessuna famiglia legata allo zapatismo partecipa a questo programma per rispetto all’indicazione di rifiutare qualunque piano e dispensa governativo.

Sia nelle comunità sia nelle organizzazioni non governative che operano nella regione, l’assenza di chiare spiegazioni ha risvegliato un crescente sospetto che dietro lo slogan "lotta alla povertà" promosso dal PROGRESA, si nasconda un programma di sterilizzazione senza il consenso delle interessate. In data 26 novembre 1999, un servizio giornalistico su di un incontro tenutosi a San Cristóbal de Las Casas con donne di tutto lo Stato del Chiapas, cita che il PROGRESA, questo programma ufficiale che si suppone combatta la povertà, nelle comunità di Huitupan, Altamirano, ed Ocosingo, obbliga le donne, a cambio dei 230 pesos assegnati, ad accettare l’operazione (salpingotomia o salpingectomia) affinché non abbiano figli e, se non accettano questo trattamento chirurgico, non consegnano loro il denaro.

Allarmata dalle dichiarazioni raccolte ad Oventic e ripetute alcune ore dopo dalle dichiarazioni degli abitanti di El Nuevo Brillante (Municipio di El Bosque), la Commissione ha deciso di indagare sistematicamente riguardo a questo programma, raccogliendo testimonianze sulla sua applicazione in tutte le comunità visitate.

In qualsiasi caso, la portata reale del PROGRESA e le sue conseguenze dovrebbero essere oggetto di indagini serie ed esaurienti.

Come in altre comunità, la preoccupazione per il decadimento dell’attività economica e i suoi tragici effetti sulla popolazione è stato presentato come conseguenza del prolungarsi del conflitto. Al di là di una palpabile stanchezza prodotta dal deterioramento delle condizioni di vita, gli intervistati hanno affermato che ciò non intaccherà la loro determinazione nel continuare la resistenza fino al raggiungimento di una soluzione integrale dei loro problemi.

Membro del CCRI: La situazione è difficile. Nulla è cambiato né migliorato dalla prima visita della Commissione, al contrario, continuano le provocazioni del governo per mezzo delle sue autorità municipali e locali, come attraverso i suoi poliziotti, eserciti e guardie bianche formati in ogni comunità dove la maggioranza è priista. I primi mesi di quest’anno, in aprile per essere esatti, la situazione si è aggravata, soprattutto negli altipiani del Chiapas ma anche in altre zone dove è presente la nostra organizzazione.

Fin da marzo avevamo informazioni sul fatto che il governo volesse colpire i municipi autonomi, ma non erano altro che informazioni, poi però, in aprile, Albores, pochi mesi dopo aver ottenuto l’incarico di governatore sostituto del Chiapas, organizzò la sua gente la quale il giorno 7 aprile, prese e occupò il palazzo municipale di San Andrés. Sapevamo che si trattava di una provocazione cui non potemmo rispondere subito ma ci volle un giorno intero per essere pronti e organizzati. L’8 aprile, tutte le comunità si riunirono e decisero di andare a riscattare la sede municipale perché lì c’erano le nostre autorità. Affermarono che era necessario, anche se non era sicuro, se era possibile o meno, ma comunque ci fu una grande marcia con l’appoggio di diversi municipi della zona Los Altos del Chiapas. Il governo decise per quell’opzione perché credeva che gli zapatisti si fossero già arresi, che fossero in pochi ed ha approfittato di quel momento, perché poco prima di ordinare di occupare l’edificio municipale, il governatore aveva assicurato che gli zapatisti avevano consegnato le loro armi, che si erano arresi e che accettavano l’inganno del governo.

Ma ciò che ricevette il consenso fu di manifestare contro questa azione. Arrivando alla "Presidencia" di San Andrés, le comunità vi trovarono le autorità priiste ed alcuni agenti di Seguridad Pública che presidiavano l’edificio e che uscirono quando videro arrivare la gente. Anche se il presidente municipale era stato eletto costituzionalmente in gennaio – ossia già in aprile avrebbe dovuto organizzare il suo periodo- non ci riuscì poiché alla manifestazione parteciparono circa 7.000 o 8.000 persone e dovette quindi andarsene.

Allora nell’edificio municipale si istallarono di nuovo le nostre autorità e tutto tornò come prima. Il popolo si organizzò poiché la situazione era veramente difficile: circolavano voci che i priisti si sarebbero riorganizzati per rioccupare la sede. Perciò si prese la decisione di fare un presidio ad oltranza anche se poi è man mano diminuita la presenza. Al principio c’erano almeno 1.500 persone ma ora i compagni sono pochi e ciò per diverse ragioni: arrivavano da lontano e spendevano troppo denaro tra cibo e trasporto, inoltre nelle loro comunità esistevano pericoli e situazioni difficili che richiedevano la loro presenza ed inoltre, da giugno fino ai primi di ottobre sono stati mesi in cui ci è mancato il necessario per sfamarci, sono mesi in cui non c’è lavoro, perché in quei mesi i lavori agricoli sono già conclusi. Ma nonostante queste difficoltà il presidio continua anche se si tratta di una piccola commissione.

Inoltre, quanto si percepisce in questo periodo è la provocazione dei militari di ogni accampamento. I posti di blocco sono sempre più duri. Avrete sentito che il governo ha messo gli agenti della Migraciòn in diversi punti dove non permettono che la gente che viene da lontano, come voi, possa arrivare fin qui. Ne hanno espulsi e incarcerati diversi per tentare di nascondere le loro azioni contro di noi affinché voi, e altri come voi, non vi possiate rendere conto di cosa succede in questa zona indigena. I pattugliamenti terrestri proseguono giorno e notte sulla strada. In alcune comunità sono entrati di notte, senza uniformi, facendosi passare per gente qualunque: alcuni di loro erano soldati, altri poliziotti giudiziari. Si dedicano a minacciare la gente, a intimorirla. Ad ogni posto di blocco il transito diventa sempre più difficile, lì non rispettano nulla, ci obbligano ad identificarci, ci trattano come trattano voi, che venite da lontano. Di fatto, passano quotidianamente i compagni per andare a vedere i loro raccolti, nelle milpas, a fare i loro lavoretti ma i soldati li obbligano ad identificarsi.

Come prova di questo, proprio ieri in un accampamento situato a oltre due chilometri da San Cayetano, un compagno della nostra comunità stava tornando dopo aver acquistato una medicina per la sua famiglia, quando gli chiedono se ha con sé i documenti d’identità, lui rispose di no perché vive proprio lì, vicino alla nostra comunità. Ma i soldati non gli credettero e fu obbligato a scendere dal veicolo e non fu rilasciato fino a che uno dei compagni che viaggiava con lui, fu di ritorno con il documento. Rimase quindi detenuto per oltre tre ore. È un fatto grave.

Intanto il governo continua a parlare di diritto, di sicurezza, di volontà di dialogo. Però gli ordini che dà ai suoi soldati sono diversi. Le azioni dei suoi militari sono diverse e questo è quanto più ci colpisce perché sia noi che la gente non vediamo alcuna necessità che i soldati facciano questo, perché i nostri genitori vivevano tranquillamente Non hanno dovuto conoscere, neppure sapevano se esistevano o no soldati, se c’erano carri armati oppure no. Non hanno vissuto così i nostri genitori.. Allora noi, i compagni, ci siamo detti: non abbiamo bisogno della sicurezza che ci offrono i soldati o la Seguridad Pública perché noi siamo in grado di occuparci della nostra sicurezza, anche noi sappiamo organizzarci. Gli altri compagni ci dicono: noi non abbiamo bisogno del governo, perché noi siamo esseri umani, siamo persone! Questo è ciò che hanno manifestato.

Poco più di quindici giorni fa, il posto di blocco da cui siete passati anche voi era massiccio e i soldati erano schierati per oltre trecento metri da dove fermavano i veicoli. I soldati si ponevano molto aggressivi, minacciavano, mettendo paura alla gente, mentre ne approfittavano burlandosi di noi. Così anche dove sono situati altri accampamenti: a Tijera Katé hanno catturato alcune persone innocenti che non avevano commesso alcun reato, mentre non è stata presa alcuna misura contro alcuni priisti che si sono organizzati per tendere imboscate sulle strade, per rubare. Loro vogliono prendere la gente innocente e cacciarla in galera! Non sappiamo come è avvenuta la detenzione giacché non esisteva alcun ordine di cattura. Queste persone sono ora detenute a Cerro Hueco.

Interviene il secondo interlocutore circa la strategia del governo statale nella zona di Los Altos:

Circolano di nuovo voci riguardo il Municipio di San Andrés. Da ieri sappiamo che il governo vuole riprendere il municipio autonomo come avvenne nel mese di aprile. Così i compagni si aspettano nuove provocazioni, ogni giorno ce ne sono di nuove. Per questo vi chiediamo la vostra attenzione perché ci sono già segnali di questo. I posti di blocco sono sempre più duri, com’è avvenuto ieri in direzione di San Cristóbal dove operavano insieme la PGR, la SP, gli agenti federali e quelli giudiziari. Erano tanti, tantissimi a San Andrés e ancora di più nell’ultimo posto di blocco da cui siete passati prima di arrivare qua. Noi abbiamo già visto in altre occasioni che quando è così, è segnale che sta per accadere qualcosa, anche perché aumentano sempre di più i sorvoli aerei. La settimana scorsa, sono passati quattro volte al giorno aerei militari ed elicotteri della PGR e SP. L’Aguascalientes è il luogo più minacciato, ma anche il villaggio a fianco; ciò è preoccupante. Anche il pattugliamento è molto forte. Probabilmente domani non ci sarà perché voi siete qui, fa parte dei trucchi del governo. Se sono presenti osservatori internazionali la situazione è un po’ più calma, ma una volta ripartiti, tutto torna come prima e ce la fa pagare.

Per questo non crediamo che il governo, sia quello del Chiapas sia quello di Ernesto Zedillo, stia lavorando nel verso giusto. Sono tutte menzogne. Non dobbiamo crederci. Quello che raccontano in altri paesi è falso. Anche negli altri municipi de Los Altos del Chiapas ci sono molti problemi. Ci preoccupano un po’ le voci che occuperanno di nuovo San Andrés però questa volta vi andranno armati, cioè le guardie bianche dirette dai militari e dalla Polizia di "Seguridad Pública". Si dice che andranno a catturare la gente che si occupa del presidio. Però loro non agiscono da soli, ma fanno ciò che gli ordina il governo.

Siete a conoscenza dell’attività dei gruppi paramilitari?

Sembrano essersi calmati un poco, ma in realtà hanno seguito una buona tattica di movimento. In questa zona ci sono paramilitari e possono agire in qualsiasi momento, sono presenti in diverse comunità, in alcune più che in altre. Circa un mese fa, Ernesto Zedillo ha cercato di provocare la situazione: nel villaggio di Magdalena, che si trova nel nostro territorio, il governo ha voluto colpirci politicamente, perché secondo Albores e Zedillo questo è un nuovo municipio. Come sapete il governo ha formato sette nuovi municipi e qui nella regione di Los Altos ce ne sono due: uno è Magdalena e l’altro è Santiago El Pinar. Sono confinanti ma hanno poca popolazione, però è lì dove il governo se ne è approfittato per colpirci, volendo dimostrare alla nazione e al mondo che il governo ha la volontà di risolvere i problemi, invece è tutto il contrario.

Concretamente, che significato ha per voi la rimunicipalizzazione?

Per noi rappresenta un golpe del governo perché non beneficia le maggioranze che vivono in questi nuovi municipi perché i problemi continuano ad essere gli stessi: il problema economico, sociale, non cambia assolutamente. È un colpo perché porta altre divisioni, giacché dove compaiono nuovi municipi questi sono soltanto per i priisti. Non includono tutti quanti. Questa è la conseguenza. È un modo per occuparsi solo della loro gente, poiché mettono municipi nuovi solo dove la gente è conforme al governo, è una maniera per farci arrendere, in cambio di niente, solo di promesse. Questo è quanto pretende il governo: ingannare la gente formando nuovi municipi ma dalla loro formazione non ci sono segnali dello sviluppo promesso.

I diritti umani contemplano diritti collettivi come salute, istruzione e il diritto di scegliersi le proprie autorità?

Le autorità priiste si prendono in considerazione solo tra di loro, per lo meno a parole Stanno iniziando a esigerci di aderire a questo nuovo municipio e se non lo facciamo, rincareranno la dose delle minacce, possono arrivare a catturare della gente per obbligarla ad accettare quanto fa il governo. Questo può succedere, ora stanno lavorando nella costruzione degli uffici

Cosa pensate della lettera aperta che il governo ha mandato all’EZLN proponendogli di riprendere il dialogo?

Non è vero tutto ciò che dice il governo. Veramente non sappiamo esattamente cosa dica la lettera, però se non esiste più la CONAI e se il governo non rispetta la COCOPA, come può essere possibile?

Riguardo a questo non possiamo dire granché. Come sapete, per tornare a dialogare noi abbiamo chiesto solo che il governo rispetti le cinque condizioni che abbiamo posto. Fino ad ora non c’è stato alcun segnale e siamo solo in attesa che compia con quanto chiediamo. Non c’è altra domanda né altra risposta.

Il governo ha voluto riattivare le istanze di mediazione, non sappiamo con quali intenzioni e se solo in occasione della visita dell’Alto Commissario dell’ONU?

Anche a questa domanda non possiamo rispondere bene perché il governo può dire molte cose davanti a voi, o ad altri che vengono, ma in realtà non sappiamo cosa pensa davvero di fare. Possiamo solo dire che tutto ciò che chiede il popolo, il governo fa tutto il contrario, non ci sono risposte né soluzioni concrete, non c’è sicurezza, non ci sono diritti..

Neanche sulle elezioni possiamo dire molto, Ci sono persone che stanno facendo la loro campagna per arrivare alla presidenza ma noi adesso non possiamo dire sì o no, se appoggeremo qualcuno oppure no. Perché c’è ancora un anno. I potenti, però, quelli che vogliono andare di nuovo al potere fanno molte cose per ottenerlo, e per questo noi non possiamo dire altro, stiamo aspettando.

All’estero, giungono versioni secondo cui Labastida vuole farla finita con il conflitto intervenendo militarmente. Credete che arrivando alla presidenza potrebbe presentarsi questa strada?

Beh, non soltanto Labastida ma tutti quelli che vogliono il potere. Proprio come Zedillo che non vuole risolvere il conflitto attraverso la politica. Quale è stata la sua speranza? Che sarebbe arrivato il momento di farla finita con tutti noi. Vogliono questo, non hanno un’altra strategia. Per quanto il popolo possa gridare, reclamare, esigere, questo signore non ci sente.

Ora, al di là che vi pronunciate o no sui candidati, pensate che la campagna elettorale qui nelle comunità possa provocare ancora più incidenti per questioni di potere e di guadagno di voti oppure pensate che possa calmare un po’ le acque?

Le elezioni possono portare ancora più tensione. Lo scorso 7 novembre, ad esempio, quando ci furono le elezioni interne del PRI, a Canolal, vicino a Chenalhó ed Acteal, accadde che invitarono tutti a votare. Ma i compagni dell’organizzazione Las Abejas non vollero votare per nessuno dei candidati. Allora i priisti si organizzarono per espellere le 14 famiglie che non hanno votato. Ora sono rifugiate ad Acteal per non aver votato. Tenete presente che stiamo parlando di elezioni interne, cosa succederà quando arriverà il momento di quelle vere? Sarà veramente grave!

Oltre a questo il governo ha anche un altro piano perché, ultimamente, ci sono stati molti agguati sulle strade, sentieri e mulattiere. Soprattutto di notte ma spesso anche durante il giorno. Hanno preso gente anziana. Si dice che anche questa è una forma di distruggere la nostra organizzazione perché hanno preso delle persone di notte e quando si accorgono che sono dei priisti li lasciano andare ma se si accorgono che sono membri dell’organizzazione, non c’è più niente da fare.

Perciò adesso c’è paura, soprattutto tra i bambini quando vanno a scuola. È già successo diverse volte che qualche bambino che camminava solo sulla strada l’abbiano voluto obbligare a salire su un veicolo. Fortunatamente non hanno potuto portarli via perché i bambini hanno saputo scappare e si sono salvati, però è dura perché per arrivare a scuola i bambini devono camminare per uno o due chilometri Proprio ieri, a San Cayetano, nel mezzo del villaggio, hanno preso un ragazzino di 14 anni, l’hanno fatto salire su un’auto e lo portavano in questa direzione. Passando poi da un luogo abitato prossimo alla strada, videro una bambina che stava lavando e tentarono di obbligare anche lei a salire, ma senza riuscirci. Mentre erano distratti da questo fatto, il ragazzino ne ha approfittato per scappare via. Noi pensiamo che questi aggressori non agiscono da soli ma obbediscono a un piano del governo, perché sta utilizzando qualsiasi mezzo per attuare i suoi piani Purtroppo la situazione non è cambiata, al contrario, sono state sviluppate nuove forme di provocare altri problemi. Il governo è furbo, può usare molti mezzi per ucciderci, minacciarci e provocarci.

Riguardo al tema dell’istruzione e del progetto di scuola media, vorremmo sapere come sta andando?

Vorrei informarvi prima della situazione dell’istruzione nelle scuole governative perché ci sono dei problemi. Il governo controlla le scuole e i maestri. I maestri democratici sono i più sotto controllo e in qualsiasi momento può essere cancellato loro il contratto perché il governo vuole nominarne altri che verrebbero solo a controllare e spiare la gente delle comunità. C’è anche un problema con i bambini: secondo il programma del governo sono vaccinati senza spiegare di quale vaccino si tratti. Sappiamo bene che ci sono vaccini contro il morbillo, la pertosse, ecc. Ma qui si tratta d’altro. In alcune scuole sono già state somministrate, arrivano i dottori, chiudono i bambini in un’aula e li obbligano a ricevere il vaccino senza però spiegare a che cosa serve. Le vaccinazioni che conosciamo, quelle che ho già citato, hanno il loro periodo e metodo per la somministrazione. Questi vaccini no. A volte le applicano ogni 15, a volte ogni settimana. C’è dell’altro: il governo ha un programma che si chiama PROGRESA. Dicono che serve ad aiutare la gente indigena, ogni due mesi è dato un po’ di denaro a chi ne beneficia, se hanno molti figli danno dei centesimi. Sembra che ricevono 150 o 160 pesos ogni due mesi però a una condizione: accettare che le ragazzine e le donne vangano vaccinate ogni 15 o 20 giorni. È obbligatorio. Perché? Non lo sappiamo. È terribile, non possono succedere queste cose perché non sappiamo quali conseguenze potrebbe portare poi, né quale sia l’obiettivo nascosto del governo. Per noi è una cosa così inumana! Non è semplice, da quasi vergogna a dirlo e forse si deve all’ignoranza che abbiamo, ma, dicono che quando fanno la vaccinazione alle donne, le denudano, non sappiamo perché. Non è accettabile quanto fa il governo, noi questo non lo accettiamo! Per questo la situazione è peggio di prima, il governo ha sviluppato diverse tattiche, migliori tattiche, per mascherare le sue azioni, ingannandoci dicendo di voler aiutare la gente indigena, a che il popolo possa stare meglio. Ci sono molti abbagli, soprattutto riguardo all’economia: esistono molti programmi, ma in realtà non sono disegnati per aiutare il popolo ma per ingannarlo e umiliarlo, per ammazzare i più poveri, i miserabili!

Questo riguarda anche il problema dell’istruzione perché quando vengono a vaccinare lo fanno nelle scuole e non nelle cliniche. Tornando invece alla scuola di Oventic, qui la gente si è organizzata per costruirla. La costruzione, però, non è del tutto ultimata per mancanza di risorse economiche, perché costruire costa molto. Per ora, abbiamo quattro aule, un dormitorio e un refettorio. Stiamo finendo la biblioteca e una sala per i corsi di informatica. L’intenzione era però quella di costruire sette aule, siamo solo a metà del lavoro. Per iniziare la scuola media è necessario che i maestri provengano dalla stessa comunità, che siano gente nostra, ma non è semplice, non c’è sufficiente gente che abbia terminato gli studi, allora stiamo realizzando questo progetto con gente che ha terminato o sta per terminare le medie. Li abbiamo riuniti per ricevere una formazione che è iniziata da circa otto mesi, stiamo avanzando ma manca ancora molto. Le difficoltà ci sono anche perché ci mancano i mezzi, abbiamo alcuni libri ma siamo carenti di materiale didattico e di alimenti. Non ci sono risorse economiche per ottenere queste cose, è lì dove iniziano le difficoltà. Quanto stiamo formando i nuovi maestri affinché possano dare lezione agli alunni della scuola media. L’idea è di concludere il periodo di formazione adesso, in dicembre e abbiamo speranze di iniziare le lezioni nel gennaio del 2000.

Intanto dove si trova la scuola media più vicina?

C’è un istituto a San Cayetano ed un altro a San Andrés. Quello di Cayetano ha poco più di un anno, cioè appena il governo ha saputo che stavamo per aprire una scuola media qui ad Oventic. Fu un altro dei suoi inganni, promisero che avrebbero stanziato borse di studio da 300 o 400 pesos al mese per gli studenti, allora molta gente vi iscrisse i figli quando lo venne a sapere. Ma poi cosa accadde? Non fu regalato nemmeno un quaderno. Promesse sì ma diritti no!

Il fatto che esista questo progetto di scuola non potrebbe essere un pretesto per essere attaccati?

Il governo può fare molte cose, invaderla e farne una caserma, utilizzando le nostre costruzioni ma noi diciamo: se dovesse succedere, il popolo risponderà perché questa scuola che si sta costruendo non è di Oventic, non è di San Andrés e non è dei messicani. Questa scuola è nostra, è di tutti, perché rappresenta lo sforzo di molta gente, vostro e di altre organizzazioni internazionali. La paura di essere aggrediti la dobbiamo affrontare: succeda quello che succeda ma qui c’è il popolo, c’è la nazione, ci siete voi, ci siamo tutti.

Valutate necessario che periodicamente vengano commissioni di osservatori per continuare a seguire la situazione delle comunità?

Queste iniziative possono favorire la situazione dei diritti umani, anche se il governo non vuole capire le ragioni, però la vostra presenza e le visite aiutano davvero perché quando i fatti sono diffusi negli altri paesi, al governo messicano risulta difficile occultare tutto. Finché non circolano informazioni il governo ne approfitta per fare tutto ciò che vuole, ma quando si viene a sapere cosa succede non può già più portare avanti i suoi piani. Per questo diciamo: siamo già al sesto anno di lotta, soprattutto lotta politica, è questo è stato possibile perché altri ci appoggiano con la loro presenza, diffondendo la nostra lotta. Senza di questo, il governo sarebbe avanzato di più. Allora è importante e se si riuscisse a fare visite ogni tre o quattro mesi, oppure ogni sei, al governo farebbe molta paura, teme molto tutto questo, non vuole che si realizzi

Potreste parlarci un po’ del funzionamento della clinica?

C’è bisogno di molti fondi per acquistare le medicine e gli strumenti, per questo ci sono problemi ad assicurare il mantenimento della clinica, però vale proprio la pena avere una clinica. Ci ha aiutato molto perché qualsiasi persona può venire qua a curarsi. Però il governo inganna la gente sostenendo che la clinica di Oventic non è una buona clinica, che lì vi nascondiamo le armi. Questo lo dicono i priisti, ma quando ci entra qualcuno, si accorge cosa c’è realmente lì. Continua a funzionare, anche se con pochi farmaci e materiale insufficiente alle cure. Bisognerà anche ampliare le strutture della clinica e, secondo l’opinione di alcuni medici che vi hanno lavorato, alcuni messicani e alcuni di altri paesi, ci sarebbe da modernizzare e cambiare alcune cose perché la costruzione non è stata progettata per usarla come ospedale, si è fatta e basta. Non è stata disegnata da un architetto ma è stata pensata dalla gente stessa. Sta funzionando ma l’idea e che diventi un ospedale dove ci siano buoni medici par curare la gente. Era la nostra speranza ma fino ad ora non siamo riusciti a realizzarla perché non abbiamo medici, spesso sono arrivati pazienti gravi, soprattutto a causa d’incidenti, e non abbiamo potuto accoglierli e bisogna mandarli a San Cristóbal e lì sorge un altro problema. Non c’è maniera di trasportarli. Ma, anche così, stiamo facendo tutto ciò che si può. Abbiamo diversi promotori sanitari, sono circa settanta in tutta la regione di Los Altos. Stanno ricevendo formazione e poi si distribuiranno per aiutare la gente. Alcuni possiedono già delle valige di pronto soccorso, altri no perché non sono ancora in grado di usarle. La clinica non potrà però mantenere e rifornire tutti i piccoli centri sanitari che ci sono nelle diverse comunità. Abbiamo molte idee ma mancano ancora tante cose da fare! Ci sono così tanti ostacoli! Abbiamo anche pensato di costruire delle cliniche in diverse comunità, non sappiamo se si potrà fare, abbiamo però molta speranza.

Potreste parlarci dell’opera che svolge la Croce Rossa Messicana o quella Internazionale?

Sono venuti, hanno annunciato che possono fare visite ogni mese oppure ogni due mesi, però hanno aiutato poco soprattutto perché sanno che esiste la clinica. Ci hanno portato un po’ di medicinali. Il vero beneficio è che il governo ha saputo che questa clinica è conosciuta dalla Croce Rossa.

In sintesi, la situazione politica è grave. Il governo sta facendo molte promesse false, sta ingannando. La cosa peggiore, però, sono i militari. Di conseguenza ci sentiamo minacciati, emarginati, controllati o, per meglio dire, perseguitati. Il nostro popolo soffre la fame e la miseria. I nostri compagni sono consapevoli e non si arrenderanno agli inganni. La resistenza continua e continuerà. Non accetteremo l’inganno. I nostri compagni si mantengono fermi. Costa molto. In questi ultimi mesi, molti compagni non avevano da mangiare neppure una tortilla! Non si sa più dove andare per trovare lavoro. Ma nonostante tutto, la gente continua a resistere fino a che il governo comprenda che il nostro popolo non ne può più d’inganni e promesse, resisteremo fina a che ci sarà una soluzione completa del problema.

3. El Nuevo Brillante, incontro con i membri della comunità

19 novembre 1999.

Durante la visita all’Aguascalientes di Oventic abbiamo richiesto di poter raccogliere informazioni riguardo alla situazione del Municipio Autonomo "San Juan de la Libertad".

Siamo venuti a conoscenza della situazione verificatasi l’anno scorso nel Municipio San Juan de la Libertad, cosa ne pensate al riguardo?

Sarebbe un bene se voi poteste visitare questo municipio anche se non esiste più la sua sede, in ogni caso le autorità autonome stanno funzionando in un altro luogo. Loro conoscono meglio la situazione.

Per limiti di tempo, la delegazione non poté spingersi oltre El Nuevo Brillante dove si è svolta un’intervista con gli abitanti della comunità, in assenza delle autorità locali. È importante segnalare che, dato la loro gravità, i fatti accaduti il 10 giugno del 1998 nelle comunità di Unión Progreso, Chavajeval ed El Bosque, facenti parte del Municipio Autonomo San Juan de la Libertad, avrebbero meritato in questo dossier un maggiore spazio, includendo più informazioni e testimonianze delle famiglie delle vittime.

Tuttavia su questo tema è possibile consultare il dossier elaborato da un gruppo di osservatori della città spagnola di Sabadell, datato luglio 1999, così come il documento presentato dal "Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas" all’Alto Commissario dell’ONU, Mary Robinson e pubblicato nell’inserto Masiosare del quotidiano La Jornada in data 28 novembre 1999.

La presente testimonianza, anche se tocca solo in parte i fatti del 10 giugno 1998, offre un panorama più generale della situazione del municipio e della comunità. E’ qui riprodotta tale e quale, eliminando alcune ripetizioni e rendendola di più facile lettura.

Primo intervistato: Racconterò prima i fatti del 10 giugno e poi passerò al tema della comunità. Qui a San Juan de la Libertad, il giorno 10 giugno dell’anno scorso è accaduta una cosa gravissima. Il fatto peggiore è successo nel villaggio che è sede del Consiglio Municipale Autonomo e nella comunità di Chavajeval. Anche a Unión Progreso ci sono stati dei gravi scontri. Furono colpite varie comunità e molta gente.

Quel giorno, verso l’una di notte, iniziarono ad arrivare migliaia d’effettivi di Seguridad Pública, Esercito Federale, Polizia Giudiziaria in direzione della sede municipale ed un gruppo verso Unión Progreso. Vennero durante la notte perché l’intenzione era di cogliere di sorpresa le nostre autorità. Qui ad El Brillante abbiamo visto passare centinaia di veicoli. Stavamo in allerta per vedere cosa stesse succedendo e abbiamo visto arrivare soldati a piedi. Un altro gruppo ancora si diresse a Chavajeval.

Da San Juan portarono via varie persone fino al carcere di Cerro Hueco. In totale ne furono arrestate 24.

Li presero in strada o in piazza poiché la gente stava fuggendo dalle case. Una volta arrivati a Chavajeval, dalla strada, i soldati iniziarono ad usare le armi. Entrarono sparando e donne, bambini, anziani, fuggirono dalle case verso i sentieri e i letti dei fiumi. Tutti i catturati furono picchiati.

Da qui, potevamo sentire il rumore degli spari e il rombo degli aerei e degli elicotteri che arrivarono fino a Chavajeval, da dove provenivano anche colpi d’arma da fuoco. Le donne, i bambini e gli anziani cercarono rifugio in montagna, arrampicandosi su un dorsale inseguiti dai soldati.

La sparatoria durò dalle otto di mattina alle due del pomeriggio circa e lo stesso accadde ad Unión Progreso, dove iniziarono alle sette del mattino. Un gruppo di compagni, che stavano andando al lavoro e non si erano accorti di nulla, s’imbatterono negli agenti di Seguridad Pública i quali spararono contro di loro, provocando sei perdite, sei morti tra coloro che stavano andando al lavoro. Alcuni riuscirono ad andarsene dalla comunità, ma altri no. La maggior parte di questi ultimi fu concentrata nel campo sportivo, obbligata a stendersi al suolo e, in seguito, maltrattata. Furono tutti interrogati con le mani legate. Li spogliarono di tutte le loro cose, le case furono svuotate. Tutto quello che i poliziotti di Seguridad Pública trovavano sul loro cammino lo saccheggiarono: attrezzi da lavoro, biancheria, vestiti. Rubarono come 25 .000 pesos dall’emporio collettivo, da cui portarono via anche le bibite. I maiali e gli animali da cortile se li portarono via tutti, li ammazzarono e poi se li mangiarono. Lasciarono Unión Progreso nella desolazione, con alcuni morti e altri fatti prigionieri. Da qui abbiamo visto tutto, essendo la nostra comunità a sole due ore a piedi di sentiero. Anche noi ce n’andammo da qui perché le donne erano allarmate. Le truppe non passarono da questa strada, ma giunsero da Bochil dove c’è una grossa caserma: Puerto Katé. Lì giorno e notte ci sono posti di blocco dove controllano tutto e tutti.

Interviene un’altra persona: Tutti quelli che morirono erano giovani. Non avevano idea di ciò che sarebbe successo, andavano tranquillamente al lavoro nei campi con gli attrezzi in spalla, quando si trovarono davanti gli agenti di Seguridad Pública, in questo modo le loro giovani vite sono state falciate. Due di loro erano sposati, gli altri quattro no. È terribile quanto è successo ad Unión Progreso ed è per questo motivo che ancora oggi continuano ad arrivarvi accampamentisti internazionali, perché la popolazione di Unión Progreso ha chiesto che la loro presenza sia permanente, perché non succeda più una cosa simile.

Lì è tutto molto triste.

Primo intervistato: Dopo che gli uomini di Seguridad Pública si furono ritirati, trascorsero due giorni prima che, il 12 giugno, la gente iniziasse a raccogliere quello che le era rimasto, i fagioli sparsi al suolo, gli utensili da cucina ancora utilizzabili.

Nella notte del 12 arrivò in tutte le comunità l’avviso che alle famiglie sarebbero stati restituiti i cadaveri. Ci recammo quindi tutti a Unión Progreso per attendere l’arrivo dei corpi. Erano tutti molto preoccupati, arrabbiati. A due signori anziani avevano ammazzato i due figli. A due vecchietti!

Il 13 mattina si concentrarono tutti gli abitanti dei villaggi per ricevere i cadaveri mandati dal governo. Venne molta gente, delegazioni da altri municipi. Non sapevamo però come ce li avrebbero consegnati, credevamo che sarebbero arrivati…interi! Aspettammo così fino alle ore dodici, poi, all’una del pomeriggio iniziarono ad arrivare i veicoli dalla strada che svolta da El Bosque. Venne la CNDH a consegnare i corpi ed anche il "Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé". Arrivarono anche altri signori e diverse commissioni. Arrivarono otto morti, i sei di Unión Progreso più due di Chavajeval. Erano sullo stesso camion che li aveva portati via il giorno 10. I familiari e la gente che stavano lì, raccontarono di aver riconosciuto un funzionario della CNDH che era presente il giorno degli scontri, era vestito in modo diverso ma fu comunque riconosciuto; la gente iniziò a discutere.

Poi arrivò il momento di scaricare dal camion i cadaveri per consegnarli ai familiari. Per svolgere questo lavoro nominammo delle commissioni. Le bare mandate dal governo erano molto lussuose, molto eleganti.

Furono collocate in modo da permettere ai familiari di riconoscere quali erano i loro parenti, figli, mariti .. E quando furono aperte le bare, questo noi ve lo diciamo chiaramente, vi diciamo la verità, non si notava assolutamente che si trattava dei nostri compagni, perché ciò che ci mandarono non erano più delle persone. Posso dirvelo perché eravamo lì, e li abbiamo visti. Non avevano più gli occhi, la bocca, uno dei cadaveri aveva una gamba in parte al corpo, un altro era senza braccia. Altri cadaveri erano sventrati. Secondo noi, non è un governo questo che opera in Chiapas! Cadaveri con la pancia aperta, distrutti, da non riuscire più a distinguere se sono persone. Davvero non so cosa gli hanno fatto perché questa gente è arrivata grossa, molto gonfia. Sappiamo che erano come noi ma arrivarono con la faccia enorme. Ce li hanno mandati nudi, senza niente indosso. Così il governo ha mandato i cadaveri a Unión Progreso, come se li avessero bruciati o gli avessero gettato sopra acqua bollente, non so! Ora non si poteva più dire cosa fosse successo a Unión Progreso. Per questo passarono a vederli i parenti, per riconoscere se erano i loro mariti, i loro figli, ma non poterono farlo. Chiusero le bare e dissero: non sono loro! Non sono loro!

A quel punto tutta la gente iniziò a piangere perché non riuscì a capire se si trattasse dei nostri compagni. In seguito il governo mandò le fotografie numerate, ma non si riuscì a capirlo neppure con le foto. Furono aperte di nuovo le bare per vedere se i corpi potevano infine essere riconosciuti, alcuni lo furono, altri no!

Successe proprio così, fecero questo ai morti. Allora, in queste condizioni, li abbiamo ricevuti e seppelliti ad Unión Progreso e quelli di Chavajeval li hanno portati nella loro comunità. Il giorno dopo sono stati seppelliti. Certo che durante tutta la giornata del 13 ci furono discussioni con l’incaricato della CNDH.

La gente cominciò a preoccuparsi riguardo a cosa avrebbe mangiato in quel periodo giacché nelle loro case non c’era più nulla. Come faranno le donne cui è rimasto solo quello che avevano indosso, dato che tutto il resto l’ha portato via Seguridad Pública? Noi ci chiediamo, cosa se ne fa la Seguridad Pública poiché molte compagne vestono i loro abiti tradizionali?

Per questo motivo tanta gente proveniente da altri paesi visita il cimitero di Unión Progreso.

La gente di lì è rimasta completamente distrutta. Così le loro case, beni, animali. Poi hanno iniziato a cercare la maniera di vivere, di recuperare qualcosa. A Chavajeval è successa la stessa cosa: la sparatoria durò molto tempo ma ci furono meno caduti, solo due.

A El Bosque non ci furono morti, però hanno inseguito le autorità autonome per portarle via con la forza, ma nessuna di queste è stata portata in prigione. Le autorità autonome restarono là. Poi, dall’arrivo dei soldati, i priisti hanno cominciato a occupare il centro municipale che è la sede delle autorità autonome. Allora il presidente del Consiglio Autonomo è dovuto andar via dal municipio ma non ha però smesso il suo lavoro.

A El Bosque ci stanno quelli del PRI con i loro elementi, con i loro soldati. Le autorità autonome stanno funzionando comunque, continuando il loro lavoro. Non sono in carcere.

Cosa n’è stato dei detenuti ?

Sono stati liberati dopo 11 mesi.

Quali accuse erano state loro mosse ?

Li hanno accusati di molte cose. Seguridad Pública ha detto che furono loro ad iniziare gli scontri, che avevano armi, che erano trafficanti di marijuana o che rubavano. Molti reati per farli stare un lungo periodo in carcere, ma ora sono tornati a casa. Sono usciti tutti quasi allo stesso tempo.

Molti pensano: come è possibile che il governo ci faccia questo? Quando ci manda i soldati o la Seguridad Pública, non è questo che la gente vuole quando chiede il rispetto dei suoi diritti. Invece di appoggiare, ammazzano. Quando uomini e donne reclamano qualcosa di cui hanno bisogno, il governo risponde con la Seguridad Pública o i poliziotti giudiziari. Per questo ci sono posti di blocco ovunque: a Puerto Katé, San Cayetano, nei pressi di Larrainzar, un altro in un posto che noi chiamiamo Jolnachom, funzionanti giorno e notte. Noi non ce la facciamo più a vivere così. La gente delle comunità lo dice tutti i giorni, non ce la fa più a vivere come in una caserma, la gente campesina non è abituata a vivere cosi vicino alle caserme dei militari, poiché nelle comunità pratica un suo modo di vita, senza soldati. No! Perciò in tutte le comunità c’è preoccupazione, le donne non possono allontanarsi a piedi da sole. Forse nelle città succede così, voi lo sapete, ma qui! Ogni giorno passano sulla strada i soldati sui loro mezzi, carri armati, mostrando le armi e la gente è preoccupata. Quando gli elicotteri volano bassi sulla comunità, la gente si spaventa. Non è certo questo che vogliamo! Non ci si può abituare a ciò, la gente vuole essere libera! Perciò, uomini e donne reclamano, manifestano: Che i soldati se ne vadano dalle comunità e che se ne tornino dal governo!

Nella comunità di Jolnachom i priisti sono il 100% degli abitanti e vivono insieme ai soldati all’interno della comunità che lì hanno montato le loro tende.

Vi ringraziamo per essere venuti ad ascoltare quanto vi abbiamo detto.

Ci sono molte cose con cui non possiamo vivere. Da Los Platanos arrivano soldati tutti i giorni. Vivono insieme a quella comunità. Ma ci sono comunità che vogliono vivere da sole, a modo loro e con le proprie autorità.

C’è dell’altro di cui voglio parlarvi: per esempio, in questo periodo il governo invece di appoggiare le comunità, sta mandando aiuti alimentari ai bambini. Fa parte di un programma, ma ci rendiamo conto che non è quello che dovrebbe consegnare. Manda cose molto semplici e che anche noi possiamo comprare, come sardine in scatola, peperoncini sottaceto, chili di zucchero, olio e latte in scatola che sono già scaduti. Questo è il contributo del governo per i bambini delle comunità indigene perché abbiano più capacità nello studio!

Inoltre: c’è un programma governativo speciale per le donne. Si chiama PROGRESA. Danno del denaro alle donne, 200 pesos ogni due mesi. La condizione è che si facciano visitare periodicamente da un medico del governo e questi somministra loro un vaccino. Ma molti dicono che il dottore sia in realtà un soldato federale, oppure un agente della polizia giudiziaria che si mette il camice per farsi passare come medico. Così ingannano la gente perché si vaccini in cambio di 200 pesos.

Sapete se ciò è fatto in tutta la regione?

Sappiamo solo che si fa in tutte le comunità della regione e che quando consegnano il PROGRESA sono presenti dei soldati. È rivolto solo alle donne e alle ragazzine. Per i bambini maschi e per le bambine esiste un altro programma che consiste in borse di studio.

Riguardo alle vaccinazioni, alcuni dicono che ai bambini non sono somministrate, altri invece dicono di sì. Questa cosa è in atto adesso e le autorità priiste obbligano i membri della comunità ad accettarla dicendo che è per il bene della comunità.

Queste vaccinazioni, come sono? Arrivano in scatola?

Non lo sappiamo perché poi se le portano via e poi qui non le abbiamo volute. Né il PROGRESA, né il PROCAMPO. Vengono ad offrirci molte cose per far vedere che il governo fa molto ma qui non le accettiamo perché siamo in resistenza.

Sembra che il PROGRESA funzioni da tre anni. Le compagne povere che lo accettano non sanno se faccia bene o male. Altre si sono già abituate, sanno che ogni due mesi arrivano i 200 pesos.

Ci sono tanti programmi del governo. Ci dicono altre comunità - poiché qui non arriva- che come sostegno alle donne consegnano macinini per il mais o attrezzi da lavoro del governo.

In altre comunità, il governo sostiene economicamente le donne incinte. Così gli impiegati del governo dicono che stanno applicando integralmente gli Accordi di San Andrés. Ma gli accordi non sono stati firmati per ottenere degli attrezzi da lavoro, un "machete" o un "asadon". Ma il governo racconta questo nelle comunità. Per noi è una cosa ridicola perché sappiamo che gli accordi non sono stati firmati per i duecento pesos del PROGRESA. Però molta gente è ingannata così!

Ultimamente arrivano in automobile o a piedi degli agenti con delle liste in mano, chiedendo il nome alle persone e se queste rientrano nella lista, sono portate direttamente al carcere di Cerro Hueco. È successo la settimana scorsa e molta gente, per la paura, non vuole uscire dalla comunità neanche per recarsi al lavoro. Non sappiamo il motivo di quest’operazione perché non ci dicono niente.

Quale corpo di polizia attua gli arresti ?

La polizia giudiziaria. Loro hanno le liste.

Ora la gente è molto spaventata, ha paura di uscire. Prima, chi non possedeva la terra lo faceva per trovare lavoro in altre comunità, per mantenere la famiglia.

Vediamo anche che i prodotti che dobbiamo comprare diventano sempre più cari. Crolla invece il prezzo di ciò che vende il campesino. Questa è un’altra situazione molto pesante per le comunità. Molta gente protesta, si chiede: dove andremo a finire?

Per esempio, il caffè sta a cinque pesos il chilo, 360 pesos al quintale, così lo comprano a noi i coyotes.

E questo se il caffè non ha macchie perché altrimenti te lo pagano tre pesos. Proprio per questo chi vive della coltivazione del caffè sente la situazione molto difficile. La maggioranza del raccolto è venduta ai coyotes, a Bochil.

 

 

4. Acteal, intervista con rappresentanti dell’organizzazione "Las Abejas".

Il giorno 19 novembre 1999 ci siamo recati nella comunità di Acteal, nel municipio di Chenalhó, dove abbiamo incontrato membri dell’organizzazione della società civile "Las Abejas", qui fondata nel 1992.

Il 22 dicembre del 1997, 45 membri di quest’organizzazione, riuniti in preghiera, sono stati barbaramente trucidati dai paramilitari, con la copertura di diverse autorità governative e locali. (vedi dossier della CCIODH 1998)

Come sono le relazioni tra Las Abejas e le basi d’appoggio dell’EZLN?

Non c’è alcun problema tra noi. In quanto società civile siamo molto aperti ma agiamo senza armi, per questo non abbiamo dato una risposta quando i nostri compagni sono stati ammazzati. Diversamente da noi, i compagni dell’EZLN sono armati, ma noi abbiamo un altro pensiero: non vogliamo utilizzare le armi. Le basi d’appoggio ci parlano e c’informano, anche loro sono attivisti, ma il loro percorso di lotta è diverso, hanno intrapreso quella via e noi ascoltiamo quello che hanno da dirci.

Che possibilità di sviluppo hanno i desplazados?

Primo interlocutore: Io non sono un desplazado, ma vengo in rappresentanza dei compagni desplazados che vivono nelle comunità di Acteal, Xo’yep, ecc. Sapete, siamo suddivisi in cinque campi, oltre a quelli dell’EZLN.

Possiamo lavorare liberamente solo se ci accompagnano le brigate di osservatori, poiché i paramilitari sono in agguato ad aspettarci con le loro armi. La terra l’abbiamo dovuta abbandonare perché le nostre comunità sono occupate dai paramilitari. I nostri compagni stanno soffrendo molto per il fatto di non poter realizzare il raccolto, per non poterlo vendere e, come se non bastasse, i prezzi sono molto bassi.

Secondo interlocutore: Io sono un desplazado da due anni, non possiamo andare né a seminare né a fare il raccolto. Abbiamo paura di entrare nelle nostre comunità che abbiamo dovuto abbandonare perché i paramilitari là sono armati, abbiamo paura. Per questo continuiamo a chiedere il disarmo delle bande paramilitari, ma loro restano armati, anche se li arrestano, le loro armi sono utilizzate dagli altri. Non abbiamo denaro e i nostri bambini soffrono la fame. L’anno scorso abbiamo chiesto accompagnamento e alcuni di noi sono riusciti ad entrare nelle comunità, altri invece no; al loro arrivo in una comunità si sono accorti che i paramilitari si erano già portati via il raccolto. Riguardo agli aiuti della Croce Rossa Messicana e della Croce Rossa Internazionale, sì, li stiamo ricevendo; all’inizio c’era solo quella messicana ma poi è arrivata quella internazionale e hanno coordinato le loro attività.

L’esercito messicano vi dà protezione?

Dovrebbero proteggerci, ma non lo fanno; parlano di attività sociale, ma non è così: non sono a nostro favore. Ciò che stanno facendo è cercare il dirigente della nostra organizzazione, offrendoci uova e zucchero, ma in realtà vogliono tornare ad occupare l’accampamento di Xo’yep.

In Chiapas ci sono più di 70.000 elementi dell’esercito e a noi non servono a nulla, l’esercito non ci protegge, ci mette solo paura. Seguridad Pública sta proteggendo i paramilitari, nell’andare a rubare, a tagliare il caffè, a bruciare le case. Abbiamo visto gli assassini dei nostri compagni mangiare assieme agli altri paramilitari, l’assistenza sociale è data unicamente ai paramilitari. Quando sono entrati a Xo’yep, portavano gli aiuti ma cercavano i dirigenti, allora i desplazados, uomini e donne, si sono organizzati, ma soprattutto le donne sono state quelle che non li hanno lasciati passare.

I desplazados si riforniscono di acqua ad una sorgente ma i militari l’hanno circondata, allora le donne hanno gridato loro di andarsene. Alcuni dei desplazados hanno dovuto fuggire perché erano stati minacciati dai soldati con le armi, ma alla fine, le donne, organizzandosi, non li hanno lasciati passare e li hanno spinti via, ma non sono andati molto lontano, sono ancora lì.

I soldati portano prostitute e anche qui ci sono indigeni che le vanno a visitare e a bere alcol, sono i priisti; alcune donne cominciano ad avere atteggiamenti come quelli delle prostitute, anche loro sono priiste, ma su questo fatto i membri della loro comunità mantengono il silenzio. Noi gente di "Las Abejas" non ci avviciniamo perché conosciamo bene i danni che l’esercito fa alle nostre comunità.

Potreste parlarci in merito al conflitto in Chiapas e al presunto conflitto tra religioni?

Tra cattolici e presbiteriani ci sono differenze di pensiero e di credo. I presbiteriani vogliono che il tempio sia di proprietà federale, invece noi cattolici non vogliamo perché allora la parola di Dio diventa la parola del presidente, del governo, noi non siamo d’accordo. I protestanti assumono le idee del PRI e la parola di Dio passa in secondo piano. Un esempio è che a Pechiquil i presbiteriani hanno benedetto le armi per vincere: per vincere coloro che lottano contro l’ingiustizia. Ciò è estraneo alla legge di Dio. Non è vero c’è conflitto per il fatto di appartenere a una religione o all’altra, ma perché il governo inculca le sue idee e, mentre alcune religioni e sette le accettano, noi cattolici non lo facciamo. Per noi, Don Samuel Ruiz è stato un lavoratore e una gran brava persona, ha mangiato e vissuto insieme con noi, nelle nostre case, ha conosciuto tutte le comunità e la povertà in cui viviamo. Pensiamo che con il suo successore, Raúl Vera non ci saranno problemi, anche se sta appena iniziando a conoscerci. Samuel ha vissuto con noi per 40 anni, anche Vera adesso conosce meglio la situazione degli indigeni e anche noi conosciamo lui, ma non sappiamo cosa deciderà il Vaticano.

Vorremmo conoscere la situazione in merito all’istruzione e alla salute…

Dal 1997 non ci sono scuole, le lezioni sono state sospese a causa delle minacce, accompagnate da spari, dei paramilitari e Seguridad Pública. Sembra che i bambini proseguano l’istruzione però attraverso la Chiesa, nella ricerca di un modo per continuare a studiare, ma sono in pochi.

Ci sono circa 150 bambini, dei quali, solo nel campo di Acteal, 97 sono denutriti; a Xo’yep non sappiamo quanti sono. L’organizzazione "Médicos del Mundo" e la Croce Rossa sono quelle che si occupano dei bambini quando si ammalano, ma parlano solo in spagnolo e questo è un problema. I bambini non hanno accesso all’istruzione, non riescono a recarsi a scuola, allora alcune organizzazioni indipendenti ci hanno aiutato nella formazione di promotori di educazione. Alcuni tra i promotori avevano già frequentato le elementari e le medie, per loro era importante continuare gli studi e adesso stanno già dando lezioni.

Il governo non vuole che i bambini studino per far sì che non possano difendere i loro diritti, le loro terre: questo perché gli conviene. È una menzogna che ci siano già le scuole, le borse di studio: noi non le abbiamo viste. Quelli che hanno potuto terminare le elementari, siccome sono indigeni, non hanno denaro e anche se volessero, non potrebbero continuare a studiare, perché qui non ci sono scuole, al contrario di quanto afferma il governo; invece, in città, le scuole ci sono ma non possono frequentarle perché non hanno i mezzi per andarci, nessuno li appoggia. Gli indigeni, quindi, non possono proseguire gli studi ed è per questo che i giovani finiscono per andare a lavorare la terra, anche se non ce n’è per tutti, allora vanno a lavorare nella milpa dei genitori. Noi, però, stiamo cercando il modo di mandare a scuola i nostri figli: non siamo politicizzati, reclamiamo solo i nostri diritti.

Speriamo che ci sia un seguito a tutte queste, perché dall’ultima visita dell’ONU, nella persona di Asma Janaghir, non abbiamo ricevuto alcuna risposta.

 

5. Polhó, incontro con le autorità del Consiglio Autonomo di San Pedro Chenalhó

19 novembre 1999

Autorità del Municipio Autonomo: Rispetto al febbraio 1998, la situazione non è cambiata, l’attività delle bande paramilitari prosegue e l’esercito messicano continua ad incrementare nella zona il numero degli effettivi, che sono distribuiti in 10 basi militari. Vengono anche esercitate pressioni da parte di Seguridad Pública, soprattutto sulle strade e sui sentieri.

Tutte le basi militari sono situate molto vicino agli accampamenti in cui vivono i rifugiati.

C’è preoccupazione per un possibile attacco di paramilitari, come quello che fu perpetrato ad Acteal nel dicembre 1997. Si sa che hanno armi e che si stanno preparando per una nuova strage.

A Polhó vivono desplazados di 14 comunità: Tzanembolom, Aurora Chica, Bajobeltic, Acteal, Chemas, Pechiquil, La Esperanza, Los Chorros, Jochimich, Tzajalhucum, Jibeljoj, Canolal, Puebla, che occupa gli accampamenti numerati dall’uno al sei. In totale, i rifugiati (tutti basi d’appoggio dell’EZLN) che vivono nei nove accampamenti sono 9.500, cui va aggiunto quelli dell’organizzazione "Las Abejas". In totale, nella zona di Polhó, ci sono 10.430 desplazados. Nelle comunità di Puebla, i paramilitari continuano le loro azioni contro gli abitanti dal maggio 1997, hanno rubato tutti i loro averi, gli animali e hanno distrutto le case. Il gruppo di paramilitari della zona si chiama "Mascara Roja" ed è composto da meticci, tra cui: José Eulogio Gomez Guillén; Celso, Ovidio e Jacobo Gomez Guillén; Emilio e Diego Rodriguez Mendez; José e Mariano Gomez Perez; Mariano Gutierrez Hernandez; Geronimo Perez Gomez.

La presenza minacciosa dei paramilitari sulle strade dall’ottobre 1997, impedisce di realizzare la raccolta del caffè. Per il loro trasporto possiedono automobili e camion, passando continuamente sulle strade, armati e sparando, con lo scopo di appropriarsi della produzione delle comunità, come già hanno fatto durante il 1997 e il 1998.

I rifugiati chiedono giustizia, perché tutti sanno chi sono i paramilitari. Il diritto degli indigeni non esiste, sono perseguitati da militari e paramilitari e non sanno più dove fuggire.

Una settimana fa, nove famiglie, per un totale di 42 persone, sono state espulse da Canolal e ora si trovano con i desplazados di "Las Abejas".

Situazione alimentare:

Ricevono qualcosa dalla Croce Rossa Messicana, ma il programma termina nel dicembre 1999 e non sanno se continuerà l’assistenza. Ricevono due chili e mezzo di mais a persona ogni quindici giorni, farina, sapone, olio, zucchero e sale. Quando questi alimenti - di per sé insufficienti - finiscono, ricevono aiuti dalla società civile attraverso Enlace Civil.

Nella zona non ci sono molte possibilità produttive per via della scarsità di terreni e l’esaurimento del suolo produttivo.

Basi militari:

Sono situate a Puebla, La Libertad, Los Chorros (dietro Acteal), Tzanembolom, Pachiquil, Canolal e Pantelhó, dove ci sono circa 200 effettivi per base.

All’inizio del 1999, i militari sono entrati nel campo di desplazados numero sei nord, scortando dei paramilitari. Dal febbraio 1998, la presenza dell’Esercito Federale messicano è maggiore, come pure il numero di rifugiati. Al momento dei fatti di San Quintín e Amador Hernández, c’è stato il ritiro di quattro basi militari, ma poi, la presenza militare e poliziesca è di nuovo aumentata: ogni notte passano due volte dai cinque ai dieci camion che trasportano elementi dell’esercito, che poi non fanno ritorno poiché vanno ad installarsi nei diversi insediamenti.

Ogni giorno ci sono sorvoli d’aerei ed elicotteri e, nell’ultima settimana, ciò si è verificato con maggiore frequenza nei campi numero sette e otto. Le provocazioni e le minacce da parte dei paramilitari e di Seguridad Pública sono costanti, come pure le minacce dei priisti contro le donne che si recano alle coltivazioni di caffè. Non ci sono stati ancora morti perché i desplazados non si allontanano, non escono, dai loro campi.

Da quest’anno, c’è un membro della comunità di Acteal detenuto nel carcere di Cerro Hueco.

I rifugiati non possono tornare nelle loro comunità perché sono stati aggrediti o minacciati: una famiglia di Tzanembolom ha tentato di tornare a casa, ma 15 poliziotti hanno iniziato a sparargli contro. Un gruppo di "Las Abejas" ha cercato di ritornare ma non c’è riuscito. Il resto dei desplazados che vivono nel campo non ha neppure tentato per timore di venire uccisi.

Sono solo tre i paramilitari di Tzajalhucum che sono finiti in carcere per la strage di Acteal: Pablo, Juan e Nicolás Hernández Perez; insieme a: Antonio Sanchez Lopez, Pedro Mendez Lopez, Roberto Mendez Gutierrez, Sebastián Mendez Arias, Domingo Enzin Lopez, Pedro Luna Perez, paramilitari del villaggio di Los Chorros .

Militarizzazione e presenza paramilitare nella zona:

Non porta niente di buono per le comunità, i soldati si dedicano a perseguitarle e ad intimorire i bambini. Gli abitanti non possono transitare liberamente, sentono spari soprattutto durante la notte, quando i paramilitari fanno la ronda con gli agenti della PGR e la Polizia Militare.

Le testimonianze coincidono riguardo alle sofferenze che questi desplazados stanno patendo, come se non fosse già sufficiente l’aver dovuto abbandonare la propria comunità, chiedono quindi che si faccia giustizia verso i paramilitari in modo da poter vivere in pace e poter raccogliere il proprio caffè, giacché è dal 1997 che perdono i loro raccolti. Non hanno soldi e neanche lavoro perché non possono uscire a causa delle continue persecuzioni. È da due anni che sono desplazados.

Una donna di Polhó racconta che ciò che la preoccupa di più è la salute dei bambini e la mancanza di mezzi per dar loro tutto ciò di cui hanno bisogno. Appartiene ad una famiglia di rifugiati e racconta che è stato molto difficile dover abbandonare la propria comunità, il 19 novembre 1997, di notte, attraverso le montagne, con donne incinte e bambini, alcuni dei quali si ferirono durante la fuga. Ha visto molta sofferenza.

Questione sanitaria e istruzione:

A Polhó esiste una clinica che appartiene al Municipio Autonomo, dove lavora un medico dell’organizzazione "Medicos del mundo". Inoltre ci sono promotori di salute della comunità. Alle medicine provvede il medico tramite la sua organizzazione.

L’acqua rappresenta spesso un problema perché i paramilitari rompono i tubi e, in ogni modo, quest’acqua non è potabile.

Le malattie più comuni sono: diarrea, tosse, malattie gastrointestinali, ma il problema più grave è la denutrizione.

Riguardo all’istruzione, esistono 40 promotori di educazione che stanno realizzando un progetto per dotare ogni campo di una scuola.

Visita al campo n° 2 nord:

Collocato sulla sommità di una collina, da un lato è circondato da filo spinato e dall’altro confina con due basi militari che lo circondano. Abbiamo potuto costatare che a meno di 50 metri dalle abitazioni della gente, esiste un posto di controllo dell’esercito.

Ci sono piccole piantagioni di caffè e qualche banano per l’autoconsumo. L’acqua è presa da un pozzo situato a una certa distanza. Le abitazioni sono di legno e di plastica, generalmente costituite da un solo locale. Ci sono molti bambini, per lo più senza vestiti pesanti e scalzi. Abbiamo potuto osservare la presenza di camion dell’esercito e automezzi della polizia militare.

Alla CCIODH, è stato consegnato un documento di denuncia del Municipio Autonomo aggiungendo che n’avrebbero inviati altri via fax.

 

 

 

 

 

6. Zona Norte, incontro con le autorità rappresentanti delle comunità

21 novembre 1999.

Una delegazione di sette membri della CCIODH ha visitato la comunità di Jolnixtié, nella Zona Norte; lì ha tenuto una riunione con i rappresentanti delle comunità di Jolnixtié, Masujá Shucijá, Libertad Jolnixtié, Misopá e Cerro Misopá.

Gli intervistati hanno rilevato che dalla prima visita della commissione, nel febbraio dell’anno scorso, ad oggi la situazione non è sostanzialmente cambiata. Denunciano soprattutto le violazioni al diritto di libero transito nella zona in cui vivono. Durante la conversazione, un anziano della comunità di Jolnixtié afferma di non potersi più muovere per paura di essere aggredito da membri del gruppo paramilitare "Paz y Justicia".

Secondo i rappresentanti della zona, non si può transitare per Agua Fría, Crucero, Limar e La Curva, ma i problemi maggiori sorgono nel passare per la comunità Miguel Alemán, vicino alla comunità Masujá Shucjá. Il rappresentante di quest’ultima comunità ha affermato che più volte sono stati uditi spari e che, il 20 settembre 1999, profughi di Miguel Alemán sono stati aggrediti mentre si recavano al lavoro nei campi. Alcune pallottole hanno quasi colpito uno di loro. Inoltre i rappresentanti di Jolnixtié hanno affermato che gli assassini di José Tila López García, assassinato il 21 marzo 1998 mentre rientrava dall’incontro con la CCIODH, sono tornati a vivere nella comunità. Solo uno dei sette è stato processato e si trova ora recluso nel carcere di Cerro Hueco. Il padre di José Tila, testimone oculare della morte del figlio, dovendosi recare a San Cristóbal de Las Casas per testimoniare davanti ad un giudice per evitare la scarcerazione dell’unico processato per l’assassinio, ci ha accompagnato nel viaggio di ritorno dalla comunità. Due minuti dopo essere passati dal luogo in cui fu crivellato di colpi José Tila, e, dove oggi è stata posta una croce, abbiamo osservato alcune persone a cavallo che si dirigevano verso Jolnixtié. Il padre di José Tila ci ha comunicato che si trattava degli assassini di suo figlio.

I rappresentanti di Jolnixtié e Libertad Jolnixtié hanno denunciato l’incursione dell’esercito e di Seguridad Pública che è avvenuto il 10 aprile 1999. Hanno affermato poi che, l’11 novembre del 1999, alcuni addetti della società elettrica hanno tagliato le forniture d’elettricità alle chiese delle due comunità. Da un anno, il parroco di Tila, che vive in pratica assediato nella sua chiesa, non può recarsi a visitare i fedeli. I presenti hanno anche fatto riferimento alla situazione dei prigionieri politici rinchiusi nei penitenziari di Cerro Hueco, Yajalón e in quello dello stato di Tabasco. Affermano che i delitti di cui sono accusati non sono altro che montature e che, nonostante le mobilitazioni, tra cui un presidio di 85 giorni a Tuxtla Gutierrez, non hanno ottenuto alcun risultato: le autorità si sono sempre rifiutate di facilitare, in qualche modo, la liberazione dei prigionieri.

Le restrizioni alla libertà di transito colpiscono la popolazione nei seguenti aspetti:

- Non potersi recare al capoluogo municipale per disbrigare questioni amministrative;

- Non potersi recare con tranquillità al lavoro nei campi;

- Non potersi recare alla chiesa di Tila, né poter ricevere la visita del parroco;

- Non potersi dedicare ad attività di commercio e d’approvvigionamento.

Intere comunità si trovano ancora rifugiate e non ci sono garanzie per il loro ritorno. Gli abitanti di Cri Palenque sono ritornati, ma non hanno ricevuto alcun indennizzo per i danni subiti. L’assenza forzata e la conseguente perdita di molti capi di bestiame, ha causato il crollo della fragile economia familiare e comunitaria. Le difficoltà per il sostentamento sembrano essere ancor peggiori dell’anno passato.

I rappresentanti affermano che, a loro giudizio, non esistono le condizioni per una soluzione a breve del conflitto, facendo riferimento alla mancata attuazione degli Accordi di San Andrés.

È necessario segnalare che in tutti i luoghi menzionati, vivono persone che si trovano in condizione di profughi dal 1995 o dal 1996, a causa della violenza paramilitare. Per questo il tema occupa una posizione centrale nell’esposizione. Gli intervistati ci hanno fornito i seguenti dati, riguardanti la distribuzione delle famiglie rifugiate nelle loro comunità (per dati più generali vedi il documento fornito da Enlace Civil A.C. sull’ubicazione della popolazione rifugiata in tutto lo stato del Chiapas):

- rifugiati a Masojá Shucijá: 10 famiglie (56 persone) della comunità Miguel Alemán, dal 28 agosto del 1995; 16 famiglie di Susuclumil (60 persone), dal 17 giugno del 1996; 7 famiglie di Tzaquil (31 persone), dal 3 ottobre del 1995.

- rifugiati a Jolnixtié: 7 famiglie di Agua Fría, dal 17 giugno del 1996.

- rifugiati in altri luoghi: 6 famiglie di Masojá Grande che si sono spostate nello stato di Campeche nel 1996; 22 famiglie di Ojo de Agua, sparse per varie comunità e sul territorio nazionale.

Sino ad oggi i rifugiati non hanno ricevuto nessun tipo di garanzia da parte del governo, che permetta loro di intraprendere il viaggio di ritorno alle loro terre di origine. Durante il periodo in cui era governatore dello Stato, Julio Cesar Ruiz Ferro, alcuni abitanti di Masojá Grande sono rientrati credendo alla parola data dal comandante in capo dell’esercito, Leopoldo Diaz. Ciò nonostante, furono poi vittime di nuovi attacchi che li obbligarono a scappare nuovamente.

Secondo le informazioni raccolte, le famiglie non possiedono terre proprie e sono costrette a prenderle in affitto o in prestito, per seminare e provvedere così alla propria sopravvivenza. La mancanza di terre, li costringe a coltivare lo stesso appezzamento senza lasciarlo riposare, rendendolo così meno produttivo. Ciò implica un’ulteriore diminuzione delle già scarse entrate familiari. Nella maggior parte dei casi, la terra dai cui sono stati espulsi è già coltivata da altri e i rifugiati, non hanno avuto modo di far valere i propri diritti contro l’abuso del quale si sentono vittime.

Le famiglie di Cruz Palenque, che si erano rifugiate a Misopá, recentemente sono potute ritornare alle proprie terre, senza però ricevere alcun indennizzo per i beni abbandonati al momento dell’espulsione.

Nei loro interventi, i rappresentanti delle comunità hanno soprattutto rilevato la situazione economica in cui sono venuti a trovarsi in seguito alla perdita delle loro terre. In più occasioni, hanno consegnato alle autorità competenti una lista dei beni perduti accompagnata da richieste di indennizzo. Non hanno mai ricevuto risposta. L’unico indennizzo che è stato loro offerto, sono stati animali da cortile e pecore. Tuttavia, si dicono contrari all’offerta, poiché affermano di essersi da sempre dedicati all’allevamento bovino. Inoltre, sostengono che le pecore non si adattano alle zone, in cui loro vivono, e così muoiono. Lo stesso vale per gli animali da cortile che, essendo d’allevamento, necessiterebbero di cure particolari, che loro non possono offrire.

I rappresentanti delle comunità si lamentano che la vigilanza costante, esercitata dai membri del gruppo paramilitare "Paz y Justicia", impedisce loro di recarsi in altre comunità, in particolare a Tila, il capoluogo municipale. Gli intervistati hanno espresso il timore di essere picchiati oppure rapiti e fatti sparire nei posti di blocco dei paramilitari. Questa situazione crea, soprattutto, paure tra le donne e gli anziani e, di fatto, molte persone ormai non si muovono più dalla comunità.

I membri del gruppo "Paz y Justicia" controllano l’accesso alle comunità di Miguel Alemán, La Curva, El Limar, Agua Fría, El Crucero e Tila, e fanno scendere dagli autoveicoli, arbitrariamente, tutti quelli che, volendovi entrare, non sono di loro gradimento, siano gente della zona oppure osservatori stranieri. L’unica strada accessibile conduce a Macuspana, nello stato di Tabasco e al suo sbocco si trova il distaccamento militare di Melchor Ocampo. La strada bianca in costruzione dall’anno scorso non è sufficientemente pavimentata e, già dalle prime piogge, diventa intransitabile per qualsiasi autoveicolo. La distanza a piedi tra Jolnixtié e Melchor Ocampo è di 5 o 6 ore. Di conseguenza, gli abitanti devono affrontare dei seri problemi di approvvigionamento. Viene loro impedito il trasporto di malati, anche in caso di necessità, e si complica loro il disbrigo di pratiche amministrative nel capoluogo municipale, Tila. È probabile, che la legge di rimunicipalizzazione promulgata dal governo statale, non contribuisca alla soluzione di questo aspetto del problema.

Un altro effetto negativo provocato dall’assedio, cui sono sottoposte le comunità, riguarda l’impossibilità di partecipare alle attività religiose nel capoluogo municipale - che è un importante luogo di pellegrinaggio - o di ricevere visite del parroco di Tila, che da 4 anni è stato dichiarato "persona non grata" dai membri di "Paz y Justicia". Padre Heriberto Cruz Vera, non può spostarsi per il timore di essere aggredito per strada e, in sostanza, vive segregato nella sua chiesa.

Nella Zona Norte, negli ultimi anni, il diritto alla libertà di culto è stato calpestato più volte. La chiesa di Tzaquil è stata incendiata, quelle di Miguel Alemán e di Limar sono chiuse e, per questo, le messe si celebrano in abitazioni private. Nel 1996, contro la chiesa di Guanal, è stata sparata una raffica di mitra e solo recentemente è stata riaperta. A Cerro Misopá, gli arredi e l’impianto audio della chiesa sono stati rubati. Infine, l’11 novembre del 1999, agenti della compagnia elettrica, Comisión Federal de Electricidad (CFE), hanno tagliato la fornitura di elettricità, iniziata appena due mesi prima, alla chiesa di Jolnixtié, causando costernazione tra gli abitanti del luogo che, ora, temono venga tolta la corrente anche alle loro abitazioni. I rappresentanti di Jolnixtié hanno riferito alla CCIODH, che la comunità si rifiuterà di pagare l’energia sino a quando le autorità competenti non soddisferanno, in modo soddisfacente, le loro richieste di indennizzo. L’atteggiamento adottato dagli agenti della CFE, di procedere al taglio dell’elettricità senza nemmeno darne notifica, è stato interpretato, dalle autorità della comunità, come umiliante e irrispettoso.

Oltre a denunciare le persecuzioni cui sono vittime, gli intervistati hanno espresso la loro indignazione di fronte all’iniquità e alla cattiva amministrazione della giustizia. Il caso della morte di José Tila, costituisce un esempio indicativo dell’impunità di cui godono i paramilitari. Il 21 de febbraio del 1998, José Tila López García fu crivellato di pallottole e poi finito a colpi di machete da sette uomini, mentre rientrava a Jolnixtié in compagnia del padre, dopo aver offerto la propria testimonianza a una delegazione della CCIODH (il primo dossier è stato dedicato in sua memoria). Gli elementi di Seguridad Pública del distaccamento di Jolnixtié, si rifiutarono di emanare un ordine di cattura contro gli aggressori, nonostante questi siano stati identificati formalmente dal padre della vittima. L’arrivo, tre giorni dopo, del procuratore di giustizia, quando ormai i responsabili del delitto si erano già dati alla fuga, scatenò l’ira della popolazione che espulse i rappresentanti dell’ordine. Da allora, secondo le testimonianze raccolte, elementi della polizia, distaccati in altre comunità, pattugliano la zona ogni tre o quattro giorni. Dopo essersi rifugiati, per circa un anno, in una comunità vicina, i responsabili della morte di José Tila sono rientrati a Jolnixtié. Hanno piena libertà e, addirittura, sono implicati in altre azioni violente. Il 18 settembre 1999, hanno fatto irruzione, in stato di ebbrezza, nell’Accampamento Civile per la Pace e, dopo aver minacciato i presenti, hanno tentato di colpirli con i loro machetes, lasciando anche segni visibili sulla struttura. Il 20 settembre 1999, sempre secondo le testimonianze degli intervistati, hanno sparato contro un gruppo di rifugiati della comunità di Masojá Shucjá, mancando di poco uno degli aggrediti. Mateo López Pérez, originario di Panchuc, è l’unico ad essere stato processato per l’omicidio di José Tila. Attualmente si trova recluso nel Centro di Riabilitazione Sociale di Cerro Hueco, a Tuxtla Gutierrez. A quanto sembra, poco tempo fa, è stata fatta una richiesta di scarcerazione. Il padre di José Tila, che era stato citato a deporre come testimone principale, non ha potuto recarsi in tribunale, sia per mancanza di mezzi economici, sia per paura di venire aggredito durante il viaggio. Ha, quindi, approfittato della visita della CCIODH per giungere a San Cristóbal de Las Casas, dove il Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas si sta occupando del caso. Pochi minuti dopo essere passati per il luogo dove, tra le erbacce, si erge una croce nel punto in cui cadde José Tila, la CCIODH ha incrociato alcuni uomini a cavallo. Il padre di José Tila, si è chinato sul sedile, dicendo, in seguito, di aver identificato quegli uomini come gli assassini del figlio. Visibilmente turbato, ha poi rivelato di ricevere minacce e pressioni, con lo scopo di farlo desistere dalle sue accuse. Per questo motivo, non può mai spostarsi da solo, sia all’interno, sia all’esterno della comunità.

La copertura che le forze di Seguridad Pública danno alle persone identificate come membri di "Paz y Justicia", come agli attivisti del partito di governo PRI, è stata segnalata anche dal rappresentante di Misopà. Secondo la sua testimonianza, il 7 novembre, giorno in cui si è realizzata la consultazione per la scelta del candidato alla presidenza per quel partito, elementi di Seguridad Pública, accampati a Cerro Misopá, hanno esploso colpi d’arma da fuoco nel centro della comunità, insieme a simpatizzanti del PRI, i quali erano guidati da Ruben Reyes, lo stesso che, l’anno scorso, era stato indicato alla CCIODH come il dirigente locale di "Paz y Justicia". L’atteggiamento delle autorità è notevolmente più efficiente, quando i delitti sono imputati a persone identificate con lo zapatismo oppure con il partito d’opposizione PRD: tre persone originarie di Jonixtié e Cerro Misopá sono attualmente detenute in carcere e, nonostante si considerino prigionieri per reati di opinione, stanno scontando lunghe pene per reati comuni, con accuse che gli intervistati definiscono "prefabbricate". L’anno scorso, alcuni membri della comunità, insieme a familiari dei detenuti, hanno realizzato un presidio di 85 giorni davanti alla sede del governo statale di Tuxtla Gutiérrez, per chiedere la liberazione di questi e quella degli altri detenuti dell’organizzazione "La Voz de Cerro Hueco".

Gli intervistati hanno parlato di schedature costanti da parte dell‘esercito nei posti di blocco in cui vengono fermati. Hanno raccontato anche dell’incidente accaduto il dieci d’aprile 1999 a Jolnixtié, mentre gli abitanti del luogo stavano celebrando l’anniversario di Emiliano Zapata. Durante la notte, avvenne un black-out, cui seguì l’arrivo di numerosi elementi dell‘Esercito Federale che, con il pretesto che due soldati erano stati aggrediti e privati delle loro armi, perquisirono l’intera comunità, ripetendo l’operazione anche il giorno seguente.

Nel giugno di quest’anno, a Tila, il signor Candido Arcos, mentre stava salendo su un furgone, è stato gettato a terra da due elementi di Seguridad Pública che poi lo hanno picchiato a morte in mezzo alla strada. Uno degli autori del crimine è stato arrestato, l’altro è latitante.

In sintesi, il problema principale nella Zona Norte continua ad essere la presenza di gruppi paramilitari che agiscono in assoluta impunità e con la complicità delle forze armate. Questa situazione è la causa delle violazioni al diritto di libero transito che colpisce la popolazione civile nei seguenti aspetti:

- Non potersi recare con tranquillità al lavoro nei campi.

- Non potersi recare al capoluogo municipale per sbrigare questioni amministrative.

- Non potersi dedicare ad attività di commercio ed approvvigionamento.

- Non potersi recare alla chiesa di Tila, né poter ricevere la visita del parroco.

- Intere comunità si trovano ancora rifugiate e non ci sono garanzie per il loro ritorno.

- Non sono stati indennizzati per i danni subiti.

- L’assenza forzata e la conseguente perdita di molti capi di bestiame ha causato il crollo della fragile economia familiare e comunitaria.

- Le difficoltà per il sostentamento sembrano essere ancor peggiori dell’anno passato.

Nelle loro testimonianze, gli intervistati hanno confermato le versioni diffuse da diversi media riguardo alle divisioni in seno al gruppo paramilitare "Paz y Justicia" e causate dai suoi stessi dirigenti. Hanno anche espresso il timore che la frammentazione possa provocare danni addirittura maggiori., con la formazione di gruppuscoli, incontrollabili, dediti ad attività esclusivamente delittuose, al di là di qualsiasi tipo di logica politica. Attribuiscono il fenomeno all’incomprensione della base, a fronte del cambio di strategia dei suoi dirigenti che, per anni, l’hanno aizzata a provocare scontri nelle comunità e che, ora, pretendono di calmare gli animi.

In queste circostanze, i rappresentanti della comunità manifestano la propria sfiducia nei confronti delle promesse del governo e sottolineano che non esistono le premesse per una soluzione rapida del conflitto, in riferimento alla mancata attuazione degli Accordi di San Andrés.

Primo rappresentante: Le comunità si sono organizzate per esigere dal governo una soluzione ai nostri problemi. Non abbiamo, però, ricevuto risposte.

La nostra prima rivendicazione riguarda i prigionieri politici. Esistono oltre 60 prigionieri politici accusati di omicidio, di delitti che non hanno commesso e che sono stati una montatura (ci sono tre reclusi dell’organizzazione La Voz de Cerro Hueco originari delle comunità sopra citate: uno di Cerro Misopá e uno di Jolnixtié si trovano a Cerro Hueco, il terzo si trova in un carcere del Tabasco. Finora non si è potuto ottenere un suo trasferimento).

La seconda rivendicazione riguarda la perdita del bestiame a causa dell’espulsione. I nostri averi e le nostre abitazioni sono stati distrutti e bruciati, il nostro pollame rubato. Abbiamo perso tutto e non possiamo recuperare niente. Vogliamo riavere il nostro patrimonio per assicurare un futuro ai nostri figli, vogliamo poter dar loro una buona educazione. Vogliamo che il nostro problema si risolva in modo pacifico, non vogliamo conflitti con quelli di "Paz y Justicia", che si organizzarono con l’appoggio di Seguridad Pública per perseguitarci ed ucciderci. Molti compagni sono già morti per questo. Ciò nonostante, noi non abbiamo mai espulso nessuno dalle nostre comunità. Vogliamo lavorare in pace, non vogliamo più violenza. Quelli di "Paz y Justicia" appartengono al PRI. Non abbiamo libertà di transito, nelle comunità di Miguel Alemán, El Crucero, El Limar, Agua Fría, se ci vedono passare ci fanno scendere dai veicoli e ci fanno sparire. L’unica via da cui possiamo passare è quella per Macuspana, in Tabasco, ma se dobbiamo andare a Tila, il capoluogo municipale, non ci lasciano passare. In questo momento, non possiamo lavorare con tranquillità perché ci controllano e ci aggrediscono quando vogliamo andare ai nostri appezzamenti".

Secondo rappresentante: Il governo sostiene che non c’è conflitto in Chiapas. Questa è una menzogna. Noi, è dal 1995 che soffriamo moltissimo. A Masojá Shucijá continuano gli spari e le aggressioni contro i profughi che si recano al lavoro nei campi, è la comunità che si trova nella situazione più pericolosa: lì non si può lavorare, quelli di "Paz y Justicia" continuano ad agire, anche se ora non sono più uniti come prima, da loro si sono staccati gruppi che si dedicano a furti ed aggressioni. Pensiamo non ci sia modo di controllarli e questa è la nostra preoccupazione. Il giorno della commemorazione della rivoluzione messicana sono passati lanciando grida. In settembre hanno causato danni all’Accampamento Civile per la Pace, quando hanno inferto colpi di machete alla struttura (gli osservatori per la pace ne sono testimoni e i segni sono ancora visibili). Gli autori sono gli stessi che hanno assassinato José Tila e che non sono mai stati arrestati. Quando hanno ucciso José Tila, qui c’era ancora un distaccamento di Seguridad Pública. Per ben tre volte abbiamo loro chiesto che arrestassero i colpevoli dell’omicidio, ma non ci hanno mai dato ascolto. Per questo motivo abbiamo cacciato il distaccamento che, da allora, non è più tornato. Attualmente, ogni tre o quattro giorni, passa Seguridad Pública insieme alla polizia giudiziaria.

La militarizzazione in Chiapas è aumentata, ma il governo sostiene che in Messico regnano democrazia, giustizia, che non c’è conflitto, che non c’è guerra, che non esistono paramilitari. Noi, invece, diciamo che tutto ciò esiste.

Terzo rappresentante: Ci hanno rubato tutti gli animali, sono entrati nelle nostre abitazioni e vogliono rubarci anche i terreni. Non ci lasciano passare per andare a coltivare la nostra terra. Poiché noi non riusciamo a raggiungere i nostri appezzamenti, ci vanno loro, quelli di Paz y Justicia per rubarci le terre. Abbiamo presentato varie denunce, ma il governo non le ha mai prese in considerazione e continua dire che, qui, non esiste alcun problema, quando noi, qua, continuiamo a soffrire.

Esigiamo l’indennizzo per i beni perduti e il governo ci offre qualche pollo e quattro pecore… ma noi abbiamo perso bestiame, non vogliamo animali da cortile, siamo allevatori. Tra l’altro, il pollame che ci offrono è d’allevamento e ha bisogno di cure particolari, che noi non possiamo offrire. Ci vogliono far fuori tutti per restare soli in queste terre, non vogliono che noi continuiamo a lavorare. È doloroso vedere che, dopo che hai lavorato e sofferto per tirar su qualcosa, loro arrivano e ti portano via tutto. Avevamo appena comprato dei puledri e ce li hanno rubati, questo è successo circa tre anni fa.

Vogliamo che tutto ciò venga chiarito e che tutto il mondo sappia che quello che dice il governo, che in Chiapas non esistono problemi, non è vero. Non deve più succedere quello che accadde nel ’96, quando ci cacciarono dalle nostre case; adesso, che siamo nel periodo del raccolto, potrebbero tornare e rifarlo un’altra volta.

Per questo, vogliamo che il governo trovi una soluzione pacifica. Che ci sia pace e tranquillità nel nostro Stato ed in tutto il Messico, perché i nostri figli abbiano tutte le possibilità, che ci paghino poi i beni perduti, perché i nostri figli possano comprarsi le scarpe per poter andare a scuola. Se il governo non ci paga, da dove tiriamo fuori i soldi per dare un’educazione ai nostri figli? Da anni chiediamo si trovi la soluzione al problema, una soluzione che, però, non è mai stata cercata.

Quarto rappresentante: Voglio dire una cosa sugli animali che ci ha dato il governo: il problema è che non sono adatti a questo terreno. Le pecore in questa regione non resistono e muoiono. Per questo non li accettiamo.

Quinto rappresentante: Vogliamo si conosca la nostra protesta. Il 1996 è stato l’anno più problematico. Prima, la vita, nei quattro municipi di Tumbalá, Tila, Salto de Agua e Palenque, era tranquilla. Tra il ‘95 e il ‘96 hanno cominciato a formarsi gruppi paramilitari, cioè durante il periodo di Julio Cesar Ruiz Ferro come governatore dello Stato. Nel 1995 sono stati espulsi i nostri poveri compagni di Miguel Alemán, Tzaquil, Jolxihá, Ojo de Agua, che, ancora oggi, continuano ad essere profughi e non hanno potuto tornare. A Miguel Alemán sono rimasti solo i paramilitari e chi non appartiene alla loro organizzazione corre il rischio di essere ammazzato.

Qualche giorno fa, venti compagni di Masojá Shucijá volevano recarsi a lavorare nel campo, ma quelli di Paz y Justicia fecero sapere che avrebbero teso loro un’altra imboscata. Ciò ha provocato tristezza, perché i compagni vogliono lavorare e dicono di non volere altri problemi. Abbiamo fatto richieste, ma il governo dello Stato non ci dà ascolto. Dice che troverà una soluzione, ma non fa niente. Qui la militarizzazione è costante, a Libertad Jolnixtié esiste una caserma e i pattugliamenti sono continui.

Ci sono persone che, per la paura, non vogliono più allontanarsi per lavorare nei campi. Prima non conoscevamo né militari né Seguridad Pública, adesso, abbiamo paura di andare a far legna o a lavorare nel campo.

Finora non abbiamo ricevuto alcun indennizzo, nonostante le nostre richieste e i presidi di fronte al palazzo del governo. Ci hanno ingannato promettendoci pollastri e pecore. Noi non vogliamo niente di tutto ciò, noi siamo allevatori!

Sesto rappresentante: Otto giorni fa, l’esercito, Seguridad Pública e la polizia giudiziaria statale (PJE) hanno cominciato ad aumentare i pattugliamenti sulle strade, passando due volte al giorno, e hanno aumentato il numero degli effettivi. All’uscita del paese, stanno installando un posto di blocco due volte al giorno. Stanno aumentando anche i pattugliamenti di aerei ed elicotteri. Le cose stanno peggiorando.

Il 10 aprile del ‘99 è stata celebrata una festa in occasione dell’anniversario della morte di Emiliano Zapata, quando l’esercito ci ha creato un problema. Prima hanno tagliato i cavi elettrici, poi sono venuti in molti a dirci che due soldati erano stati aggrediti e che erano state rubate loro le armi. All’alba hanno perquisito tutta la comunità e lo stesso hanno fatto il giorno seguente. Per cercare le armi, sono entrati anche nella chiesa.

Il 18 settembre gli assassini di José Tila sono entrati nell’Accampamento per la Pace in stato d’ebbrezza e hanno minacciato le persone che vi si trovavano, dicendo, inoltre, di non temere nulla, perché tanto il governo li protegge. Il 20 settembre, gli stessi hanno sparato contro alcuni compagni rifugiati di Susuclumil e quasi ne ammazzano uno.

Continuano i furti: appena due giorni fa c’è stato un furto di bestiame.

L’unico nostro delitto è di essere contro il governo, ma noi non siamo contro il governo, ci stiamo solo organizzando per porre fine all’inganno di cui soffriamo da più di 500 anni, dai tempi dei nostri padri e dei nostri nonni.

Chiediamo salute, educazione, giustizia, democrazia, uguaglianza, e per questo ci stiamo organizzando, per i nostri figli e per tutto il popolo messicano.

Per questo il governo messicano manda ad ucciderci, per questo si sono formati gruppi armati contro di noi, perché non vogliono che ci organizziamo, che prendiamo coscienza, noi, gli indigeni. Dice che vuole il dialogo e la pace, ma non è vero. Non vuole riconoscere i nostri diritti.

Ci battiamo anche per l’attuazione degli Accordi di San Andrés. Questo è quello che noi vogliamo. Inoltre chiediamo ci risarciscano di quello che ci hanno rubato. E che ci rispettino. Siamo stanchi. Non abbiamo cliniche, non abbiamo dottori, non abbiamo educazione, né noi né i nostri figli. Il governo non vuole che abbiamo un’educazione perché teme che, così, potremmo arrivare a farlo cadere. Per questo non ci vogliono dare la possibilità di studiare e di migliorare le nostri condizioni di vita.

Settimo rappresentante: L’11 novembre la Comisión Federal de Electricidad venne a tagliare la luce nella nostra chiesa. È successo all’una di notte circa: approfittando della nostra distrazione, ci hanno rubato il contatore e i cavi elettrici e non capiamo il perché, non capiamo perché stanno facendo queste cose. Adesso la gente ha paura che tornino per tagliare la luce anche alle loro case. Noi abbiamo deciso di non pagare l’elettricità finché non ci saranno risarciti i nostri beni. Dove andiamo a prendere i soldi, se non ne abbiamo neanche per comprare del sapone o per soddisfare le nostre necessità più basilari?

Abbiamo la sensazione che facciano questo semplicemente perché non ci rispettano come persone, perché ai loro occhi non valiamo niente. Per lo meno che ci dicano per quale motivo, che ci parlino, siamo persone e possiamo capire i problemi, forse avremmo potuto trovare una soluzione. Qui è da poco che disponiamo dell’energia elettrica, prima l’avevano solo quelli di Paz y Justicia.

Noi chiediamo solo il necessario per la nostra comunità, questa è la nostra lotta e molti compagni sono morti per questo. Perciò quelli di Paz y Justicia ci minacciano, quando vedono che qualcuno di noi è ben preparato lo ammazzano. Questo è quello che succede qui. Non capiamo il motivo, perché quello che facciamo non è niente di male; vogliamo solo pace e tranquillità per le nostre comunità.

È da tanti anni che è così: i nostri padri e i nostri nonni furono ingannati e uccisi perché si volevano organizzare. Chi si vuole organizzare viene ucciso. Se andiamo a Tila o a El Limar ci ammazzano perché siamo sulla lista di quelli da eliminare. Noi non abbiamo mai fatto nulla di male nelle nostre comunità, né abbiamo mai fatto uccidere chi non fosse dalla nostra parte. Vogliamo un centro sanitario, perché finora abbiamo sempre dovuto trasportare i malati molto lontano, con dei costi molto alti.

A volte accusano noi dei crimini che commettono loro ed esistono mandati di cattura a carico di nostri compagni.

L’anno scorso, a Cerro Misopá, c’è stato un problema con la costruzione di una strada. La gente era contraria perché sarebbe passata su terreni dell’ejido. Inoltre quelli di Misopá si lamentavano per la lentezza con cui veniva costruita la strada proveniente da Emiliano Zapata e del cattivo uso che si stava facendo dei fondi con cui venivano acquistati materiali scadenti per la costruzione. Cos’è successo da allora?

Purtroppo l’impresa costruttrice non lavorava bene ed erano più di 6 mesi che costruiva. Lo studio del terreno non era ben fatto e i fondi a disposizione erano molto scarsi. Il lavoro non fu svolto bene e la strada non è stata pavimentata in modo sufficiente: il rivestimento era di soli 10 centimetri e, quando piove, sprofonda tutto. L’impresa era stata appaltata dalla presidenza municipale. Abbiamo incassato l’assegno per la parte che resta da costruire, perciò abbiamo chiesto all’impresa di rimettersi all’opera non appena siano terminate le piogge. I fondi assegnati sono di 604.000 pesos.

 

Relazione sulla morte di José Tila, avvenuta il 21 febbraio 1998:

Il giorno dopo l’omicidio siamo andati ad avvisare Seguridad Pública. Gli assassini si trovavano nelle loro case. Gli agenti dissero che bisognava attendere l’ordine di cattura e, a quel punto, gli assassini hanno avuto il tempo di nascondersi. Lunedì 23, tre giorni dopo la morte di José Tila, arrivò il procuratore di giustizia, scortato da tre furgoni di poliziotti. Pensiamo che gli assassini siano stati avvisati dagli agenti stessi perché sono amici loro e perché erano insieme quando la gente è stata espulsa dalle proprie case. Allora gli abitanti delle 26 comunità vicine, si sono organizzati e hanno cacciato via la polizia ed il procuratore, questi, prima di andarsene, chiesero un certo periodo di tempo, ma non fu loro concesso.

I nomi degli assassini sono: Mateo López Pérez, Pablo López Pérez, Plácido López Pérez, Eulalio López García, Juan Bersain Gracia Pérez, Juan José García Pérez e Mateo López Pérez, originario di Panchuc ed è l’unico ad essere stato arrestato.

Gli assassini non sono stati perseguiti Il padre di José Tila è l’unico testimone dell’omicidio, infatti, stava accompagnando il figlio, quando questi fu assassinato, e poté, quindi, vedere in faccia gli assassini. Ora gli assassini sono tornati nella comunità e vivono nelle loro case, dopo essere rimasti nascosti per circa un anno, ed ora pensano che la questione si sia conclusa. Sono gli stessi che hanno causato il problema con gli osservatori. Dicono che non hanno paura perché il governo li appoggia e che, quindi, non gli succederà niente. Sembra si stia sollecitando la liberazione dell’unico detenuto per l’assassinio di José Tila. Poco tempo fa, suo padre fu convocato come testimone a San Cristóbal, ma, fino ad oggi, non vi si è potuto recare per mancanza di soldi per il viaggio. Il Centro Fray Bartolomé De Las Casas si sta occupando del caso. Al momento non è stata ancora emessa una sentenza e, quindi, sono ancora presunti assassini.

Relazione sulla morte di Cándido Arcos, avvenuta a Tila nel giugno del 1999:

Candido si trovava su un furgone. Passò una pattuglia di Seguridad Pública che lo fece scendere e lo prese a calci, fino a fargli perdere conoscenza: morì poco dopo. Tutto questo è successo sotto gli occhi di tutti. Un poliziotto è stato arrestato, l’altro è invece scappato. Da questo si può vedere come i posti di blocco siano solo delle messe in scena, infatti, non fermano gli assassini, ma si dedicano solo a perquisire noi.

Al campo militare di Libertad Jolnixtié Seconda Sezione vanno sempre i bambini e vediamo che gli viene offerta marijuana. Non hanno il diritto di fare queste cose. Portano alcolismo e prostituzione nelle comunità. Un altro distaccamento è a Emiliano Zapata, a Cerro Misopá c’è n’è uno di Seguridad Pública. La presenza dell’esercito in quella zona ci danneggia perché lì nasce il fiume e i militari vi scaricano la loro spazzatura, inquinandolo. Si tratta del fiume che rifornisce d’acqua la comunità. Noi chiediamo che si ritirino e se ne vadano da lì.

A cosa si riferisce quando dice che i membri di Paz y Justicia non sono più così uniti come prima?

Alcuni elementi si sono allontanati e hanno formato dei gruppuscoli che si dedicano ad attività di delinquenza comune.

I conflitti sono ora più personali?

Il capo di Paz y Justicia di Agua Fría, Juan Martinez Pérez, mi ha detto che non vuole più continuare, che ci sono già stati abbastanza problemi, confessando anche che ci sono divisioni tra loro. Ha detto che c’è gente del suo stesso gruppo che non gli dà più retta e che si dedica solo a compiere mascalzonate. Lui, da parte sua, ha ammesso di essere stanco della violenza.

Crede che quelli rimasti ora continuino, più che altro, come un’associazione a delinquere senza scopi politici?

Quando hanno cominciato, nel 1995, erano ben organizzati e avevano i loro dirigenti ai quali obbedivano. Dal 1998, però, la situazione ha iniziato a deteriorarsi. Hanno cominciato a scontrarsi tra di loro. I dirigenti erano Samuel Sánchez Sánchez (deputato statale del PRI), Raimundo Diego Vasquez e Marcos Albino. Ora ci sono diversi gruppi che non vogliono più la violenza, ma ce ne sono altri gruppi che vogliono continuare e che provocano problemi. I loro dirigenti cercano di controllarli perché il governo ha detto che bisogna fermare la violenza; quindi, i dirigenti di Paz y Justicia, che prima dicevano alla propria base che bisognava far fuori tutti gli oppositori, quelli del PRD e gli zapatisti, ora dicono che bisogna fermare la violenza perché così vuole il governo. Allora c’è gente che si chiede cosa stia succedendo, perché adesso abbiano cambiato opinione. Per questo, alcuni di loro si sono staccati perché i dirigenti ordinavano loro di fermarsi. Hanno detto che non vogliono più violenza, ma rimangono dei piccoli gruppi che vogliono continuare. Questi ultimi non sono più sotto il comando dei propri dirigenti, ma operano per conto loro. Sono delinquenti comuni.

A Cerro Misopá chi crea problemi è Seguridad Pública. Il 7 novembre, giorno della consultazione interna del PRI, alle undici e mezza di notte, nel centro del paese, hanno esploso colpi di arma da fuoco e raffiche. Ci sono stati incidenti durante la votazione interna del PRI, perché questi appoggiano Roberto Madrazo, l’antagonista di Labastida. Ruben Reyes, capo di Paz y Justicia a Cerro Misopá, è stato colui che ha organizzato la votazione interna al PRI.

 

 

 

 

 

 

7. Municipio Autonomo Ricardo Flores Magón, incontro con i rappresentanti della comunità

L’incursione delle forze militari a Taniperla, centro del Municipio Autonomo "Ricardo Flores Magón", all’alba dell’11 aprile 1998, ha segnato l’inizio di una serie di attacchi violenti contro i Municipi Autonomi. Quanto iniziato a Taniperla ha avuto un seguito quattro giorni dopo nella comunità "10 de abril" (nella zona di Altamirano), il primo maggio nel Municipio Autonomo "Tierra y Libertad" (nella regione di frontiera con il Guatemala), ai primi di giugno nel municipio costituzionale "Nicolás Ruiz" (amministrato dal PRD) e infine l’11 giugno, nel Municipio Autonomo "San Juan de la Libertad".

In tre dei casi riferiti, l’obiettivo sembrava essere lo smantellamento del Municipio e la cattura delle sue autorità designate. Ogni volta, però, ha richiamato l’attenzione la sproporzione tra le forze mobilitate ed il numero di arresti che si pretendeva realizzare. Nella comunità "10 de abril", per esempio, dove il pretesto era "verificare la situazione migratoria" di tre cittadini di origine norvegese, la comunità è stata invasa da varie centinaia di elementi di Seguridad Pública.

È da segnalare inoltre che, da quella data, le espulsioni di osservatori stranieri sono state più frequenti e più numerose. Taniperla probabilmente detiene il record di espulsi per il solo fatto di essere passati da quella comunità. D’altra parte, però, l’atteggiamento sommamente ostile nei confronti di qualsiasi visitatore adottato dagli abitanti appartenenti al PRI –che oggi, insieme ai militari, controllano la comunità- ha sicuramente contribuito a ridurne il numero. Di fatto, la delegazione della CCIODH non ha potuto recarsi in questo luogo perché avvisata in anticipo della presenza di paramilitari decisi ad impedire che svolgesse il suo compito.

Dopo quasi due anni, una parte degli abitanti permane lontana dalla comunità. Il testo in cui si presenta la situazione del Municipio Autonomo, viene riprodotto tale e quale come è stato consegnato a due membri della Commissione.

 

MUNICIPIO AUTONOMO IN RIBELLIONE "RICARDO FLORES MAGÓN"

19 novembre 1999, Chiapas, Messico

Ai nostri fratelli e sorelle della "Confederación General Del Trabajo"(CGT) componenti della CCIODH

Sorelle e fratelli della CGT spagnola,

vi mandiamo il più forte saluto di dignità e lotta che possa venire dai nostri cuori rivoluzionari e autonomi. Accogliamo di nuovo con allegria la vostra presenza nel nostro territorio e nelle comunità indigene in resistenza, perché insieme con voi sarà possibile costruire un mondo dove ci sia spazio per tutti, dove tutti ci si possa guardare, parlare e ascoltare come fratelli nell’uguaglianza e rispetto, dove tutti possano vivere con dignità. Inoltre ci rallegriamo perché voi siete già parte della nostra lotta e ci avete aiutato molto nel proseguirla.

Sorelle e fratelli, queste vostre comunità sorelle, del Municipio Autonomo "Ricardo Flores Magón", vi vogliono mandare un saluto speciale attraverso la nostra parola e il nostro cuore sinceri, con la nostra ragione e volontà di difendere, lavorare e lottare per il diritto storico e sociale all’autonomia dei popoli indigeni e spiegarvi perché cerchiamo una vita con dignità per tutte e tutti noi che viviamo nelle nostre comunità, villaggi e rancherías. Ma anche una breve spiegazione dei problemi che ci costringe ad affrontare la guerra silenziosa, problemi per portare avanti il municipio e l’impegno preso insieme con voi.

Perciò vi mandiamo alcune parole per farvi comprendere il nostro lavoro e struttura municipale. La nostra comunità campesina e indigena è una forma di vita e di cultura, perciò la comunità è un qualcosa di proprio che trova il suo significato nelle famiglie che si uniscono per garantire la loro riproduzione, il loro benessere, la loro dignità e a questo scopo hanno formato una comunità che ottiene un senso comune e si guida da sé come un unico cuore per assicurare una vita dignitosa a tutte le famiglie. In modo collettivo ci articoliamo, conviviamo, lavoriamo e costruiamo nei nostri villaggi, i nostri interessi comuni si fanno e le decisioni si prendono in assemblee comunitarie cercando innanzi tutto l’accordo che benefici tutti, cercando che tutti coloro che partecipano ne siano contenti, che tutti partecipino, che la gente si parli, esprima la propria opinione, che cerchi una soluzione, e se alcuni non sono d’accordo, allora si continua a cercare l’accordo fino a quando ci si arriva, e se non ci si riesce, si cerca il modo migliore, quello che non causa divisioni; inoltre stabiliamo sistemi di cooperazione, di mutuo appoggio e di ridistribuzione della ricchezza, e collettivamente ci occupiamo delle necessità, creiamo la cultura e prestiamo regolari servizi di solidarietà in beneficio della comunità. L’assemblea nomina le autorità d’ogni comunità e così le commissioni, e queste possono solo comandare e cercare di portare a termine gli accordi e i progetti decisi, non hanno l’autorità per decidere da soli quello che si deve fare, ma ciò che il popolo vuole fare.

Questo sentimento di sentire e sentirci in comunità, di costruire un ambito comune, è la base su cui costruiamo e diamo significato al nostro Municipio Autonomo, rispettando la nostra cultura, tradizioni, sogni e costumi, per questo per il Municipio ogni comunità, villaggio o ranchería è come una famiglia, dove ogni comunità ha cuore e significato solo in rapporto alle altre comunità, nel suo lavoro comune con altri villaggi. E così, gli ejidos non sono più ejidos, ma un territorio comune poiché sono uniti e in relazione tra loro, quindi sono parte di una comunità più ampia dove le loro terre, acque, cieli, cammini sono già più grandi, sono autonomi, degni e ribelli.

Costruire la nostra autonomia e adempiere le necessità e ai sogni comuni delle nostre comunità, villaggi e rancherías, rispettando ciò che siamo, è un compito grande e gravoso e per questo abbiamo creato il Consiglio Autonomo che concentra le diverse autorità nominate sia dagli uomini, donne, bambini ed anziani, basi d’appoggio dell’EZLN che dai membri delle organizzazioni indipendenti presenti in ogni comunità, che in modo volontario hanno deciso di appoggiarlo. Abbiamo continuato a lavorare da quando abbiamo dichiarato il nostro Municipio: abbiamo costituito il Consiglio per la Salute, incaricato del benessere del popolo in quest’aspetto, e la Commissione Agraria, incaricata di proteggere e vigilare il nostro territorio autonomo e ribelle, che, in forma congiunta e insieme al nostro popolo, rappresentano, creando e cuore, il nostro Municipio Autonomo in ribellione "Ricardo Flores Magón". Le autorità municipali sono incaricate di applicare gli accordi, trovare le risorse, occuparsi delle necessità e proporre progetti di beneficio comune, consultandosi, appoggiandosi e rispettando, in ogni momento, le comunità, la loro volontà, necessità, proposte e potenzialità, promuovendo l’articolazione e il lavoro congiunto per costituire un popolo con autonomia e dignità.

Per prendere accordi tra le comunità, si è creata l’Assemblea Regionale, che è formata dalle autorità nominate in ogni comunità, secondo i propri costumi e necessità, che sono gli Agenti Autonomi. Queste autorità portano il pensiero e l’accordo della loro comunità, nel modo in cui abbiamo detto, e si cerca l’accordo tra tutte loro come nell’assemblea comunitaria, non portano la loro posizione personale, ma, sì, la loro esperienza e lavoro. Dall’Assemblea Regionale escono gli accordi, necessità e progetti municipali, che ritornano alle comunità per l’ultima parola, se c’è malcontento generale sono rivisti, fino ad arrivare all’accordo buono. Il Consiglio Autonomo, quindi, applicherà questi accordi regionali e cercherà il coordinamento comunitario per adempiere la sua funzione collettiva.

Nel Municipio, come nelle comunità, le autorità e commissioni non sono stipendiate, non ricevono alcun compenso per il loro lavoro, lo fanno per il bene di tutti, perché sanno che un domani altri si occuperanno di loro e lavoreranno insieme con loro, compiendo questa stessa volontà e impegno comune. Rispetto al Municipio e al Consiglio Autonomo, ogni comunità ha anch’essa autonomia per risolvere i suoi problemi, per creare ai suoi propri lavori, prendendo i suoi propri accordi, sempre e quando rispettino la volontà e l’accordo più ampio cui si sono unite, ossia alla volontà regionale. Il Municipio serve ad appoggiare e a rendere più grande lo sforzo d’ogni comunità, per facilitarlo, per superare i limiti d’azione di un solo villaggio, per cercare di risolvere e costruire ciò che la comunità da sola non può fare, così come una famiglia non può farlo senza la comunità.

Uno dei lavori che più ci occupano in questo periodo, e che il Consiglio sta cercando di mettere in atto, è il coordinamento tra tutte le comunità, per risolvere le differenze e i problemi tra l’una e l’altra, per esempio i problemi della terra tra gli ejidos, che sono molti. Ciò si deve alla cattiva ripartizione delle terre fatta dal mal governo, che in molti casi ha dato in dotazione la stessa terra a diversi ejidos, per creare divisioni tra noi. Tramite accordo, perciò, è stata creata la Commissione Agraria, che è stata incaricata da un lato di risolvere questi problemi di terre, e dall’altro di ridistribuire le terre recuperate con la nostra lotta dai latifondisti e dai possidenti terrieri, affinché oggi siano lavorate dalle comunità indigene campesine. L’altra gran responsabilità della Commissione Agraria è di vigilare e difendere il nostro territorio, come elemento indispensabile alla costruzione della nostra autonomia indigena; protegge le nostre risorse naturali dallo sfruttamento e saccheggio, affinché questa ricchezza sia per tutti; ha a che fare con il problema forestale, d’inquinamento delle acque dei nostri fiumi e lagune, avendo cura anche dei luoghi che sono importanti per lo sviluppo della nostra cultura e tradizione. Il tutto seguendo e rispettando il mandato dei popoli e le leggi che si stanno creando nelle assemblee regionali.

Il Consiglio per la Salute ha iniziato il suo lavoro dopo il 10 aprile 1998 ed è incaricato di occuparsi del problema sanitario nelle nostre comunità, poiché è uno dei problemi che maggiormente ci colpisce, come sapete. Questo Consiglio per la Salute ha operato principalmente nella formazione di promotori comunitari che oltre ad offrire assistenza medica ai malati, con le poche risorse a disposizione, devono creare la coscienza e le condizioni di salubrità ed igiene nelle nostre comunità, ossia occuparsi della prevenzione. Sono stati costruiti, con le poche e precarie risorse, alcuni piccoli centri sanitari nelle comunità destinati ad essere area di lavoro dei promotori e un luogo dove la comunità possa trovare uno spazio per riflettere sulla sua salute e sulle cose che possono essere migliorate con le proprie risorse. Questa è una delle aree con maggiori problemi perché come sapete abbiamo bisogno di molte risorse che non abbiamo ed è difficile ottenerle dall’esterno, dato che richiedono molta gente e un’attenzione costante, tuttavia anche se la sua attuazione non è ancora visibile, è una delle aree dove si è lavorato di più, dato che può contare su una buon’organizzazione e i promotori da parte loro hanno dato molto.

Tra l’altro il Consiglio Autonomo appoggia e si coordina con queste commissioni, oltre ad avere il compito di trovare e risolvere i problemi che affliggono di più la popolazione, senza fare preferenze, ma cercando di risolvere per prima cosa le necessità delle comunità meno favorite, come quelle, per esempio, quelle con mancanza di tubature per l’acqua corrente. Così come deve anche cercare e creare altri consigli e commissioni che si dovranno incaricare dei problemi e necessità della popolazione come: l’istruzione, la produzione, la cultura e tutto ciò che man mano sarà necessario alla costruzione della nostra autonomia come popolo indigeno e della vita dignitosa dei suoi membri.

Sappiamo bene che è solo l’inizio e che abbiamo problemi e questioni non ancora risolte a causa della guerra e dei problemi interni, che è un primo battito del nostro cuore come popolo indigeno autonomo, che siamo ancora lontani dal nostro sogno, però abbiamo la volontà, il cuore fermo, che cresce perché è di molti e vuole continuare a lavorare e lottare. Per questo siamo movimento, lotta, conflitto, siamo la pura verità della nostra realtà, siamo un calore locale che s’innalza a nazionale, siamo l’immagine scomoda della patria, siamo, insieme con voi, la speranza di creare questo mondo dove ci sia spazio per tutti.

Questo è il cuore e la volontà con la quale siamo insorti e abbiamo costruito questo nostro Municipio Autonomo in Ribellione "Ricardo Flores Magón", questa è la sua ragione di essere e il suo spirito che cammina nel "comandare obbedendo" secondo la volontà e l’accordo dei popoli, al rafforzamento della loro cultura, lavoro e sentimento comuni.

Come sapete, il mal governo ha fatto sì che questo nostro Municipio nascesse, sotto la cappa della repressione e della violenza, dopo il 10 aprile 1998, data in cui si ribellarono in cuore e la volontà dei nostri popoli per far divenire realtà il nostro sogno e speranza di autonomia inaugurata a Taniperla: questo Municipio Autonomo e Ribelle "Ricardo Flores Magón"; in quei giorni furono anche vittime della distruzione, persecuzione, carcere e morte, i Municipi Autonomi di "Tierra y Libertad", "San Juan de la Libertad" e il Municipio Costituzionale di "Nicolás Ruiz", che governano dignitosamente le comunità di questa zona.

Oggi la violenza contro di noi si è intensificata nascondendosi dietro le maschere della rimunicipalizzazione, della legge di disarmo e amnistia, il progetto di rimboschimento, dietro il pretesto di far arrivare gli aiuti istituzionali, per incrementare l’infrastruttura di un falso progresso e per preservare lo strombazzato e falso stato di diritto che deve imperare nello Stato. Quest’apparato di presunta risposta del governo alle nostre richieste, però, nasconde solo la menzogna del governo che dice di volere la pace ma ciò che fa è la guerra, perché in realtà si tratta solo di una copertura per formare gruppi di scontro antizapatisti, progettare false rese di zapatisti, mobilitare alcuni nuclei priisti affinché fabbrichino accuse contro le basi d’appoggio zapatiste del Municipio affinché esista il pretesto per incarcerarci e giustificare così l’entrata nelle comunità di militari, poliziotti di Seguridad Pública e giudiziari.

Noi vediamo che il vero volto di questi operativi e progetti è di occultare la guerra, chiudere ancora di più l’accerchiamento militare, rendere impossibile la nostra organizzazione e il nostro dialogo con l’intera società, continuare a rafforzare e creare gruppi paramilitari per dividere e reprimere le comunità ribelli e in resistenza, sgomberare intere comunità verso rifugi strategici, per indebolire materialmente e moralmente questo movimento, questa volontà, questa dignità che non muore, non si vende, non si arresta. Per questo, oggi, la maggioranza delle nostre comunità, villaggi e rancherías soffrono la fame, le perdite materiali, il carcere, l’oblio, la persecuzione, la militarizzazione e la violenza, vedono divisa e aggredita la loro comunità dai paramilitari. Oggi i soldati opprimono con la loro presenza, le loro armi e spostamenti, hanno portato prostitute, oltre che adescando con l’inganno o violentando le donne, in gran parte minorenni. Hanno inoltre portato e permesso ancora la vendita e il consumo d’alcol, dopo tutto il lavoro che avevamo fatto per togliere questi vizi dalla comunità. Dal tradimento del 9 febbraio 1995, hanno preso e invaso strutture e terreni dell’ejido senza l’autorizzazione dei proprietari; nel 1998 hanno occupato ancora più terreni per istallarsi e minacciare la nostra gente degna ed addestrando i gruppi paramilitari.

Il mal governo, però, non lo capì nel ‘94 e continua a non capire, che noi, i più piccoli e dimenticati, gli esclusi di sempre, gli indigeni tzeltales e choles di questo territorio ribelle, abbiamo una dignità, sappiamo lottare e costruire, perché, lo vogliano o no, abbiamo saputo costruire e difendere la nostra autonomia, il nostro Municipio e che continueremo a lottare per una vita con dignità, per una pace giusta, per democrazia, libertà e giustizia per tutti.

Perciò, sorelle e fratelli, questo è ciò che succede, non possiamo allontanarci per lavoro, i bambini e le donne hanno paura di uscire dalle loro case, i nostri uomini si recano alla milpa col pericolo di ritrovarsi il giorno successivo in un carcere oppure di essere picchiati e chissà cos’altro. Il nostro sostentamento e le nostre poche cose sono in pericolo costante, le nostre terre, su cui siamo nati, vogliono portarcele via in un modo o nell’altro, infine il nostro cuore è triste, il nostro tempo è oscurato dalla menzogna e dalla minaccia, da parte del soldato e del paramilitare, e tutto questo perché abbiamo dignità e lottiamo contro uno stato di cose che sono ingiuste, che ci opprimono, sfruttano e condannano alla morte e all’oblio.

Per questo continuiamo e continueremo con dignità e volontà vera, anche se perseguitati e nascosti, anche se minacciati e senza appoggi, continueremo a resistere con più forza di prima. Continueremo a rafforzare e incrementare l’organizzazione e gli accordi del Municipio, per aumentarne la forza, per raggiungere il nostro sogno e una vita degna per tutti i suoi membri. Continueremo a parlare, appoggiare e formare le autorità, i promotori e le levatrici d’ogni comunità, continueremo a costruire progetti che diano benefici alle comunità, continueremo a cercare il modo migliore di organizzarci come popolo e municipio, rivalutando i nostri sistemi giuridici e a creare i nostri regolamenti interni, affrontando la questione dell’istruzione e della comunicazione, facendo i nostri censimenti, andremo avanti, difendendo ed esercitando i nostri diritti come popolo indigeno contenuti negli Accordi di "San Andrés Sacamchén de los Pobres" e che rinforzano il nostro percorso verso l’autonomia, verso la costruzione del nostro futuro, anche se, davanti a noi, lo sappiamo, resta da percorrere un cammino interminabile nel quale dobbiamo camminare insieme, quello che il mal governo tenta di fermare.

Perché i nostri Municipi Autonomi sono la speranza di un futuro degno per tutti, un futuro basato sulla appartenenza volontaria e sul rispetto per le differenze, inclusa la dissidenza, e la sua forza è riposta nel cuore degno di noi che lo desideriamo, nella maggior parte delle donne, bambini ed anziani, giovani e uomini delle nostre oltre 110 comunità, è nella dignità di tutti noi che lottiamo per migliorarci, senza il bisogno di chiedere permesso e di dover dipendere dalla volontà di altri. Le loro speranze e possibilità sono riposte nella nostra storia comune, nella nostra lingua, nei nostri costumi, nelle nostre conoscenze ancestrali, nel lavoro quotidiano e nel desiderio di creare un Messico e un mondo da cui non si sia più esclusi. La nostra veritiera volontà e autonomia, la nostra dignità, è in ogni milpa e potrero, in ogni fiume e sentiero, in ogni casa e comunità di noi che possediamo il cuore veritiero, di noi che rispettiamo il fratello diverso ed esigiamo di essere rispettati, per questo possiamo continuare, nonostante tutto, nonostante la guerra, la persecuzione, l’incarceramento e la morte, per questo possiamo resistere, resistere alla fame e all’esilio, alla repressione e distruzione, alla menzogna e all’inganno, possiamo stare nella comunità o in montagna, nella sofferenza o nell’allegria di ognuno dei nostri compagni.

In questa lotta e resistenza dobbiamo riconoscere che senza lo sforzo e la dignità delle nostre compagne non sarebbe stato possibile, né sarà possibile. Loro sono quelle che più hanno resistito, quelle che si sono prese cura delle comunità e della famiglia quando i compagni sono stati costretti a rifugiarsi dalla persecuzione, sono quelle che portano tutto il peso quando un compagno è ingiustamente imprigionato. Sono anche d’appoggio quando le autorità devono allontanarsi per il loro lavoro, sono quelle che mantengono vive la tradizione e la cultura. Loro non si fermano, non si vendono, non si arrendono nonostante le minacce di stupro ricevute, anche se fanno loro pressione perché firmino a favore del mal governo, anche se vedono che non c’è da mangiare, non accettano le briciole che dà il governo, sono quelle che danno il coraggio e il sostegno alla lotta. Dobbiamo però riconoscere che bisogna lavorare di più perché nelle comunità e nelle famiglie siano rispettati i loro diritti, perché abbiano maggior partecipazione e rappresentanza, perché divengano parte attiva come autorità comunitarie, municipali, perché possano possedere terre e molte altre cose che assicurino la loro vita in uguaglianza e dignità. Questo deve essere un lavoro attento ma fermo, perché c’è molta resistenza e bisogna affrontarlo rispettando il popolo, cercando di trovare gli accordi migliori e facendo sì che ci siano meno problemi.

Ma dobbiamo anche riconoscere che l’attacco al municipio che stava nascendo per iniziare il lavoro aperto su aspetti come la cultura, l’istruzione, la salute e altro, che richiede il pieno contributo delle comunità e l’appoggio di fratelli come voi, è stato colpito in maniera definitiva. L’occupazione militare e poliziesca è ancora in atto, la distruzione delle strutture e dello spazio comune per la realizzazione di questo lavoro, l’incursione e la permanenza dell’esercito e della polizia in altre zone del Municipio e il crescente accerchiamento militare della zona di conflitto, continuano e continueranno senza permettere, per molto tempo, questo tipo di lavoro. Il Municipio non ha mai potuto, perché era agli inizi, mettere in campo la struttura necessaria a questi lavori, siamo stati costretti a ripiegare di nuovo nella vita clandestina, senza più un centro collettivo di lavoro, senza un luogo dove ricevere, parlare e cercare appoggio, portando in questo modo alla dispersione delle autorità municipali, oltre a rendere quasi impossibili le riunioni di lavoro tra queste e con l’Assemblea Regionale, poiché sono perseguitate, ed ogni giorno è sempre più difficile muoversi e questo, tra l’altro, non ha permesso di fare avere a tutti l’informazione che riguarda il gemellaggio e il raggiungimento di un accordo ampio nello stabilire uno scambio come quello che era stato accordato inizialmente.

La guerra di bassa intensità, che aumenta ogni giorno, ci ha portato anche a concentrare i nostri sforzi nella resistenza, nel risolvere i problemi e il deterioramento che questa genera nelle comunità, oltre a quelli che sorgono di per sé nella vita quotidiana. Questo ci ha portato a perdere, per un periodo, la visione dei lavori e l’attenzione che voi meritate, perché l’appoggio che ci avete dato, ci è servito, in gran parte, per resistere meglio a questa situazione o anche per appoggiare un poco l’organizzazione della Consulta Nazionale del 21 marzo, che ha richiesto molti sguardi al cuore interno, cioè molto lavoro che non ha permesso procedere nelle altre cose. Ma soprattutto, possiamo affermare che non vi abbiamo messo il cuore necessario per occuparcene, ma siamo in un processo in cui pensiamo molto ai problemi cui non abbiamo potuto dare soluzione e di cui i nostri popoli hanno bisogno.

Riguardo all’informazione sui problemi che stanno avvenendo con l’esercito, chiediamo la vostra comprensione, il Municipio ha lavorato molto in questo, ha organizzato anche conferenze stampa e questo genere d’informazioni si sta diffondendo attraverso la rete informativa di Enlace Civil, sappiamo che voi la ricevete. Noi vorremmo mandarvelo direttamente, ma per noi è molto difficile, far circolare queste informazioni è problematico e richiede molte risorse. Sappiate però che nel ricevere informazioni tramite Enlace, in cuor nostro sappiamo che vi arriva, e in cuor nostro sappiamo anche che porta una dedica speciale per la CGT, anche se non scritta, la mandiamo. Su altro tipo di informazioni come questa, cercheremo di metterci un maggior impegno per inviarla.

Che questa riunione che avete con il Consiglio serva a raggiungere accordi su come lavorare in maniera più congiunta, come tra fratelli. Che siano stabiliti alcuni accordi di lavoro congiunto guardando al cuore dei problemi in cui ci troviamo noi e che si condividano i problemi che invece dovete affrontare voi, affinché possa uscirne qualcosa che, poco o molto, ci permetta di lavorare al gemellaggio, che sia però qualcosa che si possa fare realmente al di là dei problemi.

Bene, accomiatandoci, vorremmo dirvi di non dimenticarvi di noi, di andare avanti nella vostra lotta, che continuiate ad organizzare la vostra gente per creare una società più giusta, una società per tutti. Vi chiediamo di continuare a lavorare insieme, che, anche se commettiamo errori e abbiamo molti problemi nel nostro cuore, voi siete sempre presenti, ci ricordiamo di voi e desideriamo che continuiate ad appoggiarci.

Vi comunichiamo che il nostro progetto di ricostruire le strutture del Municipio continua, per realizzare di nuovo apertamente quel lavoro che ci permette di avanzare nell’istruzione, salute e tutto quello che serve al popolo e alla sua autonomia. Sappiamo che si tratta ancora di un sogno, che però dobbiamo fare senza chiedere il permesso al governo, come abbiamo fatto quel 10 aprile, senza accettare le briciole, senza lasciarci sconfiggere dalla militarizzazione e dai paramilitari. È un sogno che realizzeremo insieme a fratelli come voi, che ci guardiamo il cuore nell’uguaglianza.

Speriamo che questo non sia il nostro ultimo incontro, che ce ne siano molti di più per scambiare le nostre idee e opinioni, per rendere più grande il nostro lavoro congiunto. Vi annunciamo che dopo di questo incontro portiate nella vostra terra il messaggio e il saluto del nostro popolo a tutti coloro che ci hanno aiutato tramite voi, affinché insieme si continui a costruire e a rendere realtà questa risoluzione, l’autonomia, la vita con dignità, per questo:

DEMOCRAZIA, LIBERTÀ E GIUSTIZIA!

PER LA CGT DAL CONSIGLIERE AUTONOMO IN RIBELLIONE

"RICARDO FLORES MAGÓN "

8. Arroyo Granizo, incontro con membri della comunità

21 novembre 1999.

Al nostro arrivo ad Arroyo Granizo, siamo stati ricevuti da cinque rappresentanti di questa comunità.

Riguardo alla situazione che la comunità sta vivendo, i nostri interlocutori hanno dichiarato che il governo è quello che forma i gruppi paramilitari tra gli stessi indigeni in modo che siano loro a combattere l’EZLN. In ogni ejido c’è presenza di gruppi di priisti: tutto è organizzato al fine di provocare scontri tra indigeni. Aggiungono poi che le autorità inventano reati con lo scopo di rinchiudere in carcere gli indios.

In seguito, hanno presentato delle denunce concrete:

  1. l’arresto di tre persone che erano in viaggio da Miguel Hernández verso la comunità di Dr. Velázquez Suarez; Pedro, che è una di queste tre persone, è stato incarcerato per cinque giorni e quattro notti in una vasca colma di escrementi e di acqua e tre giorni dopo, liberarono uno dei tre per mandarlo a raccogliere il denaro per la cauzione, pari a 30.000 pesos. La persona che aveva steso i verbali era un comandante dell’esercito. Dopo averlo tolto dalla vasca, Pedro è stato trascinato e costretto con la forza a salire su un furgone, da lì fu portato al municipio di Salto de Agua, dove rimase segregato per un certo periodo.
  2. l’assassinio di Manuel Cruz Jiménez e l’aggressione con rapina e lesioni ai danni di Juana Silvano Tovila e della loro figlia minorenne Dominga Cruz Silvano, avvenuti il 26 ottobre 1999, tra la comunità di Arroyo Granizo e l’ejido Hoja de Agua. Quest’agguato, costato la vita al marito, ha causato alla signora Juana Silvano la perdita di un occhio oltre a tre ferite al costato causate da colpi d’arma da fuoco, mentre la bambina Dominga Cruz è stata ferita al piede da una pallottola.

Al momento di quest’intervista, l’assassino, membro di un gruppo paramilitare, si trova in prigione. Le spese ospedaliere di 8.000 pesos, però, sono state stabilite a carico della signora che, a causa delle ferite riportate, in questo momento non è ancora in grado di lavorare, contraendo così un debito di 7.000 pesos.

Tra le denunce raccolte in questa visita, ve ne sono anche relative alle violazioni dei diritti collettivi di questa comunità: la presenza militare è un grave problema perché ai posti di blocco gli abitanti sono fermati e interrogati sui legami con l’EZLN di questa comunità, così come sulle organizzazioni civili presenti nella zona. Per ottenere queste informazioni sulla comunità, i militari, inoltre, regalano giocattoli ai bambini. La zona dell’ejido El Jardín è fatta oggetto di studio dal governo per l’estrazione di petrolio, questo però sta avvenendo su terreni comunitari, senza il consenso degli abitanti. Il governo statale non permette ai piccoli proprietari dell’ejido il taglio di alberi, mentre permette il disboscamento per opera delle compagnie di legnami e dell’esercito. Gli abitanti di Arroyo Granizo sono impossibilitati a commercializzare direttamente i loro prodotti agricoli, soprattutto il caffè, perché hanno paura di recarsi al mercato per vendere le mercanzie dopo che il loro compagno è stato assassinato. Questa situazione li costringe a rivolgersi ai coyotes che comprano loro il caffè a un prezzo irrisorio: 5 pesos al chilogrammo.

Infine, denunciano un’altra strategia usata dal governo per dividere la comunità, che è quella di promuovere tra gli abitanti la costituzione di diverse sette religiose.

 

 

 

 

 

9. Municipio Autonomo di San Manuel, incontro con le autorità nel centro municipale di Las Tazas

21 novembre 1999

Un gruppo di osservatori della CCIODH ha visitato il centro municipale Las Tazas, del Municipio Autonomo di San Manuel, che comprende 34 comunità di etnia tzeltal, dove si è potuto incontrare con i membri del Consiglio Autonomo e i rappresentanti delle comunità di Emiliano Zapata, Manuel Hidalgo, Francisco Villa e Nuevo Santo Tomás.

Le autorità del Municipio Autonomo San Manuel denunciano la crescente militarizzazione a partire dal febbraio 1995, quando l’esercito ha occupato il territorio chiapaneco. Ogni giorno vi sono pattugliamenti terrestri ed aerei, che provocano paura nelle donne e nei bambini, sconvolgendo totalmente la vita delle comunità. Gli uomini non possono allontanarsi per andare a lavorare, perché la situazione li costringe a rimanere per proteggere le loro case e le loro famiglie. Neanche le donne possono allontanarsi dalla comunità per raccogliere il mais necessario al fabbisogno alimentare, perché possono essere aggredite dai soldati.

I pattugliamenti aerei sono realizzati con aerei e con elicotteri che, a volte, effettuano voli radenti oppure stazionano sopra la comunità, come se stessero per atterrare, tanto che, circa una settimana fa, un elicottero ha divelto il tetto di una casa. Nella zona compresa tra la comunità Emiliano Zapata e quella di Las Tazas, ci sono due basi dell’Esercito Federale e una della polizia di Seguridad Pública.

Le autorità della comunità denunciano i retroscena della consegna di armi realizzata da presunti zapatisti. Il 29 gennaio 1999, la PGR e la polizia giudiziaria s’installarono nell’ejido Trinidad per svolgere una serie di controlli, poiché sospettavano la presenza nella zona di una banda di rapinatori nota come i "robacoches" (ruba auto). Gli agenti li arrestarono, ma, invece di denunciarli, strinsero un patto con questi e costituirono un gruppo paramilitare che si faceva passare come zapatista. Furono questi che, il 29 marzo 1999, inscenarono la consegna di armi, zaini e passamontagna, acquistati dal governo, nelle mani del governatore del Chiapas, Roberto Albores Guillén. In cambio di questa resa, il governatore offrì loro denaro da impiegare in progetti produttivi, così come vari capi di bestiame e un trattore. Questi beni avrebbero dovuto essere a disposizione della comunità, ma rimasero nelle mani del gruppo di presunti "ex-zapatisti", i quali, in realtà, sono priisti e, attualmente, fanno parte del gruppo MIRA (Movimiento Indígena Revolucionario Antizapatista).

La persona che ha organizzato questo gruppo paramilitare, di cui n’è anche il capo, si chiama Vicente Pérez Castellanos. L’organizzatore della consegna delle armi, avvenuta sulle rive del fiume Jataté, si chiama José Alfredo Jiménez ed è un funzionario della Sedesol (Secretaría de Desarrollo Social). Alcuni membri del MIRA, erano appartenenti dell’organizzazione "ARIC-Unión de Uniones". Il bestiame dato dal governo non venne però diviso equamente tra gli stessi membri del gruppo di Pérez Castellanos, provocando così problemi fra di loro al punto di arrivare a distruggere il trattore. Accusano quindi gli zapatisti di aver loro rubato il bestiame e di aver distrutto il trattore, quando invece sono stati loro per il fatto di non essersi messi d’accordo sulla spartizione. A causa di questi incidenti, i priisti hanno sollecitato la presenza di Seguridad Pública, dell’esercito federale e della polizia giudiziaria. Quest’ultima ha mandato un contingente costituito in maggioranza da donne, in modo da poter picchiare le donne basi d’appoggio dell’EZLN. Il governo ha donato al gruppo di Vicente Pérez Castellanos un’ambulanza, che viene, però, usata solo dai priisti per andare a spasso o ad ubriacarsi, continua poi a dar loro soldi e provviste con l’ausilio di Seguridad Pública. La gente che rifiuta questi aiuti riceve minacce del tipo che la polizia giudiziaria emetterà ordini di cattura contro di loro. Prima dell’azione organizzata da Vicente Pérez, tutta la gente appoggiava gli zapatisti, ma ora si stanno provocando divisioni.

I membri del Consiglio Autonomo chiedono l’attuazione degli Accordi di San Andrés, affinché non sia necessario ricevere elemosine. In seguito ci informano che il giorno 21 novembre, sono stati emessi ordini di cattura contro due persone della comunità Emiliano Zapata. Non è la prima volta che succede, viene la polizia giudiziaria insieme al gruppo di Vicente Pérez per umiliarle e screditarle di fronte alla gente, ma finora non sono riusciti a portarle via perché la comunità ha fatto resistenza. Un altro aspetto dell’azione del governo è di offrire vaccini, case, cellule per l’energia solare a chi si reca negli uffici del Progresa e offre informazioni riguardo all’identità degli zapatisti. Il governo sta reclutando gente tramite i progetti produttivi e a Comitán, ci sono uffici apposta per questo: COPLADE e SEDESOL.

Nelle piccole comunità non ci sono maestri, chi sa leggere e scrivere insegna ai bambini.

In questo municipio non ci sono ancora desplazados - fenomeno provocato, negli ultimi due anni, dalle aggressioni dell’esercito e dei paramilitari -; si sono formati, però, alcuni insediamenti e piccole comunità a partire dall’esodo causato dalla guerra del 1994 e dalla distruzione delle loro case nel febbraio 1995. È sorto il problema della prostituzione: dalle città di Ocosingo, San Cristóbal e da altre parti, arrivano prostitute agli accampamenti militari di Jordán, Peninsula e a quello ubicato in mezzo a Trinidad, provocando l’inquinamento delle acque con i preservativi gettati nel fiume e provocando problemi per il fatto che la vita della comunità viene stravolta. La gente non vuole si distrugga la propria cultura.

Esistono difficoltà nel transito, poiché nei posti di blocco dell’esercito si impedisce il passaggio dei campamentistas, sia messicani sia stranieri. In questo municipio opera anche la Policia Federal de Caminos, con il pretesto di cercare auto rubate.

A questo punto prende la parola David Menéndez, membro dell’Ong "Sadec Salud y Desarrollo", un medico laureato alla UAM che lavora da otto mesi a Las Tazas. Ha avuto problemi in vari posti di blocco, in un’occasione lo hanno fatto scendere dalla macchina, gli hanno chiesto di prendere tutte le sue cose, sotto minaccia di arresto, ma la gente che viaggiava con lui lo ha impedito. Menéndez, quando viaggia con il veicolo dell’Ong non viene infastidito, mentre quando viaggia da solo è più soggetto a minacce. Denuncia che spesso gli elicotteri compiono voli radenti sulla comunità, con a bordo soldati muniti di telecamere. I paramedici della Croce Rossa Messicana, incaricati dei trasferimenti dei malati, hanno tutta l’aria di militari, utilizzano medicine inservibili o addirittura dannose, ritardano nel prestare soccorso quando si sollecita l’ambulanza e non esaudiscono la richiesta degli indigeni di portarli all’ospedale San Carlos di Altamirano (un ospedale di monache, assolutamente di fiducia), ma prestano loro soccorso nell’unità della Croce Rossa Messicana a San Miguel oppure li portano a Coplamar, presso Ocosingo, e spesso non si sa più nulla dei pazienti. Intralciano la consegna dei medicinali e offrono solo i vaccini. Menéndez considera che il ruolo della Croce Rossa Messicana è poco neutrale. Come se non bastasse, a Las Tazas, come in altre comunità vicine, è stato seminato mais transgenico. Si fumiga contro il paludismo utilizzando DDT che viene irrorato da piccoli aerei o elicotteri.

Vari membri del Municipio Autonomo di San Manuel intervengono poi denunciando alcuni fatti avvenuti in diverse comunità: un gruppo di paramilitari vive a Delicias Casco e si esercita nella base militare di Jordán. Il fondatore del gruppo paramilitare si chiama Caralampio Ruiz Pérez, mentre i dirigenti al comando sono: Lázaro Hernández Vázquez (deputato locale del PRI), Antonio Méndez Hernández (deputato supplente del PRI), Leandro Hernández Toledo (membro dell’ARIC-Unión de Uniones), Flaviano Alfonso Ruiz (del gruppo ejido La Trinidad) e Vicente Pérez Castellanos (a capo del gruppo MIRA). Su questi fatti esistono denunce scritte autenticate dal Municipio Autonomo.

I quindicimila zapatisti delle 34 comunità del Municipio Autonomo San Manuel sono chiari nel denunciare la menzogna degli "zapatisti pentiti": le comunità sono in resistenza.

I giorni 22 e 27 ottobre si è verificato un incremento dei pattugliamenti. Le comunità vogliono che l’Esercito Messicano se ne vada da Las Cañadas, perché minaccia e perseguita i nuovi centri abitati situati sulla strada. Denunciano che il governo vuole pavimentare la strada e utilizzare l’esercito e la polizia giudiziaria per presidiare i macchinari.

A Las Tazas, centro del Municipio Autonomo San Manuel, vivono circa 800 persone. C’è una scuola funzionante, con 70 bambini e 10 maestri.

La Commissione, nella sua visita a questo municipio, è stata fermata ben tre volte a posti di blocco, per circa un’ora in ciascuna occasione: in due casi dai militari delle basi Peninsula e Jordán, entrambe situate sulle rive del fiume, mentre nel terzo dagli agenti di Seguridad Pública nel posto di blocco di ejido Trinidad. Durante i controlli effettuati dall’Esercito Federale Messicano, i membri della CCIODH sono stati obbligati a scendere dal veicolo e ad identificarsi, sono stati chiesti i passaporti e i documenti migratori, e tutti sono stati interrogati sullo scopo della loro presenza in quel luogo. Mentre alcuni militari interrogavano e prendevano nota dei dati personali degli osservatori - compresi quelli che non figuravano nei documenti esibiti -, altri fotografavano e filmavano insistentemente i fermati.

 

 

 

 

10. Comunità "Primero de Enero" (Patria Nueva), incontro con membri della comunità

Presentazione alla comunità della Commissione:

Io mi chiamo Luis Menéndez Medina e lavoro nel "Comité de Derechos Humanos Fray Pedro Lorenzo de la Nada" ad Ocosingo. Questo comitato dei diritti umani è legato alla Diocesi. Abbiamo ricevuto dal promotore di diritti umani Miguel M. delle informazioni su ciò che sta succedendo a Contento, del problema della strada. Abbiamo passato quest’informazione al Fray Bartolomé ed anche ad Enlace Civil perché la diffondano a livello nazionale ed internazionale. Enlace Civil lavora in coordinamento con gli "Aguascalientes" ed anche con i Municipi Autonomi. Enlace Civil ha invitato la Commissione a fare una visita in modo da conoscere qual è il problema di qui. I compagni vengono da diversi paesi come osservatori per divulgare informazione nei loro paesi di quello che sta succedendo in questo luogo, in Chiapas, ad Ocosingo ed a Contento.

Primo membro della comunità: Posso informarvi su quello che sta succedendo, in questo municipio, Primero de Enero, sulla situazione che stiamo vivendo, su questo mal governo che qui sta provocando problemi. Ciò che sta facendo sono pattugliamenti in diversi municipi, spaventando la gente, provocando problemi con la presenza dei militari. Io posso dirvi solo questo, non tutti sappiamo esprimerci in spagnolo, quindi ci aiuterà un altro compagno.

Secondo membro della comunità: Tutti noi siamo di qui, di questa terra benedetta che è una terra rioccupata nel 1994. Si sono stabiliti qui circa 600 capifamiglia, senza contare i giovani dai 17 anni in giù. Ora viviamo tutti qui a Patria Nueva, Municipio Autonomo in Ribellione Primero de Enero. Il problema che si è creato, riguarda il tratto di strada situato all’incrocio di San José Contento in direzione di Ahuajitepec, municipio di Chilón. Un anno fa hanno aperto la strada sterrata su cui passavano i trasporti, ma circa tre o quattro anni dopo la richiesta, fu dato il via al progetto di asfaltatura da qui fino ad Ahuajitepec. Tutti abbiamo bisogno di questa strada, ma pensiamo che il governo voglia approfittarne per il passaggio dei militari e della polizia di Seguridad Pública, perché ora è più facile il loro ingresso poiché la strada è in buone condizioni. Quando siamo venuti a conoscenza del progetto d’asfaltatura della strada, e che era stato dato il consenso alla sua costruzione, i priisti sono venuti a provocarci perché noi non concedevamo loro il permesso di passaggio affinché si costruisse la strada. Più tardi abbiamo visto che c’era già una compagnia dell’impresa di costruzione Conster. Arrivarono i macchinari per aprire il passaggio ed anche un ingegnere, di cui non conosco il nome, cui fu chiesto se non era possibile sostenere la costruzione di una clinica di cui la comunità necessita. Nel periodo delle piogge non è possibile lavorare, così fu detto anche all’ingegnere perché si cominciasse allora la costruzione della clinica, ma l’ingegnere non fu d’accordo e la gente gli assicurò che era anche disposta a pagargli la benzina, ma l’ingegnere si oppose. Accade allora che alcune persone, avvicinatesi al luogo dove lavorava l’ingegnere, sentirono che lui diceva di non volervi lavorare perché c’erano molti problemi. La gente gli disse che se non aveva intenzione di aiutare che se ne andasse, che non volevamo più vedere macchinari. L’ingegnere prese paura e si portò via i macchinari, allora i priisti, nel vedere ciò, fecero una marcia da Sibacá fino al palazzo municipale di Ocosingo, passarono da qui gridando che siamo zapatisti, invasori, ladri di bestiame, dandoci la colpa di tutto quanto succede in Chiapas. Allora la gente si arrabbiò per gli insulti dei priisti e al termine della manifestazione ad Ocosingo, dissero che non c’era più passaggio, che non avrebbero potuto transitare i trasporti; questo è ciò che abbiamo saputo. Qui nel villaggio si è discusso sui priisti che ci criticano perché non permettiamo il passaggio, la gente di qui sa che invece il passaggio c’è, che non è stato bloccato nessun tratto di strada, né con catene né con corde. L’accordo che si prese era che i macchinari non dovevano più tornare ad aprire la strada verso Ahuajitepec. Questo accordo fu preso a livello di Municipio Autonomo e da allora iniziarono i sorvoli delle forze aeree per controllarci; per questo motivo è iniziata la resistenza del Municipio Autonomo, perché non era permesso l’ingresso ai macchinari. Giunsero allora alcune autorità del governo statale che volevano iniziare a dialogare, ma non fu accettato. Una domenica pomeriggio, vennero anche rappresentanti del patronato a parlare con le nostre autorità per sapere per quale motivo non si lasciavano entrare i macchinari. Le nostre autorità risposero che la strada ci serviva, ma l’unica cosa che la popolazione vuole è che ci sia portato il documento dell’accordo firmato da tutti coloro che lavorano nelle piantagioni di caffè e banane situate nell’area di passaggio dei macchinari. Fu loro chiesto (alle autorità governative) un accordo firmato con le impronte digitali delle persone che sono proprietarie, ma questo atto noi non lo abbiamo mai visto. Allora i priisti dissero che non era necessario l’atto di accordo perché loro avevano preso questi accordi verbalmente e fu a quel punto che sorsero i problemi. Si sentì parlare ancora dell’arrivo dei macchinari, ma qui abbiamo un documento in cui diciamo che non saranno lasciati passare fino a che non siano mantenuti gli Accordi di San Andrés e i 13 punti che sono ancora in sospeso nella negoziazione al tavolo di San Andrés. Improvvisamente, il giovedì a mezzogiorno, sono arrivate due ruspe assieme ad un rappresentante del governo, José Cruz Díaz, ex-consigliere della giunta municipale; parlarono con la gente comunicando quali fossero le loro intenzioni e questi disse: sono venuto insieme a questo gruppo di persone (i priisti) a consegnare i macchinari. A quel punto gli dissi: guardi, signore, se lei ha l’incarico del governo, qui la popolazione ha raggiunto l’accordo di non lasciare passare i macchinari, se vuole invece farli arrivare è meglio che aspetti. Se questi macchinari arrivano li lasci là all’incrocio, che ci restino finché cominciamo a parlarne, anche perché non sappiamo se lei è stato informato che ci sono dei problemi. Lui disse di non saperne nulla, ma io, personalmente, non gli credo, poiché tutte le autorità del centro municipale di Ocosingo erano al corrente del problema. Verso le cinque del pomeriggio questa persona del governo è tornata e i priisti hanno cominciato a concentrarsi a un lato della strada internazionale, allora gli abitanti di questa comunità hanno iniziato a bloccare la strada, e il blocco stradale fu da entrambi i lati della strada. Mentre gli abitanti del villaggio stavano bloccando la strada, partì l’aggressione dei priisti, due compagni furono feriti e anche una bambina di tre anni. Venerdì a mezzogiorno, arrivarono il coordinatore inter-istituzionale, quello dei diritti umani e un dottore, ci chiesero dove volevamo sederci a dialogare in modo da permettere il passaggio dei macchinari. Andai io a parlare con queste autorità e vidi che c’era anche quell’ex consigliere della giunta, José Cruz Díaz, allora dissi: guardi signore, lei ieri era qui; ci dica come mai non ha controllato questo gruppo di priisti? Perché sono venuti qua solo a insultarci ed aggredirci? A quel punto il coordinatore inter-istituzionale e quello dei diritti umani fecero tacere e fissarono a lungo José Cruz. Dissi a quelli del governo che i macchinari non sarebbero passati e, nel caso, ci portassero l’atto di consenso firmato, allora si sarebbe riunita la gente in assemblea per decidere il da farsi. Allora questi dottori dissero: "Guardate, questo è l’atto!" iniziando poi a gridare ai patronati. Chiesi quindi alla gente: "Volete fare passare questi macchinari?" E tutti risposero di no fino a quando gli Accordi di San Andrés non siano mantenuti. Allora quelli se ne tornarono ad Ocosingo...

Terzo membro della comunità: Quando la strada fu sbloccata da entrambi i lati ci siamo riuniti per discutere quale fosse la strategia del Presidente municipale Adolfo Gutiérrez Cruz. Questi ha organizzato la sua gente per farla scontrare con altri contadini. Questa è stata la nostra analisi. Esiste un gruppo organizzato denominato Siomlé e uno di loro è qui come coordinatore regionale di Siomlé della zona di Patijuitz, regione di Ahuajitepec; quando i priisti stavano ritornando con i loro veicoli si scontrarono con l’organizzazione di Siomlé in prossimità di un incrocio, erano le otto di sera, e questo provocò due feriti e un desaparecido. La versione delle autorità governative è che quest’ultimo sia poi ricomparso, ma noi non ci abbiamo creduto, perché non è stato più rivisto. Ancora oggi non sappiamo niente di lui. Ieri alle cinque e trenta è arrivato qua il vice procuratore indigeno di San Cristóbal con altri signori della CIATI e con il quinto reggente della giunta di Chilón che si chiama Sebastián Pérez Jiménez, lo stesso che ha guidato il gruppo priista per farlo scontrare con le organizzazioni indipendenti. Si diressero verso il reggente di Chilon e chiesero di vedere il luogo dove si era svolto lo scontro; allora noi abbiamo voluto sapere quali fossero le sue intenzioni e ci rispose: Mi sembra che ci sono stati quattro arresti, due feriti e una persona scomparsa. Noi gli abbiamo detto che se davvero voleva andare là a vedere, gli avremmo consentito il passaggio affinché si rendesse conto che quanto avevamo denunciato era vero e aggiungemmo: Al suo ritorno ci informi sugli accertamenti svolti. Lo lasciammo passare e se ne andarono. Solo il vice procuratore indigeno non volle andarci e se ne tornò a Chilón. Ritornarono verso le otto e trenta e chiedemmo loro cosa avessero trovato. Ci dissero che quanto noi avevamo denunciato era vero, i due feriti, la persona scomparsa e le cinque auto fatte a pezzi. Noi sappiamo che sono stati quelli del PRI a fare questo. Poi dicemmo loro: Voi dottori andate dal maledetto governatore e ditegli che solo quando adempierà gli Accordi di San Andrés noi gli consentiremo di fare la strada, mettere la corrente elettrica e l’acqua potabile. Se non li mantiene, non faremo passare i macchinari. A quel punto ci risposero che ne avrebbero fatto rapporto al loro superiore. Noi aggiungemmo che saremmo rimasti qui fino alla soluzione del problema: vogliamo sia restituita a noi e all’organizzazione Siomlé quella persona scomparsa, vogliamo inoltre essere risarciti da coloro che hanno provocato i danni alle auto. Quindi loro hanno risposto che avrebbero avvisato il loro superiore, ma che non potevano prendere iniziative fino a che questi non avrebbe deciso cosa fare con i nominativi del gruppo priista. Ci dissero che li avrebbero denunciati, arrivò quindi un proprietario di un furgone distrutto e domandò: Chi mi pagherà il mezzo? sono disposto ad aspettare solo altri 10 giorni perché il furgone mi serve per lavorare. I dottori gli risposero di non potergli assicurare niente fino alla risoluzione della questione e il proprietario allora disse che se dopo 12 giorni non arrivava la soluzione avrebbe utilizzato altri mezzi e che la gente di qui è d’accordo con lui. Fino ad oggi non abbiamo saputo ancora niente della persona scomparsa. E nel caso si arrivi o no ad una soluzione, prenderemo una decisione a livello di Municipio Autonomo, nel caso sia necessario prendere altre misure. I proprietari danneggiati sono Antonio Mazariego López, Juan Pérez Hernández e Diego Hernández Sánchez.

Coordinatore della regione di Ahuajitepec: Sono arrivate qua più di 250 persone dalle comunità del municipio di Chilón. Noi stiamo facendo un presidio affinché ci sia presto una soluzione al problema. Siamo del Municipio "Primero de Enero" e siamo assieme all’organizzazione Siomlé. Ciò che non vogliamo è che se si fa pressione sui priisti, essendo noi di un municipio autonomo, il governo voglia poi intervenire. Dal 1994 vediamo che abbiamo avuto diversi problemi, nel ’92 e nel ‘93 avevamo bisogno della terra ma il mal governo non ci ha voluto appoggiare e ora addirittura ci manda i soldati. Ma noi sappiamo che l’arrivo dei soldati porterà maggiori problemi e per questo non li vogliamo; vogliamo invece che siano mantenuti gli Accordi di San Andrés. La strada che vogliono i priisti a noi non serve, ciò di cui abbiamo bisogno è che l’accordo riguardante i nostri diritti sia applicato, sui nostri diritti come persone, come chiapanechi, perché noi, i nostri padri e i nostri nonni siamo chiapanechi, non viviamo in altre nazioni, siamo noi che resistiamo, siamo in povertà da 508 anni, nell’emarginazione e per questo motivo noi campesinos ci siamo ribellati. Noi non vogliamo questo mal governo, vogliamo invece partecipare insieme agli altri compagni dell’organizzazione alla costruzione di una via per la risoluzione. Non vogliamo questo mal governo perché ci opprime dappertutto, non solo qui a Primero de Enero, ma anche in tutti gli altri Municipi e sappiamo bene come veniamo sorvolati dagli aerei, come è successo tre giorni fa quando sono passati di qui i soldati, ma la strada non la permetteremo fino a che non siano mantenuti gli Accordi di San Andrés.

Noi compagni in resistenza non permetteremo al governo di venire qua a fare progetti, perché provocano divisione, portano il cattivo esempio; perché se il governo ha così tanto denaro non ci compra la terra di cui abbiamo bisogno? perché non dà denaro alla gente come noi, ma solo per la strada? Spendono davvero tantissimo denaro per fare questa strada, solo per farci passare i soldati ed è questo il motivo per cui non la vogliamo. E se non ci sarà soluzione per i compagni scomparsi non scioglieremo il presidio. Lo faremo solo se ci sarà soluzione. Se dovremo morire, allora moriremo perché ci sia la pace. Il governo dice che c’è pace e giustizia, ma sono solo menzogne, perché l’esercito è venuto solo per molestarci, a spaventare i compagni e a farci vigilare anche da Seguridad Pública che noi non vogliamo.

Ci sono priisti tra gli arrestati?

No, non ce ne sono, la faccenda degli arresti è falsa perché è arrivata gente da San Antonio e da Ahuajitepec e ci ha detto che non c’era nessun detenuto priista.

Da qui in poi c’è presenza dell’esercito? Dal ’94 è mai entrato l’esercito qui?

Allora, per il momento non sono entrati perché il passaggio è bloccato e da questa parte del Municipio non ci sono state irruzioni dell’esercito né di Seguridad Pública.

Questo compagno appartiene all’organizzazione Siomblé mentre io sono dell’organizzazione di qui, di Patria Nueva. Vorrei però darvene comunicazione perché verifichiate questi problemi, ammesso che un giorno questi problemi saranno risolti perché la gente è molto preoccupata e tutti sono molto uniti: finché non si risolverà questa situazione la gente non scioglierà il presidio. Non è la prima volta che succede, i gruppi priisti l’hanno già fatto, la gente ora sta aprendo gli occhi, non è più possibile che il governo e i gruppi priisti ci continuino a manipolare.

Quarto membro della comunità: L’obiettivo del governo è aprire queste strade perché vuole porre un distaccamento militare tra Patria Nueva e Ahuajitepec. Questo obiettivo del governo non ci beneficia, ma servirebbe solo a militarizzare il nostro territorio come Municipio Autonomo "Primero de Enero". Accusiamo il governo di essere un oppressore perché da oltre 507 anni continua a sfruttarci, tuttavia abbiamo resistito e continueremo a resistere. Se il governo ci vuole massacrare come ad Acteal dove sono morti 45 indigeni, noi uomini, bambini, donne e anziani siamo disposti a dare la vita. Oggi denunciamo i mandanti dei gruppi priisti di Smekjá, Tuxtel, e Huajitepec che si sono scontrati nella giornata di giovedì alle otto di sera. L’altro ieri gruppi priisti si sono scontrati nuovamente con quelli dell’organizzazione Siomblé. I priisti hanno chiesto appoggio alla comunità di San Marcos del municipio di Ocosingo, alle due del pomeriggio si sono scontrati un’altra volta nella comunità di Tuxteel, municipio di Chilón. Chiediamo che i colpevoli siano puniti e denunciamo il quinto reggente come mandante di quel gruppo e che questo succede anche in altri municipi come quello "17 de Noviembre" ed "Ernesto Che Guevara", come pure nella selva. Incolpiamo il governo di tutti gli scontri, perché il suo obiettivo è di ingannarci ogni giorno con i suoi progetti, con promesse, con il Procampo; questa è la strategia che sta usando il governo e proprio per questo vogliamo che voi della Commissione Civile Internazionale dei Diritti lo pubblichiate perché lo sappiano in altri paesi, come nel resto del mondo, che lo stato del Chiapas è militarizzato, che ci sono più di 70 mila soldati e ogni giorno ci sono sorvoli aerei. L’8 gennaio del 1998 sono entrati 80 camion dell’esercito in direzione di Sibacá, ma gli uomini, le donne e i bambini sono riusciti a fermarli, anche se 10 riuscirono a passare e salirono quella collina che vedete là. Oggi denunciamo il governo federale, statale e municipale per tutte queste aggressioni, e incolpiamo il presidente municipale Adolfo Gutiérrez Cruz, per aver organizzato i gruppi priisti e per averci minacciato che se non toglievamo il blocco stradale sarebbero sopraggiunti i militari e gli agenti di Seguridad Pública.

 

 

 

 

11. Amador Hernández, incontro con responsabili e membri del presidio davanti all’accampamento militare e studenti osservatori messicani

Sabato 20 novembre 1999

L‘intervista è avvenuta domenica 21 con quattro uomini e due donne delegati dal Consiglio Autonomo del municipio "E. Zapata". La comunità di Amador Hernández è costituita da 600 famiglie.

Vorremmo iniziare l’intervista chiedendovi come funziona la comunità prima e dopo l’arrivo dei militari. Sappiamo che questo è il Municipio Autonomo Emiliano Zapata, potreste parlarci del tipo d’organizzazione che avete qui?

Certo. Qui ci troviamo in un capoluogo municipale autonomo zapatista. Prima dell’arrivo dei soldati noi lavoravamo e portavamo avanti le nostre proposte mantenendo i nostri impegni con le altre comunità del municipio autonomo. Ci sono anche comunità che appartengono ad altre organizzazioni indipendenti. Si può affermare che con l’arrivo dei soldati ci siamo rafforzati, stiamo resistendo, e abbiamo organizzato questo presidio. Abbiamo molto lavoro nelle nostre comunità e per far sì che il presidio prosegua, abbiamo organizzato dei turni. L’organizzazione si è rafforzata.

Ci sono altre comunità che non sono basi d’appoggio zapatiste?

Sì, qui ad Amador ce ne sono alcune, che in ogni modo sono di un’organizzazione indipendente, la ARIC.

I rapporti con la gente delle comunità che non sono basi d’appoggio sono buoni?

Sì, sono buoni.

Sono presenti priisti?

No, non ce ne sono. C’è stata sempre una sola organizzazione indipendente.

Potreste raccontarci di cosa è successo ad Agosto?

Da quando è arrivato l’esercito noi, il popolo, le donne, abbiamo cominciato a resistere.

Che si attuino gli accordi di San Andrés e che se ne vada l’esercito, qui non abbiamo bisogno di loro. Inoltre portano la prostituzione, l’alcol e lì dove si trovano stanno inquinando e abbattendo gli alberi. Questo è quello che ha fatto l’esercito da quando è arrivato il 12 d’agosto.

Quando è arrivato l’esercito, ha comunicato con la comunità, vi hanno chiesto il permesso di utilizzare la terra?

No, non l’hanno fatto. Noi gli abbiamo annunciato che non li volevamo ma loro sono rimasti. Noi sappiamo che l’esercito ha un obiettivo: accerchiare le comunità. Noi non vogliamo né esercito, né voli d’elicotteri che si ripetono costantemente. Hanno anche gettato dall’alto delle armi. Noi non siamo abituati.

Vi hanno spiegato il motivo della loro presenza?

Loro sostengono che è per dare sicurezza alle comunità, ma questo non è vero. Quello che vogliono fare è accerchiare le comunità.

Si sosteneva che era per proteggere la costruzione della strada che va da San Quintín ad Amador Hernández…

Sì, secondo loro venivano per questo, per proteggere gli ingegneri. Prima, però, non hanno mai protetto con l’esercito la costruzione di una strada. Non è giusto. Hanno un obiettivo: far transitare i mezzi blindati, spostare i loro soldati.

C’è stato assicurato che la costruzione della strada è stata sospesa. Che cosa dice l’esercito ora?

Sì, adesso è stata sospesa. I militari dicono che restano lo stesso perché hanno libertà di transitare per tutto il territorio. Noi invece diciamo che stanno occupando illegalmente un appezzamento di terreno che appartiene ad un nostro compagno. In ogni modo da quando abbiamo organizzato il presidio non ci fermano più per strada come facevano prima, impedendoci di spostarci. Noi donne non possiamo andare a lavorare nel campo, abbiamo paura che ci fermino, che ci violentino, così come succede dove è entrato l’esercito. Inoltre durante la notte passano aerei militari.

Quanti appezzamenti occupa l’esercito?

Ora due appezzamenti. Però ora hanno abbattuto degli alberi in un’altra zona per costruirvi i loro alloggi.

Voi potete abbattere alberi qui?

Ognuno di noi ha il suo appezzamento e la sua riserva, però loro arrivano ed entrano, non gli importa se il terreno appartiene a qualcuno o no. Dicono che hanno anche il diritto di entrare nelle case. Portano la droga e la consumano, la seminano e poi danno la colpa agli abitanti dell’ejido. Qua da noi la droga è sconosciuta. Gli ufficiali sono legati al traffico di droghe e di prostitute, come alla costruzione delle strade. Noi abbiamo visto che dove arrivano le strade del governo non arriva il benessere. Il governo porta solo militari, alcol, prostituzione. Quando sarà una strada che porti la pace, la giustizia e la democrazia, una strada che porti dignità e benessere per tutti e non solo per il governo allora la potranno costruire. Ai soldati diciamo: che siano attuati gli accordi di San Andrés, poi potrete costruire la strada; altrimenti no.

Cosa pensate della presenza degli studenti?

Pensiamo sia un bene. Vengono ad osservare la presenza dei militari. E li invitiamo affinché ne vengano ancor di più a vedere qual è la verità di ciò che sta succedendo. È da anni che il governo sta ingannando il popolo del Messico con false informazioni. I giornalisti vengono nella Selva Lacandona e raccontano tutto alla rovescia per ingannare la gente, per far sì che non si accorga di quello che sta succedendo. Così come fa il governatore Albores per mettere i contadini gli uni contro gli altri.

In che modo arrivano le cose che usano i soldati?

Hanno due campi d’atterraggio ma sono costruiti in modo che non possiamo vedere quando atterrano.

La strada è sbarrata quando atterrano gli elicotteri?

Sì, quando atterrano gli elicotteri mettono uno sbarramento di soldati qua e uno là in modo da non far passare nessuno di noi finché non raggiungono il loro accampamento. Quando sono arrivati gli studenti, i soldati li hanno colpiti. Noi abbiamo denunciato questo fatto.

Cosa potete dirci dell’alcol nelle comunità?

In questa regione non lo permettiamo. Il governo lo introduce per mettere fratello contro fratello. Ma noi qui non lo permettiamo. Prima San Quintín era una comunità però ora insieme ai militari è arrivata la prostituzione e l’alcol. Fanno così per creare divisioni tra il popolo, perché inizino a litigare tra loro e questo noi lo evitiamo. Non lasciano neppure passare gli stranieri perché poi potrebbero raccontare la verità: rendono pubblico quello che sta facendo il governo con i campesinos. Abbiamo sentito di espulsioni. Dicono che gli stranieri vengono a addestrarci, ma non ci vengono ad insegnare proprio niente. Gli indigeni resistono anche senza aver studiato. Siamo campesinos con orgoglio, di qui, della Selva. Qui siamo tutti indigeni. Ci organizziamo e sappiamo come fare le nostre marce di protesta, i nostri presidi. Invece se andiamo nelle loro caserme sì che ci troviamo gli stranieri. Noi siamo molto riconoscenti quando vengono gli stranieri a vedere quello che succede qui nella Selva Lacandona. Per noi è una cosa buona, non come dice il governo che sostiene che vengono a turbare la popolazione: questo non è vero.

Vorremmo sapere qualcosa della scuola.

Beh, ora non vengono i maestri per paura dell’esercito e non credo che torneranno. Anche i maestri sono della classe povera del paese. Ora i bambini sono rimasti senza maestri e questa è una grande tristezza per noi indigeni. Ma abbiamo la speranza che con le nostre rivendicazioni potremo avere un giorno una buona educazione. Per la sanità abbiamo la nostra organizzazione. A La Realidad abbiamo un gruppo di compagni che danno corsi di formazioni a compagni di altre comunità perché imparino. Presto avremo i nostri propri maestri.

Cosa è successo quando sono arrivati gli studenti della UNAM?

Gli studenti sono arrivati e hanno fatto foto e filmato e quando sono tornati al Distretto Federale hanno reso pubbliche le menzogne del governo. Diceva che l’esercito era venuto a far opere di forestazione sui monti Azules e, quando sono arrivati gli studenti, hanno visto i soldati con le motoseghe e con il machete abbattere gli alberi. Per questo è importante che vengano osservatori a raccogliere informazioni per poi pubblicarle.

Il governo dice che gli stranieri, gli osservatori internazionali, sono i responsabili del conflitto, che vengono a manipolare gli indigeni. Cosa ne pensate?

Beh, in quanto zapatisti, ci fa ridere. Perché già saprete che lo zapatismo è nato 15 anni fa e sono gli indigeni. È qui che è nato lo zapatismo e non nelle città. Per questo ci fa ridere quello che dice il governo che ormai non sa più cosa raccontare. Noi siamo andati a dire che non volevamo l’esercito ancor prima che arrivassero gli studenti, gli stranieri e gli osservatori internazionali.

Da più di tre mesi sta funzionando, ogni giorno, questo presidio. Potete dirci come è organizzato e perché c’è ancora? Che cosa dite ai militari e che risposte ricevete?

Noi ci siamo organizzati in turni. Non ricordo quando loro hanno cominciato a mettere la musica: nove altoparlanti perché i soldati non sentano quello che gli diciamo. Ci fanno foto, ci filmano. È sempre così. Loro non dicono niente. Noi sappiamo che continueremo. Quando gridiamo i nostri slogan gli ufficiali si mettono a ridere. Ai soldati non li fanno parlare.

Voi fate differenza tra gli alti gradi dell’esercito e i soldati?

Certo. Ai soldati semplici non lasciano dire niente. Se vedono che qualcuno di loro dice qualcosa, lo mandano subito via. Quando gli diciamo quali sono i nostri diritti parliamo anche di loro perché anche loro sono sfruttati, e se mettiamo qualche striscione gli fanno abbassare subito le visiere per fare in modo che non possano leggerli.

Vi risulta che vogliano costruire una nuova caserma?

Sì, nella comunità Benito Juárez, a circa otto ore di cammino da qui.

Il governo dice che voi non volete dialogare. Che cosa rispondete?

Noi diciamo che il dialogo è possibile. Però prima si mantenga quanto è già stato firmato. Inoltre con la presenza militare non si può fare niente. Il governo dice che vuole dialogare però manda l‘esercito nelle comunità.

Potreste fare un riassunto delle denuncie che avete già esposto?

Ciò che noi denunciamo e rifiutiamo totalmente è la presenza dell’esercito. Hanno distrutto i campi di molti compagni. Stanno abbattendo gli alberi, inquinando il torrente, occupando illegalmente dei terreni. Inoltre ci sono pattugliamenti continui di elicotteri e aerei.

L‘esercito è arrivato fino alla pista d’atterraggio?

Sì, l’11 agosto l’esercito è arrivato fino alla pista. E i giorni 12 e 13 di agosto sono atterrati con un elicottero e lo spostamento d’aria ha distrutto un’abitazione. Abbiamo anche denunciato che hanno usato gas lacrimogeni contro le compagne e i compagni quando protestavano. Abbiamo anche rilevato la presenza di militari statunitensi nel loro campo.

È stata rilevata anche la presenza di gruppi paramilitari?

No, qui no. In altre comunità, sì, però qui no. Usciamo di casa e ci ferma l’esercito e ci chiede dove andiamo, cosa trasportiamo e noi siamo abituati ad uscire dalla comunità e a muoverci liberamente senza che nessuno ci fermi. Le donne hanno paura. Nelle strade, ai posti di blocco, i soldati ti perquisiscono da capo a piedi, anche nelle borse, infastidendo sia le donne sia gli uomini.

È stato possibile documentare la presenza di militari degli Stati Uniti?

Sì, ci sono foto fatte dagli studenti. Le hanno loro. I militari hanno anche costruito delle trappole. Hanno scavato delle fosse e piantato sul fondo dei pali acuminati e poi li hanno mimetizzati in modo da non farli vedere. Ma poi degli osservatori li hanno scoperti e quindi li hanno dovuti togliere.

I membri della CCIODH hanno fatto due tentativi (di 15 minuti ognuno) per intervistare gli ufficiali del campo militare. Siamo stati filmati per tutto il tempo e non ci è stata rivolta parola.

Prima dell’arrivo dell’Esercito Federale la comunità realizzava tutte le sue attività senza alcun problema. Convivono pacificamente basi d’appoggio zapatiste e organizzazioni indipendenti.

Il 12 di agosto 1999, con il pretesto di proteggere la costruzione di una strada, forze dell’Esercito Federale entrano nella comunità senza comunicazione previa e occupano delle terre per istallare un distaccamento. La comunità, in modo compatto, si è opposta fermamente a questa situazione. Hanno chiesto il ritiro dell’esercito. È stato risposto loro che l’esercito rimaneva per proteggerli. Le donne hanno paura di uscire per andare a prendere l’acqua o raccogliere la legna. Gli elicotteri pattugliano la zona continuamente. I bambini si spaventano. Durante la notte passano aeroplani.

Hanno messo delle trappole: delle buche con pali acuminati sul fondo. Sono state scoperte e ora sono state tappate. Sono stati utilizzati gas lacrimogeni contro la popolazione che protestava contro la presenza militare.

La gente della comunità si è collocata a circa 200 metri dal distaccamento dove trascorrono tutto il giorno e la notte. Quotidianamente si avvicinano per fare il presidio. Il distaccamento è protetto da filo spinato messo dall’esercito. Gli uomini, le donne e i bambini della comunità durante il presidio si collocano di fronte al filo spinato gridando e chiedendo che i soldati se ne vadano. L’esercito ha piazzato grandi altoparlanti che diffondono marce militari per tutto il tempo di durata del presidio.

La costruzione della strada è stata sospesa ma l’esercito rimane dicendo che la sua presenza serve a proteggere la comunità. Gli abitanti della comunità dicono che non hanno bisogno di questa protezione, che possono continuare a vivere come hanno fatto finora, pacificamente. Chiedono che siano rispettati gli Accordi di San Andrés, allora sì che si potrà parlare della costruzione della strada. Ritengono che costruendola ora sarebbe usata solo dai militari, non per il progresso.

Il giorno in cui arrivarono gli elicotteri hanno scoperchiato alcune loro abitazioni. Hanno abbattuto alberi per costruire un eliporto. Inquinano le acque del fiume con rifiuti. Gli abitanti denunciano l’abbattimento di una grande quantità di alberi Denunciano il fatto che i mezzi di comunicazione non riportano la verità su quanto sta succedendo.

Abbiamo cercato di intervistare i comandanti del distaccamento ma non è stata data risposta alle nostre richieste.

Gli abitanti della comunità dicono che l’esercito ha messo gli altoparlanti affinché i soldati non sentano quanto gli dicono durante le loro proteste.

Chiedono che tutto questo sia riferito alla delegata delle Nazioni Unite durante la sua visita in Messico.

 

 

12. Aguascalientes "Roberto Barrios", incontro con dieci rappresentanti della comunità

Il giorno 20 novembre, siamo stati ricevuti dai membri della comunità tzeltal di Roberto Barrios, municipio di Palenque. Alla riunione hanno partecipato il responsabile e altri nove membri della comunità. Dopo esserci presentati, abbiamo spiegato i motivi della visita della CCIODH e abbiamo presentato loro, per iscritto, quattro domande, cui hanno risposto più tardi. La prima riguardava i cambiamenti, se ce ne sono stati, nella politica del governo contro la comunità, dopo la prima visita della CCIODH, nel febbraio del ‘98. La seconda, sulle conseguenze, nella vita quotidiana, della presenza dei militari – il campo militare installato nel febbraio del 1995, confina con il territorio della comunità, a circa 300 metri dalle prime case – e dei paramilitari. La successiva riguardava l’eventuale esistenza di azioni di violenza contro la comunità e, infine, le conseguenze di questa politica del governo sui temi quali il lavoro, l’attività economica, la salute e la scolarizzazione.

La risposta dataci dai rappresentanti della comunità evidenzia che la pressione e la persecuzione militare continuano come prima:

- ogni persona che esce dalla comunità per recarsi a fare acquisti a Palenque è perquisita, interrogata, in modo sistematico, sia all’andata sia al ritorno;

- i sorvoli degli aerei sono quotidiani e, sempre, i militari a bordo filmano e scattano fotografie;

- si può osservare che nell’accampamento militare sono presenti molti edifici costruiti in pietra. Non si tratta più di un semplice posto di blocco, ma di una vera e propria caserma. Ciò costituisce una forma di pressione e una preoccupazione: "Fino a quando vi resteranno?". L’accampamento, inoltre, è situato su un appezzamento dell’ejido Arimatea, senza chiedere il permesso alla comunità. Il governo fa quello che vuole, occupa le terre degli indigeni quando c’è già scarsità di terre da ripartire e coltivare.

Aggiungono, inoltre, che i militari sporcano ed inquinano le acque del fiume dove la comunità si lava e fa il bucato, gettando, tra l’altro, grandi quantità di preservativi. Gli organismi Fray Bartolomé ed Enlace Civil di San Cristóbal hanno copia delle denunce.

I paramilitari, tra cui compaiono anche gli indigeni che accettano aiuti e denaro dal governo, spiano e controllano i volontari degli Accampamenti Civili per la Pace, ricevendo, per le informazioni che raccolgono sui membri della comunità, compensi dai militari.

Un’altra conseguenza della presenza dei soldati è la permanente inquietudine e preoccupazione tanto negli uomini, che si allontanano per recarsi a lavorare nella milpa, come nelle donne e, soprattutto, nei bambini che rimangono le 24 ore nella comunità. I bambini si sono già abituati ai sorvoli di elicotteri ed aerei, fanno parte della loro vita quotidiana e arrecano loro disturbi psichici.

Le denunce e le querele degli abitanti non ricevono neanche risposta. Il governo è sordo. I membri della comunità di Roberto Barrios riportano che la persecuzione dei militari e dei paramilitari non avviene solamente nella loro, ma in tutte le comunità e che ce ne sono altre che subiscono, più di loro, le minacce, i furti e gli assassinii. Tornando al tema dei paramilitari, affermano che questi ricevono denaro – sembra 200 pesos al mese –, hanno contatti stretti con i militari e utilizzano anche macchine fotografiche e videocamere.

La comunità non è mai tranquilla. Infine, esprimono che è doloroso parlare di tutto ciò, di questa guerra di bassa intensità.

Per quanto riguarda l’istruzione, da più di un anno i bambini non vanno più alla scuola del governo, a causa dell’atteggiamento dei maestri che disprezzano gli indigeni. Aggiungono che molti maestri sono usati dal governo per provocare scontri all’interno delle comunità e, per questo, le comunità hanno organizzato le proprie scuole autonome. Per far fronte alla resistenza degli indigeni, il governo distribuisce ai bambini che frequentano la scuola del governo e non quella autonoma, delle "borse di studio" o "derrate": offre denaro, circa 200 pesos al mese, fagioli, ecc. Al tempo stesso, esige molti documenti, atti di nascita, di matrimonio, ecc., e, se non consegnano le carte, dimostrando sottomissione al governo, non viene data la possibilità di frequentare la scuola. Alle comunità che non si sottomettono al governo, non resta altro da fare, che creare le proprie scuole, le "scuole degne", come le chiamano loro. La biblioteca, in cui avviene questa intervista, appartiene all’area scolastica. I promotori di educazione si incaricano dell’insegnamento. Secondo loro, questa soluzione è preferibile all’accettare gli aiuti del governo, che loro definiscono elemosine, con l’obiettivo di colpire e creare divisioni nelle comunità. Inoltre, nella comunità lavorano dei promotori di agroecologia, per incrementare le coltivazioni senza l’uso di pesticidi e risolvere il problema dell’alimentazione, per non doversi trovare a dipendere dal governo per ciò che mangeranno il giorno dopo. Queste iniziative di autonomia, al governo non piacciono assolutamente.

In conclusione, i rappresentanti della comunità rispondono alla domanda sul tema delle vaccinazioni mensili ed obbligatorie somministrate alle donne ed alle bambine, se anche a Roberto Barrios avviene questa pratica. Per ricevere gli aiuti del PROGRESA, come altri aiuti governativi, le donne devono presentarsi ogni mese al consultorio: "Anche se non ne siamo molto informati, perché ci vanno solo le donne priiste, sappiamo che, basta non presentarsi una sola volta per perdere il diritto agli aiuti". Affermano anche di aver sentito parlare delle vaccinazioni praticate ogni mese sulle donne e le bambine.

Questa serie di aiuti o "elemosine", avviene, soprattutto, da sei mesi a questa parte. Uno di questi aiuti, consiste nella distribuzione di soia ai bambini, che non la tollerano. Spiegano poi che: "Noi indigeni mangiamo ciò che produciamo".

Durante il viaggio verso la comunità di Roberto Barrios, abbiamo perso più di due ore ai posti di blocco militari: uno a Palenque e l’altro nel campo militare prospiciente la comunità. In entrambe le occasioni, i soldati, alla presenza dello stesso agente dell’INM, il cui cognome è Vidal, ci hanno posto le stesse domande e hanno perquisito il veicolo su cui viaggiavamo. Durante questi controlli, molti di noi hanno potuto notare che il soldato del campo militare che prendeva nota dei nostri nomi e dati, stava scrivendo su una cartelletta di metallo o di plastica, sul retro della quale era visibile il disegno di una croce uncinata della grandezza di circa dieci centimetri.

 

 

 

13. Aguascalientes Morelia, incontro con autorità del Municipio Autonomo 17 de Noviembre

Il 23 novembre 1999, una delegazione di cinque membri della CCIODH si è presentata durante il pomeriggio nell’Aguascalientes di Morelia, situato all’uscita dell’omonima comunità e a quasi mezz’ora dal paesino di Altamirano, sede del governo municipale costituzionale affiliato al PRI.

Morelia è il centro municipale del "Municipio Autonomo 17 de Noviembre"; i suoi abitanti hanno appena concluso i festeggiamenti per l’anniversario del municipio.

L’ambiente all’interno dell’Aguascalientes ferveva di attività collettive: diversi gruppi stavano svolgendo compiti di miglioramento delle installazioni. Nell’area funzionano, oltre a diversi laboratori, anche una cucina comunitaria e una scuola elementare.

L’accampamento civile per la pace è stato ricollocato in queste strutture dopo che simpatizzanti del partito di governo, il PRI, avevano saccheggiato e distrutto l’antico locale che sorgeva nel centro della comunità.

In quell’occasione, agli accampamentisti era stato intimato di abbandonare la comunità, pena l’espulsione violenta.

Dopo un breve periodo d’attesa, si sono presentate due persone, entrambe autorità del Municipio Autonomo, che hanno accettato di rispondere alle nostre domande. Una di queste era già stata intervistata da un membro di questa delegazione nell’aprile del 1998, quindi, la conversazione ha ripreso alcuni aspetti affrontati in quell’occasione. Quell’intervista si era svolta subito dopo l’incursione delle forze dell’Esercito federale nella comunità di Taniperla, centro del Municipio Autonomo Ricardo Flores Magón, e anche l’irruzione delle forze di Seguridad Pública nella comunità "10 de Abril", vicino a Morelia. In quel periodo gli abitanti di Morelia e delle comunità circostanti avevano organizzato un presidio per difendere l’accesso alla comunità. La problematica toccava la persecuzione esercitata da elementi legati al PRI all’interno della stessa comunità. La fornitura di acqua nell’Aguascalientes era stata tagliata su ordine delle autorità costituzionali. Inoltre, l’intera regione e i dintorni di Morelia erano devastati da incendi forestali di grande entità, di cui i segni sono ancora visibili oggi. Questa situazione preoccupava molto i produttori agricoli che faticosamente erano impegnati nella costruzione di barriere per arrestare l’avanzata del fuoco verso le coltivazioni di granaglie e caffè; in particolare, le colture di caffè, che sono la fonte principale di entrate, avevano sofferto danni ingenti. Durante quell’intervista l’autorità aveva analizzato il sistema selettivo delle derrate consegnate attraverso i programmi governativi, come metodo per accentuare la disparità economica e, in questo modo, provocare divisioni tra i membri della comunità. Richiamava l’attenzione anche sul fatto che la costante necessità di rimanere in stato d’allerta davanti a possibili attacchi, stava danneggiando in modo grave la capacità lavorativa dei contadini della zona.

Ora, in questa occasione, l’intervistato ha affrontato nuovamente quest’aspetto.

I due rappresentanti di Morelia hanno descritto come tesa la situazione attuale. Hanno riferito di una recente manifestazione, avvenuta il 25 ottobre, in cui gli abitanti della comunità si sono diretti al paese di Altamirano per esigere l’attuazione degli Accordi di San Andrés. Sembra che agenti di Seguridad Pública avessero sparso la voce che l’obiettivo dei manifestanti era la presa e l’occupazione del Palazzo municipale di Altamirano, amministrato dal PRI. Spiegano che i militanti del PRI di Morelia si sono concentrati all’uscita della comunità e hanno scagliato pietre in direzione del corteo, ma i manifestanti non raccolsero la provocazione. Tuttavia, il giorno seguente, 26 ottobre, cinque dei rappresentanti del Municipio Autonomo furono convocati dalle autorità costituzionali che li sottomisero ad un interrogatorio, in particolare volevano sapere il significato dello slogan scandito dai manifestanti il giorno prima: "Tomates, cebollas, Zedillo está en la olla!"(Pomodori, cipolle, Zedillo in pentola! N.d.T.). Per questo delitto, venne ordinato l’arresto dei cinque convocati. Questa situazione provocò una nuova mobilitazione degli abitanti di Morelia per chiedere la liberazione delle loro autorità. In un primo momento non ci fu alcuna possibilità di discussione tra le parti; presto, però, emersero differenze di parere sul comportamento da tenere tra gli stessi simpatizzanti del PRI, provocò che gli incaricati della custodia dei prigionieri decidessero di rilasciarli. Quando si venne a sapere, i "secondini" vennero immediatamente incarcerati al posto di quelli che avevano appena liberato. A questo punto, i sostenitori più incalliti dello scontro, si diressero a Morelia armati di pietre e di machetes, ma non trovarono reazione da parte della popolazione.

Questo incidente illustra l’animosità costante mantenuta tra i membri della comunità; tensione questa, che i rappresentanti di governo della zona non contribuiscono certo ad attenuare.

La gente di Morelia indica, come esempio, il ruolo di Juan Villafuerte, l’attuale coordinatore statale, che sta spingendo affinché la riparazione della strada tra Morelia e Altamirano sia effettuata con macchinari contrattati dal governo statale, mentre la popolazione di Morelia propone di contrattare, per la realizzazione dell’opera, un’impresa indipendente. Come in altre comunità, temono che la protezione dei macchinari serva da pretesto per un’incursione dell’Esercito federale e il suo insediamento permanente nei pressi della comunità.

È necessario fare una precisazione sui precedenti incarichi del signor Juan Villafuerte: fu deputato statale supplente del PRI per la regione di Ocosingo; nel 1998, diverse persone gli confermarono il loro appoggio ad una sua candidatura come sindaco di questa cittadina. Villafuerte, in ogni caso, ha avuto una parte da protagonista al fianco dei suoi compagni di partito, nei fatti accaduti a Taniperla nell’aprile del 1998. Undici giorni dopo l’incursione militare, che ebbe come risultato l’occupazione del centro del villaggio ad opera delle forze dell’ordine e la fuga di una parte della popolazione, diversi mezzi di comunicazione, nazionali ed internazionali, rivelarono la presenza del signor Villafuerte mentre dall’accampamento militare osservava una manifestazione di organizzazioni indipendenti in questa comunità. Nell’opinione delle autorità autonome di Morelia, il timore della presenza dell’esercito è del tutto giustificato per i costanti voli radenti effettuati sulla comunità dagli aerei militari. Riportano inoltre, che il giorno 16 novembre, mentre gli abitanti stavano realizzando i preparativi per la celebrazione del 17 novembre, anniversario della nascita dell’EZLN, un aereo ha irrorato una sostanza sconosciuta anche sulla carne che stavano tagliando a pezzi.

Per queste ragioni e perché vengano attuati gli Accordi di San Andrés, le autorità autonome e coloro che rappresentano si dichiarano in resistenza e si oppongono al passaggio dei macchinari contrattati dallo Stato. Allo stesso modo, rifiutano i programmi promossi dal governo, in particolare il PROGRESA, di cui è già stata fatta menzione in altre parti del dossier (vedi Oventic, El Nuevo Brillante, Moisés Gandhi ).

A differenza di altri luoghi dove non si conoscono a fondo gli scopi del PROGRESA, i nostri interlocutori di Morelia hanno affermato che si tratta di un programma di sterilizzazione delle donne, che viene realizzato all’interno del "Centro de Salubridad Pública". Secondo le informazioni di cui sono in possesso, l’accordo con le beneficiarie è avallato con la firma di un contratto e la consegna di una tessera per giustificare la riscossione ogni due mesi. Al riguardo indicano che tra i beneficiari del PROGRESA inizia a circolare disaccordo e pentimento per aver accettato il programma. Alcuni affermano che invece di consegnare le tessere, si pretendeva addirittura di marcare le donne con un tatuaggio: "Le vogliono marcare come bestie".

All’uscita dalla comunità, due individui con abiti civili erano appostati ai margini della strada, filmando e fotografando il veicolo sul quale viaggiavamo noi osservatori. Più in là, abbiamo potuto osservare parcheggiato un veicolo rosso targato: KBY 940. Poco dopo, questo veicolo con i due civili a bordo, ha iniziato a seguire il nostro veicolo, rendendo nervoso l’autista. Hanno accelerato in modo aggressivo sulla strada sterrata e hanno continuato a filmarci. L’inseguimento è durato fino al punto di controllo della Migración ad Altamirano, dove siamo stati fermati per il solito controllo dei nostri documenti. Durante l’intera loro permanenza in quel posto, i due civili hanno filmato e fotografato il veicolo e, fino a dove era loro possibile, il suo interno, dalla distanza approssimativa di un metro. In nessun momento hanno parlato o si sono identificati, né davanti a noi né davanti alle autorità migratorie che, da parte loro, mostravano di ignorare la loro presenza. Conclusi i tramiti migratori, abbiamo proseguito il viaggio senza altri incidenti.

 

14. Moisés Gandhi, centro del Municipio Autonomo "Ernesto Che Guevara", incontro con membri della comunità,.

23 novembre 1999.

La strada d’accesso a Moisés Gandhi, inizia dall’incrocio della strada che unisce Altamirano, Ocosingo e San Cristóbal de las Casas ed è in fianco ad un accampamento militare dove gli osservatori hanno dovuto dare le proprie generalità.

La delegazione della CCIODH è arrivata nella comunità a sera inoltrata allarmando così, involontariamente, le persone che giorno e notte sono di turno nel controllo dell’accesso alla comunità.

Una volta dissipati i dubbi riguardo all’obiettivo della visita degli osservatori, un rappresentante della comunità accettò di riceverci ed ebbe inizio la conversazione, alla presenza d’altri abitanti, nel locale che serve da alloggio agli accampamentisti, che hanno assistito anche loro all’intervista.

La comunità di Moisés Gandhi è abitata da circa 80 famiglie, può contare inoltre sulla presenza di un professore e di un promotore di salute che si occupano delle aree d’istruzione e sanità.

L’accampamento militare è stato installato dal 1995 su un terreno che appartiene alla comunità di Moisés Gandhi, situato a circa 300 metri.

Come in tutte le comunità che si sono dichiarate in resistenza, il problema principale è la presenza dell’Esercito Federale.

I costanti movimenti di truppe e i sorvoli d’elicotteri spaventano la gente, soprattutto le donne e i bambini. Il rappresentante si è anche lamentato del fatto che le manovre sono realizzate sempre più vicino e ultimamente sono stati scoperti dei soldati che si aggiravano nei campi di mais scattando foto ai dintorni della comunità.

Senza rispettare la proprietà, i soldati abbattono alberi in terreni altrui, mentre dall’altro lato proibiscono agli abitanti di fare altrettanto per procurarsi la legna.

Ma a Moisés Gandhi le restrizioni al libero transito delle persone ha l’aggravante che l’unica via d’accesso alla strada statale passa in mezzo al distaccamento militare. Quindi gli abitanti sono costretti a sottoporsi a costanti controlli che causano loro ritardi.

Il nostro interlocutore racconta che è da molto tempo che i soldati vietano il passaggio agli abitanti di Moisés Gandhi, lasciando loro la sola possibilità di farsi passare come originari di un’altra comunità, mentre coloro che sono già "conosciuti" dai militari sono obbligati a percorrere dei sentieri fino a raggiungere la strada.

Insiste sul fatto che i militari hanno lo stesso atteggiamento anche quando si tratta di trasportare un malato negando così il passaggio fino all’ospedale più vicino che è ad Altamirano. Aggiunge che su questa situazione è già stata presentata una denuncia formale, ma che fino ad ora non si è avuta alcuna risposta. A questo si aggiunge poi il problema del trasporto e commercializzazione del raccolto del caffè che costituisce la fonte principale di entrate della comunità. Essendo loro impedito di andare in città per vendere i loro prodotti, gli abitanti sono alla mercé dei coyotes, che sono dei commercianti senza scrupoli che acquistano il loro raccolto a prezzi da fame.

In questo periodo, come precisato dai presenti, un chilo di caffè è valutato cinque pesos messicani, quando l’anno scorso la stessa quantità era pagata 15 pesos. Non sanno se ciò si debba ad un crollo del prezzo sul mercato internazionale o se si tratta di una strategia del governo per strangolare i piccoli produttori.

A Moisés Gandhi, come in molte altre comunità visitate, l’opposizione all’oppressione del governo si manifesta nel rifiuto dei molteplici progetti di sviluppo offerti dal governo intesi come rappezzature per rimediare ad una vecchia politica d’emarginazione.

Rifiutano così il PROGRESA, già menzionato dagli interlocutori della CCIODH nelle comunità di Los Altos, Zona Norte, Palenque, Ocosingo, Region Selva e las Cañadas, che secondo le testimonianze ricevute è ricevuto solamente dalle comunità dove la popolazione è affiliata al PRI.

È sintomo visibile della diversità politica l’optare o meno per un programma di sviluppo e la divisione tra comunità può acquisire toni violenti come accaduto nei casi - ultimamente numerosi – di costruzione di strade. Situati in prima linea, gli abitanti di Moisés Gandhi considerano che l’ampliamento della strada previsto per il 2000 - come il previsto ampliamento dell’accampamento militare – servirà solo ad una maggiore penetrazione dell’esercito, nel cuore della selva, come nel caso della comunità di Amador Hernández (vedi il capitolo relativo contenuto in questo dossier).

Una prima incursione dei macchinari da costruzione fu bloccata dalle donne; tuttavia oltre a quelle dei militari, la comunità deve affrontare anche pressioni e minacce esercitate dagli abitanti, di affiliazione priista, che vivono più in là sul percorso previsto della nuova via.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

15. Aguascalientes "La Realidad", incontro con i desplazados di Guadalupe Tepeyac con il CCRI-Comando Generale dell’EZLN

 

15.1. Incontro con i rappresentanti della comunità di Guadalupe Tepeyac in esilio

22 novembre 1999

All’interno dell’Aguascalientes di La Realidad, i componenti della CCIODH sono stati ricevuti da un’ampia delegazione di uomini e donne della comunità desplazada di Guadalupe Tepeyac. Questa comunità, che dista circa 40 minuti di strada da La Realidad, è oggi un villaggio fantasma, dove è stata installata una grande caserma dell’esercito federale e un ospedale del governo che, apparentemente, sembra vuoto. Gli abitanti di Guadalupe Tepeyac, dal 9 febbraio 1995, si sono rifugiati a pochi chilometri da La Realidad, dove hanno costruito il loro villaggio, Nuevo Guadalupe Tepeyac. Quanto segue è la trascrizione dell’intervista.

Rappresentante di Guadalupe Tepeyac: Noi siamo gli ejidatarios di Guadalupe Tepeyac, siamo la commissione nominata dalla comunità, poiché, a causa della distanza, non abbiamo potuto venire tutti. Noi siamo stati, quindi, scelti dalla comunità per venire a parlare con voi, per darvi la nostra testimonianza di quello che ci sta succedendo e ci è accaduto. Vogliamo, ora, informarvi soprattutto su ciò che ci sta accadendo in questo periodo di guerra, di cosa questa ha provocato qui in Chiapas; quindi, per questo, vogliamo parlarvi di ciò che ci ha causato il malgoverno che ha attaccato il nostro villaggio, che ci ha fatto sgomberare dai suoi federali. Vi racconteremo di come l’esercito ha agito nei nostri confronti a Guadalupe Tepeyac, per questo siamo qui, per dirvi e dichiarare quali sono stati i motivi della nostra partenza obbligata e abbandono del nostro villaggio dove vivevamo con i figli e le nostre donne.

Delegato di Guadalupe Tepeyac: Come avete appena sentito dal compagno – voi siete venuti ad osservare e a conoscere quanto abbiamo da dirvi -, l’esercito messicano ha occupato il nostro villaggio, su ordine del Dott. Ernesto Zedillo; fu lui a mandarli ad occupare il nostro villaggio. Quanto noi pensammo fu che avremmo potuto restare, che nel presidio della Croce Rossa Internazionale ci avrebbero rispettato. Entrammo, quindi, nell’ospedale - quello stesso che, forse, voi avrete visto esiste di fronte a Guadalupe Tepeyac – e ci rifugiammo lì con tutte le nostre famiglie, pensando che avrebbero rispettato la Croce Rossa, ma non è stato così. Prima irruppero nel villaggio tutti i federali, occuparono tutti i paraggi, atterrarono con i loro elicotteri e, poi, venne a parlare con noi il generale che ci disse di non andarcene. All’inizio arrivarono senza armi, ma poi vennero armati, minacciandoci, facendo il gesto che ci avrebbero tagliato la testa e, a quel punto, noi dicemmo: se è così, se anche la Croce Rossa ha detto che se ne va, rifiutandosi di obbedire, così ha detto la Croce Rossa e così se ne è andata. Noi, pensammo che non saremmo stati bene lì, perché avremmo dovuto stare assieme ai soldati e così ci ritirammo, fuggimmo in un posto che è la montagna, fuggimmo con tutte le nostre famiglie e, durante la notte, ce ne andammo da Guadalupe Tepeyac. Ci siamo rifugiati sulla montagna, noi, i bambini, tutte le famiglie che sono qui, gli anziani, di cui alcuni li abbiamo dovuti portare in spalla. Questo è quello che è avvenuto a Guadalupe Tepeyac.

Secondo delegato di Guadalupe Tepeyac: Ciò che è successo, è che ce ne siamo andati quel 9 di febbraio, ci siamo rifugiati in montagna e, dopo avervi passato tutta una giornata, non avevamo più nulla da mangiare, avevamo con noi i bambini, gli anziani, tutta la famiglia. Pochi giorni dopo, riprendemmo il cammino e quello è stato il momento in cui abbiamo sofferto di più. Ma questa sofferenza continua, perché, tuttora, a Guadalupe Tepeyac ci sono i federali, sono venuti ad occupare e la nostra sofferenza è che non abbiamo da dove ricavare gli alimenti, con la semina, perché questa è la nostra vita. Tuttora ci sono i federali e non possiamo lavorare le nostre terre, quindi, stiamo soffrendo la povertà, non c’è modo di seminare poiché non abbiamo terreni dove farlo, non riusciamo ad ottenere denaro per la nostra alimentazione, per il sapone, il sale, i vestiti, le scarpe, tutto quello che si porta indosso.

Terzo delegato di Guadalupe Tepeyac: Questo è ciò che proviamo a causa dei soldati e del governo, poiché siamo stati costretti a fuggire solo con quanto avevamo indosso e, questo, lo abbiamo avvertito lassù in montagna. Quello che però ci fa più male è quanto abbiamo perso: tutto quanto! Non abbiamo potuto portare con noi tutta la nostra vita e tutto è andato perso. Proviamo questo perché è nostro e per questo stiamo lottando, poiché è necessario per i bisogni della famiglia e di noi stessi. Non siamo una grande quantità, ma siamo comunque cento famiglie, quindi la perdita del villaggio – e voi avete potuto osservare come è ridotto -, sapete, noi siamo di lì e quindi, per noi, per gli uomini, donne e bambini, è una grave perdita. Per la povertà estrema che ci affligge, dobbiamo dire qualcosa contro il governo, perché là è finito tutto, i nostri prodotti sono scesi di prezzo, senza contare tutto quello che è successo; noi mangiamo i frutti del nostro lavoro, che servono a sfamare tutta la famiglia, non abbiamo denaro ma lavoriamo per il sostento di ognuno di noi.

Quarto delegato di Guadalupe Tepeyac: Voi siete venuti qua in Chiapas come commissione dei diritti umani e vi parleremo di tutte le sofferenze, del tradimento da parte del governo, perché il 9 febbraio del 1995, il governo stava chiedendo un dialogo con l’EZLN e noi confidavamo che stesse davvero cercando la maniera di portare la pace qui in Messico. Noi, però, il 9 febbraio siamo stati invasi dall’esercito messicano e per mezzo suo minacciati. Tutti i loro aerei stavano volando sulle nostre case e, come ha detto prima il compagno, il generale è venuto a parlare con noi, ma lo faceva per guadagnarsi la nostra fiducia; non era vero perché il benessere che portavano loro era già nostro e l’intenzione loro era tradirci e catturarci. Un compagno che, essendo malato, non aveva potuto andarsene da casa sua, è stato catturato dall’esercito e i soldati lo hanno chiuso dentro un sacco, uno di quelli che usiamo noi per metterci il mais che mangiamo. Questo compagno, venne quindi tenuto per una notte intera nel sacco, legato e, il giorno successivo lo hanno tirato fuori, mentre noi stavamo in montagna, tenendolo prigioniero per otto giorni. Questo ha noi è dispiaciuto moltissimo, perché è uno di noi, per questa minaccia e per la paura e la rabbia che ci ha messo il governo proprio mentre diceva di star cercando un dialogo, come fa tuttora. Di quale dialogo parla, però, se qui passano ogni giorno le truppe dell’esercito. Passa anche un aereo di colore blu e giallo, forse ora non passa perché sanno che voi dovevate arrivare qua in Chiapas, questo aereo scruta la zona, i soldati si affacciano al finestrino per vedere dove siamo noi a lavorare; quindi, di quale dialogo parla, quale pace sta cercando con la gente che prima ha minacciato. Noi siamo molto sorvegliati, forse ve ne sarete accorti passando dalla caserma di Guadalupe, lì ci fermano e ci chiedono come ci chiamiamo, da dove veniamo e per noi questo è una pena quando dobbiamo recarci a faticare da altre parti e passiamo di là, a causa di quest’ingrata necessità che abbiamo. Per questo ci chiediamo quale sia la pace che vuole il governo, neanche vi immaginate quanto è ricco questo governo traditore, sostiene di volere la pace, che servono condizioni migliori di pace ma continua invece a minacciarci. Passa per di qua con i suoi blindati, con i suoi carri armati, quindi, qual è la pace che sta cercando? Noi siamo ormai minacciati come bestie qui in Messico, loro passano e a noi sembra ormai una cosa possibile che abbia luogo un assalto armato, questa è una minaccia per noi, non stanno passando solo per farsi un giro, ci stanno provocando, sperando che qualcuno di noi vi caschi per dare a noi la colpa degli spari. Siccome voi siete qui per stendere il vostro resoconto, ecco, questo è ciò che subiamo qui in Messico.

Delegata di Guadalupe Tepeyac: Siamo qui presenti, noi di Guadalupe Tepeyac, per farvi sapere cosa proviamo da quando il governo ha invaso Guadalupe Tepeyac, che tuttora è pieno zeppo di federali. Ai soldati è rimasta la terra dove lavoravano i nostri uomini e ora non abbiamo più terra, i nostri uomini non possiedono terra da coltivare, hanno solo un appezzamento in affitto che basta appena per sfamarci. Questo è quello che proviamo perché non abbiamo modo di lavorare, né le donne, né gli uomini, seguitiamo ad affittare il terreno dove si coltiva la milpa che ci alimenta appena. Proviamo tutto ciò a causa del malgoverno che ci ha costretto ad abbandonare il nostro posto. Lo proviamo perché abbiamo figli, abbiamo tutta la famiglia; stiamo anche soffrendo di molte malattie, non abbiamo medicinali e quando i nostri figli si ammalano non abbiamo cure. Questo è ciò che stiamo soffrendo.

Quinto delegato di Guadalupe Tepeyac: Noi siamo gente di Guadalupe Tepeyac e sappiamo bene che, negli altri paesi, il governo afferma di avere tutto sotto controllo qui in Messico ma, la parte del Chiapas, che è lo Stato più ricco che possiede il Messico, vediamo che è lo Stato più povero, il più abbandonato. Qui in Chiapas non ci sono scuole, non ci sono maestri per i bambini. Noi, anni fa, abbiamo potuto ricevere un po’ d’istruzione perché i nostri padri pagavano alcuni maestri affinché ci insegnassero, niente, però, da parte del governo. È da tanto tempo, dall’epoca dei nostri nonni e dei nostri padri, che si portano avanti molte lotte, perché si ottengano aumenti del prezzo del caffè e terre da poter coltivare. Siamo migliaia e migliaia di persone, qui in Chiapas, e non c’è terra; in verità, la terra c’è, ma la possiedono i grandi latifondisti, la possiede il governo. Nonostante questa lotta sia iniziata tanto tempo fa, il governo non vuole capire, non sente, non spartisce, non dà niente. Nessuno ha mai ricevuto una casa che sia dignitosa per viverci, le abbiamo solo di paglia e, come noi, la maggioranza delle comunità che vivono qui in Chiapas. Noi vediamo che i grandi ricchi, i latifondisti, possiedono una buona casa anche per il loro bestiame, ma gli indigeni non hanno case per viverci, perché siamo dimenticati, isolati, il governo ci ignora. Qui in Messico dicono ci sia democrazia ma, da più di settanta anni, c’è una dittatura, per meglio dire non c’è democrazia: uno lascia il potere che ne arriva subito un altro (del PRI, N.d.T.), anche se ci sono grandi votazioni per i partiti, non si riesce a cambiare, perché queste sono controllate dal governo. Siamo quindi arrivati a pensare che in nessun modo, per via pacifica, i grandi movimenti, le grandi organizzazioni possono farcela: per questo motivo è stata dichiarata questa lotta che è l’unica, non l’abbiamo fatto perché vogliamo, ma perché il governo ci obbliga. Pensiamo allora che solo attraverso questa lotta il governo ci possa ascoltare, perché preferiamo morire lottando che morire per questa situazione di fame, di malattia. Esistono molte malattie curabili ma, non c’è alcun dottore cui puoi chiedere di venire a curarti. La maggioranza delle persone non sa neppure cos’è una strada, cos’è un’automobile; qui viene molta gente che resta stupita quando vede un’auto perché non l’aveva mai vista in vita sua, oppure si stupisce che qui ci sia una strada o una pista, quando voi potete rendervi conto di quanto sia mal messa. Durante la stagione delle piogge, i camioncini su cui avete viaggiato non riescono a passare, perché non è una vera strada ma è, per meglio dire, una pista, un passaggio. Siccome tutto quanto si produce qui non è sufficiente, pensiamo sia preferibile morire lottando che continuare a soffrire. Purtroppo, però, non possiamo mai avere fiducia nel governo che è stato un traditore, non solo nel nostro caso, ma in tutte le elezioni sono esistite frodi e continuano a compierle e continueranno in futuro. Noi, siamo isolati peggio del bestiame, non c’è nulla che possiamo ricevere dal governo, proprio niente, ed è per questo motivo che tentiamo di fare quest’ultima lotta, siamo convinti sia l’ultima, non ce ne sarà un’altra. Per questo motivo il governo ha tentato di controllare anche il nostro villaggio perché aveva saputo che lì c’era un movimento, quindi, cominciò con il porvi un grande ospedale, disse poi che avrebbe costruito alcune scuole, tentò di edificare delle case. La gente che però non è concorde, non rappresenta la maggioranza del Chiapas, siamo la minoranza. La maggioranza, i milioni di persone che vivono qui in Chiapas, tutta la parte più grossa, vive nella povertà più estrema. Noi qui avremmo potuto prosperare meglio che in una grande città, ma non era questo l’obiettivo. Perciò il governo non voleva più saperne di Guadalupe Tepeyac, perché noi denunciavamo sempre tutto il male che stava avvenendo come, ad esempio, il prezzo del caffè, che ci veniva pagato un peso il chilo, circa cento pesos il collo di sessanta chili, il "bulto" come lo chiamiamo noi. Quindi si era costretti, da molti villaggi, a portarlo fino a Margaritas, caricato su bestie che spesso morivano strada facendo, riuscendo poi a vendere il prodotto ad un prezzo irrisorio. A quel punto dicemmo: non possiamo più sopportarlo. A causa di tutto questo, secondo noi, non esiste un governo, non lo conosciamo né lui ci conosce, lo disconosciamo perché è un governo traditore, un governo che non è per tutta la nazione ma soltanto per quel poco di gente che lui favorisce, solo a chi gli conviene, ma, la maggior parte della gente che vive qui in Messico si trova a vivere nella nostra stessa situazione di povertà. Per questo denunciamo ancora che tutto quanto esisteva a Guadalupe Tepeyac, tutto il nostro lavoro, è stato occupato dall’esercito. Noi abbiamo anteposto la nostra vita, le nostre cose se le sono tenute i soldati. Noi ora siamo un piccolo villaggio di un ettaro e mezzo, dove abbiamo sì le case, ma non la terra da lavorare. I compagni di qui, che sono più vicini, ci hanno dato in affitto alcuni ettari per produrre almeno di che sfamare la famiglia, ma per tutto il resto possiamo dire che non abbiamo nulla. Qui siamo in resistenza, stiamo stringendo i denti perché pensiamo che la nostra lotta è giusta.

Seconda delegata di Guadalupe Tepeyac: Quanto hanno detto i compagni riguardo alle sofferenze che patiamo con i nostri figli, è la verità, perché l’esercito è entrato a Guadalupe e noi abbiamo dovuto camminare giorno e notte con i nostri figli, soffrendo la fame, perché il malgoverno ci ha esiliato da lì. Stiamo tuttora soffrendo perché non c’è cibo sufficiente da mangiare e da vendere.

Terza delegata di Guadalupe Tepeyac: Anche noi siamo di Guadalupe Tepeyac, stiamo soffrendo e lottando insieme ai nostri figli, cercando di procurare loro qualcosa da mangiare, perché per i bambini è una vera sofferenza. Non c’è modo di coltivare a sufficienza la milpa, stiamo tribolando molto. Non abbiamo modo di lavorare per ricavare un po’ di cibo per i bambini, l’alimentazione per i più piccoli, stiamo ancora soffrendo.

Sesto delegato di Guadalupe Tepeyac: Quanto abbiamo sentito dai compagni riguarda la lotta che portiamo avanti dall’anno 1994, quando si è dichiarato guerra al presidente della Repubblica, perché eravamo stanchi di tutto quello che ci aveva fatto. È stata dichiarata una guerra per le molte necessità, per la mancanza di alimentazione, di abitazione dignitosa e di tutto ciò che è necessario alla nostra vita. Non eravamo presi in considerazione, per il presidente della Repubblica gli indigeni non esistevano e quando ha visto che ci siamo ribellati con la lotta armata, allora, a quel punto, si è accorto della nostra esistenza. A quel tempo era presidente Carlos Salinas, si tentò di dialogare pensando che avrebbe messo in atto le richieste dell’EZLN. Poco dopo l’arrivo di Ernesto Zedillo alla presidenza, è avvenuta l’invasione dell’esercito ed ora il nostro villaggio è stato preso dalle forze armate dell’Esercito Messicano. Guadalupe Tepeyac è stato occupato il 9 di febbraio e hanno saccheggiato tutti i nostri beni, si sono appropriati delle nostre cose e, fino ad oggi, non abbiamo potuto tornare perché sappiamo molto bene che, se torniamo a lavorare le nostre terre, i soldati ci catturano e possono ammazzarci o torturarci, e noi questo non lo vogliamo. Siamo stanchi che loro occupino le nostre terre. Abbiamo dichiarato guerra perché è necessario per tutti i messicani, anche adesso stiamo lottando per tutti i messicani e non solo per noi stessi. Probabilmente vi sarete già accorti della nostra lotta, del perché stiamo lottando: è necessario farlo. Ora, che iniziano le elezioni, i priisti stanno regalando lastre di laminato e duecento pesos circa, stanno comprando la gente perché voti per il loro partito, perché vinca con questa frode che stanno già facendo e che conosciamo da tempo, da quando vivevamo a Guadalupe. Arrivava una signora mandata dal presidente della Repubblica per voler controllare Guadalupe Tepeyac, regalandoci delle casette che sono ancora lì ferme, noi non abbiamo voluto accettarle e il suo tentativo non andò in porto. Venne anche il presidente della Repubblica ad inaugurare l’ospedale, noi non eravamo d’accordo e gli dicemmo chiaro che non andava bene e ci venne risposto che l’ospedale era per noi, ma noi sapevamo già che era invece per l’esercito, l’avevamo già capito. Noi non lo volevamo, eravamo già arrabbiati e agitati perché non mantenevano le loro promesse, perché non ci tenevano in considerazione. Avevamo già discusso, realizzato mobilitazioni a Tuxtla, a San Cristóbal, Comitán e Margaritas, per notti intere soffrendo davanti ai palazzi municipali, non ci hanno dato retta, ci abbiamo provato, ma non c’è stata altra soluzione che quella di prendere le armi. Perché abbiamo dichiarato guerra? Perché era necessario, perché non ci prendono in considerazione e non si accorgono che noi esistiamo. Ora stanno comprando la gente, poiché molti dei compagni che vivono qui sono priisti e in molti villaggi si vede che stanno ricevendo cose se firmano e votano per loro; poi, in realtà non danno loro niente, regalano qualcosa solo durante le votazioni e questo è un problema che sta accadendo adesso. Non è facile, però, esistono quelli che si lasciano ancora ingannare, ma, per noi, non è più tempo di farsi ingannare, lo sappiamo già e per questo stiamo resistendo, perché la nostra lotta vada avanti, continuerà a crescere e lo sta già facendo in molti paesi. Questa lotta è già diffusa, bisogna continuare a lottare fin dove si potrà arrivare, a morire o a vivere, forse i nostri figli, forse noi. Se noi non riusciamo, i nostri figli che vengono dopo di noi, se Dio lo permette, lo vedranno. Stiamo lottando per questo. Viviamo molto male, siamo già adirati, tutti, non solo noi, con questa rabbia che ci stanno provocando non prendendo in considerazione la nostra situazione. Un aumento del prezzo del caffè non è nell’aria, oltre il fatto che è in atto il conflitto. Sappiamo bene che ci sono degli scontri politici tra Zedillo e l’esercito zapatista, non crediamo più al governo. Per questo stiamo denunciando che siamo arrabbiati. Fino a quando sarà necessario, noi continueremo a esprimerci, solo se ci ammazzano smetteremo di parlare, finché siamo vivi continueremo a parlare.

Settimo delegato di Guadalupe Tepeyac: Il governo della Repubblica sta introducendo strade nelle comunità e, quanto vogliamo dirvi, signori, è che ci vogliono catturare come pecore. Stanno costruendo le loro strade da entrambi i lati, accerchiandoci. Oggi che siete qui, non sono passate le pattuglie di federali, ma appena ve ne andrete, torneranno.

Ottavo delegato di Guadalupe Tepeyac: Siete venuti qua a stendere il vostro dossier e volete sapere cosa è successo a Guadalupe Tepeyac. Ci siamo ritirati, il 9 febbraio 1995, a causa dell’esercito mandato dal malgoverno. Quando abbiamo visto che l’esercito stava atterrando con i suoi elicotteri, siamo entrati nell’ospedale per proteggerci un po’; noi, i nostri figli e le nostre donne, non avevamo modo di difenderci in quel momento. La lotta è stata condotta perché non possediamo terra sufficiente da coltivare, i nostri figli hanno bisogno di avere ove lavorare. Non abbiamo una casa dignitosa, non possediamo un’istruzione adeguata per i nostri bambini, noi abbiamo appreso alcune cose e ci siamo sforzati, ma non abbiamo un buon livello di istruzione, a causa di tutte le carenze che abbiamo sofferto. A questo serve la lotta che stiamo portando avanti, ma non per questo il governo capisce, pensa di poter continuare a tradire; gli stiamo chiedendo con forza che realizzi quanto è necessario, ma non è quello che pensa di fare. Voi dei diritti umani, pensate che si possa risolvere questo conflitto quando, con queste strade, il governo sta tradendo la gente povera, la gente emarginata? È una vergogna! È ora impegnato in questa strategia di aprire strade perché la gente pensi che il governo si sta preoccupando, ma, in realtà, si sta preoccupando solo che ci siano strade per introdurre il suo esercito. Guardate quanti accampamenti militari ci sono, uno qui all’incrocio e poi a Rio Corozal, Santo Tomas, Guadalupe Tepeyac ed Euseba.

Nono delegato di Guadalupe Tepeyac: Vorrei solo dire a voi dei diritti umani della Commissione Internazionale di tenere conto che, ad esempio, qui, sulla sponda del fiume, dove sono ammassati i soldati, questi hanno costruito le loro latrine. Inquinano l’acqua e sono tante le comunità che si approvvigionano di quest’acqua. Lì, i militari, gettano i cartoni, le lattine, tutta la spazzatura. Siccome quasi la maggioranza delle comunità non possiede acqua potabile ma la traggono dal fiume, denunciamo l’inquinamento che stanno attuando i soldati. Non è vero che, come dicono, sono qui per proteggerci, stanno inquinando tutte le acque. A parte questo, ci siamo resi conto che, durante tutto il tempo della loro presenza, stanno cercando di catturare delle persone, ad esempio la gente di Taniperla, che ora è nel carcere di Cerro Hueco, oppure quella di Aguatinta, che è incarcerata da due anni. Noi vediamo, quindi, che, ogni volta di più, non possiamo avere fiducia nella parola del governo, perché, di per sé, non la mantiene, perché vediamo che le cose, invece di migliorare, peggiorano sempre più. Invece di fare qualcosa di buono, stanno contaminando tutto ciò che esiste nella selva. Dicono che la Selva Lacandona - e lo annunciano a livello internazionale – è un luogo che non si può toccare, ma ne hanno fatto un’immensa caserma dove mantengono tantissimi soldati: ad un campesino non è permesso di distruggerne venti ettari per il trasferimento di molte famiglie, ma per fare caserme il permesso c’è. Per questo a noi dà dolore che la maggioranza delle famiglie sia costretta a spaccare le pietre per fare la semina, anzi, i soldati hanno intenzione di prendersi tutti i terreni migliori, quelli più produttivi.

Rappresentante di Guadalupe Tepeyac: Vorremmo dirvi qualcos’altro su questa lotta che conduciamo da prima del 1994; la nostra lotta è affinché tutti noi in Chiapas si possa avere diritti come messicani, che si possa tutti partecipare in quanto messicani ma, il governo, non ha avuto quest’ottica di concederci questi diritti come messicani anche se viviamo in questo paese. Anzi, pensava di viverci solo lui e i suoi amici imprenditori, multimiliardari, solamente su di loro volge il suo sguardo e noi, i poveri, non arriviamo mai ad essere riconosciuti da parte di un governo, di un presidente della Repubblica. Mai ci viene chiesto se vogliamo sia lui il presidente, mai ci ha detto che attuerà le nostre richieste, che ci prenderà in considerazione, mai. Noi ci siamo resi conto che esiste un governo, un presidente che dice solo: "Tutti i messicani mi appoggiano perché sia io il presidente", ma lo dice solo dal suo ufficio, lo dice negli altri paesi, lo dice nei mezzi di comunicazione, alla radio. Dice: "Io vi regalerò duecentocinquanta pesos e un po’ di riso, un po’ di fagioli, se andrete a votare e userete i vostri certificati elettorali, allora mi occuperò di voi, affinché sia mia l’elezione per presidente della Repubblica", questo è ciò che sta manovrando. Sta conducendo una tattica in modo da poter dire alla gente: "Guardate, tutti i messicani hanno votato perché sia io il presidente della Repubblica". Questo per noi si tratta di una menzogna, questa dei candidati, stanno usandola perché il popolo del Messico e di altri paesi, creda sia vero quanto sta dicendo, ma non lo è: è una menzogna. Noi ce ne siamo accorti e, anche nelle località vicine, hanno tentato di ingannare i compagni campesinos, sono stati loro a dirci che il governo ha degli assessori nell’ospedale di Guadalupe Tepeyac che, ogni quindici giorni, gli chiedono di recarvisi per ricevere consigli su come votare per il governo. Lì, in quest’ospedale, c’è anche un assessore che consiglia la gente, quella che si lascia ingannare, a sottoporsi all’operazione delle donne, e se queste si rifiutano, per convincerle ad operarsi dicono loro che gli regaleranno denaro e altre cosette. Tutto questo sta succedendo a Guadalupe Tepeyac, dove, sempre nello stesso ospedale, ci sono le prostitute, questo, più che essere un ospedale che aiuta davvero la gente, è un luogo di prostituzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

15.2. Intervento del Subcomandante Marcos, accompagnato dal Comandante Tacho, alla presenza della CCIODH

La Realidad, Chiapas, Messico

Novembre 1999.

Vi ringrazio di essere venuti e di aver aspettato tanto questa intervista. Visto che siete in Chiapas in qualità di osservatori, i compagni del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno mi hanno chiesto di dirigervi alcune parole. All’inizio, avevamo preparato una lettera - e, come sapete, noi abbiamo una certa ossessione per il genere epistolare- però, visto che siete riusciti ad arrivare fin qui, preferiamo fare una specie di chiacchierata. Nei prossimi giorni voi ascolterete una serie di testimonianze da parte delle comunità indigene sulla militarizzazione, sulle violazioni ai diritti umani e su altri temi relativi alla guerra che infuria da queste parti. Probabilmente, dovrete sorbirvi il signor Rabasa, il signor Diódoro Carrasco e, se proprio avrete sfortuna, perfino Albores Guillén. Le mie più sentite condoglianze per queste disgrazie ma, che ci volete fare, bisogna ascoltare tutti. Pazienza.

La nostra chiacchierata si chiama, "Chiapas, La Guerra". Potete filmare, potete registrare, fare foto o quello che credete.

Chiapas: La Guerra

Tra il satellite e il microscopio. Lo sguardo dell’altro

20 novembre 1999

Seguono alcune note sulla chiacchierata tra la nostra delegazione del Comitato Clandestino Indigeno - Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e un gruppo di osservatori della Commissione Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani. In un primo tempo, prevedendo che non fosse possibile un incontro personale, questa chiacchierata era stata pensata come una lettera. Sarà quindi letta come una lettera, a voce alta e direttamente al destinatario o, per meglio dire, a uno dei destinatari, perché è indirizzata alla società civile internazionale. Ho scelto la data dell’anniversario della Rivoluzione Messicana in parte perché sono un po’ discolo, ma soprattutto per riprendere due immagini di questo secolo: una è il volto di Emiliano Zapata, l’altra è una bimba indigena con la faccia parzialmente nascosta dal paliacate rosso. Più oltre tornerò su queste due immagini.

Ho in mano un calendario stampato in Spagna. Nel mese di novembre, il calendario mostra precisamente queste due immagini: quella di Zapata e quella della bimba. Anche se il governo messicano fa di tutto per negare l’evidenza, noi crediamo che non si tratti tanto di dimostrare che in queste terre indie del sudest messicano vi sia una guerra, ma di capire il perché non sia finita.

Infatti, questa guerra, che è cominciata il primo gennaio del 1994, poteva finire quattro anni fa, quando si firmarono gli Accordi di San Andrés e il dialogo sembrava incamminarsi verso la pace.

Perché la guerra continua se poteva finire in modo degno ed esemplare? Per ragioni che si possono spiegare. Ecco quindi alcune riflessioni per cercare di rispondere a questa domanda.

Perché al guerra in Chiapas?

Vi chiedo pazienza e comprensione. Dato che in questo momento non ho il problema del numero limitato di cartelle, né devo affrontare le spese di carta e inchiostro, mi potrò dilungare in questioni che, in altro contesto, sarebbero di competenza di Don Durito della Lacandona e del Vecchio Antonio.

Ecco quindi alcune tesi generali, sviluppate in un’esposizione orale. Noi abbiamo molto rispetto per voi e per il vostro lavoro. Vi prendiamo sul serio e pensiamo che il lavoro che fate sia un lavoro serio. Abbiamo quindi cercato di fare un’analisi seria di quello che succede qui nel Chiapas, un’analisi che vi possa dare degli elementi per capire le ragioni dei soprusi, delle violazioni ai diritti umani e dei crimini che colpiscono le comunità.

Il primo punto che tratteremo è quello delle guerre mondiali. Secondo la nostra concezione, sia che si tratti della Prima Guerra Mondiale, della Seconda o di quelle che noi chiamiamo la Terza e la Quarta, esistono alcune costanti.

Una di queste è la conquista di territori e la loro successiva riorganizzazione. Se guardate un atlante, vi renderete conto che alla fine di qualsiasi guerra mondiale, vi sono dei cambiamenti e non solo nella conquista di territori, ma anche nelle loro forme di organizzazione.

Ad esempio: dopo la Prima Guerra Mondiale, si produce un nuovo mappamondo, dopo la Seconda Guerra Mondiale si produce un nuovo mappamondo e la stessa cosa succede anche dopo quella che noi chiamiamo "Terza Guerra Mondiale" e che voi chiamate Guerra Fredda,

Noi riteniamo che al termine della Terza Guerra Mondiale ci sia stata una conquista di territori ed una loro successiva riorganizzazione. A grandi linee, è possibile situare questo momento verso la fine degli anni ottanta con la caduta del blocco socialista della URSS, mentre, all’inizio degli anni novanta, si possono già notare i segni di quella che noi chiamiamo la "Quarta Guerra Mondiale".

Un’altra costante è l’amministrazione delle conquiste. Nella misura in cui si conquistano territori, è necessario amministrarli in maniera tale che apportino un profitto alle forze vincenti. Noi usiamo il termine "conquista" perché siamo esperti in questo campo. Gli stati che prima si chiamavano nazionali hanno sempre cercato di conquistare i popoli indigeni.

Malgrado la presenza di costanti, vi sono anche delle variabili che cambiano da una guerra all’altra, il che risulta particolarmente importante per capire come funziona quella attuale. Una prima variabile è la strategia - più avanti spiegherò in cosa consiste- poi vi sono i protagonisti - ovvero le parti in conflitto- le armi che si utilizzano e, infine, le tattiche che si impiegano. Noi chiamiamo "Terza Guerra Mondiale" quella che voi conoscete come Guerra Fredda. Va dal 1946 - o, se preferite, dalla bomba di Hiroshima del 1945- fino al 1985-1990.

Noi riteniamo che in tale periodo vi sia stata una grande guerra mondiale composta da una molteplicità di guerre locali. Come sempre, alla fine vi è stata una conquista di territori con la distruzione del nemico e, subito dopo, l’amministrazione della conquista e la riorganizzazione dei territori.

In tale guerra mondiale partecipavano: 1) le due superpotenze, USA e URSS, con i relativi satelliti; 2) La maggioranza dei paesi da dove voi provenite e, 3) l’America Latina, l’Africa, parti dell’Asia e dell’Oceania.

I paesi periferici giravano intorno agli USA oppure alla URSS, a seconda delle convenienze. Dopo le superpotenze e i paesi periferici, venivano gli spettatori e le vittime, cioè il resto del mondo.

Non sempre le due superpotenze si combattevano frontalmente. Spesso lo facevano attraverso terzi paesi. Mentre le grandi nazioni industrializzate si univano a uno dei due blocchi, tutti gli altri paesi e popolazioni apparivano come spettatori o come vittime.

Ciò che denotava questa guerra era: 1) la corsa agli armamenti e 2) le guerre locali. Inoltre, attraverso la guerra nucleare, le due superpotenze si disputavano l’onore di vedere quante volte erano in grado di distruggere il mondo.

Si faceva pressione sul nemico con una grande forza militare, quindi ovunque si sviluppavano guerre locali dietro le quali vi erano le superpotenze.

Come tutti sappiamo, il risultato della Terza Guerra Mondiale fu la sconfitta e la distruzione dell’URSS e la vittoria degli USA, con i quali si schierano oggi quasi tutti i paesi. A questo punto sopraggiunge quella che noi chiamiamo la "Quarta Guerra Mondiale".

Qui sorge un problema. Il prodotto della guerra precedente doveva essere un mondo unipolare - una sola nazione che domina un mondo dove non ci sono rivali- tuttavia, per essere una realtà, questo mondo unipolare deve arrivare a ciò che si conosce come "globalizzazione".

Per capire questo concetto, dobbiamo concepire il mondo come un solo territorio conquistato con un nemico distrutto. Poiché è necessario amministrare questo nuovo mondo, bisogna globalizzarlo.

Per farlo è necessario ricorrere all’informatica che, nella storia dell’umanità, è tanto importante quanto lo è stata l’invenzione della macchina a vapore. L’informatica permette di stare simultaneamente in qualsiasi parte; non vi sono più frontiere, né limiti temporali o geografici.

É grazie all’informatica che comincia il processo della globalizzazione. Si sfumano le separazioni, le differenze, gli stati nazionali e il mondo si converte in ciò che si è cominciato a chiamare "villaggio globale". Il mondo intero viene convertito in un villaggio con molte casette.

La concezione su cui si basa la globalizzazione è ciò che noi chiamiamo "neoliberismo", ovvero una specie di nuova religione che crea le condizioni per la realizzazione di questo processo.

Noi riteniamo che anche nella Quarta Guerra Mondiale si conquistino territori, si distruggano nemici e si amministri la conquista di questi territori. Il problema è quali territori si conquistano e si riorganizzano e chi sia adesso il nemico. Siccome il nemico di prima non c’è più, noi diciamo che adesso il nemico è l’umanità.

La Quarta Guerra Mondiale sta distruggendo l’umanità nella misura in cui la globalizzazione significa universalizzazione del mercato; tutto ciò di umano che si oppone alla logica del mercato è un nemico e, in quanto tale, deve essere distrutto. In questo senso il nemico da vincere diventa ognuno di noi: indigeni, non indigeni, osservatori dei diritti umani, maestri, intellettuali, artisti. Chiunque che si creda libero e non lo è.

Questa Quarta Guerra Mondiale impiega ciò che noi chiamiamo "distruzione". Vengono distrutti dei territori e vengono spopolati. In effetti, quando si fa la guerra, bisogna distruggere un territorio e convertirlo in un deserto. Non per il gusto di farlo, ma per poi ricostruire e riordinare.

Qual è il principale problema che affronta il mondo unipolare per globalizzarsi? Gli stati nazionali, le resistenze, le culture, le relazione interne di ogni nazione, ciò che le rende differenti. Come è possibile che il villaggio sia globale e che tutto il mondo sia identico se sussistono tante differenze?

Chiarisco che quando noi diciamo che è necessario distruggere gli stati nazionali e diversificarli, non intendiamo che bisogna eliminare le persone in carne ed ossa, bensì i modi di essere delle persone.

Perché, infatti, dopo aver distrutto, bisogna ricostruire. Ricostruire i territori e disporli in altro modo. Non come sono adesso, ma secondo i dettami delle leggi di mercato. Ecco ciò che esige la globalizzazione.

Sì lo so che è difficile vedere i nessi con la questione del Chiapas che dovrebbe essere il tema della nostra chiacchierata. Non abbiate paura, prima o poi ci arriviamo.

Se, come dicevamo, il primo ostacolo sono gli stati nazionali, bisogna attaccarli e distruggerli. Ovvero, bisogna distruggere tutto ciò che fa che uno stato sia "nazionale": la lingua, la cultura, l’economia, il progetto politico e il tessuto sociale.

Se le lingue nazionali non sono più utili, bisogna distruggerle e bisogna promuovere una nuova lingua.

Al contrario di ciò che molti pensano, questa nuova lingua non è l’inglese, bensì l’informatica. Bisogna omologare tutte le lingue, tradurle al linguaggio informatico, anche l’inglese. Tutti gli aspetti culturali che fanno che un francese sia francese, un italiano sia italiano, un danese sia danese, un messicano sia messicano, devono essere distrutti perché sono delle barriere che impediscono di accedere al mercato globalizzato.

Non si tratta più di fare un mercato per i francesi ed uno per gli inglesi o per gli italiani. Deve esistere un mercato unico dove la stessa persona può consumare lo stesso prodotto in qualsiasi parte del mondo. E questo non più in quanto cittadino di uno stato nazionale, ma in quanto cittadino "globale".

Ciò significa che la storia culturale e la storia della tradizione si scontrano con questo processo e sono il nemico da sconfiggere nella Quarta Guerra Mondiale.

Ciò risulta particolarmente grave in Europa dove esistono nazioni con grandi tradizioni. Le logiche culturali francesi, inglesi, tedesche, dello stato spagnolo, ecc. - tutto ciò che non si può tradurre in termini informatici e di mercato- sono un ostacolo per la globalizzazione.

Adesso che le merci circolano per i canali dell’informatica, tutto il resto deve essere distrutto o fatto da parte.

Gli stati nazionali avevano una loro struttura economica e ciò che si chiamò "borghesia nazionale", ovvero capitalisti con sedi nazionali e profitti nazionali. Questo non ha più ragione di esistere: se l’economia si decide a livello globale, le politiche economiche degli stati nazionali che volevano proteggere i capitali nazionali sono un nemico che bisogna sconfiggere. Voi conoscete il caso del Nafta qui da noi e quello dell’Euro che ha prodotto l’Unione Europea.

Quindi l’economia arriva a globalizzarsi, anche se, all’inizio, si tratta di una globalizzazione regionale, come nel caso dell’Europa. Gli stati nazionali costruiscono i propri rapporti politici; il fatto è che adesso i rapporti politici non servono più. Non sto dicendo che siano buoni o cattivi, il problema è che questi rapporti politici sono un ostacolo per il compimento delle leggi di mercato.

La classe politica nazionale è vecchia, non serve più, deve essere cambiata. Cercate di ricordare il nome di un uomo di stato importante in Europa. Se non ci riuscite è perché oggi i personaggi importanti dell’Europa dell’Euro non si mettono in mostra, sono gente come, ad esempio, il presidente della BundesBank. Ciò che lui dice è legge per quei nani politici - noi li chiamiamo così- che sono i diversi presidenti o primi ministri che patiscono tutti i paesi d’Europa.

Se il tessuto sociale si rompe, si rompono anche i vecchi rapporti di solidarietà che rendevano possibile la convivenza in uno stato nazionale. Ecco perché si incoraggiano le campagne contro gli omosessuali e le lesbiche o contro gli emigranti, così come le campagne di xenofobia e non vi dico altro perché in questo momento voi stessi siete vittima di una tale campagna da parte del governo messicano.

Tutto ciò che prima manteneva un certo equilibrio si rompe nel momento in cui questa guerra mondiale attacca lo stato nazionale e lo trasforma in qualcosa d’altro.

Qui, come dicevamo, è dove cominciano i problemi ed è per questo che stiamo parlando di una guerra. Si tratta di omogeneizzare, di far diventare tutti uguali e di rendere egemone una proposta di vita.

Questa è la vita globale. Il suo maggiore divertimento deve essere l’informatica, il suo lavoro deve essere l’informatica, il valore degli esseri umani si deve misurare in carte di credito, capacità di acquisto, capacità produttiva.

Prendiamo il caso degli insegnanti. Adesso, non è più importante essere preparati; l’unica cosa che conta per accedere a un salario decente e a condizioni di lavoro accettabili all’interno dell’università è il numero di ricerche, non importa se buone o cattive, che si è in grado di produrre.

Tutto ciò ha molto a che vedere con il modello nordamericano, però succede che questa Quarta Guerra Mondiale produce l’effetto contrario. É ciò che noi chiamiamo "frammentazione". Cosa vuol dire? Vuol dire che, paradossalmente, il mondo non si sta affatto unificando, ma, al contrario, si sta spezzettando ogni giorno di più. Per quanto possa sembrare che tutto stia diventando identico, sempre più emergono i differenti in quanto differenti: gli omosessuali, le lesbiche, i giovani, gli emigranti.

Se da una parte gli stati nazionali funzionano sempre più come un solo grande stato, allo stesso tempo, lo "stato-terra società per azioni" ci divide in tanti piccoli pezzi. Se osservate un mappamondo del periodo in questione - la fine della Terza Guerra Mondiale- e analizzate gli ultimi otto anni, noterete come vi sia stata una ricomposizione, soprattutto in Europa, ma non solo. Dove prima vi era una nazione, adesso vi sono molte nazioni. Il mappamondo si è frammentato.

Ed è proprio questo l’effetto paradossale di questa Quarta Guerra Mondiale. Invece di globalizzarsi, il mondo si spezzetta e invece che questo meccanismo egemonizzi e omogeneizzi, ovvero che faccia diventare tutti uguali, appaiono sempre più i differenti.

La globalizzazione e il neoliberismo stanno convertendo il mondo in un arcipelago. E bisogna dargli una logica di mercato, organizzare questi frammenti in un comune denominatore. É ciò che noi chiamiamo "bomba finanziaria".

Nella stessa misura in cui appaiono i differenti si moltiplicano le differenze. Ogni giovane sta in un gruppo e possiede una particolare forma di pensare. Vi sono i punk, gli skinheads e tutto il resto. Però adesso i differenti non solo sono differenti, ma sottolineano le loro differenze cercando un’identità propria.

Evidentemente la Quarta Guerra Mondiale non offre uno specchio che permetta loro di vedersi in un comune denominatore. Ciò che offre è, piuttosto, uno specchio rotto dove ognuno sceglie il pezzo che gli corrisponde e con esso una linea di condotta. Fino a quando possiede il controllo sull’insieme dell’arcipelago - sugli esseri umani, non sui territori- il potere non si preoccupa molto.

Tutto ciò, dicevamo, ha a che vedere con la bomba finanziaria. Abbiamo visto che il mondo si suddivide in tanti pezzi piccoli e grandi. Non vi sono più continenti nel senso che io posso essere europeo, africano o americano.

Ciò che offre la globalizzazione del neoliberismo è una rete, una rete costruita per il capitale finanziario o potere finanziario, se si preferisce. Se vi è una crisi in questo nodo, il resto della rete ne ammortizza gli effetti. Però se vi è prosperità, non si produce l’effetto negli altri paesi. Questa rete non funziona. Ci hanno raccontato una menzogna, una grandissima menzogna. Ecco uno dei discorsi cari ai leader dell’America Latina, i Menem, i Fujimori, i Zedillo ed altri di altrettanto provate qualità morali. In realtà è successo che la rete ha reso molto più vulnerabili gli stati nazionali. Inoltre li sta assassinando anche con armi interne.

Ormai, non serve più che un paese cerchi di costruirsi un equilibrio e un destino proprio in quanto nazione. Tutto dipende da quello che succede in una banca del Giappone oppure da quello che fa la mafia russa o uno speculatore a Sydney...

In ogni modo, gli stati nazionali non si salvano, ma sono definitivamente condannati. Quando uno stato-nazione accetta di integrarsi a questa rete - perché non ci sono alternative, perché è obbligato o per convinzione- firma il proprio atto di morte.

Insomma, ciò che vuole questo grande mercato è convertire tutte le isole dell’arcipelago non in nazioni, ma in grandi centri commerciali. Oggi, si può andare in un paese lontano e trovare gli stessi prodotti che a casa propria; la differenza è sparita. A Parigi o a San Cristóbal de Las Casas si può consumare la stessa cosa e, di fatto, se uno sta a San Cristóbal de Las Casas può stare simultaneamente a Parigi, ricevendo notizie.

Questa è la fine degli stati nazionali. E non solo: è la fine degli esseri umani che li formano. Ciò che importa è la legge di mercato e la legge di mercato dice che tu vali ciò che produci, che vali ciò che compri. La dignità, la resistenza, la solidarietà disturbano. Tutto ciò che impedisce che un essere umano si converta in una macchina per produrre e per comprare è un nemico e bisogna distruggerlo. É perciò che noi diciamo che questa Quarta Guerra Mondiale ha come nemico il genere umano. Non lo distrugge fisicamente, pero lo distrugge in quanto essere umano.

In maniera altrettanto paradossale, quando si distruggono gli stati nazionali, la dignità, la resistenza e la solidarietà si costruiscono di nuovo. Non esistono lacci così forti, così solidi, come quelli che esistono tra i gruppi di differenti: tra gli omosessuali, le lesbiche, i giovani, gli emigranti.

Dicevamo che questa guerra passa anche attraverso l’attacco ai differenti. É a ciò che si devono le dure campagne in Europa e negli USA contro i differenti perché sono scuri, perché parlano un’altra lingua o perché possiedono un’altra cultura.

La forma di coltivare la xenofobia nei resti degli stati nazionali è introdurre maniere di pensare del tipo: "questi dannati emigranti turchi ti vogliono togliere il lavoro", "questi emigranti messicani vengono a rubare, a violentare, a portare cattive abitudini.

Gli stati nazionali - o ciò che di essi rimane- delegano ai nuovi cittadini del mondo, gli informatici, la funzione di espellere questi emigranti. Ed è così che si moltiplicano gruppi del tipo Ku Klux Klan o arrivano al potere persone di provata onestà come Berlusconi - si chiama così? ...D’Alema è la stessa cosa, no? ...

Tutti costoro costruiscono la loro popolarità a partire dalla xenofobia. L’odio e la persecuzione contro i differenti è mondiale, così come lo è anche la resistenza dei differenti. Di fronte all’aggressione, le differenze si moltiplicano e si rinforzano. Questa è la realtà. Non voglio dire che sia bene o male; è semplicemente ciò che succede.

Abbiamo sviluppato il prima tema a grandi linee. Questa è la base del nostro discorso perché il nostro obiettivo è rispondere al perché vi sia una guerra in Chiapas. In questo momento siamo ancora a livello del satellite. Adesso cercheremo di mettere a fuoco la dimensione della guerra militare. Infatti, la guerra non è solo militare. Vediamo.

Esisteva una logica della Terza Guerra Mondiale in termini propriamente militari. Era, in primo luogo, una guerra convenzionale, concepita in modo che se io colloco dei soldati e tu anche, combattiamo, e vince chi resta vivo. Ciò avveniva in un territorio specifico che, nel caso delle forze della NATO e del Patto di Varsavia, era l’Europa. A partire dalla guerra convenzionale, ovvero tra eserciti, iniziò l’escalation militare e degli armamenti.

Vediamo la cosa più ad vicino. Questa (fa vedere un fucile, ndt) è un’arma semiautomatica e si chiama AR-15, (Automatic Rifle 15, Fucile Automatico 15). L’hanno costruita in occasione della guerra del Vietnam e si può smontare molto facilmente ...ecco (la smonta, ndt). Quando l’hanno progettata, i nordamericani avevano in mente uno scenario di guerra convenzionale, il che significa lo scontro di grandi contingenti militari. "Mettiamo insieme molti soldati, ci lanciamo e alla fine qualcuno rimarrà vivo."

Nello stesso periodo, il Patto di Varsavia sviluppava il fucile automatico Kalashnikov, conosciuto come AK-47, un’arma con un grande volume di fuoco nelle distanze fino a quattrocento metri. La concezione sovietica contemplava grandi ondate di truppe: lanciavano un mucchio di soldati sparando all’impazzata e se morivano, arrivava la seconda ondata e la terza. Vinceva chi aveva più soldati.

Allora gli americani pensarono che il vecchio fucile Garand della Seconda Guerra Mondiale non serviva più: "Abbiamo bisogno di un’arma con molto volume di fuoco nelle distanze corte"

É così che inventarono l’AR-15 e lo provarono in Vietnam. Il problema è che si ruppe, non funzionò. Quando attaccavano i Vietcong, il meccanismo rimaneva aperto e al momento di sparare faceva clic. E non era una macchina fotografica, era un’arma!

Cercarono di risolvere il problema con il modello M16-A1.Qui vi è un inganno nella pallottola che può avere due differenti denominazioni. Quella civile, la 2,223 - misurata in pollici- si può acquistare negli Stati Uniti in qualsiasi negozio. L’altra, la 5,56 - in millimetri- è usata unicamente dalle forze della NATO. Questa è una pallottola rapida e qui sta l’inganno.

Nella guerra, l’obiettivo è ottenere perdite dal lato del nemico, non necessariamente morti. Un esercito considera come perdita un soldato ferito che non può combattere,

La Convenzione di Ginevra.- che è un accordo per umanizzare la guerra- proibisce le pallottole espansive perché quando la pallottola espansiva entra in un corpo umano ha un effetto molto più letale di una pallottola normale. Distrugge tutti i tessuti.

"Se l’idea è aumentare il numero dei feriti ed abbassare il numero dei morti -pensarono- bisogna proibire le pallottole espansive. Un pallottola normale ti rende inutilizzabile per il combattimento, ma non ti uccide a meno che non tocchi un punto vitale".

Per aggirare la Convenzione di Ginevra, i nordamericani inventarono una pallottola con la punta morbida che, quando penetra nel corpo umano, si piega e gira su se stessa. In tal modo, l’orifizio di uscita è molto più grande di quello di entrata. Questa pallottola è peggiore di quella espansiva con il vantaggio di non violare nessuna convezione. Se ti colpisce in un braccio ...te lo stacca. Una pallottola 162 ti attraversa e ti ferisce, però questa di rovina.

Come per caso, il governo messicano ha appena comprato 16.000 di queste pallottole...

Torniamo alle nostre guerre mondiali. Sappiamo che non si voleva usare la bomba nucleare. Allora, cosa si usava? Molti soldati contro molti soldati! E così nacquero le dottrine convenzionali della NATO e del Patto di Varsavia.

La seconda alternativa era una guerra nucleare localizzata, una guerra con armi nucleari, pero solo in alcune parti e non in altre. Tra le due superpotenze, vi era il tacito accordo di non attaccare i rispettivi territori e di combattere solo in territorio neutrale. Ovviamente quel territorio era l’Europa. Lì dovevano cadere le bombe. Chi sarebbe sopravvissuto a una bomba nucleare in Europa Occidentale o in quella che allora si chiamava Europa Orientale?

L’ultima alternativa della Terza Guerra Mondiale, era la guerra nucleare totale che fu un gran business, il business del secolo. La logica della guerra nucleare era che non ci poteva essere un vincitore. Per quanto potesse essere veloce quello che sparava per primo, l’altro era sempre in grado di rispondere. La distruzione sarebbe stata reciproca e quindi, fin dal principio, si mise da parte questa alternativa.

La sua funzione divenne quella che, in termini militari, si conosce come dissuasione.

Dissuasione. Ascolterete questa parola quando parlerete con Rabasa, se avrete la sfortuna di parlare con lui.: "l’esercito federale non sta attaccando gli zapatisti, li sta dissuadendo o contenendo; manteniamo 60.000 soldati in Chiapas perché non facciano birichinate.

Affinché i sovietici non usassero un arma nucleare, gli americani inventarono molte armi nucleari e a loro volta i sovietici inventarono più armi nucleari e così via.

Si chiamavano ICMB (Intercontinental Ballistic Missile) ed erano missili che andavano dalla Russia agli Stati Uniti e dagli Stati Uniti alla Russia. Costarono una fortuna e adesso non servono a nulla. Le due superpotenze avevano anche armi nucleari di uso locale che si sarebbero usate in Europa nel caso di una guerra nucleare localizzata.

Quando ebbe inizio questa fase, nel 1945, l’Europa era divisa in due. La strategia militare - stiamo parlando solo degli aspetti militari- era la seguente: 1) degli avamposti di fronte alla linea nemica, 2) una linea di logistica permanente e 3) la metropoli USA o l’URSS.

La linea logistica riforniva gli avamposti. Aerei enormi che potevano volare 24 ore al giorno, i B-52 Fortezza, caricavano le bombe senza necessità di atterrare.

Poi vi erano i patti. Il patto della NATO, il Patto di Varsavia e la SEATO (South East Asia Treaty Organization).

Questo modello era sottoposto a test nelle guerre locali. Tutto aveva una logica: per esempio era assolutamente logico combattere in Vietnam perché era uno scenario accordato.

Come avamposti, vi erano gli eserciti locali o quelli ribelli; come logistica permanente le linee di vendita di armamento legale o clandestino e come metropoli, le due superpotenze. Vi era perfino un accordo sul posto riservato agli spettatori.

Gli esempi più evidenti di queste guerre locali, sono le dittature latinoamericane, i conflitti in Asia - soprattutto in Vietnam- e le guerre in Africa. Apparentemente, queste non avevano logica alcuna, ma in realtà erano parte di uno schema di guerra convenzionale.

In questa epoca - occhio, perché è importante- si sviluppa il concetto di "guerra totale", ovvero nella dottrina militare cominciano a entrare elementi che non sono più strettamente militari. Ad esempio, in Vietnam dall’offensiva del Teth (1968), fino alla caduta di Saigon (1975), i mass media diventano un importantissimo fronte di lotta.

In questo modo, tra i militari si sviluppa l’idea secondo cui il potere militare in sé non è più sufficiente. Diventa necessario aggiungere altri elementi come i mass media. Inoltre, si può attaccare il nemico con misure economiche, con misure politiche e con la diplomazia che è poi il gioco dell’ONU e degli organismi internazionali.

Alcuni paesi facevano sabotaggi per ottenere condanne o censure contro altri paesi; era quello che si chiamava "guerra diplomatica".

Tutte queste guerre seguivano la logica del domino. Sembra ridicolo, però vi erano due rivali che giocavano a domino con il resto della popolazione. Quando uno dei giocatori muoveva una pedina, l’altro cercava di muovere la sua per tagliarli la strada. É la logica di quel personaggio illustre che si chiama Kissinger, il segretario di Stato nordamericano ai tempi del Vietnam. Lui diceva: "non possiamo abbandonare il Vietnam perché ciò significa perdere la partita di domino nel sud-est asiatico. E così fecero la guerra del Vietnam.

Inoltre bisognava recuperare la logica della Seconda Guerra Mondiale. Per la maggioranza della gente, quella era una logica eroica. Abbiamo l’immagine dei marines che liberano la Francia dalla dittatura, l’Italia dal duce, la Germania dai militari e l’esercito rosso che entra da tutte le parti. In teoria, la Seconda Guerra è stata fatta per liberare l’umanità da un pericolo terribile, il nazionalsocialismo.

In una maniera o nell’altra, le guerre locali cercarono di recuperare l’ideologia "difendiamo il mondo libero"; solo che adesso nel ruolo del nazionalsocialismo c’era Mosca.

Ovviamente, Mosca faceva la stessa cosa. Entrambe le superpotenze impiegavano i termini "democrazia" e "mondo libero" secondo le rispettive necessità.

Questo è, a grandi linee, quello che è successo durante la Terza Guerra Mondiale. Poi è arrivata la Quarta che ha cambiato tutto perché il mondo adesso non è più lo stesso e quindi non è più possibile applicare la stessa strategia.

Qui si sviluppa di più il concetto di "guerra totale": ovvero non si tratta solo di una guerra su tutti i fronti, ma una guerra che può scoppiare ovunque, una guerra totalizzante in cui è la totalità del mondo ad essere in gioco.

"Guerra totale" cioè in ogni luogo ed in ogni circostanza. Non esiste più l’idea di combattere per la conquista di un luogo specifico, adesso la battaglia può cominciare in qualsiasi momento, né vi è una logica di escalation con minacce, dichiarazioni e tentativi di trincerarsi.

Il conflitto può scoppiare in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza. Può essere un problema interno, può essere un dittatore e tutto ciò che sono state le guerre negli ultimi anni dal Golfo Persico al Kossovo.

In tal modo si distrugge la routine militare della guerra fredda. Nella Quarta Guerra Mondiale, non posso più muovermi con i criteri della Terza, perché adesso devo combattere ovunque, senza sapere dove né quando. Non so quali saranno le circostanze ma so che dovrò agire rapidamente.

Per risolvere il problema, i militari hanno inventato lo "spiegamento rapido". L’esempio è la Guerra del Golfo, una guerra con una grande accumulazione di forza militare in poco tempo, grandi azioni militari in poco tempo, conquiste di territori e ritirata. Un altro esempio può essere l’invasione di Panama. Di fatto, esiste una forza della NATO che ha questo nome "Forza di intervento rapido".

A questo punto si sono fermati perché si sono resi conto che tutto ciò è carissimo e non procura vantaggi particolari. In Iraq, ad esempio, hanno dispiegato una quantità enorme di forze, ma non vi è stata nessuna conquista. Vi erano i problemi delle proteste locali, degli osservatori internazionali dei diritti umani. Alla fine hanno dovuto ripiegarsi; la guerra del Vietnam insegna che in questi casi non è prudente insistere.

Allora hanno deciso di passare alla cosiddetta strategia della "proiezione di forze". L’aspetto centrale della strategia dello spiegamento rapido è una gran massa di forza militare da lanciare contro il nemico, senza fare differenza tra un ospedale infantile e una fabbrica di armi chimiche. Questo è successo in Iraq: le bombe "intelligenti" non facevano distinzioni e si comportavano in maniera piuttosto stupida.

A quel punto si sono detti: "non possiamo continuare così, dobbiamo fare una "proiezione di forze". Invece di mantenere degli avamposti nelle basi americane di tutto il mondo, accumuliamo una grande forza continentale che, in questione di ore o di giorni, possa mandare delle unità militari ovunque".

E, in effetti, lo possono fare: possono mandare una divisione di quattro o cinque mila uomini nel punto più lontano del mondo in sempre meno tempo...

Tuttavia, la proiezione di forze continua a basarsi sulla mobilitazione di truppe che sono principalmente nordamericane. E i signori della guerra sanno benissimo che se il conflitto non si risolve rapidamente, cominciano ad arrivare morti in borse di plastica come in Vietnam. Ciò è sconveniente perché può provocare proteste negli USA o in qualsiasi altro paese.

Per evitare questi problemi, hanno abbandonato lo schema della proiezione di forze a partire da calcoli di tipo mercantile. Non calcoli sulla distruzione di elementi umani e della natura, ma calcoli di immagine pubblicitaria.

In tal modo, la proiezione di forze è stata abbandonata per passare al modello di guerra che voi conoscete bene: soldati del posto, più appoggio internazionale, più un’istanza sopranazionale. Nn si tratta più di mandare soldati da fuori, ma di combattere con i soldati disponibili, appoggiarli a seconda delle dimensioni del conflitto e non usare il modello di una nazione che dichiara guerra, ma un’istanza sopranazionale come l’ONU o la NATO.

Coloro che fanno il lavoro sporco sono i soldati locali e coloro che vengono fuori nelle notizie sono le truppe nordamericane e internazionali. Questo è il modello. Protestare non serve; non è più una guerra del governo nordamericano: è una guerra dalla NATO e inoltre la NATO sta solo facendo un favore all’ONU.

In tal modo, la ristrutturazione degli eserciti serve a poterli impiegare in conflitti locali con appoggio internazionale ed una copertura sopranazionale con la scusa della guerra umanitaria. L’idea è salvare la popolazione dal genocidio, uccidendola.

Ed è precisamente quanto è accaduto nel Kossovo. "Milosevich sta facendo una guerra contro l’umanità". Questo è l’argomento dei generali della NATO che tanti grattacapi ha dato alla sinistra europea: opporsi ai bombardamenti della NATO voleva dire appoggiare Milosevich ed è per questo che la sinistra europea ha finito per appoggiare i bombardamenti della NATO. E Milosevich, come sapete, era stato armato dagli USA.

Secondo concetto militare in vigore, la totalità del mondo - sia che si tratti dello Sri Lanka o del paese più lontano che possiate immaginare- è adesso il cortile di casa perché il mondo globalizzato produce la simultaneità. Ed è proprio questo è il problema perché nel mondo globalizzato qualsiasi cosa può mettere in pericolo l’ordine internazionale.

Il mondo non è più il mondo: è un villaggio e tutto è vicino. Per tanto i grandi poliziotti del mondo - soprattutto gli Stati Uniti- hanno il diritto di intervenire in qualsiasi luogo, a qualsiasi ora e in qualsiasi circostanza.

Essi possono concepire qualsiasi cosa come una minaccia alla sicurezza nazionale; possono dire che una ribellione indigena nel Chiapas costituisce una minaccia per la sicurezza degli USA, o dei tamil dello Sri Lanka, o di chi altri vi venga in mente.

Qualsiasi movimento - e non necessariamente armato- in qualsiasi luogo adesso può essere considerato come una minaccia alla sicurezza nazionale.

Cos’è successo? Che le vecchie strategie e concezioni sulla guerra sono diventate obsolete. Vediamo.

"Teatro delle operazioni" è il termine militare che indica il luogo dove si svolge la guerra. Prima dicevamo che il teatro delle operazioni della Seconda Guerra Mondiale era l’Europa. Adesso può essere in qualsiasi luogo, visto che non si sa dove possa scoppiare. Allora la dottrina militare passa da ciò che prima si chiamava "sistema" a ciò che adesso si chiama "versatilità". "Devo essere pronto a qualsiasi cosa, in qualsiasi momento. Uno schema non è abbastanza, adesso ci vogliono più schemi, non solo per costruire una risposta a determinati fatti, bensì per costruire una molteplicità di risposte militari a determinati fatti". Ed è qui che interviene l’informatica.

Il cambiamento fa sì che si passi dallo schematico, dal quadrato, dal rigido al versatile e a ciò che può cambiare da un momento all’altro. Questo è ciò che definisce la nuova dottrina militare degli eserciti, dei corpi militari e dei soldati. Ed è un elemento della Quarta Guerra Mondiale.

L’altro è la "strategia di contenimento" o di "allargamento", "estensione". Adesso non si tratta più di conquistare un territorio, di contenere il nemico, adesso bisogna estendere il conflitto a quello che loro chiamano "atti di non guerra".

Nel caso del Chiapas, questo significa mettere e togliere governatori e sindaci, intervenire nell’ambito dei diritti umani, dei mezzi di comunicazione, ecc..

All’interno della nuova concezione militare, è contemplata un’intensificazione della conquista del territorio. Ciò vuol dire che non solo è necessario preoccuparsi dell’EZLN e della sua forza militare, ma anche della Chiesa, delle Ong, degli osservatori dei diritti umani, della stampa, dei civili, ecc..

Non esiste più l’idea che esistano dei civili neutrali, tutti adesso fanno parte del conflitto. e lo stesso dicasi per la diocesi di San Cristóbal e tutte le Ong messicane. Secondo loro, ciò che esiste all’interno di questo teatro di operazioni fa parte del conflitto, è il nemico.

Fra l’altro ciò vuol dire che gli eserciti nazionali non servono più perché il loro compito sarebbe quello di difendere gli stati nazionali. Se non vi sono stati nazionali, cosa possono difendere? Nella nuova dottrina, gli stati nazionali svolgono solo funzioni di polizia. Nel caso messicano, ciò è chiarissimo: ogni giorno l’esercito svolge un numero maggiore di funzioni che dovrebbero corrispondere alla polizia come la lotta contro il narcotraffico oppure quel nuovo organismo contro la delinquenza organizzata che si chiama "Polizia Federale Preventiva" ed è formato da militari.

L’idea quindi è che gli eserciti nazionali si convertano in forze di polizia locale alla maniera del fumetto americano Super Cop, Super Poliziotto.

Quando, ad esempio, si riorganizzerà l’esercito dell’ex Yugoslavia, esso dovrà trasformarsi in una forza di polizia locale, mentre la NATO sarà Super Cop il suo grande socio politico. L’elemento principale è quello sopranazionale, in questo caso, la NATO e l’esercito nordamericano, mentre gli extra sono gli eserciti locali.

Il problema è che gli eserciti nazionali sono stati costruiti sulla base della dottrina della sicurezza nazionale. Siccome la sicurezza nazionale corre dei pericoli, il loro lavoro è garantirla sia di fronte al nemico esterno che a quello interno. Questa è, fondamentalmente, la dottrina militare della Terza Guerra Mondiale o Guerra Fredda.

Con tali presupposti, gli eserciti nazionali hanno sviluppato una certa coscienza nazionale, il che rende difficile convertirli in poliziotti amici del Super Poliziotto. É perciò che bisogna trasformare la dottrina della sicurezza nazionale in quella della stabilità nazionale. Infatti, il punto non è più difendere la nazione. Siccome adesso il principale nemico è il narcotraffico e il narcotraffico è un fenomeno internazionale, gli eserciti nazionali che agiscono secondo i principi della stabilità nazionale, possono accettare gli aiuti internazionali e l’interferenza di altri paesi.

Il problema di riordinare gli eserciti nazionali esiste dunque a livello mondiale. Osserviamo adesso l’America e, in particolare, l’America Latina. Anche qui, il processo è simile a quello avvenuto in Europa a proposito della guerra del Kossovo e della NATO.

Nel caso dell’America Latina, vi è l’Organizzazione degli Stati Americani, OSA, con il Sistema Emisferico di Difesa. L’ex presidente argentino Menem, ad esempio, sostiene che, poiché il narcotraffico minaccia tutti i paesi dell’America Latina, essi devono abolire la coscienza nazionale e mettersi insieme per costruire un unico grande esercito secondo la dottrina del Sistema Emisferico di Difesa.

Inoltre, visto che si tratta di versatilità, in altre parole della capacità di fare la guerra in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo e in qualsiasi circostanza, si cominciano anche a fare delle esercitazioni.

I pochi bastioni della difesa nazionale che ancora esistono devono quindi essere spazzati via da questo sistema emisferico. Se in Europa c’è stato il Kossovo, nel caso dell’America Latina vi sono la Colombia e il Chiapas. Immaginate un centro commerciale con dei poliziotti che controllano che la gente non rubi dischi, cassette, biancheria o qualsiasi cosa: esattamente questa è adesso la funzione degli eserciti locali.

Come si costruisce il sistema di difesa emisferico?

In due modi. In Colombia dove vi è la minaccia del narcotraffico, il governo richiede aiuto a tutti: "dovete intervenire perché il narcotraffico è un problema di tutti e non solo dei colombiani". Nel caso del Chiapas si applica il concetto della guerra totale. Tutti gli abitanti fanno parte del conflitto, non vi sono neutrali, o sei alleato o sei nemico. Il teatro delle operazioni è così concepito.

Se in una guerra vi sono due parti in conflitto e un corridoio in mezzo dove sta la popolazione civile o le persone che vogliono rimanere neutrali, questo corridoio diventa ogni giorno più piccolo fino a scomparire.

Seguendo questa logica, il governo messicano ha tracciato una linea all’interno della società chiapaneca, di quella messicana e di quella mondiale per fare una divisione tra alleati e nemici. Io credo voi siete considerati nemici, comunque potete provare a chiedere.

Queste osservazioni ci servono perché la domanda originale era: perché nel Chiapas non è finita la guerra che doveva finire?

La risposta è che l’obiettivo non era l’EZLN. Noi non arriviamo neanche alla categoria di obiettivo. Noi siamo visti solo come un disturbo, una zanzara che dà fastidio. Il vero obiettivo sono le popolazioni indigene. Quello è il nemico da distruggere e tutti coloro che sono a favore dei popoli indigeni sono un fastidio, ma non hanno una grande importanza. É per questo motivo che, in tutti gli incontri con il governo, vi sentirete dire che loro non hanno nulla contro l’EZLN, perché, in effetti, l’EZLN non è il vero nemico. Provate invece a chiedere cosa hanno contro i popoli indigeni.

Gli esempi abbondano e non vi annoierò oltre. Gli indios sono il vero nemico ed è per ciò che vengono colpiti. Quanto all’Esercito Zapatista, il problema è vedere come disfarsi di noi, ma non siamo considerati un pericolo militare. I modi sono molti: possono cercare di corromperci, possono cercare di comprarci, di farci tradire...

Il problema reale però sono e restano i popoli indigeni. É perciò che le violazioni e gli attacchi degli ultimi quattro anni sono sempre andati contro la popolazione indigena. Il più scandaloso è quello di Acteal, ma ugualmente crudeli sono stati anche quelli di Unión Progreso e di Chavajeval, il 10 giugno dell’anno scorso.

Se il nemico non è l’EZLN perché fare la pace con noi?

Questo è il problema che si è trovato ad affrontare il governo. Perché adesso, la pace con l’EZLN passa attraverso il riconoscimento del vero nemico e questo non lo possono accettare. Per tanto non ha senso firmare la pace con l’EZLN.

"Se ciò che voglio è distruggere i popoli indigeni, non mi conviene". E perché hanno scelto i popoli indigeni come nemici? Perché sono piccoli e scuri? Perché parlano un’altra lingua? Perché sono antipatici? Non lo sappiamo?

Sì che lo sappiamo e cercheremo di spiegarvelo.

Finalmente siamo arrivati al Chiapas.

Questa carta (fa vedere un mappamondo, ndt) ci mostra i due grandi trattati che suddividono il mondo: il NAFTA e l’Unione Europea. Qui ci sono i dati a livello mondiale, le regioni interessate, le popolazioni, il prodotto interno. Quest’altra cartina invece si riferisce al petrolio.

La risposta alla domanda, perché non è finita la guerra in Chiapas? Si trova qui. Il Mondo Maya, Guatemala, Belize, Chiapas, parti di Tabasco, Campeche, Quintana Roo, Yucatán, tutto questo territorio è pieno di petrolio e di uranio.

Ecco la posta in gioco. All’interno del processo di frammentazione che abbiamo visto - convertire il mondo in un arcipelago- il potere finanziario vuole qui una nazione speciale. Questo è un punto importante perché i militari dicono che siamo noi a voler fare un altro paese, la Nazione Maya.

Noi abbiamo studiato la questione. E siamo arrivati alla conclusione che il capitale finanziario internazionale vuole costruire qui un nuovo grande centro commerciale con infrastruttura turistica e risorse naturali. Il capitale finanziario possiede tutto il necessario per inventare un nuovo paese a partire da questi tre pezzi di Messico, Belize e Guatemala.

Ecco la posta in gioco della guerra del Chiapas. Se avete occasione vi consiglio chiedere spiegazioni all’autore di queste carte geografiche, il dottor Andrés Barreda, esperto di geopolitica del Chiapas.

Oltre al petrolio e all’uranio, il problema di questo territorio è che è pieno zeppo di indigeni. E gli indigeni, oltre a non parlare spagnolo, non vogliono carte di credito e non producono; seminano mais, fagioli, peperoncino, caffè e amano ballare la marimba senza usare il computer.

Non sono consumatori e non sono produttori. Sono un avanzo. E tutto ciò che avanza, può essere eliminato. E quindi il capitale finanziario sta cercando di fare di tutto perché gli indigeni smettano di essere indigeni. Il fatto è che, oltre ad essere un avanzo, gli indigeni non vogliono andarsene e, quel che è peggio, non vogliono smettere di essere indigeni. E per finire non lottano per il potere. Lottano per essere riconosciuti in quanto popoli indigeni, lottano per il diritto a esistere, per non diventare altri, ma non lottano per il potere.

Qui, in questa zona (indica il territorio del conflitto, ndt) sono segnate le principali culture indigene e le loro lingue e qui c’è il problema: la macchia nera indica il petrolio. Non potete immaginare la quantità di petrolio che c’è qui sotto. Ed in territorio zapatista, ce ne è ancora di più.

Qui vi sono le sette etnie dell’EZLN: tzeltal, tzotzil, tojolabal, chol, zoque, mam e meticci. Ve la passo così la fate vedere a Rabasa... Ecco le comunità indigeni e dove ci sono quei punti neri, c’è petrolio, uranio e legnami preziosi.

I nemici sono questi (indica le comunità indigene, ndt), non l’EZLN. Bisogna cacciarli via perché non concepiscono la terra come il neoliberismo.

Per il neoliberismo tutto è merce, si vende, si sfrutta. E questi indigeni dicono di no, che la terra è la madre, è la depositaria della cultura, che lì vive la storia e che lì vivono i morti. Tutte assurdità che non entrano in nessun computer e non sono quotate nelle borse valori.

E non c’è modo di convincerli che la smettano, che diventino buoni, che imparino a pensare come si deve. Proprio non ne vogliono saperne. Hanno persino fatto una rivolta armata.

Ecco perché - diciamo noi- il governo messicano non vuole fare la pace con l’EZLN: la ragione è che vuole farla finita con questo nemico, vuole trasformare questo territorio in deserto per poi riorganizzarlo come un grande centro commerciale, un Mall nel sud-est del Messico.

L’EZLN appoggia i popoli indigeni e in questa misura anche l’EZLN è un nemico, ma non il principale. Ciò vuol dire che non è sufficiente arrivare ad un accordo con l’EZLN, ancor meno se ciò vuol dire rinunciare a tutto questo territorio. Perché, in effetti, fare la pace nel Chiapas vorrebbe dire rinunciare alla conquista di un territorio ricco di petrolio, legname prezioso ed uranio. Questo è il motivo per cui non l’hanno fatta e non la faranno.

Adesso consideriamo il livello concreto della guerra nel Chiapas e, in particolare, la funzione dell’esercito messicano. La sua prima caratteristica è quella di essere un esercito di occupazione, ovvero un esercito che non sta a casa sua. Un esercito che, nella morale, nella maniera in cui opera e si rapporta con il resto della gente, si rende perfettamente conto di occupare un territorio che gli è estraneo.

Il soldato federale messicano è cosciente di essere straniero, molto più straniero di voi, solo che non gli viene applicato l’articolo 33 (articolo della costituzione messicana che impedisce agli stranieri di occuparsi di politica in Messico e base legale delle espulsioni degli osservatori dei diritti umani, ndt).

Voglio dire che, nei confronti delle comunità indigene, l’esercito messicano si trova nella posizione di un esercito di occupazione come lo era l’esercito tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale.

È per questo che ad Amador Hernández (comunità della Selva Lacandona, teatro di uno scontro tra esercito e simpatizzanti zapatisti nell’agosto del 1999, ndt) - non so se qualcuno di voi ci è stato- hanno messo intorno alla loro caserma delle trappole "scaccia intrusi". Sono dei grandi buchi nascosti dal fogliame con dei tronchi appuntiti sul fondo. Il malcapitato che ci mette un piede sopra viene infilzato come uno spiedo.

Dico che l’esercito ha paura della popolazione civile perché loro sanno benissimo che non ci sono posizioni nostre da quelle parti. Hanno paura dei bambini, delle donne, degli anziani. Di tutti coloro che stanno lì a dirgli che se ne vadano.

É così grande la loro paura di trovarsi in una terra straniera che si comportano come un esercito di occupazione. Questa è la logica e per questo ci sono i posti di blocco e la polizia di frontiera. Arrivare nel Chiapas è come arrivare in un altro paese; non c’è polizia di frontiera quando si arriva a Città del Messico.

Inoltre, vi è il controllo del potere politico locale. Il croquetas - lo abbiamo soprannominato così- Albores Guillén è sostenuto dall’esercito, esattamente come i presidenti municipali. Allo stesso tempo, siccome non si presenta bene, compra giornalisti, compra giornali e compra canali di televisione perché gli facciano l’immagine che non è capace di farsi da solo.

Il bottino della guerra del Chiapas

L’esercito federale si trova invischiato in una rete per sequestrare e vendere i bambini indigeni. Questo succede, ad esempio, a Guadalupe Tepeyac. Quando le donne vanno a partorire, a volte non ricevono il bambino. Non glielo danno, resta lì. I funzionari spiegano loro che il bambino è morto o che non glielo danno perché non hanno i documenti. E da queste parti è molto frequente non avere documenti. La persona che conduce questo business è in rapporto con il generale Cuevas che è il comandante della guarnizione locale. Esiste una rete di traffico di bambini, ma non sappiamo dove arriva. Non sappiamo quanto valgano i bambini zapatisti, ma qualcosa deve sicuramente guadagnare il generale per questo commercio.

Il narcotraffico. Tra il gennaio del 1994 e il febbraio del 1995, noi avevamo il controllo di questo territorio. Abbiamo vietato la semina, il traffico e il consumo di narcotici. Ciò significa che abbiamo chiuso le piste di atterraggio che usavano i narcotrafficanti come trampolino per gli Stati Uniti e che abbiamo distrutto i campi di marijuana e di oppio.

Ovviamente, questo territorio assolutamente strategico per il mercato di consumo più ricco del mondo - quello degli Stati Uniti- ha dovuto essere riconquistato. Ovviamente, la prima cosa che ha fatto l’esercito è stata quella di garantire l’uso delle piste di atterraggio ai narcotrafficanti. In questo business, la fetta dei militari è molto, molto grande.

Tratta delle bianche. Non delle bianche, perché qui sono di pelle scura, comunque il business è la prostituzione. Colui che amministra la prostituzione, il magnaccia, è qui il generale. Questi organizza l’entrata illegale di donne giovani dal Guatemala, da El Salvador e dall’Honduras e facendole lavorare come prostitute per i suoi soldati. In tal modo, la paga del soldato ritorna nelle tasche del generale che controlla la prostituzione.

Vendita di alcol. Qui prima non esisteva il consumo di alcol e adesso i principali bar hanno l’appoggio dei militari.

Promozioni. Per un militare di alto rango, essere assegnati al Chiapas, può essere un’eccellente fonte di reddito. Dato che è considerata zona di guerra, stare in Chiapas significa guadagnare di più e godere di maggiori benefici. Questo è un altro motivo per cui non conviene che la guerra finisca: quando finisce, il business si conclude. Il fratello del Ministro della Difesa, generale Cervantes, che comanda la guarnigione di Maravilla Tenejapa, è stato coinvolto in vari scandali presso San José La Esperanza.

Diserzioni. Vi sono molte diserzioni. Noi lo sappiamo perché i disertori si rivolgono sempre alle comunità per avere vestiti civili e una guida per evitare i posti di blocchi. Il fatto è che quando un soldato diserta, il generale non lo toglie dalla lista. continuando in tal modo a percepire la sua paga.

Altro elemento importante del conflitto da un paio d’anni in qua è l’apparizione della polizia militare. Mentre prima solo vi erano solo soldati, adesso vi è anche la polizia militare. Ciò significa almeno due cose. Siccome la polizia militare svolge in primo luogo funzioni di sicurezza interna, la prima è che gli atti di insubordinazione e le detenzioni all’interno dell’esercito devono essere in aumento. L’altra è che l’esercito sta svolgendo sempre di più le funzioni che sono proprie alla polizia. Dove non arriva la polizia di stato arriva la polizia militare.

La strategia di questo esercito di occupazione è doppia, ovvero sono contemplati due colpi, il colpo chirurgico e il colpo totale. Il colpo chirurgico vuol dire dare un colpo alla testa dell’EZLN e, concretamente, a Marcos. Ciò deve essere fatto rapidamente e senza perdite civili. A questo scopo esistono i GAFE (Gruppi Aerotrasportati di Forze Speciali) che hanno tra 90 e 105 soldati per unità e sono un po’ come i rambo messicani. Ve ne sono diversi nei dintorni di ogni Aguascalientes o in qualsiasi luogo dove si pensa che possa apparire Marcos. Essi devono agire al momento concordato e poi sparire.

Il problema qui è il costo politico; a questo scopo è necessario tenere tutto pronto per il momento opportuno. Non è questione di giorni, ma di minuti. "Adesso, perché sta succedendo la tale cosa in tale luogo". Comunque, visto che non Marcos ma gli indigeni sono il vero nemico, questo non è il problema principale.

Ed ecco il secondo il principio, quello del colpo totale. Qui non entrano in gioco tutte le forze: mentre alcuni hanno il compito di chiudere la zona in questione, altri devono sferrare il colpo. Infatti, una parte del dispositivo militare serve come tappo per sigillare la zona. Nessuno potrà entrare o uscire: né la stampa, né il potere civile. Nessuno.

Qui dobbiamo aggiungere è un dato importante. Secondo le nostre informazioni, quanto meno nella caserma di San Quintin, hanno costruito dei tunnel segreti per liberarsi dei desaparecidos. Non si saprà il numero dei morti, né i loro nomi, né nulla. Scompariranno nel senso stretto del termine. Saranno sepolti lì.

Come lo sappiamo? Semplicemente perché la mano d’opera che hanno impiegato è mano d’opera indigena. Siccome alcuni erano zapatisti, essi chiedevano: "e questo cos’è, a cosa serve?". La risposta era: "Beh, chi arriva qua, non ci esce vivo, ma non bisogna dirlo".

Oltre a un cimitero clandestino, nei sotterranei della caserma hanno scavato dei tunnel per poter evacuare intere montagne di cadaveri.

Ovviamente loro non ammettono nulla di tutto ciò, pero provate a chiedete se accettano di sottoporsi ad una ispezione interna.

Un altro problema è che, oltre agli indios, in Chiapas si dovrà sacrificare l’attuale struttura dell’esercito e per farlo bisognerà screditarlo completamente. In effetti, questo esercito deve essere riorganizzato radicalmente perché, in gran parte, continua ad operare secondo i principi obsoleti della sicurezza nazionale e del nazionalismo. E sarà precisamente il discredito a costringerli alla ristrutturazione.

I militari non lo sanno - e se lo sanno sono complici- però in questa guerra si stanno giocando la loro scomparsa. Sarà tale il discredito che dovranno rifare l’attuale esercito dalle fondamenta; solo così potrà nascere quello nuovo di cui hanno bisogno il neoliberismo e la globalizzazione. Quindi, visto che la sua coscienza nazionalista non si addice ai tempi, l’esercito messicano sta lavorando in Chiapas per la propria distruzione.

Hanno fatto credere ai militari che noi vogliamo separarci dal Messico ed unirci al Guatemala ed al Belize per fare un nuovo paese. No, questo lo vogliono fare le multinazionali e, come abbiamo visto, stanno lavorando al progetto turistico Mondo Maya.

Nel momento in cui ci attaccano, i militari stanno facendo il gioco delle multinazionali e si stanno scavando la fossa. Non ho un’idea precisa di quanto ciò gli importi; poco, direi.

Infatti, gli alti ufficiali sono così invischiati nella corruzione che praticamente si stanno comprando la pensione anticipata. "Visto che in ogni modo ti dobbiamo distruggere in quanto esercito, ti offriamo un buon licenziamento e di portarti via una buona fetta di denaro. La fetta è il Chiapas. Fai pure la guerra lì. Poi non servirai più a nulla, però avrai rubato a sufficienza per poter vivere".

Gli alti ufficiali la pensano così. Non così gli ufficiali di livello medio e la truppa; loro solo obbediscono degli ordini.

In questa guerra, c’è dunque in gioco questo territorio che bisogna conquistare e una delle conseguenze sarà la distruzione dell’esercito federale così come è strutturato adesso. Continuerà ad esistere come esercito, però sarà strutturato in un altro modo.

Corre anche voce che, a partire dal Chiapas, le forze armate si debbano ristrutturare seguendo il modello nordamericano del comando generale. Adesso l’esercito non funziona come comando generale, ma come comando di zona; ciò che vogliono è concentrare il potere - un solo comando è più versatile- in un comando centrale o comando generale.

In tal modo, si toglierebbe il potere ai comandanti delle regioni militari i quali attualmente si suddividono il paese tra loro. Secondo i nostri dati, nel 1986, vi erano circa 170.000 soldati tra esercito, forza aerea e marina, mentre nel 1996, ovvero tre anni fa, ce ne erano 229.000 con un aumento di quasi il 50 per cento. Anche il bilancio è cresciuto in maniera analoga: 44 per cento tra il 95 e il 96.

Inoltre, sappiamo che vi è una disputa tra esercito, marina e forza aerea. I militari litigano tra loro perché il bilancio è una fonte di guadagno e se lo devono suddividere tra l’esercito e gli altri corpi. Sono pugne interne che esistono come conseguenza della ristrutturazione.

A tutto ciò bisogna aggiungere l’ingerenza nordamericana. Secondo informazioni dell’ambasciata nordamericana, nel 95, vi erano nel Chiapas almeno due gruppi di soldati nordamericani che avevano l’appoggio del nostro esercito federale.

Vi ringrazio di aver resistito così a lungo; la nostra esposizione sta per volgere al termine però, prima di concludere, volevamo ricordare che il problema dei diritti umani non si limita ai diritti individuali.

Nel nostro caso, siamo di fronte alla violazione collettiva dei diritti umani dei popoli indigeni. Nel momento in cui si cerca di distruggere i popoli indigeni, le loro forme culturali e tutto il resto, non solo si sta attentando contro l’individuo - che viene percosso o torturato o che non può coltivare il proprio campo di mais - ma anche contro il diritto umano di un collettivo che vuole vivere in maniera collettiva. E questo non c’è nel diritto internazionale. Non esistono gli osservatori dei diritti umani collettivi. Eppure, a noi sembra che questo sia un nuovo modello di violazione dei diritti umani.

Noi crediamo che, a partire da quanto avvenuto in questo piccolo angolo di mondo, le guerre del secolo XXI° saranno combattute contro coloro che vogliono essere differenti. Quelli che non vogliono sparire in quanto differenti, saranno oggetto di sempre maggiori aggressioni dei diritti collettivi, cercando magari di rispettare i loro diritti individuali.

Il governo messicano ha come aspirazione massima quella di liberarsi di un gruppo di osservatori in modo che nessuno possa provare che vi sono state torture, percussioni e minacce. Comunque è ovvio che il loro obiettivo è distruggere i popoli indigeni in quanto popoli e che nessuno possa protestare perché la cosa non è contemplata dal diritto.

Quando tornando a casa vostra vi faranno delle domande vorremmo dirvi di ricordarvi ciò che abbiamo detto qui. Esistono grandi violazioni al diritto umano collettivo dei popoli maya in quanto tali.

A questo punto, torniamo alle immagini iniziali (il Comandante Tacho riprende il calendario, ndt). Questa del mese di novembre è la foto di Emiliano Zapata. O, per meglio dire, è un quadro che rappresenta il viso di Zapata, gli occhi, i baffi, la bocca, il naso. É un viso conosciuto e chiunque può capire che si tratta di Zapata.

Il paradosso è che qui qualsiasi contadino indigeno assomiglia a Zapata: baffi, pelle scura e sguardo intenso. Sono gli occhi che potete vedere dietro qualsiasi passamontagna e inoltre è un’immagine del passato. É proprio ciò che accadde: una ribellione armata e, inoltre, qualcosa di molto particolare perché Zapata non ha lottato per il potere.

È utile ricordare qui il famoso aneddoto di quando, dopo aver occupato Città del Messico, Emiliano Zapata e Pancho Villa arrivano al palazzo nazionale. La sedia presidenziale è vuota perché hanno cacciato colui che la occupava. Cortesemente, Villa invita Zapata a sedervisi, però questi si rifiuta. Allora Villa decide di sedersi lui: "é solo per provare cosa si sente", spiega.

In realtà, Zapata sta dicendo che il problema non è chi sta al potere, bensì il rapporto tra governanti e governati. Questa è, precisamente, la parte che noi abbiamo preso da Zapata, ovvero la questione del potere.

L’immagine della bimba è un close-up della foto che sta al principio (del calendario, ndt): un gruppo di donne indigene che gridano con il pugno sinistro in alto. Dietro la bimba vi sono varie donne non giovani; non sono certo delle anziane, ma qui le donne invecchiano presto.

La foto rappresenta il domani. Noi non crediamo che questa bimba affronterà un mondo molto differente dal nostro; noi pensiamo che anche lei dovrà lottare e che noi zapatisti siamo il ponte, la cinghia di trasmissione di una eredità che raccoglierà qualcun altro.

Quanta ribellione vi è in questa bimba! Si ribella come donna, come bambina, come indigena, come essere umano e come lavoratrice. In questa immagine sono sintetizzate molte contraddizioni, molti "altri" e molti "differenti".

La bimba ci dice che ha imparato a lottare e che dietro di lei vi sono coloro da cui lei ha imparato, ovvero gli adulti. Le donne che si vedono dietro di lei, anche se in città sarebbero giovani, qui sono delle adulte per via del lavoro e delle sofferenze. Queste donne sono già delle anziane, persone di età o di giudizio, come si dice da queste parti.

Esse sono il ponte che permetterà alla bimba di continuare a lottare. Non per cambiare il mondo, ma perché continui ad esserci gente che lotta per cambiare il mondo. Noi la vediamo così, questo è il nostro lavoro, siamo indigeni e vogliamo continuare ad esserlo, siamo messicani e vogliamo continuare ad esserlo.

So perfettamente che nel mondo attuale, e soprattutto in Europa, è difficile parlare di nazionalismo. Però, se avete capito quello che ho cercato di dirvi, nel caso del Messico e del Chiapas, essere nazionalisti, ovvero lottare per mantenere la struttura, è lottare contro il neoliberismo.

Ciò non vuol dire che la stessa cosa sia vera ovunque. Sono cosciente del fatto che in Europa il nazionalismo possiede connotazioni fasciste, però in Messico, nel Messico della fine del secolo XX°, è sovversivo. Qui la moda è fare l’internazionale dei soldi ed essere rivoluzionari significa difendere l’idea di nazione opponendosi ai progetti di frammentazione. Ed è precisamente quanto cerchiamo di fare.

Tra Zapata e la bimba ci siamo noi e noi mettiamo tutto in discussione. Anche noi ci mettiamo in discussione: è giusto andare in giro armati? É giusto fare la lotta armata? É giusto fare le cose che facciamo?

Tutto ciò fa parte della nostra maniera di metterci in discussione. Non solo. Siamo anche coscienti del fatto che un esercito è quanto di più assurdo ci possa essere. Un essere umano che è costretto a ricorrere alla forza armata per aver ragione, non è più un essere umano.

Noi non vogliamo un futuro uguale a quello che ci aspetta oggi. E neppure lo vuole questa bambina, lei spera in qualcosa di diverso. Noi non sappiamo come sarà questo qualcosa; lo sapranno quelli che verranno dopo e noi abbiamo fiducia in loro.

Però se c’è una cosa che sappiamo molto bene è che il mondo attuale non ci piace. Non ci piace, non lo meritiamo e non importano le menzogne che possano dire su di noi, né quanti soldati ci mandino appresso. Non siamo disposti a lasciare che le cose continuino in questo modo. Faremo il possibile per cambiare il mondo; non importa se ci riusciremo o no, però siamo sicuri che continueremo a farlo.

Siamo il ponte tra questo passato e questo futuro e viviamo nel Chiapas. Se stessimo nel Kossovo, in Africa, negli Stati Uniti o in Italia probabilmente diremmo altre cose.

 

 

 

 

 

16. Visita al CERESO (Centro de Rehabilitación Social), carcere di Yajalón.

Il giorno 20 novembre, una delegazione di sette membri della CCIODH ha visitato nel Cereso di Yajalón i 25 detenuti raggruppati nell’organizzazione "La Voz de Cerro Hueco".

Siamo stati ricevuti da Filemón che si è presentato come portavoce del gruppo; l’incontro è avvenuto in una delle celle (di circa 4 metri per 3) che hanno quattro brande di cemento e un bagno.

L’amministrazione carceraria non ha permesso l’uso di registratori, per questo il seguente rapporto si basa sulle note prese dagli osservatori.

Filemón: Il governo afferma che vuole riprendere il dialogo, ma ha mentito alla società civile su una presunta liberazione di prigionieri, infatti, noi siamo ancora qui.

Finché restiamo incarcerati, non deve esserci dialogo. Dei sei punti accordati, nessuno è stato messo in atto. Il governo deve rispettare l’impegno di liberarci.

Altro detenuto: C’è molta ingiustizia, i reati sono prefabbricati.

I detenuti affermano che non ci sono prigionieri politici d’altre organizzazioni.

A differenza del carcere di Cerro Hueco a Tuxtla Gutiérrez, le autorità del penitenziario di Yajalón non riconoscono che i detenuti siano organizzati. Un modo di dimostrarlo è quello di metterli insieme ai detenuti comuni. In varie occasioni hanno realizzato scioperi della fame (l’ultimo, dal 2 agosto al 30 novembre 1998). Tuttavia, il governo non ha voluto riconoscere la loro lotta. "C’è un pregiudizio contro gli zapatisti", affermano.

I detenuti a Yajalón sono tutti originari della Zona Norte dello stato del Chiapas. Quasi tutti sono accusati di sequestro, omicidio, furto di bestiame, violenza carnale, ribellione, associazione a delinquere.

Nessuno dei detenuti si riconosce colpevole delle accuse imputategli. Hanno tutti fatto richiesta d’appello per ottenere un riesame della sentenza, ma il giudice non ha ammesso gli elementi apportati per dimostrare la loro innocenza, né la presentazione di testimoni. Secondo la legge, il procedimento per il riesame della sentenza non deve superare i sei mesi, tuttavia in molte occasioni c’è un ritardo della giustizia.

Uno dei presenti manifesta: "Ho presentato dodici testimoni a mio favore. Perfino il padre della vittima, che era testimone a carico, ha escluso la mia colpevolezza. Ma questo non ha cambiato niente e mi hanno dato una condanna a 15 anni".

I detenuti affermano di non aver avuto a disposizione un traduttore, né al momento di rendere la propria deposizione né durante il processo, malgrado essi siano di lingua chol e, in alcuni casi, non abbiano la padronanza dello spagnolo.

I reati per fatti di sangue sono puniti con condanne molto lunghe. I detenuti di Yajalón scontano pene dai 15 anni in su, fino ai 40 anni. Rivelano che al momento della detenzione sono stati picchiati e torturati. Uno dichiara: "A noi quattro che siamo stati arrestati insieme, prima ci hanno accusato di fare politica, di promuovere l’autonomia e poi ci hanno fabbricato il reato comune".

Un altro afferma: "Quando mi hanno arrestato mi hanno strappato le unghie con un tagliaunghie e mi hanno messo una pistola in bocca".

Secondo la legislazione messicana, il detenuto deve firmare la sua deposizione. Rilevano anche i vizi nei procedimenti dei periti che sono praticati da medici legali che sono funzionari del governo e citano l’esempio di prove d’impronte digitali che erano negative al momento dell’indagine e sono poi diventate positive quando la pratica è arrivata in tribunale.

Aggiungono che, nella maggioranza dei casi, è loro assegnato un avvocato difensore d’ufficio, che non conosce il caso né è disposto ad investire tempo ed energie nella difesa del suo cliente.

I detenuti non accettano il cibo preparato in carcere, cucinano i propri alimenti portati loro dai familiari. "Le nostre famiglie stanno soffrendo. Devono mantenerci mentre siamo in carcere".

Spiegano che prima avevano la possibilità di coltivare qualche verdura nella cosiddetta "area verde", ma ultimamente l’amministrazione del carcere ha posto recinti, negando loro l’accesso a quella zona. Questo colpisce molto la loro dieta, giacché le autorità carcerarie non permettono neppure l’ingresso di frutta nel centro di detenzione.

Quanto alla salute, i detenuti si lamentano della mancanza d’assistenza medica. Le medicine non sono fornite e devono pagare per averle.

Per sopravvivere, hanno montato dei piccoli laboratori ma, per lavorare, devono farsi arrivare il materiale dall’esterno. Hanno rapporti, relativamente armoniosi, con i detenuti comuni con cui condividono gli spazi. Tuttavia, insistono con le autorità per essere considerati detenuti politici e organizzati in quanto tali. Questo ha generato tensioni con l’amministrazione del carcere, che in varie occasioni ha minacciato di trasferirli ad un altro penitenziario, smembrando così la loro organizzazione.

Sebbene non riferiscano di percosse, denunciano minacce e insulti da parte dei secondini che dicono loro: "Prima o poi vi spariamo".

Secondo il portavoce, il direttore lo ha ripreso per aver svolto lavoro di divulgazione delle condizioni di detenzione. Ma lui afferma di essere convinto che essere privato della libertà non significa essere privato dei propri diritti.

 

 

 

 

 

17. Visita al CERESO di Cerro Hueco, incontro con i prigionieri membri dell’organizzazione "La Voz de Cerro Hueco"

Tuxla Gutiérrez, 22 novembre 1999.

I prigionieri che hanno potuto incontrare la CCIODH sono: Ilario Gómez Gómez, Juan Maria Castro Sánchez, Juan Gilberto Llámez Jiménez.

Primo intervistato: Dalla formazione del nostro movimento nel novembre 1996, il numero dei detenuti politici è aumentato a più di 85.Ci siamo resi conto che i detenuti che sono usciti negli ultimi tempi non sono stati liberati per volontà del governo. Li hanno fatti uscire dietro cauzione, ma questo significa che i loro processi continuano, poiché sono obbligati a venire a firmare ogni mese od ogni due mesi. Attualmente, i compagni che stanno uscendo sono pochi. La situazione è piuttosto critica. Ci sono dei compagni che stanno qui da quattro o cinque anni. Ci sono state delle irregolarità nelle detenzioni e le condanne sono emesse senza bisogno di alcun elemento per il giudizio. Ci muovono contro imputazioni come sequestro, omicidio, furto, ma è tutto prefabbricato, preparato, non sono vere. Il governo non ha nessuna volontà di risolvere la nostra situazione.

Nel vostro processo è utilizzato come capo d’accusa il fatto di essere membri o basi di appoggio dell’Ezln?

Nei verbali non risulta. Il governo non ci considera detenuti politici perché al momento delle detenzioni, nelle nostre dichiarazioni, abbiamo negato di essere zapatisti. Avrebbero cercato di strapparci, altrimenti, delle informazioni... Ma loro affermano che il nostro primo capo d’accusa è di essere membri dell’EZLN. Il governo ci ha negato la libertà. Ci ha solo fatto promesse di una qualche minima riduzione della pena.

Considerate di aver avuto un processo giusto?

No. Gli accusatori sono sostenuti dal governo. Al momento di esigere prove agli accusatori, non è fatto tutto il possibile e non si presentano. Perché gli accusatori sono protetti dallo stesso governo, dalla polizia. Sono protetti. Non vengono. Non si presentano mai, con il fine di non farci uscire. Questa è la loro strategia.

Da quanto tempo state in questa situazione?

Alcuni di noi da quattro anni. Io sono stato preso nel 1996. Mi hanno incarcerato accusandomi di omicidio. Ma non l’ho commesso. E’ stato un altro. Mi hanno accusato ingiustamente. Quelli che mi hanno fatto arrestare sono gli stessi che hanno distrutto la mia casa. Hanno picchiato me, mia moglie e i miei bambini. Sono stati loro ad accusarmi. Quando raccolsero la mia deposizione, io dichiarai che non potevo assumermi una colpa che non avevo commesso. Non potevo farmi carico di questo. Mi assicurarono che se io ammettevo la colpa, sarei stato in carcere solo otto mesi. Gli annunciai che non era possibile. Le mie mani sono pulite, e non macchiate di sangue come mi accusano. Quando vennero ad accusarmi, uno di loro affermò che mi avevano visto a 300 metri da lì ed incappucciato. Come è possibile che mi riconoscano in quelle condizioni? Un altro testimone sostenne che non mi ha visto, né lui né i suoi fratelli. E allora perché è venuto qua ad accusarmi? Rispose che lo avevano portato lì perché facesse da testimone. Vedete? Ci sono molte contraddizioni. Venne un altro e affermò che gli incappucciati erano 40 e che sul posto trovarono circa 15 bossoli da 9 mm. Gli domandarono dove erano andati gli altri e rispose che non lo sapeva perché era buio. E io sto qui, scontando ingiustamente una pena. Soffrendo io, mia moglie, i miei figli che non possono studiare.

Ma che successe realmente nella sua comunità?

Ci fu un omicidio. Uccisero un ragazzino di 14 anni.

Da quanto tempo è in prigione?

La morte avvenne nel novembre del 1996. Mi arrestarono il 20 marzo. Ma fecero giustizia per conto loro. Vennero a prendermi a casa. E senza motivo. Sulla morte del ragazzino, io ero andato al funerale. Se lo avessi ucciso io, come sarei potuto andarvi? Dissero che sospettavano di me ed eccomi qui, solo per quel sospetto. Venne Noé Castañón, nel ’96, e facemmo resistenza. Mi disse che dovevano rilasciarmi perché non si era provato il mio reato. E da allora, sto ancora qui, aspettando. E quello che fanno loro è pura menzogna. Loro hanno i loro studi, sanno leggere, sono preparati, ma non per quello che servirebbe. Dice Albores Guillén che in Chiapas c’è la pace. Che non succede niente. Non gli conviene che venga fuori la corruzione che c’è. E dicono che questa è una democrazia. Vorrebbero che gli andassimo dietro, ma noi vogliamo che ci sia un cambio di vita. Certo, noi non lo vedremo. Ma i nostri figli sì, lo vedranno. Loro continueranno a lottare. Stiamo fra quattro mura, ma seguiteremo a lottare qui dove siamo.

E a lei, la arrestarono nel 1996. È già stato processato?

Sì. Ho già ricevuto la sentenza. Mi hanno condannato a 30 anni. È così, secondo quello che hanno scritto. Ma io non c’entro. Il signore che mi accusa ha molti soldi. Secondo il giudice di Villaflores, lui ha potuto pagare 30 milioni di pesos per farmi condannare. Ad essere stati incarcerati siamo in tre: io, mio fratello e mio nipote. E un altro su cui pende un ordine di cattura, mio cognato, che però appena ha visto che avevano arrestato noi tre, corse a nascondersi.

Perché crede che vi hanno fatto quest’accusa, per invidia, per motivi politici?

Per motivi politici. Perché io sono di un’organizzazione che si chiama Francisco Villa. È per questo che mi hanno accusato. Però nella deposizione non lo abbiamo detto, perché ci poteva pregiudicare. Molti compagni della nostra organizzazione sono stati uccisi. Vogliono farla finita con le nostre organizzazioni ma non ci riusciranno, perché non siamo due o tre, siamo molti. Per questa causa siamo qui. Molti di noi qui a Cerro Hueco siamo nella stessa situazione. È un peccato che ci sia tutta questa corruzione nello stato del Chiapas. Per loro è un vero affare. Noi stiamo lottando per un cambio di vita. Quelli di cui si sono provati i reati, non stanno dentro più di una settimana. Poi li liberano. È il caso di Ruiz, che è stato assassinato. Hanno preso il suo assassino e dopo cinque giorni lo hanno rilasciato, perché aveva soldi. Cosicché i ricchi stanno là fuori e noi poveri contadini siamo rinchiusi qui dentro perché non abbiamo soldi. Do questa testimonianza perché la possiate registrare: la corruzione che c’è in Chiapas. Per i poveri il carcere, per i ricchi la libertà. È tutto.

Secondo intervistato: Questo della corruzione è vero. Io sono stato arrestato perché sono andato a trovare due compagni che erano stati fermati. Era una trappola. Le dichiarazioni dicevano che erano degli illegali guatemaltechi. Io ho chiesto dove avevano portato i due compagni. Che n’era stato di loro? Allora mi hanno preso e mi hanno portato in una stanza, puntandomi la pistola. Mi hanno detto che dovevo rimediare 200.000 pesos per far liberare i miei due compagni e, se non li rimediavo, avrebbero arrestato anche me. Ho risposto che non avevo soldi. Mi hanno messo di fronte a due guatemaltechi e mi hanno detto di accusarli come trafficanti. Ci hanno rinchiuso in una stanza per quattro giorni, senza mangiare né bere, senza poter telefonare. È poi stato che quelli che cercavano, i veri colpevoli, avevano soldi e, dopo aver pagato il Pubblico Ministero di Palenque, li avevano lasciati liberi mentre a noi siamo stati incarcerati. In realtà, questa gente con cui mi hanno rinchiuso stava andando a lavorare a Villahermosa. Era tutto molto strano fin dal principio. Sembrava tutto montato per estorcere soldi. Io li ho difesi, dicendo loro che non avevano colpa di niente. Non è vero che erano degli illegali. Ci hanno arrestato e portato qua. Siamo sotto processo. Ci hanno arrestato nell’agosto di quest’anno. Siamo membri dell’organizzazione Chomán di Altamirano e basi d’appoggio dell’EZLN. Ci hanno teso questa trappola per motivi politici. I delitti sono prefabbricati. Quando ci chiamano a deporre, gli accusatori non si presentano perché temono che diciamo la verità. E così qui a Cerro Hueco siamo in 34 detenuti e, in questo modo, possono passare degli anni, tenendoci qui rinchiusi., malati, ci sono spesso epidemie.

Come è qui l’assistenza medica?

Da parte del governo non c’è alcun’assistenza medica. Noi, come organizzazione, possiamo essere visitati da una dottoressa che viene ogni tanto. Ma non ha accesso ai medicinali.

Come sono le comunicazioni con l’esterno?

Abbiamo diritto ogni settimana ad alcuni giorni di visita. Possiamo fare telefonate ma non riceverle.

Come fate con il cibo?

Si può scegliere fra la cucina del governo, che è una volta al giorno, o ricevere 460 pesos al mese per comprare alimenti e cucinarli da noi. Per cucinare abbiamo due fornelli. È poco, dobbiamo limitarci. Con quei soldi dobbiamo anche pagarci le telefonate, il sapone, i vestiti, tutto. È solo da quando abbiamo costituito l’organizzazione "La Voz de Cerro Hueco" che riceviamo un trattamento normale. Ci hanno rispettato. Non ci privano dei nostri diritti e ascoltano i nostri reclami. La nostra organizzazione è abbastanza grande: è nazionale ed internazionale.

Come organizzazione, avete diritto a riunirvi?

Sì, possiamo riunirci, chiedere appoggio ad altre organizzazioni. Attualmente, come organizzazione, ci siamo dichiarati in resistenza.

Che cosa significa esattamente? Cosa chiedete e cosa fate?

Ci siamo dichiarati in resistenza e in ribellione. Qui ci contano due volte al giorno, alla mattina e alla sera. Ora ci neghiamo. È una forma di esprimere la nostra protesta giacché il governo, i tribunali e il procuratore generale dello Stato non ascoltano le nostre richieste, le nostre denunce. Denunciamo che non si dà il trattamento adeguato ai nostri casi, che ci ingannano sulla nostra libertà. Cerchiamo di fare pressione in questo modo. È una resistenza ad oltranza. Se non si otterrà una risposta, adotteremo un’altra misura di resistenza. La prima volta che abbiamo fatto resistenza ci hanno fatto problemi. I funzionari hanno cercato di aggredirci, hanno minacciato di sgomberarci dal locale dove stavamo. Potrebbe succedere ancora.

In questo carcere ci sono in tutto 277 detenuti. Voi siete 34. Qual’è il vostro rapporto con gli altri detenuti?

Qui, noi tre rappresentiamo "La Voz de Cerro Hueco". I rapporti sono normali, andiamo d’accordo. Le celle sono di circa 50 mq l’una, ci stanno 120 detenuti. Noi de "La Voz de Cerro Hueco" abbiamo un nostro locale. Abbiamo due locali di circa 25 mq l’uno. Non abbiamo materassi. Solo dei pezzi di cartone che mettiamo sopra a delle lastre di cemento.

Avete avuto l’assistenza di avvocati per presentare appello?

No. La nostra organizzazione ha un avvocato, ma sta curando solo alcuni casi. La maggioranza di noi dipende direttamente dal rispettivo tribunale. A volte, ne vengono alcuni che si interessano ai nostri casi, ma non abbiamo di che pagarli, allora, non ci resta che aspettare. Nel mio caso, ho subito un processo nel 1996 e mi hanno dato una condanna a 13 anni. Ho presentato una richiesta d’appello. L’autorità ha revocato la sentenza e ricominciato il processo, dicendo che mancavano degli elementi da considerare. L’avvocato che mi ha assistito è venuto da parte dei miei genitori e ha iniziato il riesame nel ’97. Sono stato accusato di omicidio, successo nella mia comunità. È stata una signora della comunità ad accusarmi, ma mi sono reso conto che lei lo aveva fatto perché aveva subito pressioni. Ancora oggi sto sollecitando un confronto con la persona che mi ha accusato, ma non si è presentata e così non si può fare niente: e questa è la situazione di molti altri detenuti. C’è un compagno che è stato processato tre volte per lo stesso reato. La prima volta è stato condannato a 19 anni. La seconda gli hanno diminuito la condanna a 12 anni e sei mesi. Ha presentato di nuovo richiesta di appello ed ora sta aspettando la nuova sentenza. Vediamo quindi che per i nostri casi non esiste soluzione per via giudiziaria, ma solo per via politica. Il governo dice che non ci sono detenuti politici. Ma non è vero. Le ragioni principali per cui siamo qui sono politiche. Per essere basi d’appoggio zapatiste. Non gli importa che divulghiamo la nostra situazione, poiché non gli interessa affrontarla politicamente.

Il governatore ha detto che non ci sono detenuti politici. Hanno detto che la settimana prossima dovrebbero uscire altri zapatisti.

Questo lo dicono sempre. Ogni settimana fanno pubblicità dicendo che si stanno occupando dei casi dei detenuti. Ma è una menzogna. Alcuni sono usciti perché hanno scontato la condanna, oppure su cauzione. Nessuno è uscito per il riesame del suo caso. Il ministro degli interni fa una lettera per dare ordine che si liberino i prigionieri del Chiapas. Il governo, a partire da questa lettera, ne approfitta per liberare alcuni detenuti di cui si fidava o cui già toccava uscire, per giustificare la buona volontà del governo rispetto alla liberazione dei detenuti. Però è stata solo una strategia per i mezzi di comunicazione.

Avete qualche petizione specifica che possiamo trasmettere o qualche messaggio generale?

Ciò che vogliamo è la libertà. Il riesame dei nostri processi. Che non ci dicano menzogne. Per questa causa ci dichiariamo in resistenza. Siamo più di 100 detenuti politici, basi d’appoggio e simpatizzanti zapatisti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

18. Incontro con i prigionieri rilasciati dal carcere di Cerro Hueco

La sera del 19 novembre sei membri del collettivo "La Voz de Cerro Hueco", rilasciati il giorno prima dal carcere di Tuxtla Gutierrez, si sono incontrati con la CCIODH nella Casa del Fideo, a San Cristóbal de Las Casas. Quanto segue è la trascrizione del loro intervento.

Primo portavoce: Bene, parlerò del mio caso: sono un membro del Consiglio Autonomo in Ribellione "Tierra y Libertad". Avevo l’incarico di Presidente di questo consiglio e proprio per questo mi hanno arrestato durante l’operazione governativa avvenuta il primo maggio del 98 e solo ieri, in questo mese di novembre, il giorno 18, ho ottenuto la mia libertà dopo 18 mesi di cui sono stato privato. Questo è avvenuto nell’ambito della proposta del ministro degli interni (Segob), del signor Diódoro Carrasco, e crediamo, in quanto lotta indigena per l’autonomia dei popoli indios, che sia stata fatta per far credere al mondo, ai paesi internazionali e a tutta la popolazione civile che stia avendo fede a questa proposta. In questo momento noi, e a titolo personale come membro del Consiglio Autonomo, chiariamo che in questa proposta dove si annuncia che saranno liberati i prigionieri, basi d’appoggio e simpatizzanti dell’EZLN, che non siano coinvolti in fatti di sangue, in realtà tramite i mezzi di comunicazione a livello locale, nazionale e internazionale, il governo vuole far credere che sta mantenendo questa proposta, affinché ci siano i dialoghi di pace, mentre è tutto il contrario. Gli unici ad aver ottenuto la libertà, tra tutti i 91 prigionieri dei municipi autonomi, siamo noi. Di per sé nessuno di noi ha commesso un reato, neppure i compagni che sono ancora in carcere e mai, siamo assolutamente convinti del fatto che noi, persone delle comunità autonome, mai saremo dominati da questo governo. Crediamo si tratti di un’altra menzogna, come quella che c’è dietro alla nostra liberazione, poiché tanti compagni restano invece nelle carceri del Chiapas. Nel caso specifico dell’organizzazione "La Voz de Cerro Hueco" sono rimasti nel carcere di Cerro Hueco 34 prigionieri, 30 a Yajalón, 5 prigionieri a San Cristóbal de las Casas, 3 ad Acuancinco, 2 a Tacotal nel Tabasco, per un totale di 74 prigionieri, detenuti ingiustamente, che rimangono privati della loro libertà. Si tratta quindi di una trappola messa in atto dal governo che, al momento del riesame di un caso, guarda dove ci sono stati fatti di sangue, una cosa architettata per farci restare giuridicamente in carcere, senza poter uscire, perché? È preparata proprio per farci restare dentro.

Nel nostro caso, in quanto membri dei municipi autonomi, ci hanno accusato d’usurpazione di funzione pubblica, ribellione, falsificazione di documenti, ma noi questi reati non li abbiamo commessi: ad esempio il reato di privazione illegale della libertà. Noi non stiamo assolutamente usurpando delle funzioni perché abbiamo avuto la nomina dai villaggi e noi obbediamo al mandato della nostra gente, ai voti, alla fiducia che la nostra gente ci ha dato; noi obbediamo al principio "comandare obbedendo". In qualunque momento noi si commetta un errore la gente dei villaggi ha il diritto di correggerci perché ci conosce, per questo noi come popolo sappiamo scegliere i nostri rappresentanti, le nostre autorità e quando questi commettono degli errori sappiamo anche correggerli, se sono gravi sono sostituiti immediatamente con altri, non esistono pretesti perché rimangano in carica.

Lo dimostriamo così al governo, al sistema, con il fatto che possiamo amministrare la giustizia tra noi, come indigeni, rispettando gli usi e i costumi di ogni gruppo etnico che esiste in Chiapas e in Messico, e anche nel mondo. Proprio per questa situazione, ci fa piacere essere qui con voi ora affinché portiate personalmente e in modo diretto il nostro messaggio, che è quello che fino ad ora la proposta governativa non è stata mantenuta. La possibilità, quindi, che siano ripresi i dialoghi di pace in Chiapas è molto lontana. In quanto municipi autonomi è chiaro che come popoli indigeni siamo sostenuti dalla Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani, nel suo articolo 39; dalla Convenzione numero 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e dagli Accordi di San Andrés, firmati tra il Governo Federale e l’EZLN il 16 febbraio 1996. Allora, mentre ci teneva in carcere, il governo mette in atto la trappola di incrementare i suoi propri municipi nei territori dei municipi autonomi, allo scopo di creare uno scontro tra popoli indigeni, facendo credere al popolo che stesse applicando gli Accordi di San Andrés, facendo invece tutto il contrario. È evidente che sta calpestando questi accordi, che si è pentito degli impegni presi con il popolo, i mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali, la società civile, le organizzazioni sociali indipendenti a livello locale, nazionale ed internazionale. Vi hanno partecipato uomini e donne affinché questi accordi fossero fatti apertamente, fossero conosciuti. Non si è trattato di un accordo firmato in clandestinità ma sotto gli occhi di tutto il popolo. Per questo noi popoli indios ci basiamo davvero su questi accordi, lavoriamo per attuarli, per questo motivo siamo in carcere, essi vanno a distruggere tutte le infrastrutture in quei consigli autonomi che sono stati smantellati; è evidente che possono smantellarli tutte le volte che vogliono, pareti, mobili, archivi, tutto, ma con le persone, con noi, non possono farlo, non con la nostra coscienza. Quando creammo i municipi autonomi, e la società civile prese immediatamente questa decisione, lo facemmo per una necessità, non per volerci separare dal Messico, non per dividere il paese, né il Chiapas, ma come una necessità degli indigeni, disprezzati nel loro modo di esprimersi, perché non lo fanno bene in spagnolo, discriminati per mancanza di denaro, per non poter pagare e quindi essere registrati, perché per essere in regola in questo sistema devi avere denaro. Situazione che è sovvertita totalmente dai municipi autonomi; l’amministrazione di base avviene senza costo alcuno e per questo il popolo la cerca. Ai municipi autonomi, ad esempio al nostro, "Tierra y Libertad", si rivolgono a noi priisti, perredisti, simpatizzanti dell’EZLN, organizzazioni sociali... per noi non c’è alcuna distinzione, per noi sono i nostri fratelli, siamo compagni e quindi dobbiamo dare lo stesso servizio a qualunque persona, a qualsiasi messicano.

È importante che questo messaggio lo portiate con chiarezza perché è evidente che i media locali e nazionali sono manipolati dal sistema. Quindi la vera situazione dei popoli indios non la diffondono perché invece di riconoscere i nostri diritti in quanto popoli, da una parte abbiamo i militari che distribuiscono gli aiuti, dando consulenze e tagliando i capelli, che non è poi il loro lavoro, e dall’altra sono sbattuti in galera i simpatizzanti dell’EZLN, gli attivisti sociali e tutto ciò dimostra che mentre distribuiscono beni, di nascosto mettono in carcere gli attivisti sociali e non si cambia pagina. Noi siamo limpidi, noi che abbiamo subito il carcere solo per essere stati nominati dai nostri popoli. Questo è il nostro unico delitto, questo è il nostro unico reato e per questo hanno falsificato i documenti, ma è chiaro che non è stato un reato, siamo sì stati messi in carcere ma non riusciranno mai a sottometterci, continueremo fermi nel lavoro che il popolo ci ha dato da svolgere. La guerra di bassa intensità è anche distribuire pacchi alimentari, qualche soldo, il PROCAMPO…, distribuire quei 100 pesos perché si voti il PRI..., avendo il controllo sulla gente priísta, ingannando il popolo, tutto questo è parte della guerra di bassa intensità. Costruendo strade dove non serve, come nel caso della comunità Amador Hernández, e in altre regioni situate nella zona del conflitto. Mentre anche nelle città c’è povertà, ci sono zone in cui le cose vanno veramente male, però il governo in questo momento vuole colpire qui in Chiapas per provocare un conflitto tra noi indigeni e internazionalmente fa risultare che sventola la bandiera della pace e tranquillità, affermando che non è lui a provocare, ma che si tratta di un conflitto interno tra una comunità e l’altra, che è un conflitto intercomunitario e chiunque non abbia messo piede in questa terra del Chiapas, lo crede davvero. Per questo ora vi chiedo espressamente di portare con voi, con queste parole, il nostro messaggio diretto. Ora, ad esempio, i prigionieri rimasti a Cerro Hueco oppure nei penitenziari esistenti in Chiapas, nessuno di noi crede che è in atto una risposta da parte del governo. Ci sono cinque condizioni minime affinché riprenda il dialogo: queste cinque condizioni, invece di essere accolte dal governo, questi le attacca. Queste cinque condizioni sono state espresse prima dello smantellamento dei municipi autonomi; allora, invece di risolvere questi cinque punti, il governo, prima ci prende per portarci in carcere e, poi, ci restituisce la libertà per annunciare che sta mantenendo fede ad una parte delle cinque condizioni, cosa che è in realtà una falsità, una menzogna, ma, ripeto, per tutti coloro che non stanno calpestando questo suolo, la realtà che si vive in questo stato, che viviamo noi indigeni, lo credono davvero. Per quanto riguarda le lotte degli indigeni, per quelle di qualsiasi messicano o di qualsiasi essere umano anche a livello internazionale, credo siano giuste. Tutti vogliamo un pezzo di terra, tutti vogliamo un lavoro, tutti vogliamo un buona istruzione, una buona salute, tutti vogliamo cibo, un tetto, vogliamo indipendenza, vogliamo democrazia, una pace vera. Una pace vera e duratura per noi in quanto popolo. Vogliamo informazione, essere informati anche perché a volte non sappiamo quello che succede, che anche le nostre culture siano tenute in considerazione, perché le nostre culture ogni giorno sono sradicate e ogni giorno vogliono inculcarci altre idee. Idee per farci cadere in errore, nella menzogna del governo. Anche se in realtà noi non saremo mai convinti da queste menzogne. Questo volevo dirvi, e vi ringrazio per essere qui in questo momento e per lo spazio che avete dato alla visita di altre regioni. Ne approfitto per ringraziarvi e spero che il nostro messaggio arrivi dove deve arrivare. Grazie di cuore.

Secondo portavoce: Bene, abbiamo già ascoltato le parole del compagno presidente del Consiglio Municipale "Tierra y Libertad". Anche noi, come membri, abbiamo lavorato per un anno nel consiglio. Durante quell’anno abbiamo esercitato funzioni politiche, il nostro lavoro è politico, non è cercare la violenza. In quel periodo abbiamo dimostrato che possiamo autogovernarci, risolvere i nostri problemi, le nostre necessità e di tutte le comunità che ci hanno concesso la loro fiducia. Nessuno, nessuna persona di un’altra regione, è stata forzata od obbligata a farne parte o ad appoggiare il nostro movimento. Sono loro a venire da noi. Perché vengono? Hanno osservato bene il nostro lavoro, la nostra rettitudine verso di loro, dicendo loro la verità, non ingannandoli. Allora questo, diciamo che questo è il reato che abbiamo commesso. I signori Zedillo e Albores Guillén, hanno raccontato in televisione un sacco di balle, noi li abbiamo sentiti mentre eravamo nel carcere di Cerro Hueco. Ci faceva ridere quando diceva che in Messico esiste la libertà d’espressione, e ci siamo chiesti: come è possibile che ci sia libertà d’espressione? Che esiste ogni genere di opinione politica e chi vuole può…ma, come è possibile se noi siamo stati incarcerati per le nostre idee e il nostro lavoro politico? Allora questa è una menzogna, lui cerca di confondere l’opinione pubblica nazionale ed internazionale... che in Messico esista una totale libertà. Noi lo abbiamo vissuto e lo abbiamo visto, questa è una menzogna bella e buona. In Messico la libertà di espressione, le libertà politiche, tutte quelle che uno vuole esprimere non esiste. Tutto quello che lui vuole è che esista una libertà che vada a suo favore, allora sì. Però lui sa molto bene che noi non siamo a suo favore, stiamo contrastando la sua politica, allora dato che questo a lui non piace ci prende e ci affibbia i reati di sequestro e ci sbatte in galera. Per esempio, quando ci hanno arrestati, a Saúl hanno detto che ci avrebbero condannato a 40 anni di prigione perché eravamo dei delinquenti, ma noi sappiamo bene che la nostra lotta è giusta, tutto il popolo messicano ha bisogno della nostra lotta e abbiamo ricevuto una grande fiducia da tutta la società civile nazionale ed internazionale. Grazie al vostro appoggio non ci siamo fatti tutti gli anni che loro avrebbero voluto, davvero, siamo usciti, ci siamo stati pochi mesi, non quarant’anni e neppure 40 mesi, è stato molto meno. Sappiamo di avere forza politica perché sappiamo lottare, il governo con la politica non ce la fa, si è sconfitto da solo perché invece di risolvere i problemi del Chiapas e del Messico attraverso la politica li vuole risolvere con i militari, i poliziotti di Seguridad Pública e quelli giudiziari, federali e statali...riempiendo tutti i villaggi del Chiapas. È molto evidente che il governo non ha la capacità di risolvere la questione. Noi invece possiamo dimostrarlo perché continuiamo a lottare, come vi abbiamo già detto, siamo stati incarcerati ma durante tutti quei mesi non abbiamo avuto un solo cedimento nella lotta. Per tutto il tempo abbiamo detto: continueremo a lottare, anche qui in carcere possiamo farlo e appena usciremo continueremo la lotta, e così è stato, è la nostra parola perché il popolo del Messico lo chiede e noi ci sentiamo impegnati con tutti loro. Continueremo a lottare insieme con voi e a tutta la società messicana, e supereremo questa situazione.

Terzo portavoce: Compagni, compagne: riprendo quanto già detto dagli altri compagni, che siamo stati prigionieri per 18 mesi, soffrendo in carcere per parecchi problemi, per i reati che il governo ha accumulato su di noi per il semplice fatto di essere degli attivisti sociali, dei simpatizzanti o basi d’appoggio dell’EZLN o di altre organizzazioni di cui sono parte altri reclusi del collettivo "La Voz de Cerro Hueco".

Il governo, e lo sappiamo bene che è molto astuto, ha inventato questi reati per tenerci lì, sapendo bene però che si trattava di un pretesto per privarci della libertà. Alcuni compagni sono in carcere da quattro o cinque anni senza aver ottenuto ancora una sentenza, li tengono lì, per privarli della libertà, e ora che noi abbiamo ottenuto la libertà per un non luogo a procedere emesso dal procuratore, anche se il processo giudiziario era già terminato, quindi in un modo o nell’altro eravamo già in attesa della nostra libertà, però, il governo di Albores, che se ne lava le mani, ci concede la libertà come se stesse mantenendo una delle cinque condizioni minime per la ripresa del dialogo. Sappiamo bene che non è così, perché? Perché i compagni cui è stato montato bene il reato, con fatti di sangue, sono rimasti in carcere. Noi che apparteniamo ai municipi autonomi sappiamo per cosa abbiamo ottenuto la nostra libertà e siamo disposti a continuare la lotta.

Ci hanno tenuti prigionieri per 18 mesi. Hanno potuto incarcerare il nostro corpo ma non sono riusciti ad intimidirci, continuiamo ad essere disposti, se necessario, ad offrire la nostra vita. Sappiamo bene che quando qualcuno muore lottando, non muore ma continua a vivere nel cuore e nella mente dei vivi. Quindi, per noi, stare in prigione per 18 mesi è stato un apprendistato e un’esperienza in più da cui ci siamo resi conto di come agisce questo mal governo. Ieri alle quattro del pomeriggio, quando ci hanno rilasciato, da quel momento e da molto prima avevamo progettato che mai ci saremmo arresi o tirati indietro ma avremmo continuato, poiché sappiamo bene che una lotta non si vince dalla sera alla mattina. Abbiamo l’esempio di molti paesi che sono stati in guerra tantissimi anni, di molti fratelli che hanno dato la vita in tanti paesi e anche nel nostro stato, nel nostro paese, il Messico, allora anche noi, in quanto membri del municipio autonomo "Tierra y Libertad" siamo disposti a proseguire la lotta, ad andare avanti affinché un giorno si realizzi il cambiamento sociale. Il cambiamento di cui abbiamo bisogno tutti noi messicani e messicane perché siamo stanchi, siamo stufi del modo di governare degli attuali governanti. Diversi compagni sono stati arrestati solo per il non appartenere al partito PRI, per essere parte del partito di opposizione, il PRD, quindi per noi è una dimostrazione in più del mal governo e siamo disposti a lottare ancora, fino a quando sia possibile poiché sapevamo dal principio quali sono gli obiettivi principali di una lotta sociale. Quindi, noi che abbiamo ottenuto la libertà abbiamo dovuto affrontare diversi ostacoli, il governo ha detto di aver liberato molti dei nostri compagni ma in realtà sono usciti sotto cauzione o costretti ad andare a firmare ogni otto giorni o una volta al mese. Quindi il governo vuole far credere all’opinione pubblica di averli liberati ma non è vero poiché, se non si presentano a firmare una sola volta, li manda a prendere di nuovo e li riporta in carcere, si tratta quindi di un altro inganno far credere di liberare molti compagni. Ci rendiamo conto che Ernesto Zedillo, nelle visite che ha realizzato in molti paesi, dà un’immagine molto bella, ma quando voi venite qua nel nostro stato, nel nostro paese, vi accorgete della menzogna che ha diffuso dappertutto: davanti a molti governanti e personalità il governo fa bella figura, ma quando voi vedete con i vostri occhi, vi rendete conto della situazione che stiamo vivendo e soprattutto chi di voi è andato nelle comunità del Chiapas si è accorto della sofferenza delle famiglie campesine. Noi siamo stati prigionieri per 18 mesi ma come noi anche le nostre famiglie, i nostri figli sono prigionieri perché hanno sofferto più di noi, perché oltre ad aver messo noi in carcere le nostre famiglie sono state minacciate dall’esercito, nelle nostre case e sono stati perseguitati in modi diversi; questo per noi è stato problematico, e ora che siamo liberi non ci tireremo indietro e lo ripeto: siamo disposti ad andare avanti e fino a dove sia possibile, sempre e quando Dio ci conceda la vita. Questo è quanto volevo dire.

Rappresentante de "La Voz de Cerro Hueco": Scusate ma, ora, siamo attesi dalla stampa. Tutti loro sono stati rilasciati ieri e molti sono stati reclusi per 18 mesi, due di loro 2 anni e 42 giorni e uno, l’unico che ha avuto la sentenza, ci è stato detto che non poteva essere compreso nel beneficio della procura. Allora non ci muovemmo di lì, non mollammo né con la procura né con il tribunale, fino a quando arrivò per fax il documento del rilascio per tutti e sei i compagni. In questo modo si riuscì ad ottenere la liberazione di questi sei compagni che per l’ingiustizia hanno dormito in terra, bevendo acqua sporca come hanno sempre fatto, e sono riusciti ad organizzarsi là dentro, avevano i loro propri medicinali e così via. Lui è Ruben Salazar Guillén, Aureliano López Ruiz, Ernesto López López, Gilberto Robledo López, Juan Esteban Castro Cruz e José Luis Vidal. Sono riusciti ad ottenere la libertà grazie alla lotta, loro l’hanno detto: restano dentro molti altri compagni, e per questo continueranno a lottare e parleranno anche per gli altri compagni che restano privi della loro libertà. Il governo, la procura, il tribunale e l’esecutivo stanno dicendo in questi giorni che saranno prese in considerazione altre possibili liberazioni, però anche se ci sono state dette queste parole, noi continueremo ad esigere questa libertà che tutti si meritano, sono troppi anni che sono lì dentro e ora sapete in quali condizioni. Non ci resta altro da fare.

 

 

 

 

19. Municipio Autonomo Tierra y Libertad, incontro con i suoi rappresentanti.

San Cristóbal de las Casas

Primo rappresentante: Mi chiamo Javier Córdoba Hernández. Sono venuto qua per fare soprattutto una denuncia di quanto è successo in questi giorni all’ejido El Portal. Il fatto specifico è avvenuto il giorno 2 novembre. È intervenuto il commissariato ejidal insieme al suo direttivo, obbligando con la forza gli ejidatarios ad andare a compiere la distruzione di case, soprattutto di una che è stata completamente demolita. Anche altre case, di proprietà di una decina di compagni, sono state danneggiate: ad alcune hanno demolito il tetto, ad altre l’hanno bucato in più punti. Questo fatto, vogliamo sia denunciato non solo in ambito nazionale, ma anche internazionale, affinché tutto il mondo sappia che tipo di persone sono quelle del PRI. Allo stesso tempo, che le autorità vedano di fare qualcosa poiché la gente continua ad essere obbligata a fare cose che da sé non farebbe. Quello stesso giorno in cui hanno distrutto la casa al compagno, sono stati tutti citati. Quei compagni nostri che non sono voluti andare a distruggere quella casa, perché non se la sentivano di commettere una cosa simile, ora stanno subendo delle pressioni. Non hanno voluto avere niente a che fare con questa faccenda e sono partiti per Comalapa, ma, al loro ritorno, volevano obbligarli a porre la loro firma, come se, anche loro, avessero partecipato all’abbattimento della casa. I compagni si rifiutarono di nuovo e per questo fatto, per non aver consentito a porre la loro firma, sono stati minacciati che, un giorno o l’altro, capiterà la stessa cosa anche a loro: le loro case saranno distrutte. La casa in questione era stata completamente distrutta, è stata bruciata con tutto quanto aveva al suo interno e la famiglia di questo compagno è rimasta in mezzo alla strada, senza più niente. Inoltre, stanno chiedendo a tutti loro tremila pesos per avere il permesso di restare nell’ejido, quando hanno sempre collaborato, ma, questa volta, si sono rifiutati, non hanno voluto partecipare a queste ingiustizie. Stanno però stringendo sempre più il cerchio su di loro ed è possibile che, oggi o domani, succeda di nuovo la stessa cosa. Ecco, questo è quanto volevo dirvi sull’ejido El Portal.

Scusi, ma avremmo bisogno di avere dei dati più completi; conoscete le persone che hanno appiccato il fuoco alla casa, i loro nomi e se si tratta di priisti?

Delmar Herrera, lui è il presidente del commissariato ed è lui a manovrare tutto, tutto.

E sono priisti?

Sono priisti.

Sono, oppure no, dei paramilitari?

Bene, sono loro stessi che li proteggono e che danno opportunità all’esistenza di paramilitari nella zona.

Qual è il nome della famiglia cui hanno incendiato la casa?

Non ho qui con me i dati completi, ma lui si chiama Rolando. Rolando è il nome del capofamiglia.

Fanno parte delle basi d’appoggio zapatiste?

Sì, sono basi d’appoggio.

Si è trattato, quindi, di una vendetta politica?

Sì, proprio di questo.

Altro portavoce: Lo stesso commissario ejidal aveva sparato al compagno.... Fu proprio lui, quello ancora in carica, a sparare ad un compagno.

Frontera Comalapa fa parte del municipio autonomo?

El Portal fa parte di Comalapa, ma noi apparteniamo ad Amparo Aguatinta.

Non sapete il cognome?

Di Rolando, no. Vogliamo sappiate che noi siamo dei desplazados. Io, per due anni sono stato anche incarcerato, per un problema avuto in questo senso. Eravamo dei desplazados e lo siamo ancora. Vorremmo tornare nelle nostre case ma non possiamo a causa di problemi politici e, per questo, non ci fidiamo a tornare perché possono fare qualcosa contro di noi, con la legge non hanno potuto ma usano altri sistemi.

Ad un altro compagno hanno bruciato la casa e tutte le sue cose, ora non sa più dove andare. Dice la stessa cosa che direi io: a che scopo, dove vado se non ho un altro posto? Per questo lui mi ha raccomandato di trovare il modo di denunciare il commissario ejidal, quello di Paso Hondo, colui che ha realizzato l’azione, affinché gli paghi la casa e tutto quanto c’era al suo interno. Poi, anche un’altra compagna, che è lì fuori, è una desplazada. Le hanno portato via la casa, là, nello stesso ejido. Questa compagna vive da sola e le hanno fatto questo per il semplice fatto d’essere base d’appoggio dell’EZLN.

Quanti sono i desplazados?

Sono loro, i tre di Paso Hondo. Sono tre famiglie, anzi, sono quattro.

Potremmo chiedervi come sapete che sono stati quelli del commissariato? Vi hanno partecipato direttamente, li avete visti?

La faccenda di Paso Hondo? Sì, fu il commissariato, non so come si chiama il commissario…ma sono stati lui e la sua gente, è stato così, è comprovato. Anche a Paso Hondo il commissario guidava la formazione. La stessa cosa è successa alla persona cui hanno sparato, è successo così, erano faccia a faccia e ha potuto vedere tutto.

C’era anche Seguridad Pública?

Ah. Sì, era lì ma non è intervenuta. Gli agenti fungono da mandanti e i paramilitari vanno davanti a loro, imbracciano le armi e avanzano di corsa. Corrono davanti a Seguridad Pública con le armi in pugno e questi non dicono loro niente. Noi vorremmo che questa cosa si risolva, sono già passati due anni e non è stato fatto niente…

Perché, se tutti avete presentato denuncia, non ci sono stati sviluppi nel caso e non ci sono stati arresti?

Non c’è stata nessuna risposta. Noi vorremmo che, per lo meno, i commissari siano ritenuti i diretti responsabili. Sono loro i capi della comunità. È lui, diciamo, quello che comanda; quelli che hanno partecipato erano in parecchi, ma il diretto responsabile è il commissario, per il fatto di dirigere la comunità. Non ci sono storie, a tutti loro deve essere applicata la legge.

Altro portavoce: Sono stati quelli del commissariato. Nel caso di El Portal è stato il commissario, era lì con la sua pistola, nel bel mezzo del giardino, davanti al palazzo municipale e nessuno ha detto niente.

E il caso del signore che è stato ferito d’arma da fuoco?

Noi vorremmo che voi dei diritti umani interveniste in questa faccenda e ci diate una mano. Noi siamo persone povere, non abbiamo modo di fare pressione, perché per fare una normale causa serve un anticipo di almeno diecimila pesos, perché l’avvocato inizi. Noi non possiamo, per questo siamo venuti a denunciarlo a voi, sperando che ci diate una mano, principalmente per il caso accaduto al compagno cui hanno sparato, nell’ejido di El Portal. Vorremmo proprio che ci diate una mano, vedendo se potete far comparire davanti alla giustizia il commissario e convincerlo a pagare tutti i danni. Poi, che facciate qualcosa anche per aiutare quest’uomo a sopravvivere perché è rimasto invalido, ha perso l’uso di una mano ed è senza una gamba. Come potrà lavorare? No, non può farlo, non potrà più lavorare. Siamo venuti a vedere soprattutto questa cosa. Approfittando di ciò, vi esponiamo anche il caso di cui abbiamo parlato, quello di Pozo Hondo, perché ve ne occupiate e facciate comparire in tribunale anche questo commissario. Infine, il fatto del compagno di El Portal, affinché gli ricostruiscano la casa e lo indennizzino di tutto quanto ha perso nell’incendio. Questo è quello che vogliamo. Vorremmo poi dirvi alcune cose che riguardano la nostra organizzazione. Soprattutto chiediamo rispetto perché ognuno ha il diritto di prendere le sue decisioni. Nessuno può essere costretto con la forza ad appartenere a un partito politico, ma è una cosa che riguarda la volontà di ogni persona. Se io voglio fare parte di un’organizzazione, nessuno me lo può impedire, perché così afferma la Costituzione messicana. Per questo vogliamo che ci rispettino, come noi rispettiamo loro.

Quanto possiamo fare noi è raccogliere la testimonianza e, chiaro, questa sarà consegnata anche al governo, alla PGR, e via dicendo. Quindi la denuncia ci sarà.

Bene. Questa cosa la vedremo noi, quella relativa agli avvocati, di fatto oggi stiamo andando a Tuxtla. Vi ringraziamo…

Incontrerete qualcuno a Tuxtla?

Andiamo ad accompagnare il compagno che è stato ferito, perché presenteremo denuncia e, per questo, abbiamo bisogno che sia presente dovendo firmare lui gli atti.

Vi ringraziamo ancora per essere venuti fino qui; vogliamo annunciarvi che esporremo con molto piacere il vostro caso e che, dato che non abbiamo potuto visitare Amparo Aguatinta, in questo modo ci avete permesso di avere la vostra testimonianza.

Anche noi vorremmo dirvi di farci il favore di presentare denuncia davanti all’opinione pubblica o ai mezzi di comunicazione, affinché la nostra dignità sia rispettata. Ossia, noi torneremo nella nostra comunità, siamo dei desplazados e non vogliamo che ci succeda qualcosa di simile, che ci facciano pressione, che ci vogliano tradire. Vogliamo che facciate sapere questo all’opinione pubblica e, se vorrete farci questo favore, per chiedere rispetto soprattutto al governo, perché ordini al commissario di smettere di darci fastidio.

Altro portavoce: Ci sono alcuni a Tierra y Libertad che, però, sono ingannatori e da quando sono arrivati all’ejido stanno facendo le cose a modo loro, non rispettando la comunità. Quindi, vogliamo essere rispettati perché esseri umani.

Apparteniamo al nostro Municipio Autonomo Tierra y Libertad, ma siamo di Frontera Comalapa, non siamo di là ma ne facciamo parte. Il Municipio Autonomo che c’era a Paso Hondo è ausiliario del Municipio Autonomo Tierra y Libertad. È ausiliario, ossia c’era un Consiglio ma era ausiliario di Tierra y Libertad. Tutto questo l’hanno bruciato, avremmo voluto che ci andaste per scattarne una fotografia e fare un sopralluogo: ci sono ancora i segni di dove sorgevano le case...ci sono ancora i segni. Potremmo lasciarvi anche il nome del commissario ejidal che ha compiuto questa distruzione del Municipio Autonomo di Paso Hondo, si chiama Alberto Martínez Gutierrez.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3.C. Interviste con realtà della società civile che operano in Chiapas

1. Incontro con l’Ong "SOS CHIAPAS"

14 novembre 1999, Città del Messico

La CCIODH ha incontrato Ofelia Medina, una delle fondatrici di "SOS CHIAPAS":

Ofelia Medina: Benvenuti, ci fa molto piacere che siate qui con noi. Siamo un gruppo che si chiama "SOS CHIAPAS", in cui sono riuniti molti gruppi con tendenze molto diverse tra loro. Siamo nati solo tre mesi fa, anche se tutti i membri da tempo svolgono questo lavoro relativo ai diritti umani per gli indigeni del Messico. Siamo nati, così com’è indicato nel nome, SOS, come emergenza, nel giugno di quest’anno, il 10 giugno per l’esattezza. Quel giorno è stato il fatidico anniversario di una delle più importanti aggressioni subite dalle comunità indigene, facente parte della guerra. Il 10 giugno, è stato quando l’Esercito Federale e la polizia hanno fatto irruzione nelle comunità di El Bosque, Unión Progreso e Chavajeval. In queste comunità sono stati commessi alcuni degli atti più gravi che mai abbia commesso questo governatore, utilizzando l’Esercito Federale Messicano, che dovrebbe, come indica il suo nome, agire a livello federale, per un’azione locale, insieme alla polizia in un attacco verso questo Municipio Autonomo "San Juan de la Libertad". Noi che lavoriamo permanentemente in questa zona del Chiapas: io personalmente, Begoña Lekunberri ed altre compagne di "SOS", siamo membri della Fundación para la Salud de los Niños Indígenas de México, fondata nel 1990. Da quell’anno, abbiamo realizzato una diagnosi sulla salute dell’infanzia indigena e nel ’94 abbiamo iniziato a lavorare nell’aiuto umanitario in territorio zapatista.

Siamo stati i primi a introdurre aiuti della società civile all’interno del territorio zapatista e li abbiamo destinati alla nutrizione infantile.

Uno dei problemi più gravi, pensiamo, che generalmente si soffre in Messico, è la morte per fame e la denutrizione infantile. Qui in Messico abbiamo 50.000 bambini che muoiono di fame ogni anno, e nel solo stato del Chiapas sono15.000.

La nostra organizzazione lavora su programmi specifici riguardo alla salute, nutrizione e creatività per i bambini indigeni, e dal ’94 abbiamo iniziato a lavorare nelle comunità. Il nostro lavoro, a volte, è stato difficile mentre altre volte meno e abbiamo notato che dal 10 giugno del ’98 c’è stato un giro di vite nelle azioni del governo già da allora guidato dal governatore Roberto Albores. Inoltre ciò è stato fatto con molta intelligenza, dato che il 10 giugno tutti stavano guardando l’inizio dei mondiali di calcio. Nessuno quindi ci fece caso. In quel giorno è stato commesso questo tremendo crimine, i cadaveri furono restituiti mutilati, torturati, senza occhi, senza labbra e con le viscere di fuori. Se n’erano portati via sette ma hanno consegnato otto cadaveri…è un rosario di violazioni gravissime. A partire da allora il nostro lavoro è stato reso più difficile poiché abbiamo notato un’aggressione mirata verso i municipi autonomi. E questo è ciò che avviene dopo la rottura dei dialoghi, degli Accordi di San Andrés. Dopo questa rottura gli zapatisti hanno continuato il loro lavoro politico formando i municipi autonomi. Hanno iniziato a nascere molti municipi autonomi con molte difficoltà e sforzo. Allora il governo, nel ’98, ha iniziato una strategia di attacco diretto ai municipi autonomi: sono stati attaccati Taniperlas, San Andrés, Amparo Aguatinta, El Bosque e, ultimamente, il municipio Che Guevara. Sempre il 10 giugno di quell’anno hanno ammazzato un compagno del municipio autonomo "Che Guevara", un membro delle basi d’appoggio dell’EZLN. Lo hanno ucciso con un colpo alla nuca, torcendogli la testa, rompendogli così l’osso del collo, abbandonandolo poi sotto un ponte. La famiglia, il mattino seguente, al suo ritrovamento, non lo ha voluto toccare perché sapeva di non doverlo fare. Sono andati a cercare il dottore del "Ministerio Público" ma hanno detto loro che non c’era, che era a Tuxla; allora sono tornati indietro perché Albores Guillén si sarebbe recato in quel municipio a dichiararlo ufficiale per la rimunicipalizzazione che questi sta portando avanti a modo suo. Quindi, quest’uomo morto, è stato consegnato alla sua famiglia con un certificato di morte per epilessia, grave malattia, di cui soffriva da due anni e che di questo è morto, che i colpi se li è provocati da solo. Quando noi abbiamo ricevuto questa denuncia tramite i suoi compagni del municipio "Che Guevara", nel nostro ufficio di San Cristóbal de Las Casas, siamo francamente caduti nella disperazione. Cioè: dove si può andare? A chi rivolgersi per fare questa denuncia? Se lo denunci al centro municipale sai già che ci saranno altri morti, perché coloro che fanno la denuncia saranno poi fatti fuori, e se vai più in alto, a Tuxla, è peggio. E noi abbiamo già ricevuto avvertimenti, noi e il "Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas".

Abbiamo pochissimo sostegno legale e crediamo che questo sia uno dei problemi maggiori che dobbiamo affrontare nella lotta, ci sono pochi avvocati bilingue e infine, i centri dei diritti umani hanno poca gente e troppi casi. Ci accorgiamo che superano le nostre possibilità, che non ce la facciamo, che andiamo sempre indietro. Allora abbiamo deciso di fondare SOS CHIAPAS, che come sua prima azione ha fatto la richiesta di giudizio politico per Albores Guillén. È stata fatta esattamente due mesi fa da Begoña Lekumberri, dalla sua assistente e da un’altra compagna. L’abbiamo presentata alla Camera dei Deputati, è stata accolta, accettata con testimonianze, con prove e con le adesioni di tutte le organizzazioni che formano SOS, ma non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta…Vi spiace se vi leggo di cosa si tratta o lo avete già? Dice:

Offensiva giuridica per la vigenza dello stato di diritto e contro l’impunità.

Il "Congreso Nacional Indígena", (qui siamo nella casa del CNI), le organizzazioni non governative dei diritti umani e di difesa dei diritti civili, le organizzazioni solidali con la causa zapatista, studenti, maestri, sindacati, accademici, scienziati, artisti, industriali e le persone impegnate nel conseguimento di una pace dignitosa e giusta per il Chiapas e l’intero Messico, ci siamo volontariamente riuniti per intraprendere diverse azioni giudiziarie, processi politici, di amparo e denunce penali, contro le autorità statali, federali, municipali ed individui e che inoltre siano puniti coloro che sono responsabili nel coinvolgimento in violazioni dei diritti umani o costituzionali per azione od omissione e nella commissione di reati di danni verso persone, comunità indigene e organizzazioni civili nello stato del Chiapas.

La rete nazionale degli organismi civili "Todos los derechos para todos" formata da 48 organizzazioni riceverà la documentazione per integrare l’espediente che serva da base per iniziare le azioni legali e fare causa nei processi che saranno necessari; questo espediente sarà integrato con la documentazione, le prove di testimonianze che sono il lavoro che, in materia, hanno già elaborato i seguenti centri per i diritti umani: Fray Bartolomé de Las Casas, Agustín Pro, Francisco de Vitoria, Fray Lorenzo de la Nada, Enlace Civil, Uameros por la paz e Caravana para Todos Todo. Oltre ad organismi nazionali ed internazionali.

Questi casi saranno presentati presso i tribunali nazionali, e appositamente consegnati alla "Commissione Interamericana per i Diritti Umani" come alle istanze internazionali di cui il Messico è parte.

Riguardo all’approvazione, effettuata dal Congresso dello Stato del Chiapas, delle "Leggi di Rimunicipalizzazione", di cui abbiamo parlato poc’anzi, e della "Legge sulla Cultura e i Diritti Indigeni"(che è una legge inventata dal governatore in sostituzione degli Accordi di San Andrés e che è già stata approvata dal congresso statale) e della possibile approvazione dell’iniziativa di "Legge per il Disarmo dei Gruppi Civili" proposta da Albores, saranno inoltrati, presso i tribunali federali, dei giudizi di amparo contro queste leggi, considerando che in accordo all’articolo 103, frazione I della Costituzione, esse violano le garanzie individuali, i diritti collettivi e sono contrarie allo spirito di giustizia sociale, base della nostra Costituzione del 1917.

Queste sono, diciamo, le proposte che portiamo avanti ciascuno nel proprio ambito, mentre in alcune azioni agiamo insieme. Sappiamo anche che voi siete oggetto di questa ingiustizia, di questa atrocità e di questa violazione (la non concessione del visto FM3), che sta succedendo a tutti voi come osservatori, bene, non vogliamo rubarvi altro tempo, vi passiamo quindi la documentazione relativa alla petizione per un processo politico cui hanno lavorato degli avvocati molto competenti, che ci hanno fatto il favore di presentare l’accusa. Crediamo che sia formulata molto bene.

Come gruppi della società civile, vi appoggiamo nella richiesta di tutti i vostri visti e che si possa compiere ciò che si deve fare, perciò noi restiamo in riunione e potremo fare quanto voi riterrete buono e pertinente.

Begoña chiede alla CCIODH di aderire alla petizione per un processo politico ma la commissione rifiuta perché deve mantenersi neutrale.

In cosa consiste, esattamente, un processo politico?

Ofelia: Nel nostro paese il processo politico è previsto negli articoli che vanno dal 108 al 114 della Costituzione e riguarda i governatori, i presidenti municipali e i presidenti della repubblica. Solo queste cariche meritano il processo politico cui si procede nel caso di gravi violazioni della Costituzione e dei Diritti Umani. Quindi noi facciamo un precedente storico dalla ribellione zapatista fino ad arrivare al governatore Albores Guillén che viene dopo Acteal. Questo è il momento in cui lui arriva al governo e la prima infrazione riguarda la legge federale sulla responsabilità dei pubblici ufficiali. Attacca, inoltre, le istituzioni democratiche. Albores Guillén nelle elezioni primarie, ha appoggiato apertamente Labastida, il candidato del PRI, utilizzando fondi del governo e violando ripetutamente la democrazia rappresentativa come forma di governo. Sono poi violati i principi di tolleranza, conciliazione e dialogo che sostengono la democrazia, la divisione dei poteri nello stato del Chiapas, la libertà municipale e la corretta relazione civico-militare in uno stato democratico e di diritto. In seguito poniamo gli operativi che consideriamo i più violatori, primo quello di Taniperlas (aprile ‘98), poi Amparo Aguatinta (primo maggio ‘98), Nicolás Ruiz (3 giugno ‘98), El Bosque ( 10 giugno ‘98) e infine Amador Hernández ( 12 agosto ‘99), l’ultimo operativo cui siamo stati presenti; quindi si basa sulla Costituzione ed è stato presentato, come abbiamo già detto, due mesi fa ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta".

In che modo Albores è diventato governatore?

Egli è il sostituto, del sostituto di un impostore. Si, perché le elezioni sono state nel 1994 e le prossime saranno nel 2000. Io ho avuto il privilegio di organizzare le elezioni presidenziali e quelle per il governatore nel ’94 in territorio zapatista. Perché ci furono elezioni nel territorio zapatista, dove tutto si svolse in modo esemplare, furono meravigliose, un atto di democrazia che insegnò a tutti noi. Ma in generale si trattò di una frode, e questa fu flagrante. Quindi, ciò che fece la procura elettorale del popolo chiapaneco fu di dimostrare, con 1700 atti impugnati, che le elezioni erano state sporche, ma nonostante questo fu imposto Robledo Rincón, poi López Moreno, poi Ruiz Ferro (che cadde dopo Acteal); allora il Congresso statale fu incaricato di designare il prossimo governatore e fu scelto quest’uomo che, ovviamente, ha un potere molto forte, crediamo che ciò sia grazie a Labastida, ossia per aver aiutato Labastida ad arrivare lì. Quindi Roberto Albores fu accusato dai suoi stessi compagni di partito, i priisti, di star favorendo Labastida. I sostenitori di Madrazo, l’altro candidato priista, lo accusarono e chiesero per lui un processo politico. Poi però vinse Labastida e sembra che sia fisso al suo posto. Vediamo che non è possibile., che non si muove niente. Loro sono molto sicuri. Noi pensiamo che questo processo politico sia importantissimo perché non si muove niente nello stato se il potere non vuole.

Questa petizione per un processo politico è stata inoltrata ai tribunali chiapanechi o a quelli federali?

No, la petizione per un processo politico si fa a livello federale nel Distretto Federale.

Potrebbe dire alla Commissione quanto tempo si ha a disposizione, qual è il termine, a partire dal momento in cui si trasmette la denuncia, e quanto tempo hanno quindi a disposizione loro per dare la risposta?

A noi hanno detto due settimane e che le persone che avevano fatto la richiesta non dovevano lasciare la città per due settimane perché avrebbero potuto essere chiamate a testimoniare. E siamo qui ancora seduti, seduti ad aspettare.

Quando è stata inoltrata?

Il 14 settembre.

Il 14 settembre? Quindi due mesi fa…

Sì, due mesi esatti.

Avete pensato di presentare una richiesta per facilitare questo processo e la risposta?

È quanto è stato fatto da molte organizzazioni a livello nazionale, e proprio qui hanno portato la loro adesione alla richiesta del processo politico; abbiamo già diverse organizzazioni che contano, come il Congresso Nazionale Indigeno che lo ha portato alle sue basi in tutto il paese e hanno continuato ad inoltrarla, ma veniamo ignorati!

Dalla petizione per un processo politico, è cambiato qualcosa riguardo agli operativi militari oppure, in senso inverso, le aggressioni sono aumentate?

La petizione per un processo politico è stata fatta proprio poco dopo il nostro ritorno da Amador Hernández. Ad Amador Hernández ci hanno comunicato, a me personalmente, un ordine di cattura e poi a San Cristóbal de Las Casas sono stata dichiarata persona non gradita e mi è stato chiesto di abbandonare lo Stato entro 72 ore. Quindi siamo stati oggetto di una fortissima minaccia, siamo partiti e abbiamo presentato la petizione per un processo politico.

Membro di SOS: Bisogna dire che non sei partita entro le 72 ore.

Ofelia: Non sono partita.

Membro di SOS: Altrimenti sembra che tu abbia fatto caso a questa pressione.

Ofelia: Comunque non sono partita entro quelle 72 ore, ma sono partita dopo e ho molta paura E ora in Chiapas ci vado insieme a molti altri, insieme con voi, perché sappiamo che si tratta di un governo assassino e non solo io, ma anche tutte le mie compagne che vi lavoriamo e quelle delle organizzazioni di lì, siamo state minacciate e ci sono stati crimini nella città di San Cristóbal.

È successo che una persona della società civile, José Hidalgo, è stato apparentemente decapitato. Sembra che esistano dei gruppi paramilitari urbani che agiscono non solo a San Cristóbal ma anche ad Ocosingo, Las Margaritas, e lassù, nella Zona Norte.

Si stanno sofisticando, la loro attività non è diminuita, e, di fatto, anche Albores aveva iniziato a temere un po’ per i "suoi priisti" che lo hanno accusato, ma ora la militarizzazione continua a crescere, sappiamo, per esempio, che a causa dei posti di blocco, nel municipio "Che Guevara" gli abitanti continuano ad essere minacciati terribilmente.

Qualcos’altro da aggiungere?

Ofelia: Un commento riguardo alle ultime votazioni del PRI: non ha votato nessuno. Loro dicono che hanno votato 10 milioni di persone, ma se così fosse non saremmo qui. È tutto una farsa assoluta ed era scontatissimo che avrebbe vinto Labastida e crediamo che era già tutto predisposto. La situazione dello stato di diritto in tutto il paese è molto grave, e nello stato di Guerrero è ancora peggio. Proprio adesso sulle montagne del Guerrero, in Costa Chica, sono colpite le organizzazioni indigene dei diritti umani, sono vittime costanti di crimini. Anche nello stato di Oaxaca, nella regione dei Quichas, in tutto il territorio dove si presume operi l’EPR e l’ERPI. Le regioni indigene del paese sono tutte militarizzate... Ah! Mi è venuta in mente un’altra cosa da dire: So che voi vi siete interessati alla situazione del disastro naturale.

L’ultimo disastro naturale che abbiamo subito si chiama Ernesto Zedillo, perché è figlio di una madre, è l’unica cosa di naturale che ha, ma questo disastro è una conseguenza della corruzione, non si cambia pagina. È una situazione che si tramanda dagli ultimi tre governi. Già andava male prima, ma diciamo, che gli ultimi 18 anni sono stati una pazzia, quindi, chi sono stati i più danneggiati? gli indios!, perché stanno vivendo dove nessuno vorrebbe vivere, su quelle cime dei monti che non sono abitabili. Le strade di comunicazione invece di costare 10 costano 2, sono in pessimo stato oppure non esistono. Ho qui alcune foto di una regione dove il nostro Fideicomiso ha lavorato e ci hanno spedito alcune foto in cui si vede come sono franati i monti, perché? Perché vengono disboscati. Prima le compagnie di sfruttamento del legname, i ricchi, disboscano. Poi, una volta fatto, lasciano queste terre agli indios. Gli indios devono seminare sulla pendenza, non costruiscono terrazze, perché non hanno il tempo di fare queste terrazze e al terzo raccolto... Dunque, prima è venuta la siccità l’anno scorso; abbiamo sofferto la siccità e gli incendi, il paese intero è bruciato, e all’inizio di quest’anno sette stati hanno subito la siccità e poi altri sette stati le inondazioni. Probabilmente il 70% della produzione agricola nazionale è andato perso. È gravissimo perché è il terzo anno di disastro nazionale. L’anno scorso è bruciato il territorio messicano, al completo, e dopo che è bruciato tutto e venuta prima la siccità e poi le piogge. Guardate, non si può seminare fino all’anno prossimo e nel paese non ci sono le riserve alimentari necessarie, non ci sono proprio, e questa è una verità assoluta. Ci troviamo nella situazione che il nostro governo ha deciso, come priorità, il pagamento del Fobaproa, il riscatto bancario, e poi dicono che l’emergenza è già passata… Il presidente vuole risolvere tutto famiglia per famiglia, sta distruggendo tutti i vincoli comunitari, soprattutto quelli dei popoli indigeni, quelli che più hanno sofferto sono loro, gli indigeni. Allora noi stiamo cercando di lavorare, non per il rifornimento alimentare, non per inviare carovane di aiuti alimentari (questo deve essere fatto, ma che lo facciano quelli che lo fanno e che possono e che vogliono). La cosa più importante è lavorare nella ricostruzione, ma soprattutto, che non sia alla peggio, perché abbiamo già visto con le inondazioni in Chiapas, tutto quello che aveva costruito il governo è crollato sotto queste piogge di adesso. E gli indigeni, oltre ad essere i miserabili, sono finiti peggio. E noi crediamo sia necessaria un’azione civile e da parte dei cittadini per una petizione al Congresso sulle responsabilità e per una ridefinizione delle priorità nazionali. Non è possibile che la priorità sia il riscatto bancario, che tutti i poveri debbano accollarsi questo debito, non è possibile che abbiamo i 20 uomini più ricchi del pianeta e poi 40 milioni di poveri di cui 20 milioni si trovano in povertà estrema e questi, guarda caso, sono gli indios.

Allora, noi vorremmo sì chiedervi che le azioni che verranno fatte per sostenere questa associazione siano innanzitutto per appoggiare le organizzazioni indigene, affinché queste possano fare le loro petizioni e che le loro costruzione sia secondo la loro cultura, la loro ideologia. Soprattutto in questo paese dovremo affrontare un anno di fame, già di per sé abbiamo la denutrizione e una mortalità infantile così alta, ma questo prossimo periodo sarà peggio, allora sì, crediamo che questa sia una situazione molto grave, il paese intero, per una ragione o per l’altra, si trova in una catarsi produttiva, non stiamo producendo né mais, né fagioli.

Il paese non ha riserve perché non le ha comprate e vogliamo chiedere agli europei di aiutarci perché questo trattato di commercio con la UE non venga firmato con questo governo. Se la UE lo farà questo governo giustificherà la sua gestione e allora io chiedo di aspettare un pochino.

 

 

 

 

 

2. SERAPAZ, incontro con il vescovo di San Cristóbal de Las Casas, Don Samuel Ruiz García, l’ex segretario della CONAI Miguel Alvaréz e la signora Dolores Gonzalez Saravia, collaboratrice di SERAPAZ.

16 novembre 1999.

Samuel Ruiz García: È impressionante ciò che, dopo molte sofferenze, è riuscita ad ottenere la solidarietà arrivata in Messico e in Chiapas da altri paesi. Anche se, ci sono state molte persone espulse per il fatto di essere osservatori che non si sono adeguati alle regole per gli osservatori, che li vogliono ciechi e muti.

Adesso c’è una certa accettazione di un fatto innegabile: che il Chiapas e il Messico continuano ad essere la preoccupazione della solidarietà internazionale e che le autorità hanno già accettato che la gente continui ad arrivarvi e quindi non possono più opporsi con la stessa forza di prima. Purtroppo per noi messicani ciò ha portato una seria conseguenza, il sapere che il deterioramento sia così grande, che esiste un cinismo nelle autorità che affermano flagrantemente davanti al mondo, o nelle piattaforme diplomatiche, quello che si sa che è esattamente falso e che in realtà avviene il contrario. Per noi è tragico ma, lo spiacevole discredito che questo ha portato, ha aumentato la preoccupazione estera e ha fatto sì che non si sfaldi né diminuisca la presenza solidale, che si è fatta più insistente e chiara e che, allo stesso tempo, è stata accompagnata da altri livelli che sono la conseguenza di questa presenza: livelli di fermezza, ad esempio nel trattato commerciale tra l’Unione Europea e il Messico, con insistenza sulla dignità e preoccupazione per i diritti umani. La presenza in tre occasioni, con quest’ultima più recente, dell’ONU, quando è venuto il segretario, poi è venuta un’altra persona, in relazione all’aspetto, precisamente, delle violazioni dei diritti umani e recentemente, in coincidenza di questa vostra visita, quella della signora Mary Robinson dell’ACNUR, sezione delle Nazioni Unite che si occupa della questione dei desplazados o rifugiati.

Quindi, la congiuntura in cui voi venite è molto interessante. Questa convinzione, con la visita di Mary Robinson, dà alla vostra visita una rilevanza, un’opportunità e un’efficacia cui forse non avevate pensato. E ciò non è una casualità ma avviene in un modo provvidenziale per noi che abbiamo uno sguardo verso la fede. Allora, esprimo a tutti voi la mia gratitudine. Ciò non significa che non siate esenti da qualche incidente, speriamo di no, e questo può avvenire in modo particolare da parte dell’esercito, ai posti di blocco perché, inclusa gente che possedeva un genere di passaporto per transitare in questi luoghi, come è avvenuto per un candidato alla presidenza della Repubblica, che è stato arrestato, o meglio, fermato e ha dovuto prolungare la sua presenza a causa di un posto di blocco. Quindi non vogliamo dire che sarà un incidente ma, lo stesso, pensiamo che in queste circostanze non sia della dimensione che si è avuta in altri momenti storici.

È un passo avanti e per questo ringrazio tutti voi per la vostra insistenza in questa solidarietà con gli indigeni.

A questo punto si presentano Miguel Alvarez e Dolores Saravia:

Abbiamo continuato a lavorare su alcuni compiti, rimasti in sospeso, della CONAI. Quindi, discretamente siamo qui e continuiamo ad accompagnare Don Samuel.

Samuel Ruiz: Bene, il mio nome è Samuel Ruiz. Ho iniziato il percorso di ritiro dalla Diocesi di San Cristóbal e abbiamo detto sia là sia in altri luoghi, che la condizione di emerito della Diocesi di San Cristóbal de las Casas non ha come conseguenza un ritiro dal lavoro, non l’ingerenza nella direzione della Diocesi che avrà il suo vescovo coadiuvante che ne prenderà la guida quando sarà accettata la mia rinuncia, ma perché il Chiapas, per quanto voi potete vedere e sentire, si estende ben oltre le sue frontiere, mi perseguita ovunque io vada. Non potrò fuggire dal Chiapas e resterò in relazione a questi processi da un’altra forma di agire, in un’altra Diocesi o forse dal SICSAL, che è una piattaforma internazionale di cui faccio ancora parte. In questa congiuntura è interessante dire che la mia parola è cercata e accettata, viene a visitarmi gente della sfera diplomatica, degli ambasciatori, parlano con le autorità messicane ma vogliono parlare del Chiapas con un’altra istanza perché vogliono fare il confronto e molti sanno cos’è veritiero e vengono da noi per avere conferma di altre situazioni. Qui il governo si è sentito forzato ad accettare che la signora Robinson volesse parlare con i quattro vescovi del Chiapas delle tre diocesi e anche con il coadiuvante, e poi ha chiesto di intrattenersi un’ora da sola con me nel caso io fossi inibito dalla presenza degli altri vescovi. Stiamo quindi parlando di una congiuntura in cui queste situazioni sono il prodotto della solidarietà. La credibilità e gli orientamenti per ascoltare altre versioni diverse da quelle ufficiali è in marcia. Tuttavia fino al 5 gennaio, se Dio mi concede la vita, sarò alla guida della Diocesi perché ho ricevuto l’indicazione di poter celebrare i 40 anni di vescovado che si compiono proprio il 5 gennaio. Dopodiché ci sono dubbi all’orizzonte perché certi gruppi di potere, di autorità unite a qualche gruppo ecclesiale stanno parlando di sostituire il coadiuvante e metterne un altro, che lo trasferiscano in qualche altra diocesi perché ha scoperto qual è il processo, è all’interno di esso e non solo lo continuerà ma che sarà l’avanzamento verso il futuro, ma ora siamo in questa congiuntura.

Potremmo chiederle una breve rassegna, dal suo punto di vista, sulla situazione globale in Chiapas?

Abbiamo un dato recente che è complesso ma interessante ed è che la scorsa settimana, il giorno 3 per l’esattezza, sono state espulse più di 46 persone dalla zona di Acteal, nel municipio di San Pedro de Chenalhó. Curiosamente, anche se non siamo in possesso dell’informazione completa, esiste un certo numero di membri del partito ufficiale (PRI) che farebbero parte dei paramilitari che si sono rifiutati di contribuire ancora con denaro all’acquisto di armi e quindi se ne vanno da lì e vanno a cercare la gente di "Las Abejas", il gruppo che è stato perseguitato e di cui facevano parte le vittime di Acteal, chiedendo se anche loro avrebbero potuto essere accolti. Essendo stati nemici perché avevano partecipato in modo attivo o come appoggio agli esecutori della strage di Acteal, era un po’ rischioso sapere cosa sarebbe successo. Ma la generosità della gente di Acteal fece sì che li accettassero con allegria, come fratelli al di sopra del conflitto che era sorto tra loro e queste comunità e dato che questo gruppo, curiosamente collaboratore del governo, si ritira e abbia in seno un risentimento verso le autorità che li hanno spinti prima verso il movimento armato e poi li hanno abbandonati a se stessi, poiché sembra che ciò che ha provocato questo esodo sia il fatto che recentemente ci sono stati problemi riguardo a ordini di cattura oppure processi penali o petizioni per processi verso coloro che sono incarcerati. Quindi sentono che la protezione precedentemente offerta loro dal governo è sparita e allora chiamano traditore il governo che prima li ha spinti e poi li ha abbandonati. Sono poi stati accolti da "Las Abejas" ma ciò ha scatenato l’animosità del resto del gruppo quindi hanno dovuto intervenire la Seguridad Pública, la Croce Rossa e il "Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé" di San Cristóbal de las Casas per permettere a queste 46 persone di andare ad Acteal dove sono a tutt’oggi.

Ciò indica lo sgretolamento, la rottura interna di una posizione del governatore che porta conseguenze negative proprio su ciò a cui era stato dato impulso. Allora il segnale è un po’ ambiguo perché è stata fatta denuncia contro alcune persone che erano ancora in libertà, ma che avevano partecipato ad Acteal, e sembra che un’istanza ufficiale, la PGR, abbia violato il riserbo e reso noti i nomi di coloro che avevano fatto denuncia, i testimoni, allora la situazione è diventata tesa, anche se sembra che "Las Abejas" abbia superato la questione e ricevuto con allegria i 42 o 46, perché poi se ne sono aggiunti altri 4. Ho menzionato questo, che è un piccolo episodio, perché è un indicatore di come continua ad essere il quadro generale nella zona.

L’esercito ha moltiplicato la sua presenza, forse non nel numero, ma sicuramente nella presenza e nel modo di essere presente, dato che non solo sorveglia le strade, ma entra nelle comunità durante la notte, aprendo a calci le porte delle case, nella presunta ricerca di trafficanti di droga, in realtà causando maggior terrore nelle comunità. D’altronde, nella zona l’impunità è in aumento. Ci sono persone, rese bisognose dalla crisi economica, che commettono furti, o per meglio dire, ciò avviene a causa del deterioramento interno provocato da quanto è stato fatto, inoltre c’è fame e ci sono crimini che sono commessi senza essere puniti; tutto questo genera un accumulo di insicurezza. È veramente impressionante la paura esistente nelle comunità, dovuta a tutte queste circostanze. Continuano ad accadere fatti in cui le persone sono incarcerate senza alcuna obiettività, senza alcuna accusa, ma solo per reprimere determinati movimenti. L’esercito non è intervenuto in modo adeguato, che sarebbe stata la funzione affidatagli incrementando la sua presenza in Chiapas dopo il massacro di Acteal, non ha smantellato nessun movimento paramilitare. Sono ridicoli i rapporti resi noti all’inizio, in cui si diceva che ad un gruppo erano state ritirate due o tre armi di piccolo calibro, quando, in realtà, si era mosso un intero esercito per andare a smantellare un movimento paramilitare, ma trovare questo tipo di armi non è strano, fino ad un certo punto, anche in tempo di pace.

Quindi questa attività non c’è stata, ma i gruppi paramilitari ancora esistenti hanno iniziato a sgretolarsi internamente come nel caso avvenuto qui ad Acteal, nella zona di Chenalhó.

Anche nella Zona Norte dello stato, nei municipi di Tila e Tumbalá, c’è gente che apparteneva a movimenti paramilitari, ma ora si sta ritirando perché non riesce più a vivere così, veramente, per un’esigenza di non essere più in inimicizia con i propri fratelli. Non hanno potuto sopportare il prolungarsi della situazione e in diversi ne stanno uscendo. Intanto da qualche parte se ne stanno reclutando altri ed il movimento continua così, in questo modo.

In questo periodo di campagna elettorale, si sono concentrate le preoccupazioni della maggior parte della gente su quanto si sta portando dietro la campagna e da cosa questa è accompagnata.

Sì, in questo periodo si stanno creando situazioni, già avvenute in precedenza, di acquisto di voti dalle persone oppure, in qualche modo, di minacce e colmare così di lacrime o di promesse coloro che avevano intenzione di assicurarsi una votazione ad un lato del partito ufficiale.

Il partito ufficiale ha inscenato una messinscena, perché così lo considera la maggior parte delle persone sensate, sviluppando una forma di presentazione del candidato ufficiale, eletto internamente al partito. E per questo hanno dato vita ad una scaramuccia per far credere che come sarebbero state trasparenti le elezioni tra i quattro candidati del partito ufficiale per la scelta di uno, così, nello stesso modo, sarebbero state chiare le elezioni nel paese, guadagnando così un grande prestigio. Hanno ottenuto, purtroppo dico io come lo dicono altri, una quantità inattesa di 10 milioni di adesioni per quel candidato che fin dal principio si sapeva sarebbe stato lui il prescelto e inoltre, per ottenere un risultato insperato, fu una messinscena montata con un alto costo economico. Tuttavia, in questo periodo si è aperta una diatriba su questi voti. Alcuni stanno facendo calcoli matematici di quante urne ci sono state e di quanto tempo ci ha messo una persona a votare e quindi dicono che per questo erano necessari tre minuti e mezzo per permettere a 10 milioni di persone di votare. Allora, se portiamo questo nella pratica, non può avvenire che le persone ci mettano solo tre minuti e mezzo, poiché sembra che proprio lì esistano forme antiche di questa votazione. Comunque, se questa è realmente la cifra, è un po’ preoccupante… ed è molto spiacevole anche il fatto che, essendo emerse due persone come candidati dell’opposizione - sapendo per esperienza precedente che non aveva funzionato con l’assassinio di Colosio, il precedente candidato alla presidenza che era disponibile a una coalizione - ora questi non hanno intrapreso, se non verbalmente, tramiti e dati per fare una coalizione di partiti d’opposizione poiché si sa che, riunendo i partiti d’opposizione, non ci sarebbe stata neppure la necessità di una votazione perché era una maniera di pensare maggioritaria nell’opposizione al regime. Tuttavia, le aggressioni interne e la ricerca di una propria forma di trionfare hanno fatto sì che delle due persone che avrebbero potuto essere quelle adeguate a rappresentare l’opposizione nessuna abbia accettato di lasciare all’altro in omaggio la propria candidatura. Ognuno ha pensato: "Come no! Siamo d’accordo su una coalizione, vieni con me! E allora il candidato sono io". L’altro ha detto la stessa cosa, ma nessuno dei due ha fatto alcuna mossa reale, che ora sarebbe tardiva anche se dicono di no: il modo di creare una coalizione in cui si accetti che un solo candidato dei due esistenti che hanno la maggioranza dell’apprezzamento popolare, concorra come unico candidato. Il problema non è solo questo, dovrebbero essere fatti dei passi per formare un governo di coalizione, in modo da non spartirsi solo gli incarichi ma istituire un modo nuovo di governare come coalizione. Questa è la sfida che abbiamo. È possibile, ma non lo vediamo probabile per i trascorsi che ci sono stati. Ciò influisce su una grande insicurezza del paese e certamente influirà su un voto che denominiamo "della paura" poiché se non c’è accordo nell’opposizione, si ha paura dell’ignoto e come recita un detto messicano: "Meglio il male conosciuto che il bene da conoscere". Quindi, meglio appoggiarsi sulla sicurezza e pensare che avverranno davvero le promesse di cambiamento offerte dal partito ufficiale.

In questa tonica scompaiono tutte le altre situazioni o questioni. Il dialogo passa in secondo piano. Di fatto non interessa più né al governo né agli zapatisti. Un’incognita è: "Cosa faranno gli zapatisti alle prossime elezioni?" Parteciperanno al voto oppure lo "bloccheranno" come hanno fatto in altri momenti dove si è visto che nelle zone dove hanno più consenso c’è stato silenzio riguardo al voto per dimostrare la loro opposizione? Per ora non sappiamo cosa succederà.

Ciò che, sì, possiamo dire e che si tratta di una cosa accettata da tutti, è che l’Esercito Zapatista ha perso abbastanza punti e accettazione per il suo silenzio prolungato. Un silenzio che, in quel momento, è stato efficace come protesta perché le offerte di dialogo erano solo verbali e mentre si diceva di voler dialogare c’erano aggressioni contro le comunità e contro i municipi autonomi. Quindi, il silenzio all’interno di queste circostanze era evidentemente una protesta. Inoltre, l’ultima volta che c’è stato, gli zapatisti hanno detto chiaramente che non erano state messe in atto le condizioni minime per andare avanti nel dialogo e che le autorità coronavano ciò con affermazioni sulla loro volontà di dialogo mentre reprimevano le comunità pensando: "Dialoga oppure continuiamo ad assalire e a minare le tue forze!" e che ciò avrebbe potuto essere efficace con il movimento zapatista. Ma il movimento zapatista ha sopportato questa situazione. Non ha fatto quei passi che avrebbe potuto fare con un minimo di flessibilità per fare andare avanti la questione e anche ora continua nello stesso modo, quando le condizioni per il dialogo non erano adempiute e neppure gli Accordi di San Andrés. L’ultima offerta fatta dall’attuale ministro degli interni, dopo che quello precedente è entrato in lizza come candidato alla presidenza, non ha avuto fin dal principio nessun’offerta reale anche se poi si sono fatte alcune piccole cose come liberare alcuni prigionieri. Ma non ci sono stati segnali veri, solo l’affermazione di voler dialogare e gli zapatisti non hanno risposto, anzi, hanno palesato una buona alleanza con il movimento dell’università, l’UNAM, che ha visto un blocco dei corsi molto prolungato, che non è ancora finito, anche se c’è stata la modifica in cui di recente il rettore dell’università ha rinunciato, e questo potrebbe rendere più flessibile il cammino. Questo, in principio, ha dato adito all’accusa che gli zapatisti ed alcuni studenti dell’UNAM erano alla guida di questo movimento. Loro hanno rifiutato questo, ma poi hanno fatto qualche intervento e dichiarazione in cui hanno manifestato che o avevano una presenza reale oppure un interesse nell’intervenirvi, in modo che il movimento dello sciopero potesse dare loro una certa vigenza all’interno dell’università.

Se è significativo che le ultime dichiarazioni del Subcomandante o di qualche altro membro del movimento zapatista non ha la ripercussione nazionale nei mezzi di comunicazione, continua invece la ripercussione verso l’estero in modo più forte rispetto all’interno e credo che in ciò ci sia un deterioramento generalizzato. La società civile non ha abbandonato, ma dato che il dialogo è statico, non ci sono state azioni da intraprendere che avrebbero potuto dare un riciclo alla situazione. Quindi c’è come un silenzio anche da parte della società civile, una scommessa che si possa guadagnare qualcosa con le elezioni e che pertanto è lì dove si devono concentrare le energie a livello del presente. Credo che la solidarietà della società civile non sia andata persa, che in un momento critico tornerebbe a sorgere e che, di fatto, nel momento in cui c’è stata una situazione critica come quella della costruzione della strada nella selva, che non era una strada di comunicazione ma di assedio per il movimento zapatista, si è avuta una reazione nazionale ed internazionale, anche se quella internazionale mi è sembrata essere più forte che quella nazionale. Tuttavia, possiamo dire che nell’opinione, nel sentimento comune non è più l’EZLN, il movimento che conta, ma una delle cose che è lì come risorsa, non è più quello che agglutina gli altri fattori fondamentali come nei tempi passati.

Dolores Asaria interviene brevemente per sottolineare che esistono molte aspettative riguardo ad una soluzione a breve o medio periodo del conflitto: hanno preso il via sondaggi tramite interviste a settori molto diversi riguardo al conflitto e si sono potute costatare incertezze legate all’esito del processo elettorale, perciò implica la disposizione a cambiare strutture che consentano l’applicazione degli accordi e la volontà di cercare la pace.

Samuel Ruiz: L’ultima volta che ho parlato in una conferenza stampa, mi hanno fatto domande sul documento contenente l’offerta di dialogo e commentai, tra le altre cose, ciò che noi avevamo già detto riguardo alla proposta ma affermai infine che era molto meglio dare compimento agli Accordi di San Andrés che continuare a dire per quattro anni consecutivi che il governo vuole mantenerli, tempo sufficiente a darvi compimento invece di dire di volerli mantenere, ma non se ne è venuti a capo.

Miguel Alvarez: In confidenza, poiché noi da quando eravamo CONAI eravamo a conoscenza che, fin dalle prime idee e ancora prima di essere una commissione, da molti anni c’era una crescente partecipazione, un’inquietudine su quanto succedeva in Chiapas. Quindi, ci siamo trovati d’accordo su una prima visione dello scorso anno, su un primo dato che un anno fa eravamo mediazione ufficiale e ora non più. Credo sia importante che voi sappiate che la ragione che ha portato Don Samuel, in un primo momento come vescovo e in un secondo in una plenaria della CONAI, giacché presidente della stessa, fu la convinzione che il governo si era incaricato di distruggere tutte le possibilità di avanzamento del negoziato e che mantenerci ufficialmente a giocare il ruolo, serviva al governo per simulare l’esistenza di un processo di pace. Poiché facendoci pressione come mediazione ci obbligava a fare pressione sull’altra parte quando le condizioni non c’erano. Noi abbiamo appreso che essere mediazione non è la stessa cosa che essere neutrali. La mediazione ha bisogno di avere una posizione riguardo al genere di pace da costruire. Noi avevamo una posizione riguardo alla pace, davvero, una pace con cambiamenti, non soltanto una pace per un negoziato rapido e intendevamo la mediazione come quell’asse flessibile del gioco dell’altalena, in cui se vi sale un bambino grasso, il bambino magro non può giocare. E tutta la mediazione si deve muovere per permettere che ci sia movimento tra le parti. Nel momento in cui il governo non aveva evitato alla mediazione la possibilità di fare movimenti che aiutassero le due parti, allora Don Samuel decise di dire: "Questa è una simulazione e i servizi per la pace sono ora tutti polarizzati, sono più importanti in altri compiti che nel dare impulso ai negoziati". E con questo abbiamo mantenuto tutto, nel ricostruire le condizioni non solo del negoziato ma anche del processo di pace perché erano cadute sia le condizioni di mediazione che quelle del negoziato. Non esistono possibilità a breve termine. Il negoziato è affidabile quando va nella direzione di una soluzione politica, non solo per gli attori ma anche per le cause. E il governo ha intrapreso il cammino verso la distruzione di tutti gli avanzamenti di San Andrés, delle regole del gioco, dei procedimenti, della smilitarizzazione. E invece di questo ciò che è andato avanti è la strategia di mettere l’Esercito Messicano e la logica militare come la parte sostantiva della sua strategia, e così ogni avanzamento politico è crollato e allora abbiamo continuato a lavorare per lo più nel ricreare queste condizioni di fondo non solo per il dialogo ma per l’insieme del processo di pace.

Allora è nata la CCIODH e le è toccato divenire rapidamente un attore significativo perché nel momento in cui siete nati voi, per il governo era molto importante la disputa a livello internazionale. Non è vero che il governo non sia preoccupato dell’aspetto internazionale, lo preoccupa che l’ONU e i governi abbiano una visione vicina alla vostra posizione. Perché il problema è che la crisi del processo è così seria che sono in crisi e in disputa anche le diagnosi: qual è il carattere del conflitto?

Allora il governo è stato molto attivo nel cercare di vendere al mondo l’idea che il conflitto del Chiapas è un conflitto locale, un conflitto etnico affinché alcuni pensino che sia sullo stile della Yugoslavia e che gli indios vogliano distruggere il Messico, ecc. o comunque un conflitto fra tribù, un conflitto tra indios. Nel ridurre lo status del conflitto, il governo vuole salvarsi dalla propria responsabilità, dall’essere una parte del conflitto, dall’essere in guerra come lo è il movimento indigeno armato. Quindi, forse ancora una volta, in questa seconda missione, per noi l’importante è che voi, oltre ad avere il polso della situazione, vediate il processo in profondità, più strategicamente cosa c’è nel fondo. Come diceva poc’anzi Don Samuel, ora che viene la signora Robinson, il governo sarà molto preoccupato a mostrare che ci sono avanzamenti in materia di diritti umani, nel dialogo, che lo zapatismo è il cattivo del film, che non vuole negoziare.

Samuel Ruiz: Credo che ciò sia interessante. Il governo ha provato per molto tempo la parte di cercare ipoteticamente una soluzione locale, statale. Se esiste un problema in Chiapas, che intervenga il governo del Chiapas e tutto quanto è successo fu una gran repressione, inoltre, quando poi vediamo nella congiuntura in cui Labastida sale e ha bisogno di un certo appoggio, allora il successore comincia a parlare di una proposta di dialogo riconoscendo che si tratta di un problema nazionale; ma ora che si è conclusa questa congiuntura e che Labastida ha vinto, il governatore dello stato torna a dire che sono i chiapanechi a dover risolvere i conflitti.

Miguel Alvarez: A questo punto, la mia conclusione è che voi avete la virtù di essere davvero una commissione internazionale, di paesi dell’America Latina, dell’Europa e del Canada e che nella vostra delegazione c’è una grande diversità di componenti civili, di accademie, di aziende, di chiese, di Ong, di partiti, ecc. Io credo che questa sia una potenzialità di cui voi dovete aver cura, della vostra unità. E la chiave è come voi possiate ottenere in questa visita varie riunioni anche con gli organismi messicani, in modo da poter andare avanti in quest’idea di una solidarietà più strategica. Non solo una solidarietà congiunturale oppure mossa dai drammi o dai momenti, crediamo invece che sia importante capire che in Chiapas si rispecchia un nuovo tipo di conflitto che può avvenire in altre parti del Messico. Secondo noi ora qui in Messico ci sono 18 gruppi armati, ma se ne possono trovare anche in altre parti dell’America Latina e del terzo mondo. E se il Chiapas lo vediamo non come un conflitto locale o indigeno, neppure come un conflitto messicano, né come una nuova generazione di conflitti latinoamericani ma come quel genere di conflitti che mettono in atto gli esclusi per le ragioni della dignità e dei diritti umani, per cercare alternative alla globalizzazione. Allora diremmo che state intentando un nuovo movimento di pace e che siamo felicissimi che veniate in Messico. Ma, come ottenere che non sia solo questa la funzione? Trovare altri modi, negli altri conflitti, nei vostri paesi, per far sì di poter mettere la pace come tema fondamentale che la politica mondiale deve affrontare, perché se non si risolve lì, pensiamo che la pace sarebbe risolta solo come una problematica con alcuni accomodamenti politici. Impariamo dal Guatemala, impariamo da El Salvador! Non bastano piccoli accomodamenti politici per risolvere le cause del conflitto. Dobbiamo andare più in profondità. E abbiamo bisogno di voi, non come solidali ma come compagni in uno stesso tentativo di cambiamento e qui ci troviamo, credo, tutti noi. Speriamo sia notato.

Samuel Ruiz: Quale opportunità si intravede, visto che in altri momenti è stato detto che qualsiasi dichiarazione data su quanto avevate visto era intervenzionismo nel paese. Fino a che punto può essere conveniente, opportuno, o in che modo si può gestire la questione della stampa?

Miguel Alvarez: Credo che voi vi troviate di fronte varie sfide simultanee. Una è di continuare la battaglia per il diritto che il governo messicano vi riconosca come interlocutori, penso che questo sia la chiave perché il Messico si nega; che per ragioni di Diritti Umani e senza essere ingerenza e senza ferire la sovranità, l’umanità abbia il diritto di essere attiva quando c’è dolore, per le questioni sui diritti umani. Quindi, il fatto che voi incitiate a "strappare" il posto per l’osservazione, legittimare e legalizzare il posto dell’osservazione, ci sembra sia molto importante, come il fatto che voi possiate essere un’opportunità per vedere fin dove si possono guadagnare spazi, non solo per voi ma anche per altri osservatori.

La seconda sarebbe: come voi possiate essere attivi, non solo durante la visita ma anche negli altri periodi quando siete nei vostri paesi, affinché l’opinione pubblica, gli organismi multilaterali e i governi abbiano una visione diversa da quella che il governo messicano fa arrivare. Il governo messicano è molto attivo nel fare arrivare la sua diagnosi e la sua visione, e voi, poiché la causa è giusta, dovete continuare ad essere attivi in questa battaglia sulla diagnosi che mi sembra molto importante.

La terza, mantenere anche relazioni con civili qui in Messico; questa parte organica continua ad essere molto importante ed è quella su cui insiste ora don Samuel: è purtroppo la situazione attuale dei media, quindi ciò che non è visibile sui media non esiste, quindi voi avete la sfida di essere visibili.

Penso anche che sarebbe interessante che ci siano legami con il movimento indigeno e non solo con gli organismi civili, urbani, occidentali con cui ci si può intendere facilmente. Forse è importante che voi ci aiutiate a dare uno spazio agli indios. Questi ultimi, in realtà, non sono contro di noi, perché parliamo per loro, per non aver dato loro uno spazio. Per questo sarebbe importante che voi abbiate la sensibilità di prendere contatto direttamente i gruppi indigeni, di poveri e di esclusi.

Samuel Ruiz: Ci sono fatti di cui siete a conoscenza che però è meglio veniate avvertiti. Nel movimento universitario, gli studenti che avevano una certa rappresentatività sono stati oggetto di repressione, li hanno arrestati senza alcuna accusa, picchiati e poi hanno minimizzato la questione tramite le autorità universitarie dicendo che non si trattava di una cosa seria … Inoltre, in modo ancora più grave, una persona del centro PRO è stata tenuta prigioniera e legata nel suo domicilio per 7 o 9 ore da quattro persone che non hanno neppure nascosto il loro volto e che hanno distrutto il suo computer per estrarre tutto ciò che potevano ottenere come informazione. Poi, il giorno seguente, quando si è recata al centro, questo aveva le porte spalancate ed evidentemente era stata sottratta e rubata tutta la documentazione in possesso del centro.

Allora, questi segnali sono marcatamente forti. In quale modo, e non è stata data la spiegazione che queste persone siano aliene al regime, queste non siano controllate dal regime ma parte del sistema, ci stiamo riferendo più o meno all’Inteligencia Militare.

Vorremmo sapere se c’è stata effettivamente la liberazione di prigionieri zapatisti, così com’è stato affermato?

Samuel Ruiz: Sono state liberate circa sei persone tra quelle che avevano partecipato al municipio autonomo di Taniperla e che erano rimaste in carcere per diversi mesi senza che ci fosse possibilità di movimento. Sembra sia stata la visita di una rappresentante dell’ONU ad attivare questa situazione, questa è la nostra lettura, allora li hanno messi in libertà. Queste persone – tra cui c’era un universitario che avrebbe potuto uscire sotto cauzione ma che è rimasto per solidarietà con il gruppo ed è stato uno di quelli che ha dato maggior coesione al gruppo - nel CERESO dove erano rinchiusi, hanno dato al luogo uno spazio di fratellanza e di amicizia. Alla mattina e di sera si riunivano per pregare, conversare e i prigionieri che si trovavano lì, si avvicinarono man mano perché sentivano un’accoglienza fraterna. Penso che anche questo abbia accelerato la loro uscita. Noi della Diocesi eravamo in riunione, nell’assemblea diocesana, con una gran quantità di persone e quasi tutti gli agenti pastorali quando si sono presentati lì gli ex prigionieri per ringraziare per qualcosa che era stato fatto, qualche lettera, qualche visita, qualche messaggio, qualche iniziativa… C’era una persona che era rimasta in contatto con loro quasi costantemente e che ci faceva rapporto su come andava questa situazione. Allora sono venuti a ringraziarci. Ma fu intenzionale quanto ognuno di loro disse: "Ci hanno incarcerato ingiustamente! Non hanno mai dimostrato quello che avevamo commesso e noi non avevamo fatto nulla di male! Continueremo a fare ciò che facevamo prima, non abbiamo problemi con la nostra coscienza e non ci importano le conseguenze che potremo avere!" Dopo molti mesi non hanno potuto piegare lo spirito di queste persone. Questo è stato dunque il miglior corso di presa di coscienza realizzata da questi fratelli. Alcuni di questi casi erano molto noti a livello internazionale. C’è stata una persona che per questione di omonimia, per il fatto di chiamarsi come altre due persone, si è vista accumulare tre procedimenti giudiziari. Hanno liberato gli altri due che avevano commesso crimini ed assassinii che sono stati imputati a questa. Era evidente che ciò è stato per la sua relazione con lo zapatismo, così come per alcuni di loro è stato per la relazione con la diocesi, perché erano catechisti o vi tenevano qualche attività. Quindi questa era una situazione prettamente politica e non di giustizia. Anche perché qui alla giustizia bisogna metterle la "in" davanti. Comunque il caso fu che a questa persona hanno accumulato altri due procedimenti su luoghi che non aveva mai conosciuto e che si trovano a una tremenda distanza da dove questa viveva. Siamo giunti al caso estremo che il fratello di una persona assassinata andò a parlare con il giudice dopo aver visto il prigioniero dicendogli: "Voi state tenendo qui qualcuno che non ha commesso questo reato, si chiama nello stesso modo ma si tratta di un’altra persona, è ingiustamente incarcerato". Il giudice disse che questa non era una testimonianza sufficiente e andò avanti!

Che possibilità ci sono che da parte del governo sia sbloccata la situazione in Chiapas? Ci riferiamo alla lettera che il ministro degli interni ha mandato per proporre la ripresa del dialogo.

Samuel Ruiz: L’offerta di dialogo da parte di Diodoro Carrasco, ministro degli interni, fin dall’inizio – e la stampa lo ha commentato – era inconsistente, non c’erano stati segnali precedenti e questo si è poi via via consolidato dopo che era passato molto tempo, inclusa anche questa liberazione di prigionieri, e non si vedeva una logica nella questione, ma continuava, invece, la repressione interna in Chiapas e così l’azione dei militari. C’era un linguaggio che era incompleto nell’offerta e incompleto nella pratica. Il governo dello Stato in un dato momento, forse per le cose che stanno succedendo grazie a questa visita dell’ACNUR, nella persona del governatore andò al Congresso a chiedere perdono per il modo in cui aveva agito. Però trionfa Labastida candidato con 10 milioni di voti, si suppone, e allora il presidente della Repubblica va in visita in Chiapas a dare appoggio alle frasi del governatore dicendo che i chiapanechi sono quelli che devono risolvere i problemi del Chiapas, ossia, non esiste un livello nazionale, né niente del genere, ma siamo al centro dell’universo! Ci sono forti contraddizioni che mettono in questione l’onestà o la sincerità di questa offerta. Sembra che ci sia sempre un’offerta che non tende a negoziare e neppure ad arrivare all’inizio di un dialogo, ma a dare un’apparenza mentre sotto sotto si fa piazza pulita dei movimenti che arriva in forma molto ridotta davanti all’opinione pubblica. Ma questo non è risolvere il problema, il fatto di controllare i mezzi di comunicazione non significa che si siano risolti né le cause né il problema.

Penso che ci sia una politica di amministrazione del conflitto, una politica di dare l’apparenza di volerlo risolvere, mentre non si cerca di sicuro una soluzione violenta del conflitto nel senso che si generi un’aggressione armata da parte dell’esercito oppure un’operazione blitz nella selva – che sì può essere fatta – ma credo che il prezzo che dovrebbe pagare per questo il governo lo stia misurando bene. Non vuole che ci sia un certo tipo di soluzione, ma che ci sia una soluzione per resa, per stanchezza, per fatica, per controllo dell’opinione pubblica, e allora il prezzo sarà molto irrilevante per risolvere il conflitto.

Qual è la situazione delle persone sotto processo per la strage di Acteal? Ci sono stati passi avanti? E rispetto al gruppo di desplazados di cui parlava all’inizio, anche alcuni di loro sono sotto processo?

Samuel Ruiz: È un fatto recente e la sua complessità si sta risolvendo. Sembra che non ci siano processati tra questi che sono emigrati, tra questi che escono dalla comunità, ma sì tra i loro parenti prossimi e allora reagiscono contro il governo, perché il governo li ha ingannati dicendo che li avrebbe appoggiati e poi, in un determinato momento, li abbandona così, e sono sotto la minaccia di poter essere anch’essi incarcerati. Quindi si tratta di una reazione, non di una conversione, bensì di un cambiamento di atteggiamento e di allontanamento da un movimento in cui non avrebbero mai dovuto mettersi, quando questo ha generato anche scontri con i loro propri fratelli. Da lì si può leggere questa situazione, ma più come una persecuzione preventiva, e allora si mettono al fianco di una certa forza perché se si fossero separati senza stare con "Las Abejas" sarebbero stati molto vulnerabili. Evidentemente loro cercano una certa copertura anche se erano stati oppositori e forse anche attori in qualche modo. Per esempio, anche se alcuni non avevano partecipato alla strage, molti crearono disturbo durante il raccolto del caffè, in forma armata. Fu necessario l’intervento della società civile e la presenza della Croce Rossa per permettere la raccolta del caffè. Ciò può ripetersi mentre è in ridefinizione la questione.

Come si sa, e il centro Fray Bartolomé de las Casas lo ha documentato, non è stato solamente il gruppo paramilitare, ma autorità che arrivano fino al livello presidenziale, poiché questa cosa non è stata nascosta. Forse non è stato pianificato sistematicamente dall’alto, ma gli si è data la stessa risonanza perché sarebbe un modo di evitare definitivamente che la gente viva in amicizia e così un certo seguito dell’EZLN è risolto. Allora fu una specie di intimidazione collettiva affinché la gente smettesse di vivere in amicizia e anche in protesta per la messa in atto degli Accordi di San Andrés. La mossa successiva furono le dimissioni del ministro degli interni che si giustificò pubblicamente dicendo che era tempo che non stava con sua figlia, che la vedeva solo durante i fine settimana e, dato che le voleva molto bene e che la figlia, poverina, aveva tanto bisogno di lui, egli aveva dunque deciso di rinunciare all’incarico per il suo dovere di padre. Ma allo stesso tempo si venne a sapere che altre cose stavano accadendo e quindi la sua immagine davanti all’opinione pubblica subì un crollo quando alcuni media internazionali e nazionali pubblicarono che i motivi della sua dipartita non erano in realtà tanto paterni. Fu solo per evitare che l’ondata colpisse il presidente stesso, quindi il ministro è stato immolato e sacrificato. Intanto in Chiapas, fu ovvio che l’ingerenza del procuratore di giustizia, del capo della polizia e del governatore era finita, poiché essendo implicati nei fatti, non potevano fare altro che rinunciare o essere destituiti. Però, a colui che era governatore sostituto fu concesso, nonostante il rifiuto molto esplicito a livello nazionale, un incarico nell’ambasciata negli Stati Uniti, significando quindi più un premio che un castigo. A questo livello il peso della giustizia non è arrivato. Sono circolate voci in quell’ambito che riguardavano un possibile mandato di comparizione, ma dipendevano solamente dall’ondata di rifiuto dell’opinione pubblica. Poi fu utilizzata anche una cosa interessante che, come sempre accade, esistono persone di cui non è stata dimostrata chiaramente la loro partecipazione o meno e che allora gruppi evangelici a cui alcune di esse appartengono che hanno fatto ricorso legale incolpando qui e là, compresa la Diocesi, di star fomentando l’odio tra le comunità quando esistevano un’interrogazione e una prova documentata. Però questo è stato superato poiché sembra che le cose si stiano chiarendo. Stanno andando via alcuni che non avevano realmente avuto una partecipazione diretta né indiretta nei fatti ma che erano stati segregati per il loro collegamento e perché era stata anche utilizzata una specie di vendetta interna alle comunità. Con questo istigavano a che se li sarebbero portati via ma non smettevano di esserci dissensi personali o di famiglia. Il chiarimento di tutto questo è complesso, ma credo che ultimamente siano state messe le mani su alcuni che più apertamente vi avevano partecipato e si sia minacciato, con la denuncia di questi, di arrivare ad altri ancora, e questo spiega la situazione.

Fino a che punto, la procura, il pubblico ministero ed il giudice hanno le reali possibilità di arrivare ai livelli richiesti, in queste condizioni. È possibile pensare, dato la situazione di campagna elettorale, che se ciò avvenisse, questo potrebbe essere più o meno opportuno politicamente. Ciò ha determinato l’attuale condotta.

Vorremmo che ampliasse il discorso riguardo al silenzio dell’EZLN: è stato mantenuto nelle relazioni private con la Chiesa e con altri settori? Vorremmo sapere inoltre: quale ruolo possono giocare attualmente la COSEVER, la COCOPA e le altre istanze?

Samuel Ruiz: Dunque, la CONAI, in quanto tale non esiste più e quindi non esiste una versione della CONAI riguardo al silenzio dell’EZLN. Ne abbiamo parlato a titolo personale e non rilasciando dichiarazioni pubbliche. Non c’è mai stata una relazione Chiesa-EZLN, né dialogo, perché noi non siamo un’istanza. Per il dialogo, si ha bisogno di un’istanza a livello politico. La Chiesa aveva la mediazione ma noi, in quanto Chiesa, non abbiamo mai avuto dialogo con l’EZLN, ma con le comunità, come azione pastorale, che seguono una o l’altra opzione, perché lì svolgevamo il nostro servizio pastorale, ma la Chiesa diocesana non è stata un’istanza di dialogo con l’EZLN. La Chiesa lavora, e con forza, come una mediatrice nell’ambito della pace ma non nel livello del dialogo. Così, la Chiesa ha un’opzione per il povero ma non un’opzione politica di partito. I suoi membri possono decidere di entrare o no nel partito ufficiale, lì sono i cristiani a decidere secondo la loro coscienza. Quindi, il dialogo con l’EZLN, con questi movimenti non solo politici ma armati, non avviene con la Chiesa come tale ma, diciamo, c’è una relazione con le comunità, non c’è mai stato un dialogo di questa natura.

Dialogavamo grazie alla questione della mediazione, da quell’ambito, terminata questa non c’è neppure comunicazione. Avevamo un canale epistolare per le comunicazioni. Dopo lo scioglimento della CONAI abbiamo continuato ad utilizzarlo per inviare alcune cose che potevano essere utili, nel caso in cui potevamo dire loro quale poteva essere la via che entrambi potevano percorrere. Però questa comunicazione si è interrotta. Ora non abbiamo neppure i mezzi per comunicare con l’EZLN anche se avremmo potuto cercarli.

La COSEVER ha appena concluso da poco una riunione, ma non so altro; per quanto riguarda la COCOPA io ho assistito ad alcune riunioni, ma credo che i suoi membri, diciamo così, si sono un po’ demoralizzati davanti al silenzio ed anche a causa degli inviti fatti in modo sotterraneo da alcuni (del governo) ad andare a parlare utilizzando come canale la COCOPA, e anche se hanno recuperato un po’ la fiducia dell’EZLN, ma da parte ufficiale hanno ricevuto un colpo molto forte dovuto alla maggioranza che il partito di governo ha in relazione ai suoi membri.

Miguel Alvarez: La COCOPA è un’altra delle novità del modello messicano e ha la virtù di rappresentare il governo e i partiti politici impegnati nella ricerca di una soluzione politica. È un contrappeso alla soluzione militare e credo che ciò sia importante e necessario.

È vero però che i grandi momenti della COCOPA li abbiamo raggiunti esattamente nel ’95 per due vie diverse perché molte delle strategie di negoziato in Messico tendevano a raggiungere il più alto negoziato politico con l’EZLN e, simultaneamente, un altro negoziato con i partiti e gli altri attori nazionali. Non si trattava solo di portare tutto a San Andrès. San Andrès era parte di un processo nazionale di riforme dello Stato e la COCOPA è stata l’istanza che ha garantito questo doppio percorso. Ovviamente quando il governo se ne è accorto, prima ha frenato la COCOPA e poi ha frenato San Andrès, ma la chiave erano questi due luoghi.

Samuel Ruiz: Il clima di cui lui sta parlando è quando, inaspettatamente, il nuovo ministro degli interni Labastida si imbattè in un documento firmato simultaneamente dalla COCOPA e dalla CONAI, in una riforma di legge. A quel punto si sono fatti più attenti.

Miguel Alvarez: L’altra cosa che ha centrato la COCOPA è di essere stata anche il veicolo che ha legittimato il meccanismo che l’EZLN usava per convocare i forum nazionali, con tutto lo sforzo possibile. Lì si maturò una posizione nazionale comune e questa è la posizione che l’EZLN ha portato ai negoziati con lo Stato. L’EZLN non ha negoziato la sua propria agenda, bensì ciò che era sorta da un forum nazionale ufficiale che aveva l’avallo congiunto della COCOPA e della CONAI. Quindi, significava essere un’istanza impegnata per una soluzione politica ed essere un’istanza impegnata in una soluzione di Stato: ciò fa della COCOPA un’istanza che sarebbe conveniente mantenere. Disgraziatamente, la COCOPA rispecchia anche il periodo che vivono i partiti. Io direi quasi: quando la COCOPA riesce a pensare come Congresso e non come partito riesce a mettere in piedi un dialogo, mentre quando la COCOPA rispecchia la disputa tra partiti, questo si annulla. Ciò è il segreto dell’attuale COCOPA, che il PRI ha imparato ad abortire. Basta che nella COCOPA uno dei suoi membri non sia d’accordo perché questa non entri in funzione. Il PRI ha evitato che la COCOPA diventasse un attore importante. La COCOPA è bloccata. Non deve essere però distrutta perché a livello politico è importante per il processo di pace, ma questa COCOPA non ha niente da dire. L’EZLN è seccato con la COCOPA per gli errori che questa ha commesso. Anche il governo è seccato con la COCOPA per gli errori che questa ha commesso. Quindi, mentre il processo non si riattiva realmente, la COCOPA è obbligata a continuare a parlare, in assenza di dialogo, spingendo l’EZLN al dialogo, il che è un errore perché non è questo il problema. Ma allo stesso tempo, la COCOPA non ha avuto la tentazione di rinunciare come la CONAI. Le è stato chiesto: "Non rinunciate! Voi non dovete rinunciare anche se non state facendo niente, dovete restare come meccanismo politico"… La mediazione è un meccanismo diverso e mantenerlo era ancora più dannoso. Ora è necessario che la COCOPA vada avanti. Quindi bisogna mantenerla come interlocutore, anche se non bisogna aspettarsi molto…

La COSEVER rispecchia anche un’altra modalità nel caso messicano perché, a differenza di altri paesi, dove si negozia, si firma, infine si mettono in atto gli accordi e se ne fa una verifica, nel caso del Messico l’idea è che dopo aver toccato ognuno dei sette temi del negoziato, si inizia a mettere in atto gli accordi e solo allora si dà il via alla verifica: in modo che compiuto il primo accordo si inizia ad impostare il negoziato del secondo. Se è frenato il compimento del primo accordo, è frenato tutto il processo. È successo proprio questo. Ma la disputa per la verifica è legata alla disputa sulla strategia di compimento, poiché il governo aveva già deciso di non compiere per arrestare questa negoziazione. Allora l’indicazione era di fermare la COSEVER. La COSEVER fu installata solo a livello formale, non ha mai funzionato. Ora il governo simula di aver già nominato i suoi nuovi rappresentanti nella COSEVER e sta proponendo all’altra metà di riunirsi e di farlo con la signora Robinson per dimostrare che il processo è vivo. Ma penso che la metà "zapatista" non accetterà questa simulazione. In sintesi, la COSEVER non funziona, la sua materia non esiste, non c’è compimento degli accordi. Quindi sono tre istanze necessarie ma totalmente in crisi.

Potrebbe farci un commento sulla legge di amnistia? Inoltre, dopo la scomparsa della CONAI, ci sono stati tentativi da parte del governo di convocare una nuova CONAI con altri attori?

Samuel Ruiz: La Legge di Amnistia non è stata un unico tentativo, l’ultimo, ma ce ne sono stati altri quando eravamo in una fase del dialogo più vicina a San Andrés e si diceva chiaramente che non si può procedere ad una legge di amnistia mentre è in corso il dialogo ma che l’amnistia deve avvenire al termine del dialogo. In caso contrario sarebbe - ed è stato da parte del governo e in questo modo sarebbe stata eseguita – semplicemente una protezione per i criminali. Ma, più che nei confronti di coloro che erano in conflitto come gli zapatisti e il governo, si sarebbe applicata verso i movimenti paramilitari. Questa legge non è mai stata esaminata da gente sensata né ha avuto un’applicazione. Per ciò che riguarda la CONAI, e il governo se ne è accorto immediatamente, al termine della CONAI, che esercitava un vincolo ed era il cammino per una comunicazione con l’EZLN. Quando sparì la CONAI si trovarono senza alcun canale per arrivare là e vollero stabilire ciò che si chiamava dialogo diretto, ma in nessuna parte del mondo quando c’è un conflitto di questa natura c’è un dialogo diretto perché ciò che è in gioco è la credibilità del governo a causa di qualche attuazione indebita. Quindi c’è bisogno che ci sia l’avallo della mediazione che giochi tra le due parti come giustificazione e concedendo credibilità a una e all’altra parte nel dialogo. Non è mai esistito un dialogo diretto perché ciò che sta mancando è la credibilità verso le due parti. Questa forma di cercare la continuità del dialogo fu iniziata da Zedillo prima di arrivare alla presidenza, quando era già in vista la sua elezione cercò il dialogo diretto. Poi l’EZLN rese noto di aver inviato delle lettere. Questo avvenne prima che avesse inizio questa nuova situazione con Labastida.

Cominciarono a cercarci. Io fui contattato tre volte da diverse istanze, quella di sopra, quella di mezzo e quella di sotto, perché io trasmettessi un messaggio. Dicemmo loro: non esistiamo più come mediatori. Se volete possiamo lasciare una lettera in una comunità ma noi non abbiamo più contatti, non abbiamo più messaggeri" . Quindi cercarono anche di far partire una proposta di dialogo e la avallarono tramite Labastida che apparì, così, come il giusto e non come il repressivo. Questo avvenne quando si stava approssimando al suo lancio come candidato, ma non ha mai proceduto nella ricerca di un dialogo diretto. Quando ci fecero queste proposte, dicemmo loro: "Non siamo più la CONAI. In secondo luogo, mi vergognerei ad andare a presentare anche solo una lettera o un messaggio orale, se ciò fosse possibile, e non lo è visto che non c’è comunicazione, ma mi vergognerei ad andare a parlarci quando ci sono stati dei morti! Quali sono stati i segnali della volontà di dialogo? Non ce ne sono, al contrario! Sono sì offerte, ma con intimidazioni ed aggressioni. Le cose stanno così".

Il governo insiste sulla possibilità di poter risolvere, in modo rapido, il conflitto…si teme lo voglia fare a tutti i costi?

Samuel Ruiz: Una soluzione del tipo di ammazzare gli zapatisti, come ha detto un industriale di Monterrey: "Eliminateli e basta! Il sistema funziona così, c’è gente che non sta più nella pelle per farla finita con il problema, è meglio eliminare 15.000 persone che portarsi dietro il problema per molto tempo". Ma questa barbarie, che è stata espressa in più occasioni, non si è più ripetuta. Anche negli Stati Uniti c’è stata qualche istanza che ha detto la stessa cosa. Non è comunque il cammino che sarà intrapreso perché il costo sociale ed internazionale sarebbe troppo elevato. Comunque non si tratta di un dialogo del genere di cui si aveva bisogno per una negoziazione, ma l’opprimere perché ci sia l’accettazione del disperato, di un qualcosa che possa chiamarsi dialogo ma che non costa niente. È il cammino, dunque, che fa in modo che ci sia indebolimento, repressione, serrate minacce all’EZLN, mettendo l’esercito ogni volta più vicino al nucleo che è insorto con le armi. Tutto ciò è lì. Ma noi pensiamo, solo come se guardassimo dentro una sfera di cristallo, senza averne gli elementi, che l’EZLN sta pensando ad un’altra mossa. Forse si eclisserà e poi riapparirà con un’altra situazione. O forse si immergeranno semplicemente come cittadini nelle loro comunità, o stanno pensando a qualcosa perché pensiamo che tutta la sagacia dimostrata in altre occasioni non si sia esaurita anche se il nervosismo può averli portati su posizioni quasi disperate. Il tragico è che loro, a causa di questo accerchiamento che hanno posto loro, hanno iniziato ad agire con sempre più errori, lanciandosi contro i loro stessi amici, simpatizzanti, persone o gruppi vicini a loro. Quindi hanno aumentato il loro isolamento nel dire: "O accetti questo o non sei più mio amico". Una situazione tale da limitare allo stesso tempo anche altri ambiti, provocando che quei gruppi si precludessero molti spazi.

La gente non ce l’ha con loro, ha già deciso di non essere più agli ordini, di eseguire dei comandi, non è più disposta a dire ciò che qualcun altro pensava. Grazie.

 

 

 

 

 

3. COSEVER (Comisión de Seguimiento y Verificación), incontro con il Prof. Rodolfo Stavenhagen

16 novembre 1999.

A Città del Messico, nella sede del Colegio de México, abbiamo avuto un incontro con il Prof. Rodolfo Stavenhagen, antropologo e attuale coordinatore della COSEVER, e con la Dott. Paz Carmona Arellanas. La conversazione è stata registrata con il loro consenso e, di seguito, riassumiamo i punti salienti dell’intervista.

Il professore ha iniziato l’intervista dando un quadro della situazione attuale della "Comisión de Seguimiento y Verificación" degli Accordi di San Andrés, dichiarando che dalla prima sessione non si sono più riuniti, a causa del ritiro dei comandanti dell’EZLN dai negoziati sul secondo tema "Democrazia e Giustizia", nell’agosto del 1996.

Alla domanda della CCIODH sulla nuova situazione creatasi dalla Lettera aperta inviata all’EZLN e firmata dall’attuale ministro degli interni Diodoro Carrasco, risponde che da questo contesto si potrebbero trarre quattro letture:

1) Una volontà del governo di riattivare la COSEVER.

2) Che questa commissione abbia un potere di convocazione valido per dare ad intendere un suo funzionamento in occasione della visita di Mary Robinson.

3) Che esista una divergenza interna nel governo su questo tema

4) Che la prossimità della campagna elettorale sia un fattore determinante.

La sua opinione personale è che questa lettera manca di credibilità, poiché le azioni del governo in Chiapas non sono congruenti con il testo della lettera.

Rodolfo Stavenhagen ha dichiarato che la linea della COSEVER deve essere d’apertura, deve dare la priorità alla neutralità nel suo interno e che lui, come coordinatore, deve evitare la polarizzazione verso una delle parti. Ha rilevato che, allo stesso modo, non si può pretendere, come pretendono invece alcuni settori, che la COSEVER sia una commissione di mediazione tra le parti, poiché non è stata creata per questo genere di cose, sottolineando il fatto che questa commissione ha senso solo e quando c’è dialogo tra le parti. In conclusione, ha sostenuto che in questo periodo ci si trova ad un punto cruciale: poiché, dato che è un difensore della ripresa dei colloqui tra le parti, ha manifestato che si recherebbe un grosso danno alla COSEVER se fosse realizzata una convocazione al dialogo e non si presentasse una delle parti.

 

 

 

 

 

4. Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, incontro con Marina Patricia Jiménez ed Oscar Hernández

Nella sede del "Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas", di San Cristóbal, una delegazione della CCIODH è stata ricevuta dalla direttrice, Marina Patricia Jiménez e dal coordinatore, Oscar Hernández.

Marina: Bene, rispetto alla situazione del Chiapas, mi sembra molto importante dare una collocazione ad alcuni fatti avvenuti lo scorso anno che, secondo me, hanno dato origine a ripercussioni notevoli. Uno di questi è la politica che il governo dello Stato sta realizzando nelle comunità. L’ambito in cui esiste una situazione di maggior repressione è rappresentato dalle comunità. Esiste, però, una serie di azioni intraprese dal governo dello Stato, che sta cercando di introdurre in tutta la questione, ciò che è stato il processo di negoziato tra l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e il governo federale. Con questo, mi sembra importante affermare che il governatore Albores, dal novembre dell’anno scorso, ha iniziato ad implementare una serie di proposte legislative sulla questione della rimunicipalizzazione, sulla questione dei diritti e cultura indigeni, un’iniziativa di legge riguardante i gruppi di civili armati e una proposta di legge sulle questioni forestali. Penso sia molto importante sottolineare che, attraverso queste azioni e proposte legislative del governo dello Stato, si cerca di manovrare in modo unilaterale quanto riguarda, invece, l’attuazione degli Accordi di San Andrés, che avrebbe come obiettivo il cercare di gestire un discorso, potremmo dire, di non conflitto. Un discorso in cui il governo dello Stato dimostri di essere disposto a un’apertura riguardo alla situazione che si sta vivendo, mettendo da parte, tutte le azioni repressive che si sono verificate l’anno scorso, ad esempio: lo smantellamento dei municipi autonomi, i fermi e le espulsioni di osservatori internazionali, e, ovviamente, l’azione di occultamento della situazione dei gruppi paramilitari presenti in Chiapas. Credo che queste leggi stiano avendo delle ripercussioni notevoli perché il Chiapas è uno degli Stati dove il governo federale sta canalizzando maggiori risorse alle comunità indigene mediante progetti a carattere ufficiale, cercando in questo modo di arginare lo scontento sociale che, rispetto al priismo, sta prendendo piede in alcune comunità. In pratica, il governo ha così creato aspettative d’intervento in molti modi, e a noi, è toccato presenziare a diverse di queste attività.

Oscar: Ricordiamo che, poiché venite qua ad osservare la situazione dei diritti umani, credo sia importante stabilire come avvengano queste violazioni di diritti in un contesto di guerra di bassa intensità e di controinsurrezione, di cui Marina, nella sua introduzione, ha già toccato diversi punti. Uno di questi riguarda la questione del governo militare, la presenza militare nelle comunità e la paramilitarizzazione che ne consegue. Esistono però altri punti che spesso si dimentica di mettere in risalto, che sono: l’uso politico degli aiuti economici e la campagna pubblicitaria che, con il fine di influire sulla situazione, va di pari passo all’uso politico delle risorse e delle aggressioni, siano queste per opera di paramilitari o di militari.

È davvero interessante quanto avviene in Messico, nel senso che, il governo federale, sia per proteggere la propria immagine, sia per sviluppare nel modo più favorevole possibile il trattato commerciale con l’Unione Europea, con rispetto alle norme e all’opinione pubblica, ha promosso delle leggi, soprattutto la "Ley de Diálogo y Paz Digna en Chiapas", realizzata dalla Cocopa nel 1995. Non può quindi risolvere il conflitto con una guerra aperta, una guerra spudorata - come quella avvenuta in Guatemala oppure in Messico vent’anni fa, nel Guerrero - con questa insurrezione, presumendo che questo si tratta di un modello di risoluzione dei conflitti interni, attenendosi, quindi, all’iter internazionale. Allo stesso tempo, non vuole perdere quel potere che gli permette di decidere, in modo unilaterale, l’uso della forza, come è stato nel caso di El Bosque. Quindi, in tutto questo contesto, si notano molto bene i colpi che vengono dati e, i colpi più duri si possono leggere come la punta di un iceberg a fronte di una continua violazione dei diritti umani, che rappresenta l’altro 90% dell’iceberg, simboleggiato dai desplazados, oppure il clima di terrore che avrete costatato a Taniperla, una comunità di Flores Magón. Per fare questo, non solo devono sferrare dei colpi ma far sì di trarne il maggior vantaggio possibile, quindi, questi sono colpi strategici. Qui non si verificano violazioni come in Guatemala, ma le violazioni sussistono mantenendo una pressione psicologica tale che, gli stessi diecimila desplazados causati due anni fa dai fatti di Acteal, sono ancora desplazados a Chenalhó; inoltre questo fenomeno, invece di diminuire, è in aumento. Non so se avete potuto seguire la vicenda delle ultime minacce attuate nei confronti di alcune famiglie di Canolal, nei pressi di Chenalhó, che sono state costrette ad andarsene. Queste famiglie avevano denunciato alcuni paramilitari della comunità, ma le autorità cui si sono rivolte, hanno trasmesso quest’informazione proprio alle autorità di Canolal. Lo stato di tensione e di pressione è aumentato a tal punto, da obbligare alla fuga queste nove famiglie, di cui sette fanno parte di Las Abejas e due sono priiste che, però, non erano d’accordo con gli artefici delle minacce. Vi raccontiamo tutto questo per ribadire che queste leggi, di cui ha parlato Marina, quella sulla rimunicipalizzazione e quella sul programma di rimboschimento, hanno una loro logica all’interno di questa guerra. Dopo la Consulta Nazionale - non so se ve ne ricordate, ma si è trattato di uno sforzo politico compiuto dagli zapatisti, insieme alla società civile, perché fossero attuati gli Accordi San Andrés, e di un modo, poiché lì ha deciso l’espressione politica, di risolvere il conflitto - quelli dell’EZLN si sono messi da parte, poiché, per proseguire nella soluzione politica del conflitto, hanno bisogno di fare pressione affinché siano attuati questi accordi; altrimenti, verrebbero abbandonati dalle loro basi, che parteggiano per loro... Hanno quindi appoggiato questo processo, gli accordi sul dialogo sono stati attuati, ma ora devono fare attuare questo dialogo per continuare ad avanzare nel negoziato politico. Proprio dopo questa consultazione, iniziano a verificarsi delle diserzioni o, per meglio dire, l’annuncio di diserzioni. Mi riferisco a fine marzo del 1999. Innanzi tutto, durante l’intero conflitto ci sono state diserzioni sia da una parte che dall’altra. Gli zapatisti hanno avuto le loro diserzioni, come pure l’esercito messicano. Nell’esercito ce n’è stata una di recente, una diserzione che ha fatto notizia, di un soldato che si è rifugiato negli Stati Uniti ed ha ottenuto asilo politico perché si era rifiutato di giustiziare alcuni zapatisti nella zona di Ocosingo. Ci sono stati altri casi, come quello del "Comando Patriótico Concientización del Pueblo", che è nato nel dicembre dello scorso anno come opposizione all’interno dello stesso esercito messicano, una cosa mai vista! Ora, tutti i suoi membri si trovano in carcere per aver manifestato questa loro opposizione. Allora, a queste diserzioni reali, si aggiunge lo spettacolo e l’esagerazione delle diserzioni tra le file zapatiste, che poi è un modo di insistere sul fatto che questo gruppo armato e politico si sta disgregando, oltre al fatto che, riferendosi agli Accordi di San Andrés, il governo dice: "Dato che non c’è conflitto, li attueremo noi…". Subito dopo questi fatti, nell’aprile del 1999, il governo, tramite i poliziotti di Seguridad Pública, occupa San Andrés, la sede dei dialoghi ma, il giorno successivo, i simpatizzanti zapatisti organizzano una grande manifestazione e ne riprendono il possesso. Anche se hanno recuperato il simbolismo legato a San Andrés, la stanchezza e il logoramento, il fatto di doversi proteggere e che i risultati della Consulta non sono stati presi in considerazione, tutto l’insieme legato alla situazione di tensione, li distrae ed è proprio in quel momento che ha inizio una serie di militarizzazioni, un aumento del numero di truppe all’interno della Selva Lacandona. Anche se, per ora, non hanno intenzione di usarle, in realtà non hanno mai scartato l’idea di una soluzione politica a lungo termine e quindi le mantengono comunque lì, come una forma di minaccia. Subito dopo l’occupazione di San Andrés, viene introdotta questa legge prima citata da Marina, la "Ley de Remunicipalización", che ora negano esista e che sia necessaria. Apertamente non lo dicono, ma lo fanno attraverso degli atti che tentano di dare in pasto all’opinione pubblica nazionale e internazionale: "Gli zapatisti stanno disertando e noi iniziamo ad attuare, in modo unilaterale, gli Accordi di San Andrés", e, credetemi, attuarli così, già di per sé, viola gli Accordi di San Andrés, quindi, si creeranno altre tensioni.

Gli zapatisti reagiscono a queste ostilità dicendo, "Siamo ancora qui", mettono posti di blocco in alcune comunità, come nel caso di questo esempio che forse ricorderete: gli zapatisti mettono un posto di blocco, arrivano quindi i militari, gli zapatisti se ne vanno e, in seguito, si concentrano dei simpatizzanti o militanti del PRI che mettono il loro posto di blocco; lì, vengono fermati, da priisti, alcuni membri dell’organizzazione civile non armata Xi’nich, che è l’organizzazione di lotta della società civile della zona di Palenque, che vengono poi portati via da Seguridad Pública. Questo caso ha creato mobilitazioni per tutto un mese, poiché i membri di Xi’nich sono stati torturati con l’avallo della Procura, arrestati e incarcerati, ma poi, si è riusciti a liberarli. Avvengono, quindi, tutti questi fatti e, allo stesso tempo, aumenta il numero di elementi militari nella Selva Lacandona, con la scusa del rimboschimento di alcuni punti strategicamente importanti come la biosfera dei Montes Azules, che rappresentano un luogo di risorsa per le comunità zapatiste, che vi si rifugiarono durante l’invasione militare del 1995, e che è, anche se non se ne parla, la retroguardia del comando zapatista. Cominciano ad accerchiarli, non per sconfiggerli militarmente, bensì politicamente, poiché in una parte della biosfera si trovano poche comunità che l’esercito ha già attorniato, in una rete totalmente serrata. Questa tensione viene generata dalla costruzione di strade, dall’uso politico delle risorse. La realizzazione di strade viene giustificata come parte di uno "sviluppo economico", in parole povere: "Guardate, se state dalla nostra parte, vi appoggeremo economicamente", ma, in realtà, ha dei fini del tutto militari. Ad esempio, in tutte le statistiche che vi avrà mostrato il governo - vedrete che sarà la stessa cosa che è toccato sentire a me! - i dati sono davvero incredibili: nove chiapanechi su dieci hanno accesso a cliniche mediche o servizi sanitari, certo, però se si contano anche i punti di "lavoro sociale" dell’esercito, che sono punti di controllo della popolazione e di controinsurrezione e non idonei a fornire servizi medici. Questi dati vengono esibiti per frenare iniziative autonome che potrebbero portare il governo a perdere il controllo della situazione. Qui in Messico, siamo esperti nel controllare politicamente i movimenti attraverso le risorse economiche. Invece, l’autonomia, che certe comunità indigene hanno potuto avere attraverso la solidarietà internazionale o per mezzo dell’autogestione, ha permesso loro di sfuggire da queste mani che usano il denaro per spaccare il movimento. Per questo motivo, il governo vuole porvi un freno: dove costruirà le scuole? In quei luoghi dove le comunità stanno costruendo le loro! Perché esiste un ospedale del governo ad Altamirano, quando esiste già l’ospedale "San Carlos", gestito dalle monache? E, per quale motivo il governo non vuole che questo ospedale cresca? Perché l’ospedale di San Carlos è fuori della sua portata! Tutto quest’uso degli investimenti economici serve a scoraggiare ed è in questo contesto che nasce la crisi o, per meglio dire, lo scontro ad Amador Hernández e, dopo di questo, la lettera aperta di Diodoro Carrasco, di cui parleremo in seguito.

Marina: A questo punto, vorrei riprendere un aspetto che Oscar ha toccato prima, il fatto che il governo di Albores non cessa la repressione e che questa strategia è ampiamente appoggiata dall’esercito e dai corpi di Seguridad Pública, in cui si sta giocando un ruolo fondamentale che minaccia tutto il Chiapas. In parole povere, penso che non si possa fare una lettura della situazione senza prendere in considerazione la questione delle risorse naturali che il Chiapas possiede e gli accordi commerciali, sottoscritti tempo fa, tra il governo messicano e altri paesi. Mi sembra inoltre importante sottolineare che, in seguito ai fatti di Amador Hernández, si fa scoppiare la situazione di San José de La Esperanza, quando l’esercito entra in questa comunità, giustificando l’azione come manovra di routine delle Brigate di Operazione Mista. Il dato interessante è che a capo di questa azione c’era, niente meno che Pedro Cervantes, fratello del ministro della Difesa (Sedena) Enrique Cervantes. Come siamo venuti a saperlo? Perché quando hanno arrestato i compagni della comunità, ci siamo diretti a Tuxtla Gutiérrez, dove siamo riusciti a localizzarli, e, tra le dichiarazioni contenute nel fascicolo giudiziario, compariva quella del fratello del ministro della difesa, che si presumeva ferito dalle pietre lanciategli dalla gente. Penso si tratti di una questione abbastanza grave, dato che, su questo fatto, sorgono parecchie domande. Se si è trattato di una manovra di routine, come è stata presentata, perché al comando c’era un elemento dell’esercito con un grado così alto come è quello assunto, in un dato momento, dal fratello del ministro della difesa? Perché in meno di 48 ore cercano di rilasciare i detenuti? Cosa mai successa in altre occasioni! Perché l’esercito agisce fermando la gente e spara? Inoltre, non hanno sparato colpi in aria, come hanno dichiarato, ma ci sono state diverse persone ferite, di cui una in modo molto grave. Allora, è molto importante sottolineare che il governo di Albores è, in una certa misura, rafforzato dalla presenza dell’esercito. Penso sia importante anche rilevare che la situazione delle comunità indigene è soggetta ad un deterioramento gravissimo. Esiste una serie di divisioni molto nette per forme organizzative, per diversità religiose, per differenze politiche. Pensiamo che, in vista delle prossime elezioni per il governatore, nel luglio del 2000, una delle strategie fondamentali del partito ufficiale sia quella di implementare una serie di azioni tramite progetti produttivi per capitalizzare il voto di settori del PRI che esprimono malcontento. Un altro fenomeno in aumento è la questione dei gruppi paramilitari che stanno agendo non senza contraddizioni al loro interno. Mi riferisco soprattutto al caso del gruppo "Paz y Justicia", dove esiste una serie di conflitti che hanno a che vedere con la questione della rimunicipalizzazione. Questa legge, prevede la creazione di almeno altri quindici municipi, ma se guardiamo quali sono i centri municipali proposti, ci accorgiamo che non è per niente casuale che questi centri siano proprio dove stanno operando alcuni di questi paramilitari, oppure si tratta di comunità legate al partito ufficiale. Che succede allora? È previsto che queste comunità siano governate dai Consigli municipali, ma questi consigli devono essere proposti dal Congresso dello Stato. Quindi, nel caso di Paz y Justicia è in atto una divisione molto forte, perché il governo dello Stato ha loro offerto una serie di progetti produttivi, ma poi è risultato che le promesse sono rimaste tali e non a tutti è stato dato ciò che si aspettavano o che era stato loro assicurato. A questo punto, inizia a crearsi un contrasto molto serio al loro interno, che si focalizza su due dei dirigenti più importanti: da un lato, Diego Vázquez e dall’altro, Marco Salviño. Cosa succede allora? Diego Vázquez crede che la prospettiva di creare, nel caso di Tila, un nuovo municipio nella comunità di El Limar, gli darebbe la possibilità di rivendicare lui stesso l’incarico amministrativo, per il fatto di essere lui in persona che sta combattendo. Per tanto, entra in conflitto con la gente del governo statale, dicendo: "Ci hanno promesso cose che poi non hanno mantenuto". Sono iniziate, quindi, da circa un mese, delle riunioni con il segretario del governo chiapaneco, senza dimenticare che si sono succeduti in modo costante alcuni rimpasti all’interno del governo di Albores, dove hanno guadagnato forza quei gruppi che possiamo definire della "linea dura", come nel caso, ad esempio, della nomina del sottosegretario di governo che è poi il fratello dell’ex sindaco di San Cristóbal, Mario Lessier Talavera, che ha preceduto l’attuale sindaco, Rolando Villafuerte e che governava la città nel 1994. È importante sottolinearlo perché, anche nella situazione del Chiapas, sta avvenendo una serie di cambiamenti che hanno a che vedere con le condizioni che alcuni gruppi pongono per governare. D’altra parte, esiste anche una serie di pressioni rispetto alla proposta, già menzionata da Oscar, avanzata dal governo federale, la famosa lettera aperta all’EZLN, in cui, dal nostro punto di vista, la strategia è presentare un pacchetto di proposte che però non toccano la problematica di fondo. In pratica, sostengono: "Noi libereremo i prigionieri", ed effettivamente ne liberano alcuni. Oppure affermano: "Bene, noi cercheremo di creare le condizioni perché si possa dialogare. Verrà Rabasa", ma non viene mai detto come. Non toccano mai, in ogni caso, i punti essenziali, il problema della militarizzazione e quello della paramilitarizzazione, che sono due delle cinque condizioni che l’EZLN ha posto per risedersi al tavolo del negoziato e riprendere così il dialogo. A questo punto, Diodoro Carrasco appare come il ministro degli interni che cerca di creare un certo clima di "distensione", volendo dimostrare che questi ribelli zapatisti sono incapaci di dare una risposta e che stanno, in realtà, accentuando la via dello scontro. Credo che questo sia fondamentale, perché esistono momenti politici e anche momenti in cui viene esercitata una pressione internazionale sul governo messicano. Non bisogna dimenticare che si è esercitata pressione, ad esempio, perché venisse firmata la "clausola sulla democrazia e i diritti umani", cui diversi paesi dell’Europa si sono allineati, ma ce ne sono anche altri che hanno sollevato una serie di obiezioni. Vale a dire, non è stato poi così semplice, perché uno dei punti centrali è la problematica del Chiapas. Credo che ci troviamo, indiscutibilmente, in presenza di un panorama piuttosto critico. La nostra percezione riguardo l’EZLN è che, da alcuni mesi, non riusciamo più ad avere un quadro chiaro della strategia che sta mettendo in atto. Esistono molti conflitti, un deterioramento molto serio all’interno delle comunità che cercano di resistere e di affrontare la situazione. Per esempio, voi siete già stati a Polhó: la situazione è davvero terribile. Tutte le notti ci sono gruppi che si preparano per montare turni di guardia nella comunità, nel caso si verifichi un attacco dell’esercito o un’offensiva dei paramilitari.

Ora, mi pare importante parlare del calendario politico nazionale. L’anno prossimo, nel 2000, ci sono le elezioni e il 7 novembre è stato un giorno importante, quando Labastida ha vinto, in modo schiacciante, le elezioni interne al PRI per stabilire il candidato alla presidenza della Repubblica. Questo fatto annuncia che potrebbe essere rafforzata la via della repressione, che forse, per il momento, non viene intrapresa, ma che non è da escludere possa essere fatto in futuro, proprio per la politica seguita da Zedillo rispetto alla problematica del Chiapas e, in particolare, rispetto alla situazione del negoziato con l’EZLN.

È importante segnalare, inoltre, che ora il panorama del Chiapas non può essere visto come bianco o nero, bisogna invece vedere la diversità dei problemi esistenti e credo che la situazione odierna ci porrà di fronte a molte sfide in un prossimo futuro. Una di queste è la questione della riconciliazione. Siamo molto preoccupati perché crediamo che la situazione di logoramento nelle comunità e il processo di polarizzazione stiano dando origine a una serie di conflitti molto forti che riguardano il ruolo che sta avendo l’esercito nel compromettere la vita quotidiana delle comunità, dove, oltre a problemi quali la prostituzione, si sta presentando, con sempre maggiore frequenza, l’impiego di minori da parte dell’esercito, di bambini che vengono mandati a casa delle famiglie allo scopo di passare informazioni alla polizia.

Il 7 novembre, Albores non riesce ad offrire a Labastida altro capitale se non sé stesso e la sua squadra. La domanda che sorge, dunque, è: in cosa potrebbe essere utile Albores a Labastida, poiché assomiglia più a un fusibile che, potendolo bruciare in qualsiasi momento, può essere facilmente sostituito? Esiste poi un altro scenario che si aprirà in febbraio, quando Labastida comincerà ad aumentare l’intensità della sua campagna per le elezioni di luglio e quando, con tutta probabilità, nello stesso periodo, potrebbe verificarsi un’azione militare forte in cui il finale sarà "cacciamo Albores perché è stata commessa un’azione grave in Chiapas", bruciando così un altro fusibile…

Penso che la problematica sulla governabilità dello Stato è qualcosa che merita molta attenzione, poiché mi sembra che, in questo ambito, uno dei problemi o delle sfide, sia anche quello relativo alla situazione dei desplazados. La settimana scorsa, si è verificato ancora uno sgombero forzato di alcune famiglie dalla comunità di Canolal. È davvero impressionante ed indignante il ruolo che giocano le autorità della Procura di giustizia, sia dello Stato che a livello federale, che commettono delle indiscrezioni informando la gente di chi sono i denuncianti, generando un clima di perdita di credibilità e questo è un problema molto diffuso nel paese. Non esiste credibilità nei confronti delle istituzioni e ancor meno legittimità. In questo quadro, la situazione dei diritti umani è sempre più grave. Noi siamo preoccupati perché stiamo ricevendo denunce da diverse zone in cui il ruolo dell’esercito è sempre più di scontro, vediamo che continua la persecuzione nei confronti degli osservatori internazionali ma non solo, è importante anche il ruolo che si sta giocando rispetto alla presenza di osservatori messicani. Sta succedendo che chiunque passi da un posto di blocco, viene interrogato sulla sua destinazione, su cosa va a fare, sulla sua identità e, il tutto, avviene con una serie di azioni intimidatorie sconvolgenti, dove l’unica giustificazione fornita dai soldati è che loro si limitano ad applicare la "Ley Federal de Fuego, de Armas y de Explosivos", quindi non resta altro da fare che sottoporsi al controllo, altrimenti il passaggio viene impedito.

Un’altra sfida importante è quale sarà il futuro del Chiapas rispetto ai negoziati, io vedo questo come estremamente complicato, sono però convinta che, una delle sfide più grandi, sia proprio la costruzione di un processo di pace. Come riuscirci, ancora non mi è chiaro. Il creare le condizioni che possano favorire un negoziato politico lo vedo come l’aspetto più complicato. Zedillo sta per abbandonare il potere e, a parte i morti che ha sulla coscienza, quelli di Aguas Blancas, El Charco ed Acteal, non so se sarebbe disposto a commettere qualche azione di maggior gravità che sarebbe poi l’ultima medaglia che si porta a casa. Penso anche che, adesso, ci troviamo in un periodo di transizione, dove Labastida sta già iniziando a muoversi verso la gente che vuole proprio questo. In questo quadro, tutti i cambiamenti e le nomine che ci sono stati ultimamente, sono, secondo me, molto preoccupanti, come la nomina di José Luis Soberales alla presidenza della "Comisión Nacional de Derechos Humanos". Lui è un uomo dello Stato, una persona che non possiede un percorso di lavoro sui diritti umani, è un legislatore, un avvocato accademico che viene dall’Istituto di Ricerche Giuridiche e che, inoltre, ha dei referenti importanti come Buruaga, che è anch’egli avvocato e possiede una linea totalmente favorevole al partito ufficiale, allo Stato, del tutto acritica. Ci aspettiamo, quindi, che José Luis Soberales possa uscirsene con tutta una serie di azioni, ma pensiamo anche che le cose possono complicarsi ulteriormente. Dunque, avviene il cambiamento all’interno della CNDH, inoltre si nomina Ramón de la Fuente come nuovo rettore dell’UNAM che, come il primo, appartiene all’entourage di Zedillo e che, soprattutto, andrà a garantire un certo tipo di stabilità oppure, come nel caso dell’UNAM, di negoziato, durante il periodo di transizione con la corsa alla presidenza di Labastida.

Oscar: Vorrei aggiungere una cosa ancora più pessimista. Possiamo trovarci in presenza del presidente spietato o del presidente babbeo. Questo è l’altro scenario in cui, forse, Zedillo ha perso il controllo della situazione militare qui in Chiapas, e la ragione per cui non ha potuto rimuovere Albores è perché non sapeva come farlo, inoltre qui in Chiapas chi manovra la situazione sono gli stessi militari e, come se non bastasse, Albores è disatteso dai paramilitari. In questo senso, non importa quanto generosa sia la proposta: fintanto che non avviene un cambiamento di situazione, non potrà esserci dialogo. Diodoro Carrasco, e tutta la squadra di Zedillo, possono offrire tutto quello che vogliono: una lettera aperta, una proposta; si può mettere in discussione come sarà la mediazione, cosa farà il Senato, e tutti questi dettagli, ma se l’esercito prosegue con la pressione sulle comunità, non avrà alcuna importanza cosa facciano. Possono prometterti la pace, che ti sei guadagnato con la guerra, ma per strada possono tenderti un’imboscata; sederai al tavolo dei negoziati, ma potrebbero esserci dei militari o dei paramilitari che ti sparano addosso due o tre colpi. È veramente fondamentale: non si arriverà ad un dialogo senza una discussione reale sul campo, ma questa non sta avvenendo e non ha l’aria di succedere. A questo riguardo, il presidente babbeo ha già perso il controllo di questa situazione, della sua stessa dinamica e, risolvere tutto questo, diventa sempre più complicato.

Marina: Proprio per questo, la vostra presenza qui mi sembra indispensabile. Penso che una delle cose che sta dando fastidio al governo del Messico, e continuerà a darne, è che ci siano occhi attenti rivolti a cosa sta succedendo qui. Credo inoltre sia uno dei modi per dare risalto alla grave violazione dei diritti umani che è in atto, in cui esiste una situazione d’impunità permanente e una militarizzazione del territorio che potrebbe condurre alla "colombianizzazione" del Messico. Sono convinta del fatto che il governo ha svolto un lavoro diplomatico enorme in tutto il mondo, cercando di presentare l’immagine che qui non sta succedendo niente e credo ci sia riuscito e non solo nei termini delle relazioni diplomatiche o dei mezzi di comunicazione che, in questo, svolgono un ruolo fondamentale. A questo proposito, oggi, a Città del Messico, chi legge i quotidiani La Jornada o Reforma ne è a conoscenza, ma la maggior parte della popolazione non legge i giornali, ascolta solo la televisione e segue i notiziari di TV Azteca e TeleVisa, bevendosi tutto quanto gli viene propinato. Credo quindi che anche in quest’ambito, la sfida sia come creare fonti d’informazione; in questo senso vi consiglio di visitare la pagina web del Centro, dove cerchiamo di mantenere attualizzata l’informazione di cosa sta succedendo in Chiapas. Consideriamo anche che voi giochiate un ruolo sostanziale nella pressione verso i vostri rappresentanti all’Unione Europea, siete come una voce, un mezzo attraverso il quale anche noi possiamo arrivare. Per questo valuto la vostra presenza come molto importante, perché oltre alla solidarietà, confidiamo nel fatto che voi possiate suscitare un altro tipo di reazioni con il lavoro che svolgete nelle vostre organizzazioni, con i parlamentari e via di seguito. Penso si dovrà prestare particolare attenzione ai mesi di dicembre e gennaio, periodo in cui si celebrano gli anniversari della strage di Acteal e della ribellione zapatista. È un periodo molto pericoloso qui in Chiapas e mi sembra opportuno che voi, insieme ad altre persone sensibili al problema, possiate organizzare una delegazione per i primi di gennaio. Oppure anche in prossimità del giorno 25 gennaio, data in cui don Samuel Ruiz abbandona ufficialmente il suo incarico di vescovo, varrebbe la pena che una delegazione internazionale fosse presente. L’addio di don Samuel sarà un evento notevole, dove si avrà una presenza ecumenica proveniente da una grande quantità di regioni del Messico e da diverse parti del mondo. Arriveranno tante persone e si terrà un’iniziativa, una settimana teologica, in cui si presenteranno diversi temi di riflessione con la gente che viene da tutto il mondo. Per questo motivo, credo varrebbe la pena che voi contempliate l’eventualità di una vostra presenza: da un lato, per vigilare sulla situazione che potrebbe verificarsi nel periodo che va da dicembre a gennaio, dall’altra perché possiate essere compartecipi di questo momento di transizione ecclesiale, che noi valutiamo preoccupante. Non sappiamo se a don Raúl Vera Lopez verrà permesso di continuare il lavoro di don Samuel, se avverranno dei cambiamenti o cos’altro potrebbe succedere. Questo è ancora in processo di gestazione ma, purtroppo, abbiamo già avuto esperienze molto "gradevoli" delle azioni intraprese dal Vaticano: come nel caso della morte di monsignore Oscar Romero, dove, in pratica, hanno posto come suo successore un vescovo di destra, facendo crollare tutto il lavoro che Romero aveva realizzato. Per questi motivi, credo sia importante la presenza di una vostra delegazione, quella settimana poi sarà interessante, ma sono soprattutto preoccupata per ciò che potrebbe accadere in quei giorni, potrebbero verificarsi delle azioni.

Ora, vorrei parlarvi di una questione che riguarda lo scenario nazionale, una questione che merita una particolare attenzione: i gruppi armati nelle altre regioni del paese. Credo non si possa minimizzare la cosa. Temo che il malcontento, che le elezioni di luglio potrebbero generare, scatenerà, in alcune regioni, diverse insurrezioni e questo porrebbe il paese in una situazione molto più complicata di quella attuale. Con questo avrei finito, avete delle domande?

Riguardo al tema della giustizia, vorremmo chiedervi: dal momento in cui raccogliete una denuncia, quali sono i passi successivi e, si riesce poi ad arrivare ad una soluzione? Vorremmo sapere cosa fa il Centro, oltre a diffondere informazione e a creare una risonanza attraverso le denunce…

Marina: Credo che l’amministrazione della giustizia sia uno dei problemi più gravi che dobbiamo affrontare. Ora non ho il numero esatto, ma forse potremmo contare sulle dita della mano quanti sono i casi portati a termine in senso giuridico, quando un processo viene svolto fino in fondo. Abbiamo avuto casi in cui, una volta presentata denuncia, a quel punto, si suppone, i poteri pubblici hanno bisogno di un certo periodo per svolgere indagini, che sono tempi già stabiliti dall’iter giudiziario, per poi trasmettere i casi ai giudici affinché prendano le decisioni finali di sentenza. Però, qui in Chiapas esiste un fenomeno davvero interessante. Il Presidente del Supremo Tribunale di Giustizia è un quadro politico del governatore, è una persona che non ha un mandato in termini strettamente giuridici, bensì politici. Lui, beh, è uno che va alle riunioni con il governatore, ma, pubblicamente, appare solo come colui che mette in pratica una serie di iniziative, come, ad esempio, quella della rimunicipalizzazione. Il Presidente del Supremo Tribunale di Giustizia si è lanciato in un discorso assolutamente sconcertante, in cui non fa mai riferimento alle questioni di legalità-illegalità, niente del genere, ma compare solo come un funzionario. Anche nelle stesse procure esiste una serie di circostanze terribili, come il non contare su un’infrastruttura sufficiente per seguire i casi e spesso ci sono due segretarie con un’unica macchina da scrivere, perché i computer, da queste parti, sono arrivati molto tardi. Quando accompagniamo gli indigeni a presentare le denunce, questi sono costretti ad aspettare ore ed ore e, spesso, il nostro ruolo è di entrare in uno stato di scontro permanente, facendo pressione sulle autorità affinché svolgano le indagini. Avvengono episodi gravi, come quello riguardante Canolal, di cui vi ho già parlato, dove alcune persone hanno presentato delle denunce per aver ricevuto minacce di morte, ma poi funzionari della Procura indigena e della PGR hanno passato quest’informazione al comandante di Seguridad Pública della comunità e alle autorità locali. Dov’è allora l’ambito di discrezione se, ad esempio, io presento una denuncia contro di te, le autorità vengono da te e ti dicono: "Ehi, guarda che Marina ha intenzione di denunciarti"? È, quindi, una brutta situazione perché viene commessa una serie di azioni che violano i diritti dei denuncianti, è vero che uno ha il diritto di sapere cosa succede, ma deve essere anche garantito un ambito di discrezione. Siamo molto preoccupati per quanto concerne il caso di Canolal perché viene a galla una situazione di corruzione interna; c’è un lavoro congiunto di cui, crediamo, l’aspirazione non sia quella di amministrare la giustizia, né quella di mantenere una situazione in cui l’impunità cessi di prevalere. Credo che, in molti casi, si continua a svolgere processi dove si accusa gente che non è responsabile dei fatti, mentre il vero colpevole viene protetto per le azioni che realizza.

Potreste essere più precisi sui fatti di Canolal?

Oscar: Alcune famiglie di membri di Las Abejas, a Canolal, hanno denunciato alcune persone di questa comunità perché le avevano minacciate e per il fatto di possedere armi. Prima, ne ho fatto menzione perché questo è un esempio del continuo sfollamento forzato di persone a causa delle minacce dei paramilitari. Il fatto è che le autorità, che hanno ricevuto la denuncia di Las Abejas, hanno trasmesso l’informazione al comandante di Seguridad Pública del distaccamento di Canolal, che, subito, l’ha passata alle persone denunciate. A questo punto il clima di tensione aumenta e così le minacce e, queste famiglie, insieme ad altre due composte da priisti che però non erano d’accordo con le minacce, abbandonano Canolal e vanno ad aggiungersi alle migliaia di desplazados accampati ad Acteal, municipio di Chenalhó.

Che opinione avete in merito all’agire della Croce Rossa in tutto questo conflitto?

Oscar: Non ho un’opinione, diciamo che ci sono due Croce Rossa, non so se vi riferite a quella internazionale o a quella messicana. Sono state fatte delle denunce con l’intenzione di provare che entrambe collaborano troppo strettamente con il governo. Ad esempio, a Polhó si è creato un problema con la consegna di medicinali già scaduti ai desplazados. Sicuramente, molte delle comunità, soprattutto quando simpatizzano per l’EZLN, non si fidano della Croce Rossa Messicana (CRM) e hanno le loro buone ragioni. L’ex direttore della CRM ha dovuto dimettersi per malversazione: si è appropriato del denaro consegnatogli. Allora, la Croce Rossa va in crisi ed esistono altri dettagli di cui, però, non sono sufficientemente a conoscenza. Non ho seguito da vicino la situazione esistente tra la CRM e le comunità, ma vorrei far notare che non esiste un vero e proprio blocco verso questa istituzione. Sono stati i primi ad arrivare ad Acteal, dove hanno denunciato che c’erano dei morti, che lì c’era stata una strage, proprio nel momento in cui si cercava di occultare questa situazione. La questione è complicata, ma non può essere considerato come un blocco.

Avete sentito parlare di sterilizzazione oppure di contraccezione forzata?

Oscar: Sì, ne abbiamo sentito parlare. Qui al Centro credo che non ci sia arrivata direttamente alcuna denuncia, ma se avrete una riunione con l’associazione Kinal, che è un’organizzazione locale di donne, sarebbe meglio fare a loro questa domanda. In ogni caso sì, c’è stato un uso a fini politici delle risorse economiche: installano una clinica in una comunità e, per concederti l’assistenza medica, come esame previo, fanno la sterilizzazione, senza che tu te ne accorga, non ti consultano nemmeno prima di sterilizzarti. Ti rivolgi al consultorio per un’altra cosa e ti sterilizzano… Credo che, per avere conferma di queste cose, sarebbe meglio intervistiate le donne che hanno ricevuto questo trattamento e, se sono d’accordo, sottoporle ad una visita medica per confermare cosa è stato loro fatto. La persona esiste, non è morta e lei stessa potrà confermarvi, senza ombra di dubbio, se questa politica avviene e quanto sia comune. È come se arrivasse a noi la denuncia, non dico sia facile, ma è abbastanza semplice perché è possibile documentarlo, quindi, con questi dati in mano, nessuno potrebbe negarlo.

Esistono casi comprovati di comunità cui vengono lesi i diritti collettivi?

Oscar: Di casi ne esistono in abbondanza, un esempio è rappresentato da Amador Hernández. Andrete a visitare questa comunità?

L’abbiamo visitata questo pomeriggio….

Oscar: L’esercito è arrivato e si è installato sui terreni dell’ejido, della comunità. Questo è un diritto collettivo riconosciuto dalla Costituzione e loro non hanno chiesto il permesso a nessuno e, ancora oggi, sono lì piazzati. Il fatto è che il Messico ha firmato la Convenzione n° 169 dell’OIL, ma continua a decidere lo sviluppo delle comunità, senza consultarle minimamente su come questo sviluppo le danneggi. Un caso è quello di Amador Hernández, dove tutta la comunità ha rifiutato la strada, tutta la popolazione, ma si va avanti con questo progetto stradale, con le strade e i progetti di sviluppo a fini controinsurrezionali. Basterebbe andare a Xo’yep, nei pressi di Chenalhó, per vedere quanti abitanti della comunità vogliono che vi resti la postazione di "lavoro sociale" dell’esercito, che i militari restino lì, presso la sorgente chiamata "Ojo de Agua". Esiste questa foto famosissima scattata il 3 gennaio 1998, quando l’esercito si è installato in quella comunità: un soldato viene spinto via da una donna indigena. Si verifica, quindi, una violazione dei diritti collettivi, poiché la fonte d’acqua potabile è necessaria alla comunità. Anche nel caso di Taniperla, potrebbe essere messo in discussione quali diritti possa avere un municipio autonomo, ma si tratta di una questione politica che non dovrebbe essere risolta militarmente, vero? Tuttavia, il governo opta per risolverla militarmente. Questa situazione è stata ben documentata ed è stata inserita nei nostri dossier, da cui potrete ricavare dei dati: l’esercito arriva, gli uomini sono costretti ad abbandonare la comunità per rifugiarsi in montagna e le donne vengono minacciate di stupro. Sono tantissimi i casi che accadono oggi, alcuni mesi fa o addirittura anni. Tantissimi di questi casi li abbiamo citati, ma nei nostri dossier, inseriti nella nostra pagina web, potrete trovarne molti altri. Quasi tutti i casi che riguardano la militarizzazione nelle comunità, violano i diritti collettivi, assolutamente riconosciuti.

Insistendo sul tema della sterilizzazione, nel municipio autonomo Flores Magón abbiamo ricevuto la denuncia che questa ha luogo non solo nelle cliniche, ma anche nelle scuole; sostengono che le bambine vengono vaccinate e sembra si tratti di iniezioni di ormoni…

Oscar: Vi darò la stessa risposta, cioè che bisogna trovare un medico indipendente, portargli il certificato di vaccinazione, svolgere delle analisi sugli ormoni che sono stati iniettati, stabilire di quali ormoni si tratta e se effettivamente sono stati iniettati. Riguardo alle sterilizzazioni forzate noi non abbiamo nulla di comprovato.

Marina: Credo che, per noi, siano delle questioni molto delicate, ma una delle questioni che abbiamo molto chiara è quella che, se non siamo in possesso di documentazione comprovante l’informazione, meglio stare in silenzio. Si generano una serie di ripercussioni, e voi lo sapete bene. Su questo punto non abbiamo un’informazione comprovata, tuttavia, varrebbe la pena voi incontriate Marcos Arana, membro di un’organizzazione che lavora qui a San Cristóbal, che si occupa permanentemente delle questioni relative alla salute e mi sembra che Marcos, su questo tema, potrebbe darvi elementi informativi, poiché loro, portano avanti un progetto di difesa nell’ambito delle questioni sanitarie. Per questo penso valga la pena parliate con lui.

Continuano a segnalarci che diverse persone, coinvolte nella strage di Acteal, si trovano in libertà. Il problema dei mandanti, a livello giuridico, è una delle grandi battaglie che stiamo dando, perché esiste una gestione politica dell’amministrazione della giustizia e, per questo motivo, non vogliono andare a fondo della questione; il pubblico ministero dice di non essere in possesso di elementi sufficienti per punire i mandanti. Ci troviamo proprio nel bel mezzo di uno scontro con la Procura, perché le chiediamo come sia possibile, che ci spieghino, allora chi ha consegnato le armi, oppure se la gente se ne va all’emporio della cooperativa e le compra… Quando ci sono mandanti, come il dirigente della polizia statale di Seguridad Pública che è a capo di questa vicenda e che, proprio per questo, si trova in carcere, è l’unico alto grado incriminato, mentre, a parte lui, tutta la gente dell’ex governatore Ruiz Ferro è stata trasferita ad altri incarichi. Qui in Messico, i massacri e le gravi violazioni dei diritti umani vengono premiati. In questo modo, Robledo Rincón, nel 1994, finisce a capo dell’ambasciata messicana in Argentina, in Patagonia, ed ora, di ritorno, viene collocato al Ministero della riforma agraria. Era stato anche in Israele, inviatovi come funzionario dell’ambasciata messicana negli Stati Uniti per le questioni agricole. Qui in Messico, le violazioni dei diritti umani vengono premiate, nel senso che più medaglie ti sei guadagnato con la repressione, maggiore sarà il premio che otterrai. Perché, succede che qui la pressione politica ha un effetto transitorio. Quindi, in questa situazione, sulla strage di Acteal sicuramente la PGR fra non molto rilascerà delle dichiarazioni. Allora stiamo cercando di abbattere con forza un muro, esercitando una pressione molto forte riguardo a questa questione, soprattutto al fatto che le autorità erano a conoscenza di quanto stava accadendo. E il loro agire, beh, per meglio dire, la mancanza di un loro intervento nei fatti… loro avrebbero potuto fermarli e non lo hanno fatto. Quindi, mi sembra che questo avrà, soprattutto, un carattere politico e che, sicuramente, la Procura continuerà la sua opera di dissimulazione, come nel caso di Aguas Blancas: "Sì, certo, il governatore Figueroa… ah, bene, grazie", come se non avesse fatto niente. Esisteva, però, una rete di militari che era anch’essa coinvolta nella strage di Aguas Blancas e in quella di El Charco. Questo è uno, io credo, dei grandi problemi inerenti alle questioni di amministrazione della giustizia, il fatto che si politicizza l’amministrazione della giustizia e, per tanto, non si arriva a dei risultati che puniscano, realmente, i responsabili delle stragi o delle azioni perpetrate.

Queste azioni, sono rivolte anche contro i difensori dei diritti umani?

Marina: Sono molte le azioni che vengono perpetrate e, una di queste – che noi abbiamo potuto rilevare già da tempo – è la questione delle intercettazioni e dello spionaggio. Nel nostro caso, le minacce più gravi possono colpirci fuori da quest’ufficio, nel senso che per noi, allontanarci per documentare sul campo, significa non sapere se potremo far ritorno. Circa un mese e mezzo fa, alcuni nostri compagni che, giustamente si erano recati a Taniperla, nel municipio autonomo di Ricardo Flores Magón, sono stati tenuti in isolamento, sequestrati per due ore, dai priisti della comunità. Questi compagni, a causa delle minacce, sono stati costretti a dire che erano dei turisti che si erano persi. "Voi siete samuelistas e siete qui per destabilizzare! Per entrare nella nostra comunità dovete avere il permesso delle autorità di Ocosingo". Se i nostri non avessero detto così, chissà cosa sarebbe successo. Per questo, le situazioni di rischio, durante le visite nelle comunità, sono ogni volta più numerose, poiché è in atto un’offensiva da parte delle autorità municipali per non permettere la presenza di chiunque sia un estraneo; questa situazione è in continuo aumento. Tutto questo segue una logica, che poi è quella di tenere questi luoghi sgombri da testimoni, in modo che non esistano prove delle azioni che il governo, o i militari, stanno realizzando.

D’altra parte, si sono verificati anche casi di persecuzione, ad esempio, la presenza di veicoli non identificati o di individui che ci sorvegliano dagli angoli delle vie oppure che ci pedinano qui in città. Ma, per fortuna, per il momento, si limitano a questo. Ci sono alcuni fatti su cui stiamo ancora cercando di fare luce, come, ad esempio, quello riguardante alcune compagne dell’assistenza sociale che collaborano con noi, che hanno come vicino un militare e hanno trovato sottosopra l’appartamento in cui vivono. Esiste, quindi, tutta una serie di azioni che avvengono in quest’ambito che, secondo noi ha però diversi livelli ma, quello di maggior preoccupazione, resta comunque l’aspetto che riguarda le visite nelle comunità. Perché le situazioni di rischio sono sempre di più e noi siamo sempre meno protetti. Questo è un problema molto serio perché, nel nostro lavoro di difesa dei diritti umani, soprattutto quello svolto sul campo, l’aspetto fondamentale è proprio la raccolta di documentazione e se iniziano ad interferire nella possibilità di recarci sul posto, perché potrebbe succederci qualche incidente molto grave, si andrebbe a creare un clima che ci renderebbe molto più complicato svolgere questo lavoro, in cui la questione della nostra sicurezza è sempre più a rischio. Le situazioni che abbiamo vissuto fanno parte di questo contesto. È bizzarro perché, per esempio, nel caso dei veicoli e degli appostamenti, noi abbiamo scattato delle fotografie a chi ci stava pedinando e poi abbiamo sporto denuncia presso la PGR, nella persona del Dott. Madrazo. L’effetto è stato immediato, ci hanno mandato gli agenti di Seguridad Pública a chiederci se avevamo bisogno che sorvegliassero l’edificio, gli abbiamo risposto: "Grazie ma non abbiamo bisogno che disturbiate il nostro lavoro", dato che fanno già tanto per disturbare nelle comunità. Per di più le auto che ci seguono si cambiano spesso, vale a dire, spariscono e poi ne compaiono altre, in modo che, improvvisamente, non ci sono più le stesse persone né i veicoli con tali targhe. Quindi, in un certo senso otteniamo un certo effetto, quando succede qualcosa del genere lo denunciamo immediatamente e ci muoviamo con le autorità fornendo le prove di ciò che sta avvenendo. Per fortuna, non siamo arrivati, né speriamo si arrivi, a situazioni tanto indignanti e vergognose come quelle che stanno subendo i compagni del Centro Miguel Agustin Pro Juarez. (vedi intervista a Digna Ochoa)

Potreste parlarci dei dossier pubblicati dal vostro Centro?

Marina: Certo, con piacere. Ogni mese pubblichiamo un dossier su diverse situazioni e potreste portarvene via delle copie, ma se vi è più comodo, potete trovarli inseriti nella nostra pagina web. Credo proprio valga la pena che voi veniate in possesso di tutti questi dossier. Troverete il dossier che abbiamo consegnato alla relatrice dell’ONU, Asma Janaghir e stiamo ultimando quello che presenteremo a Mary Robinson. In questo modo, voi potrete avere tutta la documentazione possibile. Nel caso abbiate qualche incertezza su un caso in particolare, noi, con molto piacere, siamo disposti a darvi l’informazione richiesta.

Marina, vorremmo chiedere la tua opinione riguardo ad una decisione che abbiamo preso: la CCIODH non ha visitato la comunità di La Trinidad perché siamo stati avvisati che la nostra visita avrebbe potuto causare dei problemi agli zapatisti che vi abitano…

Marina: Il fatto è che la situazione di La Trinidad è molto delicata, perché anche lì si presenta il problema della costruzione di una strada e gli abitanti sono costretti a rifugiarsi in una comunità vicina, Nazaret, per l’appunto. Forse vi hanno detto questo perché si tratta di un luogo strategico e non, probabilmente, perché non vi potete entrare. Non so esattamente cosa stia succedendo, ma si è trattato di una situazione molto complicata quella che hanno vissuto a La Realidad-Trinidad. Succede che gente del PRI, scortata da agenti di Seguridad Pública, indica alcune persone ed è fatta poi un’irruzione nella comunità attraverso un meccanismo brutale. La comunità fugge e diventa desplazada. Secondo quanto mi è stato detto, alcuni di loro sono già tornati nella comunità, perché, di fatto, sono fuggiti solo donne e bambini, mentre sembra che gli uomini siano rimasti. Alcune famiglie, però, dovrebbero avervi fatto ritorno, non so se tutte quante, credo che alcune famiglie siano restate a Nazaret. Inoltre questo fatto è successo proprio quando Albores tempestava tutti con la sua campagna sulla consegna delle armi. Inoltre, i priisti sono diventati super aggressivi e ciò, in questo momento, è una gran complicazione. Stanno cercando di incentivare il rifiuto tra la gente: diritti umani, via! Chiesa, via! Zapatisti, via! In pratica, stanno cercando di mettere tutti nello stesso calderone e questo è un problema serio. Non so esattamente come affrontarlo, ma noi siamo costretti a cercare sistemi alternativi per raggiungere le comunità. Alcune comunità stanno già diventando luoghi dove non si può entrare, quindi, cerchiamo percorsi alternativi oppure la gente stessa viene da noi, ma è molto complicato.

Riguardo quindi alla sospensione del dialogo, dal momento che, la CONAI è disciolta, la COSEVER è come se non esistesse, il governo fa proposte, ma sembra non far nulla per cessare la militarizzazione e la paramilitarizzazione, quale via d’uscita resta agli zapatisti?

Marina: Non è tanto facile affermare che l’unica via d’uscita che ha l’EZLN sia quella militare. Perché i costi civili e sociali sarebbero davvero terribili, inoltre non si può parlare adesso di un riposizionamento dell’esercito federale simile a quello degli anni 1994-1995.. La loro situazione ora è terribile, sono praticamente accerchiati. Certo, la natura gioca sempre a favore delle comunità, ma la natura da sola non basta. Credo, quindi, che l’esercito zapatista, sicuramente, deve trovare altre vie d’uscita. Il problema è anche che l’EZLN non si è mosso in un modo molto strategico, si è tolto di torno gente che lo aveva appoggiato e un’altra cosa è, ad esempio, il suo intervento nella questione dell’UNAM. Le dichiarazioni che fa il subcomandante Marcos… per meglio dire, condivido il fatto che si tratti di un problema strutturale, ma ce ne corre dal prendere, come EZLN, una posizione di appoggio nei confronti degli estremisti dell’università, quindi ti viene da dire: "Va bene, puoi essere un universitario o no, ma nella brutta situazione nazionale, che vie d’uscita hai? Quella di scontrarsi come hanno fatto loro? Io credo sia una questione che non ho molto chiara, non ho una risposta, più che altro ho molti interrogativi e molte preoccupazioni rispetto a quale possa essere la via d’uscita per gli zapatisti. È vero quello che dite, il governo giocherà le sue carte, anche perché è in atto un riposizionamento dell’esercito che è giocato in modo diverso. Adesso, secondo me, il problema è il seguente: l’EZLN è un gruppo armato ma non è l’unico ad esserlo come non è il solo ad agire. Nel quadro nazionale, possono sorgere altri tipi di movimento che possono dare il via ad azioni su un altro livello, e questo, renderebbe la situazione nel paese davvero più complicata. Anche noi ci stiamo facendo la vostra stessa domanda: che vie d’uscita ha l’EZLN?

Oscar: Credo che l’unica che ha sia quella politica, inoltre anche il governo non può gettarglisi contro, per il costo che avrebbe una guerra aperta, ed è proprio per questo che le cose non si muovono. Tutto ciò che gli zapatisti stanno cercando di fare è creare l’appoggio, cioè un movimento politico o qualcosa di simile affinché si attuino gli Accordi di San Andrés, perché si possa tornare al dialogo. Perché nella situazione in cui si trovano ora, se non vengono attuati questi accordi, tornare al dialogo sarebbe un suicidio, perciò, dovrebbe crearsi una situazione, che ancora non vediamo, che allenti la tensione. Ma quali possono essere i fatti che permetterebbero di portare avanti la fase, nessuno lo sa; esistono molti attori coinvolti, le elezioni, la situazione all’interno degli altri Stati, si tratterebbe di approfittare delle aperture, che possono darsi con le diverse congiunture e quindi vedere cosa si può fare.

Avete qualcos’altro da aggiungere che ritenete debba apparire nel dossier della CCIODH?

Marina: Guardate, credo sia molto importante che siate qui per raccogliere e seguire l’evento della presenza di istanze delle Nazioni Unite. Perché, al di là di tutta la presenza o rappresentanza governativa, queste situazioni, come la visita dell’Alto Commissario, danno grande fastidio al governo messicano. Mi sembra sia importante dare risalto al rapporto della Commissione Interamericana, poiché al suo interno vi si trovano più di 61 raccomandazioni rivolte al governo messicano, su differenti temi. Questo rapporto è in lingua spagnola, francese ed inglese. Vi consiglio di procurarvelo in modo da poter farne un bilancio. Esiste una parte dedicata alla questione dei popoli indigeni, non solo del Chiapas, ma di tutto il Messico. Credo, quindi, sia molto importante prenderlo in considerazione. L’altra cosa che, sarebbe bene, vi procuriate, è il pacchetto legislativo di Albores, quello delle leggi da lui presentate. Questo può essere molto importante per le comunità.

 

 

 

 

 

5. RECIO (Red Civil de Observación)

22 novembre 1999, San Cristóbal de Las Casas

La RECIO è costituita da diverse organizzazioni (Alianza Civica, Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas, Coordinadora Regional de Los Altos para la Consulta Zapatista, Enlace Civil, e varie altre) la cui attività è iniziata diversi anni fa, per la difesa dei diritti umani e civili nello stato del Chiapas. Il suo scopo principale è l’organizzazione di brigate da inviare nelle comunità indigene, allo scopo di raccogliere denunce e testimonianze sulle minacce e persecuzioni. La documentazione di questi fatti, è effettuata attraverso fotografie, testimonianze e documentari filmati, che serviranno come base per la stesura di comunicati destinati alla stampa.

Risoluzioni principali

La RECIO, insieme con altre organizzazioni e personalità indipendenti, sottoscrive e fa propria la richiesta di porre sotto inchiesta il governatore Albores Guillén.

La RECIO chiede alla COCOPA di mantenere e applicare i 10 punti del documento sottoscritto insieme alla CONAI nell’agosto del 1996. Come strategia successiva la RECIO si prefigge di ampliare lo scambio con altre organizzazioni del resto della Repubblica.

Denunce

- Minacce e persecuzioni da parte dell’Esercito Federale contro i membri delle brigate messicane, cui è ostacolata la libera circolazione.

- Recenti attentati contro il Coordinamento Regionale di Los Altos

- Violazione quotidiana di alcune garanzie individuali nell’intero Stato del Chiapas e con maggiore incidenza nelle comunità

- Ingovernabilità: il governatore Albores Guillén, che stava per essere destituito dal presidente Zedillo, ha mobilitato le forze più reazionarie del PRI, la corporazione dei tassisti e del trasporto pubblico in città come Tuxtla Gutierrez, San Cristóbal de Las Casas ed Ocosingo. La giunta municipale ha deciso di fare una denuncia per il blocco stradale subito dalla città in questi ultimi giorni. Questi eventi dimostrano il grado di decomposizione cui è arrivato il PRI, situazione che con la maggiore instabilità provoca ulteriore violenza. Consideriamo che questa è un’ulteriore conseguenza della prassi abituale del governo centrale di imporre in Chiapas i governatori dall’alto. D’altra parte, per le sue strette relazioni con l’esercito, Albores è un ingranaggio importante della politica di controinsurrezione condotta dal governo. Da quando questi è in carica, la repressione è aumentata e si è accentuata la guerra di bassa intensità.

La RECIO ha consegnato alla CCIODH un rapporto consistente in un fascicolo e in un floppy-disk sulle azioni intraprese.

 

 

 

 

 

6. Red de Defensores de los Derechos Indígenas

San Cristóbal de Las Casas, 23 novembre 1999.

Da alcuni mesi si sta organizzando una rete di difensori indigeni dei diritti umani, provenienti da diverse comunità e regioni del Chiapas. Quest’iniziativa nasce dall’impossibilità, per le comunità, di difendersi giuridicamente quando i colpevoli sono pubblici ufficiali o membri dell’esercito, di Seguridad Pública o della polizia giudiziaria, quando è ovvio che non saranno condotte né indagini né processi giuridici. Ha la sua ragione d’essere anche nella difesa contro l’impunità che protegge i gruppi paramilitari, che non li condanna per i loro crimini. Un esempio è dato da un difensore che proviene dalla Zona Norte e ricorda che gli assassini di José Tila (22/02/1998), ad eccezione di uno e nonostante i mandati di cattura emessi contro di loro, sono tornati nelle proprie case e sono autori di nuove aggressioni verso le comunità.

I difensori sono nominati e delegati dalle stesse comunità d’origine. Queste 130 persone vengono da una decina di regioni chiapaneche. La rete, in via di sviluppo, permetterà loro di coordinarsi e di diffondere informazione. Molti di loro raccontano che l’impunità è aggravata dall’isolamento delle comunità e dal fatto che sono accerchiate dai militari e dai paramilitari. La difficoltà, quindi, consiste nell’uscita e nella trasmissione di notizie, denunce e reclami. Per esempio, il padre di José Tila, minacciato perché testimone dagli stessi assassini di suo figlio, non è potuto venire a San Cristóbal per rendere la sua testimonianza, un anno e mezzo dopo i fatti.

I difensori spiegano che le loro comunità, oltre a nominarli, si organizzano per proteggerli. Sono soprattutto loro ad essere minacciati. Il compito dei difensori è di indagare sui fatti, scrivere le denunce, portare le querele alla procura, fare assistenza giuridica. Ruolo che, già, alcune istituzioni e autorità stanno loro contestando. La formazione giuridica, finanziata in gran parte da Ong e fondazioni nordamericane, è svolta da un gruppo di persone competenti insieme all’avvocato Miguel Angel de Los Santos. Si lavora soprattutto alla formazione per l’utilizzo di apparecchiature video, strumento importante per registrare le prime prove di quanto accade. La realizzazione di video ha permesso di rafforzare la posizione e la parola degli indigeni, quando le loro testimonianze si confrontano con quelle dei militari o paramilitari. Un difensore racconta di aver registrato il video dell’attacco dei paramilitari contro un giovane indigeno che vive in un municipio autonomo.

Infine, lo studio giuridico e l’analisi della legalità permette loro di affrontare meglio la realtà del Chiapas, dove, di fatto, si applicano regole eccezionali (Guerra di Bassa Intensità) nell’ambito di un contesto legale che assomiglia molto ad uno stato d’assedio o d’emergenza. L’altra faccia di questa realtà, dicono, è la legge sulla rimunicipalizzazione e le sue modalità d’applicazione, la quale è in contraddizione con gli Accordi di San Andrés. Un difensore porta l’esempio di quanto è accaduto nel dicembre 1998 nella sua comunità, Petalcingo, Tila. L’assemblea del municipio aveva rifiutato la rimunicipalizzazione: le 1500 persone presenti avevano firmato questa risoluzione. Un gruppo di circa 150 priisti, però, si è organizzato, nonostante la votazione, per imporre la rimunicipalizzazione. Sono stati fabbricati documenti falsi, usando il nome delle autorità del municipio, con timbri e firme falsi. Allora i difensori hanno dato il via all’indagine.

Alla domanda riguardante le differenze tra diritti indigeni e diritti umani, alcuni difensori hanno spiegato che vogliono sviluppare il loro lavoro anche rispetto ai diritti indigeni, ossia, in quel quadro di costumi che cercano di risolvere problemi locali con strumenti, comunitari e collettivi, di dialogo e di consenso.

 

 

 

 

7. Incontro con Amado Avendaño, governatore in ribellione dello stato del Chiapas

Quali cambiamenti sono avvenuti dal febbraio 1998 in relazione al conflitto?

Nessuna volontà di mettere in atto gli Accordi di San Andrés, solo quest’insistenza del governo nel non dare compimento agli accordi. Come voi ricorderete, la COCOPA ha intimato le parti affinché raggiungessero quell’accordo che stavano ormai discutendo da due anni e, quindi, ha proposto un progetto di riforma della Costituzione, dicendo: "ciò che vogliamo è che ci garantiate che verrà accettato"; a quel punto l’EZLN dice: "sì, sono d’accordo", il governo dice: "sì, sono d’accordo"; la COCOPA risponde: "in questo caso iniziamo a lavorare al progetto e voi, lo dovrete accettare". Quando il progetto è pronto, lo presentano all’EZLN che afferma che non è del tutto di suo gradimento ma che lo firmerà, anche i rappresentanti del governo dicono di essere d’accordo e che lo accettano. Quando però questo documento arriva al ministero degli interni, il gruppo di lavoro del presidente della Repubblica, dice: "il testo non ci è piaciuto, siamo il governo e non lo accettiamo". Di conseguenza gli zapatisti si seccano e dicono: "ci ritiriamo dal processo perché il governo non adempie la sua parola e non ha alcun senso proseguire la discussione". Da quel momento non si incontreranno più finché il governo non manterrà la sua parola, inoltre, penso si sia trattato di un’assurdità del potere esecutivo, poiché avrebbe solo dovuto trasmetterlo al Congresso, lavandosene quindi le mani, perché è il Congresso che deve decidere se approvare o no le iniziative di legge, nel rispetto della sovranità nazionale, ma il presidente della Repubblica si rifiuta anche di inviare questo testo al Congresso. Tutto, quindi, si è fermato e questa situazione perdura dal febbraio del 1996.

E riguardo a quest’ultima proposta del governo in cui fa intendere di voler riprendere il dialogo?

Il Ministero degli interni dice: "Sì! Noi, il governo, stiamo inviando un’iniziativa di legge al Congresso". L’EZLN dice: "non si tratta però dell’iniziativa, di quell’iniziativa su cui ci eravamo messi d’accordo, tu stai mandando un’iniziativa che però è la tua, non è quella della COCOPA che era stata accettata da entrambi, quindi, non stai adempiendo". A quel punto si è bloccato tutto, proprio perché il governo non ha adottato quanto aveva già accettato, con un presidente che non ha trasmesso l’iniziativa della COCOPA al Congresso dell’Unione affinché venisse discussa in quella sede, dove avrebbe messo fine al suo problema poiché così si sarebbe esonerato dall’impegno, giacché sarebbero stati i partiti a dover approvare il testo e chissà, forse non sarebbero riusciti a farlo ancora oggi. L’opposizione di Zedillo nel presentare quest’iniziativa alla discussione è stata come un capriccio personale.

Potremmo dire allora che, dalla nostra visita nel febbraio del 1998, la situazione è rimasta la stessa?

Esattamente, il processo si protrae immobilizzato e ciò, esclusivamente, a causa dell’insensatezza del presidente della Repubblica che non vuole cedere e trasmettere quest’iniziativa di legge al Congresso.

Perché questo diniego del presidente ad inviarla al Congresso?

Beh, perché teme di perdere, è per questo che non la manda. Esiste nella camera dei senatori, la Camera Alta, un gruppo di senatori che si soprannomina "Los Galileos" che stanno sollevando obiezioni su tutto ciò che fa il presidente della Repubblica e, forse come dite voi, è proprio per timore che il suo stesso partito la lasci passare.

Questo gruppo è più conciliante?

Effettivamente sono più condiscendenti; a questi apparteneva Pablo Salazar. Esiste un gruppo di senatori, circa 60 - il che rappresenta un numero sufficiente - che stanno cercando di conciliare perché vedono che il paese sta andando a picco. Durante tutto questo tempo, il potere esecutivo ha fatto pressione per mezzo della Guerra di Bassa Intensità, i militari continuano ad aumentare, i paramilitari continuano ad esistere in gran quantità ed esiste un’impunità spudorata: ad esempio, verso i paramilitari della Zona Norte dell’organizzazione Paz y Justicia, che sono dei criminali e, dietro di loro c’è l’esercito messicano che, non volendo macchiarsi di sangue, preferisce che siano gli stessi indigeni ad ammazzarsi tra loro. Penso che sarebbe importante che vi incontriate con loro, giacché voi siete una realtà esterna che però, in un dato momento, potrebbe conciliare, nel caso sia necessario. Questo è l’obiettivo.

Nello stesso modo in cui è aumentata la presenza paramilitare, è aumentata anche quella dei militari?

In modo spaventoso! Ad Ocosingo è stata creata una nuova zona militare: la 39a. Gli americani ci hanno "omaggiato" di tutto il loro ferro vecchio, vendendoci 73 elicotteri che non funzionano per niente.

Dall’inizio del conflitto le zone militari sono state modificate. Attualmente la settima regione militare è costituita da cinque zone militari: la 30a a Villahermosa, la 31a a Rancho Nuevo, la 36a a Tapachula, la 35a a Tenosique e la 39a ad Ocosingo. Come se non bastasse, oltre alla base aerea di Tuxtla, sono state costruite due basi aeree addizionali: una a Ciudad Pemex, nello stato di Tabasco, che è la base aerea militare n° 16, poi l’altra situata a Copalá, vicino a Comitan, nel Chiapas, che è la base aerea n° 17. Tradizionalmente, la base aerea della 3a zona militare si trova d’istanza a Tuxtla Gutierrez. Questo, per quanto riguarda le nuove zone militari. Il numero degli effettivi militari posizionati in Chiapas, secondo il ministero della difesa, oscilla tra i 20 mila e i 25 mila, ma, secondo diversi organismi dei diritti umani, la cifra si aggira sui 60-70 mila. Lo schieramento militare in Chiapas ha provocato un’insieme di misure che aumentano il potere di fuoco e l’estensione del controllo locale dell’esercito, la saturazione militare in zone critiche del Chiapas, la creazione di nuove unità militari e l’addestramento della controinsurrezione. Dati del dipartimento della difesa degli Stati Uniti confermano che il Messico sta aumentando la sua capacità di fuoco con armi acquistate con il sistema DSMDS di vendite militari all’estero. Nell’anno fiscale del 1996 il Congresso degli Stati Uniti ha autorizzato la vendita al Messico per 146 milioni di dollari di armamento e 1 milione in cartucce, maschere antigas, prodotti chimici e materiale antisommossa.

Nel 1997 il Messico ha continuato nell’acquisto di armi chimiche antipersona per il controllo dei tumulti ed altro armamentario leggero: lanciagranate, strumenti laser e pistole. Ha inoltre ricevuto appoggi per la scuola dei kaibiles, dove si addestrano a catturare animali e ad ammazzarli con le proprie mani: li obbligano a scannare un porco perché si abituino al sangue. Sembra che vengano addestrati dalla brigata antinarcotici in addebito al budget della difesa degli Stati Uniti. Per l’anno 1997 sono stati destinati 29 milioni di dollari.

Nell’anno 1998 oltre 1000 effettivi dell’esercito hanno ricevuto addestramento in Georgia, USA. Il generale Gallardo, per aver denunciato nel dicembre del ’98 la corruzione presente nell’esercito, è finito in carcere, nonostante che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani abbia insistito sulla sua liberazione; il generale chiede che, all’interno dell’esercito, venga integrata una commissione sui diritti umani, poiché considera che i militari superiori siano crudeli nei confronti dei militari inferiori, quindi vuole che una commissione controlli questi abusi di potere.

Questo aumento della militarizzazione è una conseguenza dell’insurrezione zapatista e avviene solo in Chiapas?

No, avviene anche nel Guerrero e in Oaxaca, ma è in Chiapas dove si trova la maggior concentrazione e ciò è dovuto al fatto che è il luogo dove il movimento ribelle è più organizzato. Inoltre non è distante dal Guatemala dove aveva già una forza alla frontiera e il fatto che i militari di lì si sono messi d’accordo con quelli di qua; è evidente che, per di più, stanno lasciando abbandonato il resto del paese e, come ha detto Marcos: "quando si solleveranno altre parti del paese, l’esercito non avrà abbastanza effettivi e materiale sufficiente per difendere tutto". Si tratta di un costo disumano immenso riguardo ad altre aree disagiate dell’economia. La corruzione è brutale poiché stanno approfittando della guerra per fare affari e stanno inquinando ogni cosa, pensate che i commercianti stanno chiedendo al governo che le forze armate seguitino nel Chiapas, ma non per la difesa e la tranquillità dello stato, bensì per il fatto che 10 mila soldati e le loro famiglie presenti in questa zona militare acquistano nei negozi di San Cristóbal; dunque, l’ambiente è stato contaminato, i postriboli che prima erano soltanto due e non andavano a gonfie vele, dalla sera alla mattina lavorano a pieno ritmo con un conseguente aumento della tossicodipendenza e dell’alcolismo. Ciò è davvero spaventoso perché sono già riusciti a contaminare la coscienza sociale che prima non giungeva a questi livelli.

I recenti conflitti nelle comunità vengono causati in quest’ordine: prima arrivano i macchinari ad aprire il cammino, poi vengono i camion dell’esercito, dietro di loro vanno le prostitute e in seguito l’alcol e le droghe. Quindi la contaminazione è tremenda.

Come reagiscono le comunità a queste aggressioni ?

Fa ridere che il poderoso esercito debba fermarsi davanti a un gruppo di donne che, con bastoni di legno, non lo lascia passare; è realmente incredibile che l’esercito debba assemblare tutta una recinzione di filo spinato per evitare che le donne arrivino a dare bastonate ai soldati, non si spiega la capacità di decisione del popolo contro un esercito che o è timoroso di entrare oppure sapendo di poter manganellare donne e bambini non lo fa: tutto ciò è un paradosso! Il terribile vantaggio che non ce la fa sullo svantaggio, con tutte le strategie che cerca di realizzare…non può. Intanto, il 21 marzo, per fortuna, è stata organizzata la Consulta Nazionale che ha ottenuto una risposta un po’ lenta ma molto sicura, molto ferma, dal momento che si sono messe in viaggio le brigate di zapatisti per tutto il paese, si sono create delle commissioni in 1500 municipi che, anche se in modo lento, stanno rispondendo ogni volta che l’EZLN le convoca. Si discutono proposte che vengono discusse a La Realidad e si arriva al consenso per renderle effettive; l’importante è appoggiare i movimenti locali che si stanno formando, alcuni nel Chihuahua altri in Jalisco, così lontani e così distanti da tutto che non conosciamo i loro problemi. Si sta decidendo che tutti si lotti contro quanto avviene in Jalisco, quanto succede in Yucatán, perché c’è un amalgama molto lento di carenza educativa, dobbiamo educarci in una dinamica che sta ottenendo successo, sembra che sia maggiore a quello avuto dal Frente Zapatista che non è riuscito a coagulare, penso perché era costituito inizialmente, o aveva cercato di guadagnarsi il favore, da famosi attivisti sociali che fanno molto clamore ma che poi si spengono: qui non è successo, perché la Consulta è stata fatta da gente del popolo, tra le esigenze della gente che stabilisce la lotta.

Esistono settori che non condividono le proposte di Marcos?

Sì ed è stato terribile. Non so se ricordate quando Marcos aveva criticato molto Carlota Botey e Benito Miron che si stavano appropriando del movimento, vale a dire che, saltati in groppa al cavallo zapatista, stavano allargando le loro basi. Ovvero, chi vuole venire qua, stia qui e chi no, che si iscriva da un’altra parte. Fin dall’inizio sono stati molti a voler accalappiare il movimento montandoci sopra ma senza riuscirvi. In questo gli zapatisti sono stati irremovibili nei loro ideali e le loro tattiche sono così: "se volete accettarle, benvenuti, se non volete, per favore andatevene. Chi non vuole andare avanti non lo obblighiamo". Il fattore tempo sarà fondamentale, per fortuna il governo è soggetto a processi elettorali, mentre gli zapatisti sono lì da 500 anni e hanno una pazienza infinita e non importa loro dei tempi; i tempi zapatisti vincono su quelli ufficiali. Alcuni si sono stancati perché non erano poi così convinti ma nella maggioranza sono incrollabili, sono dei combattenti che hanno bisogno di produrre alimento, mais, fagioli. Non abbiamo bisogno d’altro che di questa gente che è salda e così il loro lavoro: quando un combattente cade, un altro ne prende il posto.

Circolano voci su un distacco tra l’EZLN e la Chiesa, cosa vi è di vero?

Sono cose che si dicono, ma dalla mia prospettiva, vedo che le delimitazioni stavano avvenendo perché arrivò il momento in cui la Chiesa disse: "non possiamo continuare a pregare ogni giorno per evitare che questo sbocchi nella guerra", e gli zapatisti dissero: "no, dobbiamo agire, qui non c’è guerra, quelli che vogliono seguirci, bene, e quelli che no, tornino indietro". Esiste una coscienza di razza, di etnia all’interno, credo che ora vedano gli indigeni come sabbatici, mormoni, anabattisti, e si stiano osteggiando tra di loro, ma quando si tratta di difendere l’integrità indigena si uniscono, dimenticano tutti questi settarismi e si mettono insieme. Questa è la questione principale che sta definendo questa lotta, è la razza che è stata umiliata dal momento in cui siete venuti a risvegliarci, quindi questo mantiene gli evangelici e i cattolici in lotta; dicono al signor vescovo di non preoccuparsi che loro risolveranno il problema, che non si intrometta, che potrebbe mettersi a repentaglio. Quindi, io credo che i giudizi da lontano siano falsi. La lotta è tenace.

 

 

 

 

7. Incontro con i familiari di José Jesus Hidalgo Perez, assassinato nel giugno del 1999

Il 19 novembre 1999, a San Cristóbal de Las Casas, la commissione ha raccolto la testimonianza della famiglia di José Jesús Hidalgo Perez. Si sono presentate dieci persone e hanno raccontato i fatti. Si tratta della madre dello scomparso, di sua moglie, dei fratelli e delle sorelle, cognate e nipoti. Quest’antica famiglia di San Cristóbal, molto religiosa, sin dagli anni ‘80 partecipa alle attività sociali ed ecclesiali. Dal 1994, la famiglia partecipa alle attività del movimento per la pace, che appoggia gli accordi sottoscritti a San Andrés.

Nel 1994, quando è sorto il movimento civico "Ciudadanos de San Cristóbal por la paz" (Ciuspaz), contemporaneamente è apparso il gruppo denominato "Frente Civico de los Autenticos Coletos ". Secondo Manuel, questo gruppo si dedica a far pressione, contrastare ed attaccare le organizzazioni sociali indipendenti. Già in quel periodo, gli "Autenticos Coletos" avevano ripetutamente minacciato la famiglia Hidalgo. Nessuna denuncia formale è stata mai accolta.

Negli anni seguenti, sono derivate, dal movimento per la pace, diverse organizzazioni dove la famiglia Hidalgo ha partecipato. Ad esempio: "Barrios, Colonias y Comunidades de San Cristóbal" (BACOSAN), l’iniziativa "Dialogo por la Paz" da cui è sorta la catena umana attorno alla cattedrale, ed infine il COCIDEP, "Comité ciudadano de Defensa Popular".

Dal 1996, nella piazza principale di San Cristóbal fu creato uno spazio per la pace. Questo spazio è stato smantellato il 7 dicembre del 1998 dai "Autenticos Coletos", alla cui testa c’era il loro presidente, il padre del sindaco di San Cristóbal. L’assenza di qualsiasi tipo di reazione da parte delle autorità municipali, non ha fatto altro che aumentare il discredito e i sospetti sull'imparzialità dei poteri pubblici locali.

Il 10 giugno 1999, verso mezzogiorno, José Jesús, uno dei figli della famiglia Hidalgo Perez, è stato sequestrato. I testimoni raccontano che alcuni individui, a bordo di un’automobile, sono andati a prenderlo sul posto di lavoro. Da quel momento è scomparso. La sua famiglia, poco a poco, ha maturato la convinzione che si tratta di un sequestro per motivi politici. Innanzi tutto, la famiglia è rimasta sorpresa dell’opposizione sistematica delle autorità giudiziarie ad ogni sua iniziativa e richiesta. Dato che non è svolta alcun'indagine, la famiglia ha cominciato a raccogliere informazioni in tutti i modi possibili, anche attraverso l’uso delle locandine. È indicativo che queste sono state puntualmente danneggiate o distrutte dagli agenti della polizia municipale, in un modo abbastanza strano: bruciando le foto di José Jesús all’altezza della bocca. D’altro canto, la famiglia non ha compreso la posizione della Procura in relazione alla scomparsa di José Jesús.

Sin dal principio, vi è stato uno scontro tra gli uffici del procuratore e la famiglia, la quale ha richiesto un’indagine ufficiale, che secondo quanto loro asseriscono, non è mai stata svolta. Per esempio, affermano che la macchina con cui José Jesús è stato sequestrato, è rimasta parcheggiata in un quartiere di San Cristóbal per 24 ore dopo il tragico fatto. Quest’elemento è stato trascurato dalla Procura. In seguito, l’indagine condotta dalla famiglia è stata dichiarata non grata. Esiste la testimonianza di un fratello della vittima che sostiene che i collaboratori del procuratore, nelle dichiarazioni rese alla stampa, hanno tentato di avallare la tesi secondo cui il crimine si deve ad una presunta attività illegale della vittima. Tale accusa, però, questi non sono mai riusciti a sostenerla con prove convincenti. È stato lo stesso procuratore che, quattro giorni dopo il sequestro, ha annunciato alla famiglia che José era morto. Quello stesso giorno, 14 giugno, la famiglia Hidalgo ha ricevuto telefonate anonime che confermavano la notizia della morte. Si sono visti recapitare a casa, un cranio e delle ossa, che sono state identificate come quelle di José Jesús.

Da quel giorno, la famiglia è sottoposta ad incessanti pressioni. La casa di una sorella della vittima, che vive a Tuxtla, è stata "visitata" per ben due volte. In entrambi i casi mentre era in viaggio per far visita ai familiari. Molti di loro sono stati minacciati di morte, messi sotto sorveglianza e ricevono saltuariamente telefonate anonime. Un’altra sorella dice di avere le prove che agenti della polizia giudiziaria occupano una casa situata dirimpetto alle abitazioni dove vivono alcuni membri della famiglia Hidalgo, che così vive sotto controllo permanente.

Nessuna delle richieste inoltrate dalla famiglia è stata presa nella benché minima considerazione. Le indagini condotte dalla procura, che in un primo tempo avevano condotto ad accusare un dipendente della vittima, oggi è approdata nell’arresto dell’ex tenente Juan Lopez Vazquez.

Questo militare, dal 1994 era incaricato di missioni speciali nell’ambito delle attività di "controinsurrezione" in Chiapas. Secondo il fascicolo AL40/0607/99 della procura generale del Chiapas, Juan Lopez Vazquez ha dichiarato di aver fatto parte del controspionaggio militare fino all’ottobre del 1996.

La famiglia Hidalgo ritiene fondata l’accusa nei confronti del militare, ma crede anche che egli non può aver agito da solo. Ritiene che il crimine sia stato pianificato ed eseguito da un gruppo che può contare su complicità istituzionali. Inoltre, ritiene che la passività delle autorità locali sia un fattore che depone contro di esse, e la detenzione dell’ex tenente, abbia come scopo quello di occultare questa prova.

Un’ulteriore e preoccupante conferma di ciò, proviene dalle dichiarazioni degli inquirenti, che sostengono di non essere riusciti a ricavare alcun’informazione utile dagli interrogatori del militare.

José Jesús, all’interno della famiglia, era tra quelli meno coinvolti nell’attività sociale. Pertanto la sua sparizione è interpretata come volontà di terrorizzare tutta la famiglia e il movimento per la pace.

Sono convinti che il movente dell’omicidio scaturisca da un’accusa lanciata contro Carlos Tovilla Lara, vicedirettore del Traffico e Trasporto. Costui, anteriormente, era stato consigliere giuridico dell’esercito a Rancho Nuevo. Carlo Tovilla si era pubblicamente opposto alla COCOPA: esiste una sua foto che lo ritrae mentre lancia uova contro i delegati di questa riunita a San Cristóbal, cosa che ha contribuito alla sua destituzione dall’incarico che ricopriva.

Attualmente la famiglia Hidalgo, è stanca, provata dalle minacce e vessazioni, ma continua ad esigere, con fermezza, verità e giustizia. La madre chiede la restituzione del corpo del figlio e lo svolgimento di indagini serie ed indipendenti. Richiedono, altresì, protezione affinché sia garantita l’incolumità fisica della famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. D. Interviste con organizzazioni della società civile messicana

1. Movimiento Ciudadano Por La Democracia, incontro con Luz Rosales Esteva

15 novembre 1999

Luz Rosales: È toccato a me darvi il benvenuto ed esprimervi appoggio alla vostra visita nel nostro paese. Spiegheremo qual è la dinamica attuale e cos’è il Movimiento Ciudadano por la Democracia. Vorrei fare una breve presentazione di chi siamo. Il "Movimiento Ciudadano por la Democracia" è una rete d’organizzazioni a livello nazionale che lavora appunto per aprire questi spazi che i cittadini stanno costruendo, perché siano ascoltati e perché i loro movimenti siano accolti e possano lavorare in modo collegato, in rete. Il lavoro si basa su quattro coordinate fondamentali:

- Una è proprio quella per la quale voi siete qui e avete quindi come referente, che è il processo di pace. Questa è uno dei canali più importanti che ha la rete.

- La seconda riguarda l’etica nel pubblico. Questa la stiamo promuovendo molto perché abbiamo scoperto che ciò che permette alla società di trasformarsi è questa chiarezza in ciò che riguarda l’etica, la forma in cui sono intesi i valori delle diverse azioni, che queste siano congruenti con gli obiettivi.

- La terza si riferisce alla questione elettorale. Tenta di dare uno stimolo reale affinché la gente conosca veramente i partiti politici e liberamente, senza alcuna coercizione, i cittadini possano scegliere i loro governanti.

- La quarta vorrebbe formare una cittadinanza cosciente che oltre alla questione elettorale ponga attenzione a cosa succede nel nostro governo, quali sono le promesse fatte in campagna elettorale e quali siano poi mantenute. Si vorrebbe che il cittadino comprenda che il suo ruolo non è solo quello di votare, se desidera votare, ma soprattutto che sia consapevole dei proprio diritti politici, che presenti proposte e continui a portare avanti il suo progetto al di là delle elezioni. Questo è ciò che intendiamo come corresponsabilità o relazione orizzontale.

Il "Movimiento Ciudadano por la Democracia" porta avanti diversi progetti. Uno di questi è quello dell’atteggiamento relativo ai diritti di cittadinanza. Crediamo che la solidarietà vada oltre l’assistenza e l’aiuto, va oltre in relazione alla parte umana che abbiamo giacché siamo esseri viventi. In pratica, il preoccuparsi per l’altro, mettersi nei panni dell’altro, capire ciò di cui l’altro ha bisogno, ciò ci conduce a un ulteriore passo verso l’impegno e quest’impegno, bene, noi lo gradiamo molto perché dà davvero molta speranza, vedere che non solo si globalizza l’economia, che non ci piace, ma che si globalizza questa possibilità di relazione tra tutti gli esseri umani, in modo differente, per vie e cammini diversi. Questo progetto di gemellaggio fra i popoli che è stato iniziato dal MCD è stato fatto con le comunità del Chiapas. Il MCD ha stabilito questa relazione tra gli stati della Repubblica e le comunità del Chiapas e stiamo anche cercando di aiutare, attraverso questa relazione, i gruppi più colpiti dalle piogge. All’interno di quest’iniziativa abbiamo altri progetti. Si sta anche lavorando con impegno nel campo della partecipazione cittadina durante tutto il periodo della legislatura. In rete ci sono organizzazioni civili che stanno lavorando sul tema del bilancio federale. Nel dare opzioni e alternative diverse, nel controllare il bilancio della nazione, ossia tentando di incidere sui criteri dei costi di governo tramite i bilanci della nazione. Si sta lavorando a rendere cosciente la cittadinanza affinché questo lavoro si conosca.

Riguardo ai progetti, abbiamo un’area di comunicazione e un’altra relativa all’istruzione. Un’altra area molto importante è quella che si riferisce al progetto dei materiali necessari a molte organizzazioni da utilizzare come una via di comunicazione alternativa, per esprimersi come cittadini.

 

 

 

 

 

2. Convergencia de Organismos Civiles por la Democracia, incontro con Rafael Raygada Amarella

17 novembre 1999

Intervista a Rafael Raygada Amarella della "Convergencia de Organismos Civiles por la Democracia", cui erano presenti anche le rappresentanti della CMDPH, Cecilia, Rosana, e Morela.

Rafael Raygada: Il problema di questo paese, secondo noi, è di avere un modello economico che può essere applicato solo mediante l’autoritarismo. Siamo convinti che il Messico è l’unico paese che mette in pratica il neoliberismo in modo ortodosso, un modello escludente che ha generato una povertà immensa.

È impossibile che il problema del Chiapas sia risolto senza una maggiore apertura a livello economico, come pure senza una modifica allo schema politico che governa il paese. Siamo già al sesto anno di guerra nel Chiapas e varie tappe sono già succedute: guerra dichiarata, negoziato, poi ancora guerra dichiarata ad una legge che si suppone sia ancora in vigore e che permette il dialogo e gli accordi di San Andrés. La nuova decisione del governo è di non mantenere gli accordi ma di mantenere e applicare una Guerra di Bassa Intensità nel territorio, caratterizzata dalla presenza di 70.000 soldati, 257 punti di controllo in Chiapas di Esercito, PGR, Migración, Seguridad Pública, ecc. Inoltre, sono presenti gruppi armati di cui tre o quattro sono paramilitari a tutti gli effetti e altri sono di civili armati legati al PRI, alla polizia di Seguridad Pública del Chiapas. La loro presenza risale al giugno-luglio del 1996. Lo schema d’attacco del governo è il seguente: presenza militare che dà copertura alla presenza paramilitare che ha prodotto fatti come Acteal, che non significa solo massacro, ma anche 10.000 rifugiati che non possono ritornare nei loro luoghi d’origine. Altri esempi sono gli sfollamenti nella Zona Norte provocati dai paramilitari come "Paz y Justicia" e i gruppi che agiscono a Chenalhó.

Credo in ogni caso che sia un po’ cambiata la situazione della congiuntura politica, l’anno scorso non si era ancora in processo elettorale, l’EZLN lanciava la Consulta Zapatista sulla Legge dei Diritti e la Cultura Indigena, allora noi organizzazioni civili stabilimmo in varie riunioni a livello nazionale e statale di appoggiare e convocare questa consultazione intesa come una via verso la pace.

Realizzammo l’incontro a San Cristóbal nei giorni 19, 20 e 21 novembre del 1998, in cui si rende concreta la Consulta, gli zapatisti annunciano la convocazione di 5.000 persone per portare la loro parola in tutto il paese e si stabilisce il 21 marzo come data della consultazione. Penso che la Consulta sia stata un grande successo in molti sensi, la società messicana ha avuto la possibilità di conoscere in prima persona gli indigeni del Chiapas, mentre gli zapatisti e simpatizzanti dell’EZLN hanno potuto nello stesso modo conoscere i problemi della società messicana, è stato un apprendimento reciproco in cui sono state coinvolte tre milioni di persone.

Poi, credo che l’EZLN prese la decisione di dirigere il processo e non di partecipare ad una direzione congiunta con le organizzazioni civili. Convoca una seconda riunione con la società civile a La Realidad, dove partecipano meno persone di quella che erano accorse nella prima occasione e sono prese una serie di risoluzioni tra cui la decisione di trasformare i comitati che avevano lavorato alla Consulta, in comitati di contatto tra l’EZLN e la società civile d’ogni stato, lasciando così fuori una parte importante che aveva partecipato alla consultazione per convinzione democratica e per la ricerca della pace ma non per militanza zapatista. Quindi questa decisione fa sì che chi entra nella logica di creare comitati di contatto in ogni stato messicano sono fondamentalmente gruppi con una chiara definizione zapatista e che io direi essere un terzo di quelli che parteciparono alla Consulta, che questa è una decisione politica presa dall’EZLN e di cui si assume la responsabilità.

Allo stesso tempo credo si abbia difficoltà a riconoscere in Chiapas identità diverse che non siano quelle del governo, del PRI e dei paramilitari, ma che sono organizzazioni indigene, campesine, civili e sociali, indipendenti e sorte ancor prima che esistesse l’EZLN; quest’ultimo mostra difficoltà a riconoscerle in dialoghi strategici, ma le riconosce come spazi in cui cerca di crescere, ed è un suo diritto. Però non è riuscito a stabilire alleanze di reciprocità con organizzazioni indigene e campesine del Chiapas.

Penso che il bilancio della Consulta che l’EZLN fa è di un suo notevole rafforzamento, il che è vero, però non è riuscito ad ottenere una strategia d’alleanze territoriali con le altre organizzazioni. E questo fa sì che oltre ai problemi con il governo, con i gruppi paramilitari, con il governo di Albores, questo debilita la vita quotidiana delle comunità e delle organizzazioni indigene in Chiapas.

D’altro canto, il governo di Albores è stato un governo davvero duro, Albores è descritto da gente dello stesso governo come un treno senza freni, perché l’unica cosa che a lui interessa nello svolgere il mandato del Ministro degli interni (Segob) è fare soldi. Essendo un funzionario politico del Ministero degli interni agli ordini di Labastida ed Orive, come ci è stato detto anche da gente interna al governo, che se è detto ad Albores: ferma la rimunicipalizzazione oppure la repressione, lui le ferma, perché l’unica cosa che gli interessa è trovare il modo di fare soldi, perché questo è il suo principale interesse.

Però l’ordine che Gobernación gli ha dato è stato: avanza e schiaccia. Questo lo ha fatto generando litigi, consegne artificiose di armi di zapatisti che non erano zapatisti; la legge di rimunicipalizzazione che va contro gli Accordi di San Andrés, i quali ricordano che la stessa deve essere bilaterale, mentre egli l’ha fatta in modo unilaterale; una legge sui diritti indigeni che è una brutta copia degli Accordi di San Andrés, che credo sia già stata approvata. Infine, Albores è andato oltre di quanto richiestogli e ciò ha creato molta violenza.

Ha sostenuto uno dei candidati del PRI, Labastida di cui è stato il primo a lanciarne la candidatura dandogli pubblicamente appoggio, al punto che Labastida in parte dovette slegarsi da Albores perché gli stava creando problemi e, cosa curiosa, la votazione interna in Chiapas non la vinse Labastida, ma l’altro candidato del PRI, Madrazo, che da solo vinse in Chiapas e Tabasco. È un funzionario politico che entra in contraddizione con il governo, però lo mantengono al potere e questo è un dato di fatto. Albores, quindi, lascia spazio ad una serie di crimini dopo Acteal, piccoli crimini nel senso che non sono così eclatanti e in ogni modo nel territorio l’uso della violenza è stato mirato.

A livello federale l’attuale governo ha sostituito, quattro mesi fa, il ministro degli interni perché Labastida si è messo in lizza come candidato alla presidenza, mettendo al suo posto Diódoro Carrasco. Carrasco ha ottenuto l’incarico in quanto è stato governatore dello stato di Oaxaca, che è l’unico stato del paese a maggioranza indigena, e questo nel momento in cui esisteva già l’EZLN, riuscendo a gestire la situazione nello stato, facendo una legge sui diritti indigeni, la più avanzata nel paese, in cui si riconoscono i popoli indigeni, in modo da impedire che lo stato "diventi zapatista", riuscendo a governare nonostante la presenza di un nutrito gruppo politico-militare che è l’ERPI. Questa legge è stata in parte riconosciuta dalle organizzazioni indigene e questo ha permesso un cero clima di pace. Allora mettono Carrasco per l’esperienza che ha di governare luoghi con problematiche indigene e azzarda una serie di proposte: consulta la COCOPA, consulta la ex-CONAI, consulta l’Episcopato, la COSEVER e fa una proposta.

Voglio dire che in queste consultazioni gli dicemmo come noi vedevamo il problema del Chiapas, che non era possibile procedere nel dialogo con l’EZLN se non c’erano chiari segni nell’ambito della militarizzazione, senza un ritiro dell’esercito, un suo allontanamento dalle comunità ed un ritorno nelle caserme, permettendo che la gente torni alla vita di tutti i giorni, perché se non si dà un cambiamento nella logica militare non sarà letto dall’EZLN come un segno di volontà nella ricerca di una soluzione pacifica al conflitto.

Questa è la nostra posizione fin dai dialoghi di San Andrés dove ci furono passi importanti nell’accordo governo-EZLN, ma che poi non furono seguiti da un cambiamento nello schieramento militare, continuando nella persecuzione contro le comunità e pensavamo che se il governo aveva realmente una volontà di pace era necessario un riposizionamento dell’esercito in Chiapas, non che l’esercito lasci la zona poiché c’è una guerra dichiarata, ma che la smettesse di danneggiare tutta la vita del territorio chiapaneco, delle comunità indigene. Questa è la condizione principale perché possa esserci una nuova strategia di pace, un’altra importante è che siano fermati i paramilitari. È molto semplice fermare i paramilitari perché questi obbediscono agli ordini del governo, ma dato che dicono che non obbediscono, ciò indica che non potranno continuare ad agire impunemente, che potrebbe esservi un accertamento previo su alcuni dei gruppi principali, di cui è dimostrata la partecipazione in reati e quindi arrestarli come un segno per tutti gli altri, che è in atto un cambiamento delle regole, che sta a loro fermarsi o no.

Questi due sono segnali chiave affinché l’EZLN possa comprendere che c’è una nuova strategia di pace. Inoltre, aiuterebbero la liberazione dei prigionieri zapatisti, la creazione di condizioni per il ritorno dei rifugiati di Chenalhó, dare un ruolo maggiore al Comitato Internazionale della Croce Rossa per fare una diagnosi della situazione dei rifugiati come punto di partenza di un possibile ritorno ai luoghi d’origine, fermare Albores affinché non prosegua nella rimunicipalizzazione e nella Legge sugli Indigeni e, infine, che siano giudicati i responsabili del crimine di Acteal, quelli di alto livello, non solo coloro che sono stati la manovalanza.

Questo sarebbe un pacchetto credibile, ma i due punti centrali sono i due più importanti.

Ciò fu consultato quattro settimane prima che Carrasco facesse un’offerta all’EZLN con diversi punti, in cui non c’è nulla in relazione all’Esercito.

Cita che metterà in libertà i prigionieri zapatisti, presenta alcune misure di distensione, frenando in qualche modo la rimunicipalizzazione, però non si entra nelle questioni principali, chiedono che l’EZLN risponda, ma non c’è una mediazione che possa parlare direttamente all’EZLN, chiedono lo stesso che risponda. Non c’è stata e, mentre sta succedendo tutto questo, è colpito il centro dei diritti umani PRODH.

La proposta di dialogo dice che i casi di violazione dei diritti umani e di reati sono stati dimostrati. Però è la gente dei centri che stanno documentando i problemi ad essere perseguitata, è arrestata, torturata e minacciata. Allora mentre da parte dei funzionari politici dello stato c’è un linguaggio, dall’altra, non si sa bene da chi, però ovviamente dallo stato e con il beneplacito dello stato, si fa pressione contro i centri dei diritti umani. Ciò su cui il governo puntava era offrire una miglior immagine per il processo elettorale, perché chi rischiava di perderci di più era Labastida, perché è stato ministro degli interni durante circa 18 mesi e non ha risolto niente in relazione al Chiapas. Dico questo perché nelle inchieste sulla popolarità di Zedillo, su tutti i punti raggiunge un 50-60% di valutazione positiva, tranne che riguardo al Chiapas dove la gente ha risposto tra il 10 e il 15%, rivelandosi il punto più negativo dell’immagine di Zedillo.

Perciò avrebbero dovuto pensarci due volte ad anteporre Labastida rispetto a un candidato in ascesa come Madrazo, con le sue impennate di consenso. Il ministero degli interni si preoccupava molto di spianare il terreno per il processo elettorale interno del PRI e ovviamente per le elezioni del prossimo anno, dove il problema del Chiapas continua ad essere uno dei punti chiave in cui il PRI perde voti.

Allora come strategia elettorale, hanno cambiato un po’ la loro immagine in relazione al Chiapas. Ora c’è chi dice che vi sono relazioni segrete del governo con l’EZLN e che si sta lavorando a qualcosa. A me non risulta, né ho visto segnali chiari di questo.

Proprio in questi giorni, secondo noi, ci sono due segnali chiari relativi all’arrivo di Mary Robinson.

Il primo è che meno di una settimana fa ci è arrivata una lettera come COSEVER da parte del governo in cui chiede una riunione tra ministero degli interni (Segob), la COSEVER e l’EZLN, dove chiede alla COSEVER, che esso non ha mai riconosciuto, di adoperarsi perché ci sia questa riunione.

Pochi giorni prima ci era stata inviata una minuta in cui si nominavano i responsabili del governo all’interno della COSEVER, ci erano proposte quindi queste persone dopo un intero anno di silenzio sulle nomine.

Come primo passo chiedono che la COSEVER faccia sì che l’EZLN si riunisca con Mary Robinson e che si integri alla Commissione di Seguimento e Verifica, proprio domani la COSEVER si riunisce su questo tema.. La mia personale posizione è di mandare e tentare di far arrivare una proposta all’EZLN in modo che siano loro a decidere cosa farsene di questa proposta, non è competenza della COSEVER risolvere una questione così grave. All’interno della COSEVER molti pensano che ciò sia parte della scenografia per dire a Mary Robinson: guardi quanto ho fatto e proposto, ma loro hanno detto di no. Comunque la penso come parte della COSEVER – quando parlo di COSEVER parlo di quella parte della commissione convocata dall’EZLN, perché esiste anche la parte del Governo- la richiesta del governo supera totalmente il nostro mandato, perché per una questione così grave e così importante chi deve prendere una decisione o mantenere il silenzio è l’EZLN, e non le sei organizzazioni nominate a far parte della COSEVER. Questo lo dico a titolo personale, però domani si terrà la riunione, e in quella sede prenderemo una posizione e invieremo un comunicato all'EZLN.

Penso che l’attuale congiuntura stia permettendo questi piccoli trucchi, non credo però ci sia una chiara strategia da parte del Governo di cercare realmente di avanzare nel processo di pace. Inoltre non ci sono condizioni obiettive perché: quale gruppo armato negozierebbe con un governo debole, nel suo ultimo anno di governo, quando quello successivo potrebbe non rispettare gli accordi presi, quando questo governo, che ha firmato e non ha poi mantenuto, nel momento in cui era forte, chi garantisce che nel suo ultimo periodo di mandato vi adempirà, eh? E questo il governo lo sa. Perché ci siano davvero le condizioni per un processo di pace, ciò deve avvenire con il prossimo governo, qualunque esso sia. La possibilità con l’attuale si è già esaurita, però in questo paese succede veramente di tutto!

Proprio ieri ho sentito per la prima volta, da gente molto informata e che conosce molto bene l’Esercito, di un tentativo di negoziato segreto per proseguire, però si tratta della prima volta che ne sento parlare, e non vedo alcun segnale.

Che possibilità ci sono che quando Labastida vada al potere decida di far piazza pulita nella zona?

Non credo, secondo me, che gli convenga, perché, com’è ora, la situazione si sta deteriorando da sola. Risolverla in modo rapido, gli creerebbe un casino. Anche perché la consultazione zapatista ha ottenuto tre milioni di voti che sostengono che il Governo deve mantenere gli Accordi di San Andrés. Potrebbero certo non tenerne conto, ma questo rappresenta comunque una volontà sociale che la risoluzione vada in tutt’altra direzione. Il governo di Zedillo e di Diodoro ha detto più volte che il governo non avrebbe usato la forza. Anche se la forza è in atto, è usata e sta colpendo.

Proprio per questa situazione, come Misión Civil por la Paz, abbiamo dato molta importanza alla preparazione della Consulta e per un primo incontro tra l’EZLN e il Governo, per la fattibilità della consulta e perché questa ottenga un buon risultato. Non siamo stati decisivi, ma credo che abbiamo contribuito a rendere possibile la consultazione in vari stati del paese.

Poi, dopo la seconda riunione a La Realidad, abbiamo tenuto una riunione della Misión con compagni di molti stati e abbiamo valutato la questione di trasformarci in commissioni di contatto.

Allora in qualche modo siamo fuori della partita che sta giocando ora l’EZLN. Quindi abbiamo deciso che non può esserci pace, senza un’ulteriore pressione della società nella costruzione della pace. Ci siamo dedicati allora a contribuire alla formazione di una cultura di pace. La violenza è dappertutto, non solo in Chiapas. Era allora necessario lavorare ad una cultura della pace in tutti gli stati dove siamo presenti, questo sarà il nostro contributo per far procedere il processo di pacificazione nel Chiapas, a questo stiamo lavorando, elaborando materiale, facendo corsi, ecc. Ovviamente c’è solidarietà, però ora non siamo più attori importanti in questa strategia delle commissioni di contatto avanzata dall’EZLN.

Che informazioni avete sull’utilizzo di finanziamento a fini politici attuato dal governo?

Siamo a conoscenza che molto del denaro federale, attraverso il ministero allo sviluppo e l’Istituto Nazionale Indigenista, è consegnato alle organizzazioni affini al PRI, indirettamente ai paramilitari e direttamente alla gente che non sta né con L’Esercito Zapatista, né con il PRD, né con la Diocesi, né con la società civile, ossia per rafforzare e per comprare l’appoggio della gente alla posizione del governo. In Chiapas, questo denaro arriva molto meno a chi appartiene ad un qualunque gruppo di opposizione al governo. Serve a dividere le comunità e a che l’esercito sia ben visto; inoltre serve a comprare alimenti, per il trasporto di questi in tutta la regione e l’esercito deve avallarlo: ciò è parte della guerra. Da parte del governo tutto l’uso del denaro ha una logica politico-militare. Nel 1995 con diversi centri per i diritti umani e insieme alla Convergencia, siamo riusciti a ottenere dalla Comunità Europea un grande progetto di sviluppo per il Chiapas. Anche se la destinazione di questo denaro era già stata indicata, il governo la obbiettò e la CEE assegnò il denaro alla CNAP, per progetti ecologici e di pesca. Già prima che la situazione fosse così polarizzata, nonostante il dialogo fosse in corso, c’era censura militare. Il governo fece pressione alla CEE affinché il denaro non fosse dato alla società civile.

Come interpreta lei, il silenzio da parte dell’EZLN?

Ultimamente non c’è stato silenzio – ha avuto a disposizione un’intera pagina su La Jornada nell’ultimo mese e mezzo, o forse più. Ci sono state riunioni con gli studenti a La Realidad, ci sono state varie riunioni con le commissioni di contatto e da lì è partita la brigata che ha raggiunto la comunità di Amador Hernández.

Il silenzio c’è stato solo riguardo alla proposta di dialogo del ministro degli interni, che di per sé è già una risposta.

Sulla congiuntura elettorale, potrei aggiungere che ci sono stati tentativi di formare una coalizione tra sinistra e destra, PRD - PAN, ma né i dirigenti né i candidati la videro come realmente possibile. Una commissione di notabili si riunì per fare proposte su come procedere in una piattaforma congiunta, e trovare un metodo di scelta dei candidati, ma il PAN non lo accettò ed ora ci troviamo con tre candidati dell’opposizione.

Le elezioni interne al PRI furono costosissime e con consulenza nordamericana. Queste elezioni non furono trasparenti - un dedazo con costi elevati e una moltiplicazione di voti. C’è chi pensa che degli otto milioni di voti che il PRI afferma di avere ottenuto, in realtà erano solo quattro milioni, che furono sì molti, ma non esistono foto di gente in fila alle urne. Se calcoliamo cosa significa questa votazione, ad ogni seggio avrebbe dovuto votare una persona ogni tre minuti e mezzo, ci furono 60.000 seggi aperti dalle 8 alle 18 e chi passò a dare un’occhiata vide che erano sempre vuoti. È sintomatica la loro dichiarazione resa prima delle elezioni che avrebbero ottenuto 10 milioni di voti.

Che visione ha della CCIODH? Quali raccomandazioni ha da farci?

Credo che quanto è stato fatto la volta scorsa è stato molto importante. Ero proprio al Parlamento Europeo alcuni giorni dopo che c’era stata la CCIODH. Vi andò anche Rosario Green, e la gente del Parlamento Europeo era in possesso di informazioni che fecero passare la Rosario Green come una bugiarda, grazie alle vostre informazioni. Questo fu per me molto importante perché alla Green era stata concessa udienza nella mattinata insieme a due senatori, però lei utilizzò tutto il tempo a disposizione e non lasciò parlare i due senatori. Il Parlamento prese allora la decisione che avrebbe ascoltato tutte le parti nel pomeriggio, fecero parlare i due senatori, anche se non dissero nulla di interessante, uno era del PRI e l’altro del PRD. A noi fu concesso lo stesso spazio che a Rosario Green, e ci dissero che stavamo dicendo il vero- la mossa giusta è stata che avessero nelle loro mani il vostro Dossier che è servito da base alle interpellanze a Rosario Green, e le dissero che non stava dicendo la verità. Credo che è molto importante che almeno in Europa non sia stata bevuta la versione ufficiale.

Ora, sappiamo che il Messico ha in tutto il mondo 200 persone che a tempo pieno lavorano alla sua immagine politica in relazione al Chiapas, per favorire la sua economia - abbiamo contro un apparato estremamente potente.

Quindi ciò che voi fate in Europa parlando di un’immagine reale che avete raccolto dalle testimonianze e in seguito valutato, è importante affinché se ne parli in tutte le lingue e in tutti gli ambiti possibili.

Nel caso di Mary Robinson, quando parlerete con lei, darete la vostra visione della situazione e probabilmente anche proposte di fondo di come si possa risolvere la situazione. Non sono sufficienti il maquillage e le improvvisate politiche di bassa lega del governo, come il suo tentativo di far rivivere la COCOPA e per esempio il caso dell’uccisione di José Hidalgo che ora dicono sia stata risolta tramite un’indagine di successo.

Il problema del Messico non si risolve con una misura politica, ma con l’estensione dei diritti umani, come è importante la presenza permanente dell’Alto Commissariato dell’ONU. Non è sufficiente una breve visita, ma un osservatorio permanente.

In conclusione Rafael Raygada ci ha presentato la pubblicazione "El Proceso de Guerra en México 1994 - 1999: militarización y costo humano" che è uno sforzo comune di varie organizzazioni civili. Inoltre ci ha consegnato la "Agenda Civil Nacional" che è un lavoro di 600 organizzazioni riunite per l’elaborazione di una proposta di sviluppo della società messicana che sarà presentata ai candidati dei partiti politici. Ci ha anche parlato dell’elaborazione di una "Agenda Civil de Chiapas" con la partecipazione di 100 organizzazioni, del fatto che l’EZLN guardava questo lavoro con una certa diffidenza, senza però proibire alle organizzazioni affini all’EZLN di partecipare, dicendo poi che si è trattato di un lavoro importante.

 

 

 

 

 

3. Realtà vicine agli alluvionati del Tabasco, Oaxaca e Veracruz.

15 novembre 1999.

L’incontro si è tenuto nella sede del "Movimiento Ciudadano por la Democracia" (MCD) a Città del Messico, con rappresentanti degli alluvionati per conoscere la problematica specifica delle popolazioni colpite dalle inondazioni provocate dalle piogge negli stati di Tabasco, Oaxaca e Veracruz. Era presente anche Luz Rosales Esteva dirigente del MCD. Durante la loro esposizione, le intervistate hanno mostrato alcune statistiche relative ai danni provocati nelle loro rispettive regioni. Hanno però affermato di non avere fiducia nelle cifre ufficiali e, in generale, hanno avuto un atteggiamento molto critico riguardo al modo in cui il governo ha gestito la situazione d'emergenza. Hanno posto l’accento il ruolo avuto dall’esercito nelle operazioni di soccorso durante i primi giorni. Tra i punti negativi, hanno richiamato l’attenzione sul fatto che le autorità statali, come pure il governo federale, abbiano minimizzato la portata del disastro. In un primo momento, questa valutazione ha portato il governo messicano a rifiutare gli aiuti internazionali offerti e, quando infine li ha accettati, ha imposto che i donativi fossero canalizzati attraverso la Croce Rossa Messicana. Rispetto a ciò, le intervistate hanno ricordato più volte lo scandalo che un anno fa ha travolto quest’istituzione che hanno definito come molto vicina al governo. Ritengono che l’atteggiamento assunto dalle autorità aveva il proposito di controllare tutti gli aiuti e usare la tragedia per migliorare la sua immagine. Hanno citato diversi casi in cui la distribuzione degli aiuti umanitari è stata utilizzata a fini elettorali da alcuni candidati del partito di governo.

La natura dei danni, benché differiscano un po’ da una regione all’altra - in alcuni casi inondazioni, in altri, frane e terremoti - esistono delle costanti nelle loro esposizioni:

- Si sono rilevati dei focolai d’epidemie, principalmente della pelle, diarroiche e malariche che non sono ancora sotto controllo;

- La priorità assegnata a certe aree per la ricostruzione risponde più ad interessi economici che ad una volontà d’assistenza alle popolazioni bisognose;

- La distribuzione degli aiuti è stata scarsa e in molti casi faziosa e soggetta al clientelismo politico;

- Le perdite non riguardano soltanto i beni ma anche la capacità produttiva di migliaia di famiglie che, perdendo il prodotto dei loro raccolti, non possiedono il capitale per riprendere il ciclo di semina.

Nel caso di Tabasco come in quello di Oaxaca si è ipotizzato che la catastrofe non è stata del tutto naturale ma che è stata aggravata, nel primo caso, dal cattivo uso del suolo e nel secondo, le piogge e gli eventi sismici si sono aggiunti alla sequela di disastri ancora freschi causati dall’uragano "Paulina".

Nel caso dello stato di Oaxaca, è stata criticata la mancanza di efficienza nella politica di ricostruzione. Oltre alle segnalazioni sul cattivo uso delle risorse, è messo in questione l’utilizzo di materiale inadeguato a questa zona molto sismica, che oltre ad essere costoso non ha rispettato il genere di costruzioni utilizzato in questa zona. La rappresentante di questa regione ha biasimato che la società civile e le sue organizzazioni sono state estromesse dal processo sia durante la fase d’emergenza, della distribuzione degli aiuti agli alluvionati, sia durante la successiva fase di ricostruzione.

Le narratrici, nonostante ringrazino profondamente le dimostrazioni di solidarietà ricevute sotto forma di viveri, hanno espresso preoccupazione per la scarsità di progetti e di fondi che potrebbero contribuire a risolvere i problemi degli alluvionati a medio e lungo periodo. Hanno espresso che l’urgenza è di incoraggiare la ripresa della capacità produttiva delle famiglie contadine, per evitare che importanti fasce della popolazione siano condannate ad uno stato di dipendenza cronica e/o aumentino i movimenti migratori verso il nord del paese, o verso gli Stati Uniti, nella ricerca di un’occupazione. Temono che man mano che il tempo passa, la tragedia quotidiana degli alluvionati sia relegata all’ultimo posto nelle notizie, allontanando così la soluzione ai loro problemi. Hanno insistito perciò sulla necessità di mantenere un canale d’informazione e di mutuo scambio con la società civile, sia a livello nazionale sia internazionale e hanno invitato la CCIODH a visitare le zone colpite. Purtroppo, a causa delle limitazioni di tempo imposte agli osservatori dalle autorità messicane, questa proposta non ha potuto concretarsi.

Luz Rosales Esteva: La prima reazione del governo è stata di negare la catastrofe e di annunciare che non c’era bisogno di nulla, ma pochi giorni dopo ha dovuto ammettere che il problema era di grave entità, decretando una situazione d’emergenza nazionale e accettando gli aiuti internazionali ma esclusivamente attraverso la Croce Rossa Messicana. Dopo alcuni giorni, però, ha affermato che era finita l’emergenza nazionale e che non aveva neppure bisogno di questi aiuti. Ci troviamo con un governo che vuole avere il controllo su tutto, e gli alluvionati possono essere un elemento molto importante: dare gli aiuti sostenendo che il governo è quello buono, accompagnando questo con la propaganda politica per i propri candidati. Non diciamo questo perché lo supponiamo, bensì perché è ciò che è stato fatto. Per di più, la Croce Rossa in Messico ha perso molta della sua attendibilità a causa di certe mancanze di chiarezza nell’uso dei fondi, questo da poco, e anche perché è sempre stata molto vicina alle posizioni del governo. Non ci ha quindi aiutato a denunciare il cattivo utilizzo di questi quando era il momento. La Croce Rossa Messicana un anno fa è stata oggetto di uno scandalo pubblico per casi di corruzione, per malversazione di fondi, soprattutto nella regione di Oaxaca. Ora si sono avute denunce da parte di gruppi di gente della Croce Rossa, non della Croce Rossa in quanto tale. Vogliamo in ogni modo chiarire che la Croce Rossa non promuove organizzazione ed è in stretti rapporti con il governo. La Chiesa e la Caritas hanno tutt’altra fama, ma la Croce Rossa si è molto screditata con questo scandalo del cattivo uso di fondi, come era avvenuto nel caso dell’uragano "Paulina"; di conseguenza, la gente, questa volta, le ha dato molto di meno, l’ha privata della sua fiducia. Era stata fatta denuncia certa che la Croce Rossa distribuiva acqua potabile con la foto del candidato del PRI.

Ci rincresce molto la posizione adottata in questo caso dal governo messicano e consideriamo pericoloso il fatto che per aver assicurato che l’emergenza era passata, presto sarebbero cessate le notizie su quanto stava accadendo e sulle conseguenze delle frane: su quanti morti e quanti terreni e case erano andati distrutti.

In questo senso, noi, in quanto MCD, siamo molto interessati a continuare a seguire i processi locali in lotta contro questa tremenda tragedia visto che stiamo parlando di più di un milione e mezzo di abitanti che hanno perso case, terre, raccolti e vite umane.

Abbiamo il timore che molti villaggi possano essere devastati dalla disperazione, che inoltre possano essere cooptati dal partito ufficiale che dà loro aiuti o promesse di aiuto affinché votino per un determinato partito. Questo, forse, sarebbe il meno, il vero problema è l’uso della povertà e che non sono risolti a fondo i problemi di cui vi parleremo ora. È importante che voi siate i portavoce di quanto succede, perché sappiamo che questo problema non fa più notizia.

Ximena, del "Comité de Derechos Humanos de Tabasco": In merito alla situazione delle inondazioni nello stato di Tabasco, esistono molte contraddizioni per quanto riguarda le cause. Una delle più probabili è che c’è stata molta corruzione nelle politiche di utilizzo del suolo e a causa di questo, il corso naturale dell’acqua ha preso altre direzioni, andando a danneggiare così molte zone, non solo quelle che da sempre soffrono questo tipo di problemi. Il problema si è così allargato che il governo n’è stato sovrastato. C’è stato molto nervosismo, la gente ha sempre più perso fiducia nella capacità di intervento del governo e nell’informazione che questo offriva al riguardo. Su questo ci sono state così tante contraddizioni che certe zone figuravano inondate ma non è stato così.

Per quanto riguarda gli aiuti, il momento più critico delle inondazioni ha coinciso con la consultazione elettorale del PRI, quindi si sono avute denunce che la distribuzione degli aiuti era condizionata da alcuni candidati, soprattutto Roberto Madrazo, il nostro governatore, che ha usato fondi dello Stato per la sua campagna e poi ha distribuito aiuti, vincolandoli però al voto. È stato anche denunciato il comportamento del deputato Arturo Nuñez, anch’esso del PRI e candidato a governatore, per aver influenzato il voto con gli aiuti. A quel punto con le inondazioni si è generato uno scandalo poiché le acque avevano raggiunto i quartieri della classe medio-alta, danneggiando installazioni della PEMEX. Il Tabasco è il principale stato produttore di petrolio e quindi vi sono molte transnazionali, ci sono molti interessi, allora il governo è più interessato a ricostruire le infrastrutture danneggiate che ad aiutare la gente, poiché queste imprese, a causa del nervosismo generato dalle inondazioni, avevano evacuato il loro personale.

Adesso sono molto più impegnati ad abbellire la città, le case e le strade: hanno più premura in questo che non di occuparsi delle necessità della gente.

Sono in arrivo epidemie che colpiscono soprattutto la pelle, sono già stati individuati casi di colera e si temono focolai di malaria. Per risolvere questi problemi bisogna intervenire con la massima urgenza. Si prevede che ci sarà più fame di quella che c’era prima; sono andati persi molti pascoli, molte coltivazioni, l’agricoltura è il mezzo di sussistenza della popolazione, cosicché questa non solo ha perso i propri beni ma anche ciò che le dava sostento.

Gli alluvionati raggiungono le 300.000 persone, di cui 25.000 sono produttori agricoli, che hanno perso 8000 ettari di terra in modo irreversibile e circa 9000 ettari in modo parziale.

Per quanto riguarda il settore dell’allevamento, sono registrati come danneggiati 20.000 proprietari e 300.000 ettari di pascolo.

La gente più colpita, come sempre, è quella più vulnerabile sul piano economico: i piccoli rancheros, le aree indigene. Molta della gente benestante aveva assicurato le proprie case e, anche se non neghiamo sia stata danneggiata, perlomeno ha la possibilità di uscirne.

Il Comitato sui diritti umani di cui io faccio parte, ha presentato progetti per il rifornimento di medicinali o progetti collettivi per aiutare la gente. Questi progetti servono a dare impulso all’economia della gente che prima si occupava di agricoltura o allevamento, in modo da permettere loro di seminare, assicurando così l’autoconsumo; aiutiamo anche con medicinali e utensili e casalinghi, poiché hanno perso tutto. Stiamo cercando di dare assistenza a 50 comunità. Siamo il canale attraverso cui fare arrivare loro gli aiuti, poiché è evidente che il governo non è in grado di dare una risposta alle necessità.

Le zone più colpite sono state quelle situate più in basso che sono anche quelle con maggior grado di povertà: le zone indigene.

Quest’esperienza ha dato origine, come in altre occasioni in Messico, a una maggiore organizzazione della popolazione posta di fronte al disastro e alla mancanza di risposte del governo, di cui ci ha parlato? Si è potuto notare uno sforzo della società civile per compattarsi e iniziare ad organizzarsi da sé?

Ximena: Nel caso di Tabasco, la gente, di per sé si era già unita per altri motivi. Adesso, con questa contingenza, si è raccolta intorno ad organizzazioni civili come la nostra, si è mossa in gruppi per chiedere appoggio e da parte nostra c’è stato lo sforzo nell’aiutare a diffondere le informazioni. Nel nostro caso, l’organizzazione è stata canalizzata attraverso la parrocchia dei padri gesuiti che si occupano di 72 comunità.

Gloria, della "Comisión Regional de Derechos Humanos de la Costa", stato di Oaxaca: Purtroppo in Oaxaca la problematica è molto simile. Ci sono state frane, focolai di epidemie e anche una "politicizzazione" degli aiuti. L’attività contadina è paralizzata.

Sappiamo che le cifre ufficiali non sono reali. Proprio oggi, il governatore ha dovuto consegnare un rapporto al Congresso dello stato.

I raccolti di mais, sesamo, arachidi, papaia e anguria, che sono i prodotti coltivati nella regione, sono andati distrutti e per questo non c’è lavoro: perciò la gente è molto angosciata.

Il terremoto del 7° grado avvenuto il 30 settembre, ha colpito la regione cui mi riferisco. Sebbene la gente sia abituata a vivere in situazione di povertà, adesso si sente più vulnerabile dato che non possiede più coltivazioni da cui ricavare denaro poiché il raccolto andato perso era anche destinato alla vendita.

Attualmente non possiedono più il denaro necessario alla prossima semina. Questa situazione è fonte di grande incertezza per la gente, ha ricevuto sì aiuti, ma molto pochi da parte del governo dello Stato.

La zona della Costa, che comprende parte della Sierra Sur che è stata colpita dal sisma, è stata dichiarata zona di priorità perché sono originari della zona alcuni deputati federali e locali del PRI. Quindi la maggioranza degli aiuti sono lì canalizzati per interessi politici.

Disgraziatamente, il governatore ha rifiutato gli aiuti delle organizzazioni civili e ha bloccato la loro partecipazione; il governo statale sta controllando tutti gli aiuti che arrivano dalle diverse istituzioni: stanno giungendo aiuti dalla Spagna, dall’Inghilterra… ma li distribuisce secondo ciò che considera come necessario. Ci sono due magazzini principali situati in uno stadio della città di Oaxaca che al momento sono chiusi, anche se traboccano di viveri. Un’altra parte degli aiuti è a Puerto Escondido poiché, trattandosi di una zona turistica, secondo le autorità era importante renderla agibile al più presto. La zona indigena è quella trascurata. Anche il magazzino di Puerto Escondido è pieno zeppo di viveri, ma sostengono che non ci sono aiuti quando la realtà è che la loro distribuzione è di parte: quando si tratta di un presidente municipale del partito ufficiale non c’è alcun problema, mentre in caso contrario gli aiuti sono rifiutati. Quindi esistono problemi seri perché d’altra parte negano l’accesso alle organizzazioni civili, che sono quelle che canalizzano gli aiuti e li portano direttamente, garantendo migliori possibilità che la ripartizione avvenga senza discriminazione politica, guardando unicamente le necessità della popolazione.

Abbiamo vissuto la medesima situazione due anni fa, dopo il passaggio dell’uragano "Paulina", nel 1997; anche in questo caso gli aiuti sono stati distribuiti in base all’affiliazione politica. Come adesso, erano stati immagazzinati gli aiuti alimentari fino l’anno successivo, che è stato l’anno delle elezioni per il nuovo governatore. I viveri sono stati distribuiti solo in quel momento. Inoltre vediamo che non è mai stata ristabilita l’attività produttiva dei campesinos. Molti ettari restarono totalmente inutilizzabili, ci volle più di un anno per renderli di nuovo usufruibili dato che erano completamente ricoperti di sabbia dopo il passaggio di "Paulina" e oggi sono completamente ricoperti di fango.

Ora chi ha la possibilità di risanare le proprie terre sono esclusivamente coloro che ne possiedono grandi estensioni, i latifondisti, quelli che affittano la terra ai contadini per la semina.

In situazioni passate, abbiamo potuto osservare che, poiché l’attività contadina non era stata ripristinata, si è verificata una migrazione massiccia verso gli Stati settentrionali del paese e gli Stati Uniti; temiamo che oggi possa succedere lo stesso, dato che la popolazione sta già emigrando per l’assenza di lavoro e questo è molto preoccupante.

Non ci siamo ancora ripresi dall’uragano "Paulina" perché a molti problemi non è stata data soluzione, molte delle case non sono state ancora ricostruite e la gente continua a vivere in baracche di legno e cartone.

Ciò che ora ci preoccupa maggiormente è il ripristino della campagna, della sua vita produttiva. Ciò che si è tentato di fare è di cercare l’appoggio a livello nazionale e appelli a livello internazionale, ma questo caso è chiuso, non fa più notizia.

Una delle azioni intraprese è stata quella di coordinarsi con l’università statale per portare derrate dove possibile, poiché, nonostante la cessazione delle piogge, molte comunità si trovano ancora isolate. Si sono create grandi pozzanghere che non consentono il passaggio, bisogna utilizzare una canoa e poi proseguire a piedi fino al villaggio. Questo è una parte dello sforzo portato avanti dai cittadini.

Insieme alle comunità stiamo sviluppando tre progetti: uno riguarda il ripristino produttivo per la prossima semina di mais, il secondo prevede l’allevamento e la produzione di animali da cortile per la gente che era abituata a mantenere questo genere di attività, questo per sostenere il consumo di carne e di uova. Il terzo progetto concerne l’avvio di attività produttive per le donne della Costa che consiste nello stabilire con loro dei fondi di risparmio. Crediamo che con questi progetti, pensati insieme alle comunità, si possa contribuire ad una soluzione a lungo termine dato che i viveri, del cui arrivo siamo molto grati alla società civile, sono una cosa temporanea che non risolve la vita a venire.

Per dare alcuni dati: il sisma ha danneggiato circa 43.200 abitazioni, 2.803 scuole, 289 chilometri di sentieri, ponti e strade, 55 cliniche e consultori, 444 edifici pubblici e 71 impianti di acqua potabile.

Si sono ora verificati focolai di malattie della pelle, diarree e alcuni casi sintomatici di malaria che non ricevono attenzione, sebbene nel suo rapporto il governatore affermi che la situazione è sotto controllo.

Vorremmo che una commissione di osservatori si recasse in Oaxaca perché si renda conto del tipo di soluzioni pratiche che lo Stato sta cercando di implementare. A chi ha subito il crollo della casa, è dato l’equivalente di 20.000 pesos in materiali, facendo in modo che la gente non possa costruire secondo la propria cultura: ricevono cemento, mattoni e strutture prefabbricate in cemento armato che in realtà sembrano dei paletti di legno perché non sopportano il peso della struttura… senza tenere conto che in Oaxaca in ogni momento si hanno fenomeni naturali come uragani e movimenti sismici. Siamo in una regione molto sismica e quindi queste sono le soluzione impartite dall’alto che inoltre hanno un costo elevato. Si tratta di un cattivo investimento e di una pessima pianificazione e dal vertice si sta cercando di condizionare le cose che dovrebbero essere attuate: è proprio una situazione ridicola.

In alcune zone stanno proponendo strutture di plastica, quando la tradizione è di costruire in adobe perché protegge dal caldo. Costruiscono bagni dove non ci sono fognature. Compiono azioni ridicole senza prendere in considerazione la gente. Ad esempio, destinano 837.000 pesos come viatico per il personale, quando, con questa somma, potrebbe essere risolta parte del problema abitativo. Totalizzano 3.087.000 pesos per questo progetto che il governo dello Stato non è riuscito a portare a termine in due anni.

A due anni dall’uragano "Paulina", non c’è trasparenza nell’utilizzo dei fondi, i bilanci sono semplicemente spariti e temiamo che ciò possa accadere di nuovo.

Noi, delle organizzazioni di Oaxaca, cerchiamo di unirci per far sentire la nostra voce e denunciare, a livello nazionale ed internazionale, cosa sta succedendo. Con tutte le disgrazie che capitano, il governo dello Stato n’approfitta per le questioni elettorali. Le catastrofi naturali lo favoriscono nelle elezioni del 2000, dove apparirà come il gran salvatore della gente ed è deplorevole che ciò avvenga.

Luz Rosales Esteva: Fin dall’uragano "Paulina" abbiamo seguito molto da vicino la situazione in Oaxaca e al nostro arrivo abbiamo potuto constatare che nella zona turistica sembrava non fosse successo niente, ma, un poco più in là, dove vive la gente, abbiamo trovato una situazione di disperazione tremenda perché la terra aveva cambiato aspetto. Le persone cercavano di aiutarsi a vicenda, ma in realtà non esistevano progetti del governo. Arrivò acqua scaduta (io non sapevo che l’acqua potesse scadere), arrivarono medicinali scaduti che si presuppone siano stati acquistati quando di norma questi farmaci sono donati: li dà in omaggio una casa farmaceutica degli Stati Uniti. Esisteva una convenzione, erano gratuiti, ma a questa transazione avevano posto un prezzo, con la giustificazione che era per sostenere le spese di trasporto degli aiuti. Ci furono problemi molto seri con la Croce Rossa.

Gloria: Semplicemente vorrei aggiungere che le derrate si stanno vendendo a 15 o 20 pesos. È chiesto il documento di elettore perché si venga registrati e non sia consegnato due volte alla stessa persona. È terribile perché la gente che non accede a questo tipo di cose deve rinunciarci o litigare per gli aiuti.

Un’altra cosa ridicola che fa il governo dello stato, è mandare a una comunità di 700 abitanti un elicottero con 150 chili di alimentari! Ma… allora, per chi li ha portati? Per creare più conflitti nella comunità? Affinché litighino tra loro? 150 chili non sono sufficienti a sfamare 700 persone!

Come sono organizzate le consegne degli aiuti? Chi s’incarica concretamente della loro distribuzione?

Gloria: Gli operatori sono di agenzie come SEDESOL e DIF. Sono incaricati di operare e stabilire quanto tocca ad ogni comunità. Una volta nei magazzini, in questo caso stiamo parlando di Puerto Escondido, avvisano il presidente municipale o gli agenti comunitari che in molti casi sono gente del loro stesso sistema. Questi hanno una lista. Il caso è che, quando arrivano le derrate da tutto il mondo, avviene un gran putiferio con l’arrivo degli elicotteri. L’incaricato, però, dice: "Prima ai miei".

In un’altra occasione, una deputata del PRI era arrivata in elicottero affermando di essere lei l’addetta alla gestione degli aiuti, mentre questi erano stati raccolti dalla società civile. Loro, però, si scattano la foto in cui vengono immortalati come eroi. Un’altra deputata del PRI vendette perfino le derrate, addirittura è stata denunciata dal presidente municipale del suo stesso partito, il quale restituì il denaro per allontanarsi da ogni responsabilità nel fatto. Questa situazione è stata perfino denunciata dal vescovo di Oaxaca. Si venne anche a sapere che dei poliziotti giudiziari avevano rubato le derrate. Esiste un tremendo livello di corruzione. Ci appelliamo all’università per far sapere in che modo vengono distribuite le derrate.

Quando portiamo a consegna le derrate, non chiediamo alcun tipo di identificazione e spesso la gente si aspetta di doverle mostrare. In una comunità è successo che al nostro arrivo gli abitanti hanno formato due file distinte: una di priisti e l’altra di non priisti. Questo denota una situazione di divisione in cui, purtroppo, in molte comunità prima di essere cittadini, si è membri di un partito.

Luz Rosales Esteva: È importante aggiungere che il presidente della Repubblica aveva annunciato che non avrebbe permesso che fossero i rappresentanti della comunità a prendere la parola, ma che sarebbe andato casa per casa, di famiglia in famiglia, e non da chi si presentasse come organizzazione o si auto nominasse rappresentante di una comunità. Noi, però, che abbiamo l’esperienza di molti anni di lavoro nelle comunità, sappiamo bene che la gente sa chi la deve rappresentare, in questi casi, per consegnare le derrate. La popolazione si organizza. Storicamente, dal terremoto del 1985, il popolo sa bene chi sono i suoi rappresentanti. Il presidente ha dimostrato una gran paura nei confronti della capacità d’organizzazione della gente, perché potrebbe condurre a una maggiore presa di coscienza, o a un utilizzo delle risorse.

La posizione del governo è di non accettare organizzazioni e, di conseguenza, non accettare i suoi rappresentanti. Noi, quindi, partiamo dal fatto che bisogna appoggiare la società civile perché possa organizzarsi.

Nel caso delle imprese come la PEMEX (Petroleos Méxicanos), come sono state canalizzate le risorse? Come si è svolta la cosa?

Noi abbiamo saputo che imprese come la Corona hanno consegnato derrate. In questo caso, viene data priorità a certe zone. Si fanno arrivare molti aiuti in una zona e in altre niente. Il problema di questo tipo di azioni è che non si coinvolgono le organizzazioni e viene bloccata tutta l’informazione. Ciò che sappiamo è che nella zona Sierra Sur hanno cercato di camuffare la situazione poiché lì la gente non aveva perso il raccolto ma solo le case. In realtà, l’unico a poter intervenire mandando materiali era lo Stato, giacché i viveri rappresentano solo una soluzione temporanea. Invece, l’ideale sarebbe che esistessero delle iniziative che facciano da complemento, come, ad esempio, aveva fatto la Fondazione "Vamos" dopo l’uragano Paulina, quando, alla gente, propose di portare i macchinari per la costruzione delle case. In questo caso, non solo fu realizzata la costruzione insieme agli interessati, ma avvenne con un costo minore a quello degli altri programmi.

Situazione dello stato di Veracruz:

Il problema nel Veracruz è stato causato soprattutto dalle frane, facendo sì che molta gente restasse senza lavoro, con le case e i campi di terra sotterrati dal fango.

Anche là si verificò la preoccupante questione della faziosità degli aiuti, con la circolazione di voci che le derrate restavano ferme nei magazzini. La priorità, adesso, è la ricostruzione.

Luz Rosales Esteva: La zona colpita, corrisponde al luogo dove il PRI gode del denominato "voto verde". Con questo ci riferiamo ad un voto molto massiccio per il PRI. Tuttavia, un anno fa, alle ultime elezioni, la popolazione cambiò tendenza e votò per il PRD. Questa è una zona molto ricca in petrolio. A radice di questo cambiamento, è iniziato un processo di scomposizione che si traduce in una situazione di ingovernabilità.

Ci recammo in una zona della Huasteca, visitando varie comunità indigene che si sentivano minacciate perché si diceva che in questa zona operava l’EPR. Al nostro arrivo, subimmo un forte spavento perché ci mandarono contro dei cavalli e ci perseguì la polizia: fu davvero orribile.

Credo che esista una situazione molto difficile in Veracruz, ma è probabile che investano molto denaro da quelle parti per recuperare il "voto verde", utilizzando la gente e comprando il suo voto. Questa è la previsione.

In che modo la gente partecipa a tutto il processo di ricostruzione? Com’è strutturata politicamente la popolazione?

Nel caso di Oaxaca, la gente sta cercando di trovare delle organizzazioni che l’appoggino. Di fatto, in questa zona esistono molti organismi, cooperative cui la popolazione si sta avvicinando. Si è verificato un processo molto particolare in questa zona. Esistono comunità afro-meticce e comunità indigene. In queste ultime si registra un grado maggiore di organizzazione rispetto alle prime, che si sono dimostrate più dipendenti dalle strutture del partito ufficiale. Dal 1994 c’è stata una maggiore presa di coscienza riguardo ai diritti indigeni. Durante la consulta promossa dall’EZLN sono arrivati i delegati zapatisti e l’impatto nelle comunità è stato impressionante. Esiste anche una presenza di gruppi armati come l’EPR e l’ERPI, e referenti storici come la guerriglia di Lucio Cabañas.

Luz Rosales Esteva: Vorrei far notare il ruolo dell’esercito nelle operazioni di salvataggio quando c’è in atto un’emergenza. Per casi come questo è molto efficiente. Tuttavia, negli ultimi anni, l’esercito non ha svolto solo questo ruolo, ma anche quello di controinsurrezione. In alcune comunità, l’esercito è arrivato a causa del disastro ma ora pretende di restare con il pretesto della lotta al narcotraffico.

Vorremmo chiedervi se sono state prese misure come la consegna delle derrate in cambio di lavoro comunitario, così come praticano certe agenzie umanitarie internazionali?

Esiste un programma simile. Il problema è che viene utilizzato a fini elettorali. È il programma d’impiego temporaneo che dipende direttamente dal governo dello Stato, in cui sono assegnati 23 pesos per quattro ore di lavoro comunitario. La questione è che ciò avviene solo nei municipi del PRI o per accordi con organizzazioni del PRI.

 

 

 

 

 

4. Red De La Sociedad Civil

17 novembre 1999, Città del Messico.

4.1. Il caso Gonzalo Martínez Villagrán

Nel luglio 1998 era celebrato il 14° Congresso della nona sessione del Distretto Federale, che raggruppa i maestri delle scuole materne ed elementari, per il rinnovo del comitato esecutivo diretto allora da Gonzalo Martínez Villagrán. Secondo il "Sindicato Nacional de Trabajadores de la Educación" (SNTE), si generarono circostanze "rischiose" nella presunta elezione di Luna Becerril, perciò ci furono "alterazione e rottura" degli statuti. Per questi fatti sarebbero state presentate "a tempo e forma" diverse denunce, uscite dalle 28 riunioni tra i membri del sindacato diviso, senza che si arrivasse a una soluzione.

Secondo l’organizzazione diretta da Tomás Vázquez Vigil, la situazione in quel mese venne a complicarsi, quando i simpatizzanti di Luna Becerril occuparono "violentemente" le strutture del sindacato e sequestrarono alcuni maestri. In seguito, il giorno 11 novembre, fu occupato il Senato della Repubblica, aggravando quindi i fatti. I docenti, in maggioranza della nona sezione del Distretto Federale, esigevano l’intervento della presidente della Gran Commissione del Senato, María de los Angeles Moreno, per obbligare il "Sindicato Nacional de Trabajadores de la Educación" (SNTE) a riconoscere i suoi dirigenti eletti quattro mesi prima, e che il ministero dell’istruzione (SEP) smettesse di "bloccare" la gestione amministrativa. Tra coloro che parteciparono all’occupazione del Senato della Repubblica c’era l’ex segretario generale, il professor Gonzalo Martínez Villagrán.

Nel gennaio 1999 sono arrestati cinque maestri, accusati di furto, privazione illegale della libertà e sommossa, a causa dell’occupazione del Senato della Repubblica del 10 novembre 1998, per opera dei maestri e maestre della "Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación" (CNTE).

La scomparsa di Gonzalez Martinez:

Il primo gennaio del 1999, all’incirca alle 9 di mattina, la madre di Gonzalo Martínez si accorge della presenza di diverse automobili parcheggiate vicino al suo domicilio, cosa non comune in quel quartiere, ma non gli presta maggior attenzione. In seguito, tra le ore 11 e le 12 di mattina, suo figlio Gonzalo si mette in contatto con lei, per annunciarle che sono stati arrestati diversi compagni e che anche lui, sicuramente, lo sarebbe stato. Da quel momento non ha più saputo niente di lui. Per tutto il giorno ha ricevuto telefonate anonime colme di domande, minacce, menzogne e burle riguardanti la destinazione di suo figlio. Questa situazione si è protratta per varie settimane. Undici mesi dopo, continua a non avere notizie di suo figlio.

La situazione giuridica attuale:

Nove mesi dopo che fosse decretata la libertà dei maestri incarcerati, è ancora valido l’ordine di cattura verso l’ex segretario generale, il professor Gonzalo Martinez Villagrán.

21 ottobre: il Terzo Tribunale di Collegio del Primo Circuito in Materia Penale concede l’amparo contro il furto ed emette il diktat che il reato di privazione illegale non consiste, lasciano solo quello di sommossa

22 ottobre: il Primo giudice del Distretto informa che per quanto riguarda il caso del professor Gonzalo Martínez Villagrán esistono due procedimenti: uno dove compare il reato di privazione illegale della libertà con modalità di sequestro e l’altro dove questo non appare, e non obbedisce alla disposizione del Tribunale.

25 ottobre: il giudice del carcere "Reclusorio Norte" chiede due giorni per sollecitare un chiarimento sui procedimenti.

27 ottobre: il Primo giudice del Distretto informa che riguardo alla confusione dei due procedimenti esistenti, lui, "a criterio personale", risolve di impugnare il procedimento che presuppone il reato di sequestro.

4.2. Caso degli assassinii e stupri di bambine e donne rimasti impuniti a Ciudad Juárez, nello stato di Chihuahua

Claudia Cruz, della "Asamblea de Mujeres por la Transición a la Democracia": Dal 1994 le Ong che si occupano dei diritti umani e delle donne hanno cominciato a documentare casi di violenza sessuale, di tortura e di sparizioni di donne, pubblicati dai mezzi di comunicazione locali. I casi fino ad oggi riconosciuti ufficialmente sono 187 e si sono verificati con la frequenza di uno ogni diciassette giorni, questo dal 23 gennaio 1993.

Nonostante siano stati condotti degli arresti, questo non ha portato ad alcun processo o sentenza, ma la maggioranza dei casi continua a non essere riconosciuta e ad essere oggetto di indagine.

A Ciudad Juárez, città confinante a nord con El Paso, Texas, sono state installate industrie di assemblaggio, maquiladoras, dove la maggior parte dei lavoratori sono donne (il 70%) e le zone industriali sono situate lontano dai quartieri in cui vivono gli operai. In città è forte la presenza del narcotraffico insieme al crimine organizzato e alla lotta tra bande rivali. La città accoglie quotidianamente circa mille persone alla ricerca di un lavoro o che tentano di attraversare la frontiera. Quelli cui mancano le risorse per entrare negli USA si fermano qui a cercare lavoro. È evidente la mancanza di interesse da parte delle autorità nel far chiarezza sui fatti riguardanti gli assassinii e gli stupri di donne, nonostante dal 1995 sia operativo un ufficio speciale della procura che si occupa di questo caso (sono già cinque i procuratori che vi hanno lavorato). Le autorità sono accusate di misoginia e di mostrare le vittime come colpevoli a causa del loro comportamento sregolato. Inoltre dimostrano una mancanza di sensibilità verso i familiari delle vittime che vengono mandati da un ufficio all’altro in cerca di informazioni riguardo alle indagini, avendo come risposta il disprezzo delle autorità. Esiste anche un possibile traffico di organi perché in alcuni casi i corpi delle vittime sono stati rinvenuti privi di questi.

4.3. Caso della militarizzazione, violazione dei diritti delle comunità rurali indigene e maltrattamenti e torture nei confronti dei prigionieri politici nello stato di Guerrero

Hilario Mesino, ex prigioniero politico, della "Organización Campesina de la Sierra del Sur" (OCSS): I campesinos dello stato del Guerrero vivono in estrema povertà, i loro prodotti sono sottopagati poiché il prezzo è imposto dai caciques, e non è molto. Negli anni ’70 la repressione nei confronti delle organizzazioni contadine è stata molto forte, provocando oltre 500 morti tra dirigenti e membri di organizzazioni d’ogni genere e studenti. Nel 1994 nasce la "Organización Campesina de la Sierra del Sur" rivendicando il diritto all’istruzione, alla salute, ad un giusto prezzo per i loro prodotti e a ricevere finanziamenti. L’organizzazione viene colpita con la strage di Aguasblancas in cui 17 contadini vengono uccisi in una brutale esecuzione da parte di poliziotti. Fino ad oggi sono 40 i contadini assassinati e due i desaparecidos, senza che questi casi siano stati indagati o risolti. Riguardo alla militarizzazione dello Stato, nelle zone rurali e indigene sono presenti circa 15 mila effettivi dell’Esercito Messicano: i militari sono colpevoli di stupri, sparizioni di contadini e di indigeni, incarceramenti e torture con il pretesto di cercare simpatizzanti del gruppo guerrigliero "Ejército Popular Revolucionario" (EPR).

La nostra organizzazione ha quattro compagni incarcerati nella prigione di Acapulco e altri due nel carcere di Puente Alto (nello stato di Jalisco) che si sono dichiarati prigionieri politici, come altri 260 che sono membri del PRD e di altre organizzazioni contadine dello stato di Guerrero.

4.4. Caso dei terremotati e degli alluvionati della regione indigena chatina e mixteca della Costa, militarizzazione e narcotraffico nello stato di Oaxaca.

Patricia Ramírez del municipio di San Pedro Tututepec: Il 14 settembre di quest’anno, la zona è stata colpita da calamità naturali e dalla perdita delle coltivazioni causata dalle forti piogge che hanno inondato diversi centri abitati della costa di Oaxaca. Il 30 settembre i villaggi della stessa regione sono stati colpiti dal terremoto che ha causato il crollo di molte abitazioni. In ottobre inondazioni e terremoti si sono ripetuti e la situazione d’emergenza si è aggravata. La maggioranza della popolazione è costretta a vivere all’addiaccio e con carenza di viveri, in condizioni di grave indigenza. In questa situazione si sono anche verificati una cattiva canalizzazione e amministrazione degli aiuti umanitari arrivati nella zona ad opera di funzionari statali. Come se non bastasse, l’Esercito Messicano occupa diverse strutture scolastiche, lasciando alle intemperie la popolazione che è costretta a ripararsi con teli di plastica e a sopravvivere solo grazie all’aiuto dei vicini. I funzionari hanno sviluppato un traffico con gli aiuti destinati alla popolazione colpita: vendono i viveri e i materiali agli stessi disastrati ed al momento dell’acquisto esigono da questi il documento di elettore, senza tenere in conto che quasi tutti lo hanno perso insieme ai loro beni durante il crollo o l’inondazione delle loro case. Inoltre, i finanziamenti governativi attraverso il programma SEDESOL vengono distribuiti in base alla preferenza politica dei disastrati, cercando così di creare divisione tra le organizzazioni delle comunità. Oltre a ciò, il narcotraffico che si è creato intorno ai poli turistici sviluppati nella zona cerca di coinvolgere i giovani come consumatori con l’obiettivo di provocare il deterioramento sociale e la disintegrazione delle comunità indigene.

4.5. Caso della repressione in atto nella regione di Loxichas, stato di Oaxaca

María Estela García, vedova di un membro assassinato dell’organizzazione "Unión de Pueblos de la Región Loxichas": Le autorità e i caciques della zona sono colpevoli di manipolazione degli abitanti indigeni che vestendoli da poliziotto e coprendo loro il volto li portano nelle comunità con il fine di far loro indicare chi sono i leaders sociali. Inoltre sono responsabili della formazione di gruppi paramilitari composti da indigeni in modo da provocare conflitti intercomunitari e dell’arruolamento nella polizia giudiziaria di indigeni della allo scopo di formare gruppi che sequestrano e torturano altri indigeni. Dal settembre del 1996 ad oggi, si contano centinaia di vittime di trattamenti crudeli e inumani, di torture, 14 assassinii perpetrati dalla polizia giudiziaria e da gruppi paramilitari, 11 casi di desaparecidos, 96 prigionieri politici. Le detenzioni e le torture vengono spesso eseguite in carceri irregolari e segrete. Gli accampamenti militari vengono installati all’interno delle comunità, violando i diritti umani delle persone che vi abitano. In alcuni villaggi, gli abitanti sono costretti a passare la notte in montagna, per paura dei "cacciatori di uomini" o delle guardias blancas che li cercano casa per casa, accusandoli di essere guerriglieri dell’EPR.

4.6. Caso del generale José Francisco Gallardo, prigioniero politico per l’aver proposto la figura di un Ombudsman nell’Esercito Messicano.

Marco Vinicio Gallardo, figlio del generale: Nell’ottobre del 1993, in seguito della pubblicazione di una sintesi della sua tesi di dottorato "La necessità di un ombudsman militare in Messico", mio padre è stato accusato di diffamazione, ingiuria e calunnia contro l’Esercito messicano, e incarcerato il 9 novembre di quell’anno, privandolo della sua libertà fino ad oggi. Le autorità militari hanno istruito contro di lui nove cause penali e sono state dettate otto ordinanze formali di carcerazione. Le autorità civili, la giustizia federale, ha dichiarato luogo a non procedere tutte le imputazioni contro il generale, attraverso i giudizi di amparo. Al momento i giudici militari non hanno potuto dettare una sola sentenza di condanna conforme al diritto. Nonostante la sua innocenza, mio padre resta in carcere senza alcuna ragione e senza una giustificazione legale. La "Comisión Nacional de Derechos Humanos" si è dichiarata incompetente poiché è un caso che riguarda l’ambito militare. La mia famiglia è oggetto di minacce e di persecuzioni.

 

 

 

 

 

5. Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez, incontro con Rafael Álvarez e Digna Ochoa

Rafael: Ci troviamo nell’area giuridica del CDHMAPJ, e io sono Rafael Álvarez, supervisore del Centro dei diritti umani e questa è Digna Ochoa. So che volete conoscere la situazione generale del Centro e la condizione dei diritti umani in Messico.

Come già sapete, il Centro si è dedicato alla difesa e allo sviluppo diritti umani lavorando in diverse aree e, quest’anno, abbiamo documentato più aspetti della situazione dei diritti umani in Messico.

Abbiamo anche dovuto vivere, molto da vicino e di recente, l’attacco verso i difensori dei diritti umani; è una situazione che noi non vediamo isolata, né come un qualcosa d'esclusivo che accade solo a noi, bensì è una situazione che si è sempre più aggravata e che ha colpito vari compagni di diverse organizzazioni dei diritti umani. Crediamo che la situazione politica in Messico si sia ulteriormente aggravata ed è sempre stato più represso l’ambito che implica la difesa e sviluppo dei diritti umani, sempre e quando abbiamo toccato i punti nevralgici del governo nel denunciare le diverse violazioni. Abbiamo documentato casi di attacchi nei confronti di difensori dei diritti umani avvenuti in diverse regioni del paese e crediamo che questo sia abbastanza grave e soprattutto la dice lunga perché ci troviamo in un anno pre-elettorale. Siamo convinti che si stia acuendo e soprattutto si stia causando un precedente: l’intenzione è di mettere a tacere queste voci che denunciano, sia a livello nazionale sia internazionale, le violazioni e segnalano direttamente le autorità che ne sono responsabili. Il lavoro del Centro è pubblico, abbiamo presentato le denunce nelle istanze nazionali, nei fori internazionali, soprattutto i casi gravi e quelli a sfondo politico. Abbiamo alcuni dei casi gravi di cui sono responsabili diverse autorità militari, vari poliziotti e le autorità migratorie.

Il fatto di denunciare e di lavorare in questa difesa ci ha portato come conseguenza la repressione e l’intimidazione di vario genere. Ultimamente, qui al Centro, stiamo vivendo questa repressione molto da vicino: l’intimidazione e le minacce sono state piuttosto gravi e ancor di più le aggressioni dirette. Le minacce sono state rivolte direttamente contro tutto il Centro; affermiamo che, in questo caso, le minacce sono state per tutti noi una tortura. Ciò nonostante abbiamo avuto questa convinzione e questa posizione di continuare nel nostro lavoro, grazie, tra l’altro, all’appoggio internazionale. Questo ci rende più forti, ci esorta e ci protegge per continuare. Senza la copertura necessaria, continuare il nostro lavoro sarebbe molto più difficile, soprattutto quando vediamo che tutta questa situazione va aggravandosi e che questo fenomeno si va sempre più intensificando. Sappiamo che avete poco tempo a disposizione, volete sapere qualcosa di più preciso?

Vorremmo che ci chiarisse l’ultimo aspetto che ha trattato, quello riguardante quest’anno elettorale; noi abbiamo sentito altre opinioni secondo cui durante il periodo elettorale si starebbe cercando di dare un’immagine molto aperta e democratica…

Digna Ochoa: Sì, penso che a parole si sia effettivamente tentato di esternare questo processo democratico in Messico, nel quale, in fin dei conti, molti credono e in cui, ritengo, siano stati fatti passi avanti, tuttavia su questo esiste un discorso con due facce: da una parte si conducono queste elezioni preliminari per scegliere i candidati, mentre dall’altra ha inizio una repressione su tutto ciò che significa leaders sociali, difensori dei diritti umani e dirigenti di diverse organizzazioni della società civile. Se questa situazione inizia a manifestarsi dal momento in cui il partito ufficiale vuole imporsi e vincere le elezioni a tutti i costi, nel momento in cui si rende conto che la competizione è forte, allora crediamo che il partito ufficiale, cercando di mantenere il potere in tutti i modi, cerca di liquidare, tagliare teste, che sarebbero i leaders, beh, lo abbiamo già visto accadere con diverse organizzazioni. Lo rileviamo nel Guerrero, in Oaxaca, in Chiapas, soprattutto nelle comunità con presenza di contadini indigeni, dove esiste maggior organizzazione.

In Messico la fabbricazione di colpevoli e di reati avviene quotidianamente, per eliminare in qualche modo tutto ciò che potrebbe rappresentare presa di coscienza, mobilitazione. Si cerca di eliminare i leaders, fabbricando qualche accusa, piantando droga e nascondendo armi nei loro terreni, associandoli a gruppi guerriglieri, come hanno cercato di fare con il Centro Pro. Durante l’ultimo interrogatorio cui sono stata sottoposta, tutte le domande riguardavano questo tema. Volevano che dicessi loro che armi usiamo, dove si trovavano le armi, i contatti con i gruppi guerriglieri, questo per denigrare il nostro lavoro; tutte queste sono tattiche del governo per eliminare o togliere credibilità ad un gruppo.

Come si è evoluta la situazione dall’anno scorso, dalla precedente visita della CCIODH ?

Rafael Alvarez: In quel periodo la Commissione aveva messo in guardia su alcuni segnali molto preoccupanti della situazione politica in Messico. Crediamo che ora la situazione sia più grave perché siamo in periodo elettorale che fa sì che ci siano vuoti di potere. Si afferma che nel sistema politico messicano, nell’ultimo anno di governo di ogni presidente non governa più questo presidente, bensì il suo successore, inoltre c’è in atto una disputa all’interno della classe dominante a causa di questi posti di potere. Un problema molto importante che noi osserviamo è lo sviluppo della logica controinsurrezionale, in cui partecipano l’esercito, le polizie e un corpo che è stato appena creato: la "Policia Federal Preventiva", che ha scarso fondamento giuridico e la sua partecipazione non è legale ma che però sta cercando di porsi al di sopra dei municipi, degli Stati e delle autorità di ogni Stato. Esiste una logica controinsurrezionale, poiché si cerca di attaccare i gruppi armati, ma giustificandola con il concetto di sicurezza nazionale. Si afferma che il nemico della sovranità è un nemico interno, di conseguenza ogni giornalista, missionario, indigeno organizzato, difensore dei diritti umani è considerato un sospettato. I militari e i poliziotti che sono stati addestrati nelle tecniche di guerra controinsurrezionale, sia negli USA sia dai loro esperti presenti in Messico (argentini, israeliani, cileni), sono convinti che bisogna annientare i gruppi ribelli in questo modo; essi dicono: "I guerriglieri si muovono come pesci nell’acqua, quindi quanto dobbiamo fare è togliere l’acqua al pesce". Si sta parlando di guerra irregolare, non si stanno preparando per un combattimento con i guerriglieri, ma contro la popolazione civile, che è quella che soffre tutte le conseguenze. Il problema che stiamo osservando è l’attacco, non solo in Chiapas, anche nel Guerrero e in Oaxaca, contro le comunità civili che sono estranee al conflitto. Non avviene contro un gruppo armato in particolare, non è l’EZLN, l’EPR o l’ERPI, ma contro qualsiasi ambito civile che potrebbe servire da copertura a questi organismi armati. Noi, in quanto gruppo di difesa dei diritti umani, siamo visti come parte di questa copertura dei gruppi armati, come una parte del conflitto e per questo cercano di attaccare il nostro lavoro. C’è una situazione di disgregazione, d’incertezza a causa dei vuoti di potere e una crescente partecipazione dei membri delle forze armate a funzioni di civili, di pubblica sicurezza, di indagine poliziesca, di detenzione: questo è incostituzionale, loro non sono legalmente capaci per farlo. Un altro problema di quest’ultimo anno è che si è verificato un cambiamento molto forte nelle leggi, in cui sono limitati i diritti umani e le garanzie individuali; l’argomento usato è la lotta al crimine organizzato. C’è una recrudescenza della legge e un cambiamento nel quadro giuridico. Da un anno a questa parte, molte cose che prima erano illegali oggi sono legali. Secondo noi, dato che i funzionari pubblici non hanno potuto adattare il loro comportamento alla legge, quanto hanno fatto è di adattare la legge alla loro condotta. Questo fa sì che, dal punto di vista giuridico, noi ci troviamo con molte limitazioni per la difesa dei prigionieri di coscienza e politici. Di questo si è occupata Digna e per questo è stata attaccata, hanno anche tentato di assassinarla. Questa logica di controinsurrezione sta imperando, ci dà segnali di guerra sporca, in cui come organismi civili siamo parte di ciò che è considerato il nemico.

Digna Ochoa: Questo è qualcosa di strategico ed è stato progettato dal governo, tenendo conto che la maggioranza del Congresso appartiene al partito ufficiale, hanno quindi realizzato ogni genere di riforme per creare le condizioni che impediscano che loro possano essere denunciati da gruppi che si occupano dei diritti umani. Hanno inasprito le leggi, restringendo i diritti, stanno preparando uno scenario che noi gruppi dei diritti umani denunceremo: le detenzioni, le torture, le incursioni, tutti questi fatti evidentemente violatori dei diritti umani. Stanno trasformando tutto il quadro giuridico, dalla Costituzione all’amparo, ai codici penali.

Rafael Alvarez: C’è anche questa tendenza di criminalizzare la dissidenza politica: persone che sono fuoriuscite dal partito ufficiale, o missionari, stranieri nelle zone indigene, giornalisti...sono tutti trattati da delinquenti. Questo ci parla di uno scenario dove i punti più vulnerabili sono le organizzazioni campesine, indigene, esistenti nelle zone rurali; ed è una violenza che si è estesa poco a poco non solo nel sudest, ma anche in altre zone del paese.

Potreste esprimere la posizione del Centro riguardo alla lettera di Diodoro Carrasco inviata in settembre?

Rafael Alvarez: In questa lettera aperta, Diodoro Carrasco, risponde alla maggior parte dei punti che l’EZLN aveva posto come condizione tre anni fa, quando si era ritirato dal dialogo. Per noi si tratta, però, di una manovra per dare una certa immagine di apertura e lasciare l’iniziativa all’EZLN dicendo: noi siamo d’accordo. Eppure, anche se risponde ai punti che l’EZLN aveva proposto in quel momento, le condizioni sono molto cambiate in questi tre anni. Ad esempio, in Chiapas non esistono più quelle che si chiamavano zone grigie, sono state militarizzate le comunità, è stato provocato lo sfollamento di migliaia di persone. Rispondere a questi punti tre anni dopo ed in queste condizioni non corrisponde a un sentimento di apertura, di volontà politica. Per esempio, un punto essenziale che non è toccato nella lettera è il ritiro dei militari che stanno ormai occupando interamente i villaggi civili. Secondo la Costituzione, è proibito loro in tempi di pace avanzare sulle comunità, ma è quello che stanno facendo. I posti di blocco, le schedature, le perquisizioni nelle case, gli interrogatori illegali, i sorvoli radenti degli elicotteri...

Questa situazione di paura in cui tengono la popolazione è uno scenario di guerra, ma di una guerra non dichiarata. Nell’esercito c’è chi vorrebbe fosse dichiarato lo stato d’assedio, in modo da rendere legale cosa stanno facendo. Per il momento, stanno violando la Costituzione tutti i giorni. Per questo affermiamo che si tratta di una guerra non dichiarata, con scontri e morti, però vogliono toglierle il carattere politico, sostenendo che si tratta di problemi interni delle comunità, quando in realtà è una guerra che è stata fomentata grazie ai gruppi paramilitari, attraverso la persecuzione delle comunità, la provocazione, gli sfollamenti di massa, la detenzione di molta gente innocente accusata di reati comuni. Così stanno creando divisione nelle comunità, dato che la presenza militare sta facendo aumentare l’alcolismo, la prostituzione, il traffico di armi, i conflitti interni, l’incertezza dei contadini che non possono allontanarsi per lavoro, perché ci sono stati casi, in cui, mentre stavano lavorando, le loro donne erano stuprate; così la presenza dell’esercito è una minaccia costante ed è parte della guerra che stanno vivendo in Chiapas. Per l’estero il governo nega che ci sia una guerra in Messico, affermano che è una guerra d’inchiostro e di Internet, però, quotidianamente ci sono delle vittime e da una parte sola. Dietro questa guerra esiste una logica controinsurrezionale propria delle dittature militari del Sud America, una guerra che è avvenuta in America Centrale. Questa situazione la sta subendo la popolazione civile, le donne, gli anziani, i bambini: quasi non ci sono più uomini poiché sono perseguitati come sospettati.

Digna Ochoa: La gente ha paura di presentare denunce e, inoltre, le autorità civili rifiutano di accogliere le denunce dei gruppi di denuncianti; se la denuncia arriva, è passata al ministero giuridico militare, quando sono loro i responsabili delle violazioni. Per questo motivo nessun accertamento fino ad ora ha avuto soluzione. Lo stesso ministero militare dice che non ci sono elementi sufficienti. Logico! Loro non mettono in evidenza le violazioni compiute dal loro personale e così, nessuna denuncia va in porto. Questo succede in Chiapas, in Oaxaca, in Guerrero: sono i militari i responsabili dei fatti violatori e restano nella più completa impunità.

Qual è l’attività concreta delle associazioni ufficiali dei diritti umani?

Digna Ochoa: Esiste una commissione statale dei diritti umani, purtroppo però non ha alcuna indipendenza. Risponde più che altro agli interessi politici, hanno molte restrizioni e si dedicano a difendere alcune garanzie individuali più che i diritti umani in genere. La loro partecipazione è molto scarsa e poco impegnata, di fatto fino ad ora non abbiamo nessuna raccomandazione della CNDH in relazione alle azioni dell’esercito, alle violazioni dei diritti umani compiute dall’esercito in Chiapas. Abbiamo solo alcuni casi isolati, come quello di El Bosque, dove però non si vede chiaramente la responsabilità dell’esercito; essi rispondono agli interessi creati dal governo stesso.

Rafael Alvarez: Nel caso dell’esercito, secondo la legge, la CNDH e le commissioni statali dei diritti umani devono osservare la riservatezza sulle denunce, e la gente che si rivolge a loro crede che questo li proteggerà da future aggressioni. Ma ciò che ha fatto la CNDH è stato passare il fascicolo all’esercito così come era e, in questo modo, le persone che fanno la denuncia non ricevono alcuna protezione. Questo rompe la riservatezza che è un obbligo della CNDH. La CNDH è sempre complice dell’esercito e gli offre copertura, avvisandolo se lo stanno accusando. Ci sono stati casi in cui la persona che accusa un membro dell’esercito è poi convocata da un tribunale militare: questo non è legale e lo fanno come misura di pressione perché la gente desista. Digna ha assistito il caso di alcune donne che avevano presentato denuncia per violenza carnale contro membri dell’esercito.

Digna Ochoa: Questo gruppo di donne ha documentato diversi casi di violazione dei diritti umani nei confronti di donne in Chiapas. Dopo un anno dall’aver presentato querela, la CNDH convoca le donne: i membri stessi della CNDH esigono il nome dello stupratore, il numero di matricola, a quale battaglione appartiene. È qui che si vede come si stiano coprendo l’uno con l’altro, dunque, se coloro che pretendono difendere i diritti umani hanno questo comportamento, immaginatevi cosa ci si può aspettare dagli stessi corpi di polizia. Questa querela si trascina da due anni ma senza alcun risultato. Chiunque sa che un violentatore non si identifica. È lampante che questa querela non abbia avuto esito. Qui si vede chiaramente la complicità e la copertura praticate dalla CNDH soprattutto verso i militari; il ministero della Difesa (Sedena) è stato un settore che il governo ha cercato in tutti i modi di mantenere intoccabile. Recentemente, lo stesso neopresidente della CNDH ha dichiarato che non si avranno intoccabili e qui ha riconosciuto che ce ne sono stati, ed è da tempo che noi lo stiamo denunciando. Da parte della CNDH è mancata realmente la volontà di indagare e di fare raccomandazioni alla "Secretaria General de la Defensa", e di riconoscere le violazioni dei diritti umani.

Una cosa che ha dato molto fastidio ai militari è stata la difesa di alcuni membri delle forze armate che come Centro abbiamo condotto. Questo nel dicembre scorso, quando un commando patriottico aveva reclamato il rispetto dei propri diritti umani e sul lavoro. L’esercito cerca di eliminare questo gruppo dissidente al ministero, tramite l’arresto, l’isolamento e la tortura psicologica. Noi abbiamo presentato procedimenti di amparo. A nessuno era concesso di vederli, né ai loro avvocati, né alle loro famiglie. Abbiamo accettato la difesa di questi militari e questo da molto fastidio allo stesso ministero. Abbiamo chiesto alla CNDH di intervenire, perché noi non veniamo riconosciuti come personalità giuridica, lo stesso procuratore militare ha detto di riconoscere solo la CNDH, volevamo approfittare di questo riconoscimento apparente dei militari, ma questa non ha voluto assumere questo ruolo. Quando noi avevamo chiesto alla CNDH di andare a verificare lo stato reale in cui si trovavano questi militari, ci hanno risposto: "È che non ci hanno permesso di entrare a vedere i prigionieri...". Noi abbiamo chiesto loro di insistere poiché erano obbligati a farli passare, e l’obbligo della CNDH era verificare lo stato di queste persone.

Ci siamo occupati di altri casi; abbiamo assunto la difesa di un ex-militare che, per il fatto che il ministero della difesa non gli ha potuto attribuire questi reati e quindi giudicarlo davanti al tribunale militare, dato che era stato congedato prima della comparsa del commando patriottico ha cercato di attribuirgli altri reati, soprattutto quelli che hanno a che vedere con la violazione dei diritti d’autore, la rivelazione di segreti e di tutto ciò che ne consegue. Noi abbiamo assunto la difesa di questo ex-militare, dicendo che non erano individuati i reati per i quali questi stava per essere processato. Il ministero della difesa lo accusa di aver rivelato un manuale di guerra irregolare. Per prima cosa, quando è stabilito il reato avrebbe dovuto trattarsi di un documento confidenziale. Il documento era sì confidenziale, ma prima che questa persona facesse una critica ad un articolo di questo manuale, il manuale in questione era già stato pubblicato in un mezzo di comunicazione. Come seconda cosa, non ha mai fatto la pubblicazione letterale di un articolo, ma ne ha sempre riconosciuto come autore la Sedena, che proprio su questo stava conducendo la battaglia legale. Quindi, non si stava individuando il reato. Quando ci siamo presentati all’udienza, abbiamo chiesto la comparizione del ministro della difesa, del direttore dell’Accademia militare e di alti ufficiali dell’esercito per dimostrare che questo manuale era loro e che era distribuito a tutti i loro studenti. Come prima cosa c’è stata una negazione e una reticenza da parte delle Procura generale della Repubblica ad accettare queste petizioni. Hanno cercato di persuadermi: "Guardi non lo chieda neanche, non le conviene". Ma lungi dal pregiudicare questo ex-militare, com’era loro intenzione, si sono aggrappati a quest’insistenza che comparissero gli alti comandi dell’esercito, quindi, per evitare che il processo proseguisse, ottennero la chiusura dell’indagine previa. Questo avviene quando sono a rischio i loro propri interessi e si tratta di evidenziare le irregolarità e le responsabilità. In questo caso perché il manuale parla della creazione e dell’utilizzo dei gruppi paramilitari. Noi diciamo che i gruppi paramilitari hanno ottenuto l’appoggio di diversi corpi di polizia dello Stato, a livello federale, ma soprattutto dell’esercito. La Sedena riesce quindi a chiudere il caso per evitare di trovarsi coinvolta.

Abbiamo avuto altri casi in cui gli stessi militari si rifiutano di accogliere le denunce. L’esercito ci nega l’accesso alle sue strutture, a qualsiasi agenzia del "Ministerio Publico Militar", rifiuta di darci documentazione, di accogliere le petizioni che abbiamo inoltrato, in sintesi, ostacolando tutto ciò che potrebbe indicare o portare ad una qualche responsabilità dei militari con i fatti concernenti i diritti umani. Questo tipo di azioni, soprattutto l’insistenza e la richiesta da parte del Centro verso la Sedena, sono state uno degli elementi aventi un certo peso che fanno sì che si senta attaccata, visto che le stiamo toccando degli interessi che, fino ad oggi, erano intoccabili.

Potreste parlarci del tema delle espulsioni? Sembra ci siano stati casi in cui l’espulsione è stata dichiarata luogo a non procedere…

Rafael Alvarez: C’è stata una svolta drammatica nella politica estera del Messico: il Messico era considerato come un paese di rifugio e di asilo politico, che promuoveva l’autodeterminazione dei popoli, il non intervento. Dal periodo degli esiliati della guerra civile spagnola, sono poi arrivati i rifugiati cileni, argentini, centroamericani…Ma negli ultimi anni, dopo l’inizio del conflitto in Chiapas, esiste un doppio standard per gli stranieri in Messico: quelli che vengono come finanzieri, investitori, speculatori di banca, sono i benvenuti, mentre quelli che vengono come giornalisti, missionari, osservatori dei diritti umani o membri di organismi umanitari, sono visti come sospetti e trattati come delinquenti. C’è stato un cambiamento nella legislazione e una svolta in questa politica, per criminalizzare stranieri legati a gruppi della società civile e per impedire il loro lavoro. Adesso hanno inventato una nuova formula migratoria per gli osservatori dei diritti umani: l’FM3. Il loro obiettivo politico era ostacolare il lavoro dei difensori dei diritti umani. Ci siamo occupati del caso di 12 compagni arrestati il 12 aprile dell’anno scorso ed espulsi quasi immediatamente, in cui c’era stato un ordine di sospensione provvisoria dell’espulsione da parte di una giudice, ma la polizia migratoria, disobbedendo a quest’ordine giudiziario, ha eseguito l’espulsione, con l’avallo delle ambasciate dei rispettivi paesi. Qui possiamo dimostrare l’illegalità con cui procedono. Inoltre c’è anche il caso di Tom Hansen

Digna Ochoa: Durante questo processo, una delle prove che noi abbiamo presentato davanti al tribunale è relativa a questa illegalità su cui si basa, per l’espulsione, l’autorità migratoria. Il punto chiave è che a una circolare è data maggiore importanza che alla Costituzione. Dichiariamo quest’atto come incostituzionale. In primo luogo, stanno violando l’amparo concesso da una giudice; secondo, perché non è possibile anteporre una circolare ad un articolo della Costituzione. Ci hanno poi concesso un’ispezione negli uffici del ministero degli interni. È inaudito: quando ci siamo presentati non ci hanno lasciato entrare. Si sono poi giustificati dicendo che non ci eravamo presentati: il fatto è che non ci avevano detto il luogo esatto dove avremmo dovuto andare e stavamo aspettando in un’altra sala. Alla fine il magistrato che si occupava della causa ci ha rifiutato l’amparo. Il caso di Tom Hansen è stato trattato da un’amica avvocato, Barbara Zamora: lei vince l’amparo ma il ministero degli interni detta un nuovo ordine di espulsione. I magistrati non reagiscono e accettano questo nuovo ordine di espulsione. Questo processo è durato più di un anno. Il ministero degli interni vuole che la gente si stanchi e abbandoni, proponendo di riprendere di nuovo questo processo che si è già protratto per oltre un anno. Tra un anno e mezzo otterremo la stessa decisione, poi, potranno dettare un nuovo ordine di cattura. Qui, possiamo vedere come il potere esecutivo prevarica una risoluzione giudiziaria e questo non dovrebbe essere permesso. La difesa presenterà un ricorso giuridico. Purtroppo non esiste una vera indipendenza dei poteri, c’è una sudditanza del potere giudiziario rispetto a quello esecutivo.

Sapreste dirci la quantità di militari presenti in Chiapas?

Rafael Alvarez: In Messico esistono tre temi che non si possono toccare: il presidente, l’esercito e la vergine di Guadalupe. Anche dei deputati e dei senatori hanno chiesto all’Esercito Messicano quanti militari mantiene in Chiapas, ma questo non ha voluto dirlo. Questa situazione è molto grave perché ci parla di una subordinazione del potere legislativo al potere esecutivo. Non si sa con esattezza, però noi calcoliamo che i militari siano almeno 60.000. Sono in movimento permanente. Alcuni di quelli operativi in Chiapas hanno studiato alla "School of Americas", negli USA e, di questi, alcuni, dopo un periodo in Chiapas, si sono trasferiti nel Guerrero e in Oaxaca. Esistono anche militari bilingue che conoscono la regione e l’idioma dei suoi abitanti. Nell’esercito parlano di guerra di movimento o guerra di posizioni. Ci preoccupa enormemente che la cooperazione con l’esercito degli USA sia in rapido aumento, saltando il passaggio dei rispettivi Congressi. Da parecchi anni siamo a conoscenza dell’iniziativa degli USA di creare un’unica forza armata per tutta la regione e anche del fatto che questa cooperazione nella lotta contro le droghe e nella lotta controinsurrezionale stia aumentando in quanto all’equipaggiamento, armamento, addestramento e lavoro ideologico. Nella storia del Messico e dell’America Latina l’esercito degli USA è sempre stato la principale minaccia verso la sovranità nazionale. Questo cambiamento di ruoli ci preoccupa molto.

Per quanto riguarda i desplazados, pochi giorni prima della strage di Acteal avvenuta il 22 dicembre, nei giorni che vanno dall’8 al 15 dicembre, da parte della rete è stato chiesto un incontro con il governatore del Chiapas e con il procuratore: entrambi negarono l’esistenza dei gruppi paramilitari. Il procuratore disse che essi esistevano ma in qualità di clandestini e che non si sapeva dove fossero, mentre il governatore disse che non esistevano per niente. Noi li mettemmo in guardia sul fatto che ciò poteva essere pericoloso poiché questi erano in grado di scatenare una violenza considerevole...

L’esistenza dei gruppi paramilitari è stato un tema molto polemico, il governo ha riconosciuto l’esistenza di gruppi civili armati, ma ha detto che essi sono di diverse tendenze, sia del partito ufficiale, sia dell’opposizione. Il governo vuole giustificare la violenza come un conflitto intercomunitario. Dopo la strage di Acteal e l’occupazione militare di molte comunità, ci sono state migliaia di desplazados: solo a Polhó ne abbiamo contati circa 8000, i quali, sempre secondo il governo, "hanno lasciato volontariamente le loro comunità". Questo ha provocato un problema di miseria, fame, malattia e morte per migliaia di indigeni in Chiapas. Alcuni membri di organismi civili come Pietro Amelio di SERPAJ, parlano di una guerra di sterminio etnico e ciò a causa delle condizioni in cui avvengono gli sfollamenti.. Alcuni di questi sfollamenti hanno un orientamento provvisorio, altri più definitivo. Parlando con Lourdes Toussaint della Caritas di San Cristóbal, lei esprimeva la sua preoccupazione sul fatto che avevano rifornimento alimentare solo per un periodo, ma poi? La presenza dell’esercito e dei gruppi paramilitari ha alterato i cicli della coltivazione, ha spazzato via le colture di caffè che impiegano diversi anni per produrre il frutto, facendo sì che migliaia di persone siano rimaste senza lavoro, senza cibo; senza contare poi il fatto che spesso gli aiuti assistenziali del governo sono utilizzati per creare divisione tra le comunità. L’esercito è la principale istituzione che porta alimenti in queste regioni. Le comunità si dividono perché molta gente rifiuta l’aiuto dell’esercito mentre altri lo accettano poiché si tratta dell’unico modo per ricevere alimenti. Si cerca quindi di dare all’esercito un’immagine come se fosse quello che porta il benessere alle comunità.

Digna Ochoa: Riguardo ai posti di blocco, quando è interesse dell’esercito che non si vedano, spariscono immediatamente. D’altra parte deve essere detto tutto il danno che ha causato: le espulsioni, il furto dei pochi beni della gente… Ci sono comunità che sono state completamente spazzate via, che sono scomparse. L’esercito distrugge le misere abitazioni e poi installa i suoi accampamenti. Se uno vi arriva, non riesce ad immaginare che lì prima esisteva una comunità. Inoltre è molto difficile mantenere un registro di quante persone vi abitavano, tenendo presente anche il fatto che le donne hanno molti figli. Come se non bastasse, un altro modo per creare divisioni è di aiutare le persone chiaramente identificate come membri del partito ufficiale o come simpatizzanti. L’esercito arriva quindi portando lamiere, acqua e cibo, ma ad alcuni ne danno in maggior quantità che ad altri, creando così conflitti. Pertanto il governo può dire che si tratta di problemi interni. Così è stato nel caso di Acteal, dove ha detto che si trattava di problemi interni; sta cercando di provocare questo presunto conflitto organizzando i gruppi paramilitari. Nel caso dei desplazados, si ritiene che questa sia una situazione che fa abbandonare la speranza alla gente, è difficile per loro accedere alla giustizia, molte denunce non vengono accolte, oppure ad avere libertà di transito. Le comunità sono abbandonate a se stesse, l’unica cosa che possono fare gli abitanti per salvare la loro vita è fuggire in montagna, per questo è molto difficile ottenere testimonianze da parte di questi desplazados. Esistono molte comunità, soprattutto le piccole comunità, che semplicemente scompaiono e non riusciamo più a seguirne le tracce.

Potreste parlarci del ruolo della Croce Rossa Messicana? Quanti elementi ha l’esercito messicano in totale? Che ruolo ha l’esercito nella costruzione delle strade? Cosa sta succedendo ad Amador Hernández?

Rafael Alvarez: La Croce Rossa Messicana ha svolto una funzione molto subordinata agli interessi politici del governo. La neutralità che la Croce Rossa dovrebbe mantenere è stata invece manipolata molto per questioni d’immagine. Per esempio, la Croce Rossa Internazionale, che secondo noi è più affidabile, ha avuto molte più difficoltà ad operare nella regione. È stata fatta oggetto di notevoli pressioni per il suo allontanamento e solo negli ultimi mesi è potuta ritornare sul posto. Pensiamo che la presenza della Croce Rossa Internazionale sia molto importante, mentre abbiamo molti dubbi riguardo all’imparzialità della Croce Rossa Messicana; ci sono stati troppi scandali, malversazioni di fondi frutto della raccolta di offerte pubbliche, ma anche sulla presunta imparzialità del suo lavoro poiché quanto la Croce Rossa ottiene come aiuto umanitario, lo distribuisce attraverso l’esercito e questo non è più imparzialità, soprattutto in una situazione di guerra. La gente del governo vi dirà che in Chiapas sono stati investiti molti soldi in spese sociali e infrastrutture. Ciò è vero, ma l’infrastruttura creata in Chiapas, soprattutto le strade, rientra in una strategia militare, di occupazione, per far sì che in due ore al massimo si possa raggiungere qualsiasi comunità indigena e, in questo modo, avere il controllo di queste comunità. Il caso di Amador è molto grave, poiché quanto stanno cercando di fare tramite questa strada era avvicinarsi alla retroguardia strategica dell’EZLN, e fare, come dice Clinton, un’operazione chirurgica. Quando si mantiene in stato d’assedio una regione, si può dire che sono morti in 15 quando forse ne sono morti 5.000, e nessuno lo può venire a sapere. Sì, il piano di opere pubbliche ha una finalità politico-militare: quella di poter trasportare elicotteri, carri armati e armamenti nel più breve tempo possibile. È per questo che si creano infrastrutture. Oltre a ciò, si dividono le comunità attraverso strade, creando conflitti. Inoltre, per quanto riguarda le elezioni dell’anno entrante, esiste il progetto della rimunicipalizzazione, che non è altro che la creazione di nuovi municipi per concentrare tutti quelli delle regioni in cui la maggioranza è a favore del partito ufficiale contro quelli che appartengono all’opposizione, suscitando così scontri tra loro. Si è avuta inoltre un’ingente spesa pubblica, al punto di consegnare fondi della Banca Mondiale ai gruppi paramilitari grazie alla copertura di Ong di sviluppo. Questi proventi sono serviti ai gruppi paramilitari per l’acquisto di armi. Se parliamo di un grande investimento in infrastrutture - il che è vero, come è vero il fatto che non rappresenta assolutamente la volontà delle comunità- ciò è stato stabilito senza consultare le comunità, bensì si è trattata di una decisione arbitraria, unilaterale, che in molti casi è stata imposta nonostante il rifiuto delle comunità. Il caso di Amador è molto chiaro: era l’esercito che proteggeva la compagnia di costruzioni. Gli indigeni domandavano: "Perché voi siete qui?", e l’esercito rispondeva: "Perché lo ha chiesto la compagnia di costruzioni". Però, da quando l’esercito obbedisce ad una compagnia privata? È evidente la complicità tra la ditta di costruzioni, l’esercito e il governo Federale all’interno di questo piano di controinsurrezione.

Riguardo alla vostra domanda sul numero dei soldati in Chiapas, non abbiamo attualmente dei dati esatti, ma si calcola che due terzi dell’Esercito Messicano si trovino in Chiapas.

Digna Ochoa: Abbiamo seguito con attenzione la vicenda degli osservatori stranieri e, nel caso li citassero, li abbiamo consigliati su quanto dovevano fare, perché, man mano, si stanno creando dei precedenti, stiamo accumulando elementi per poter poi intervenire giuridicamente. Stiamo raccomandando l’interposizione dell’amparo nel caso vengano citati, perché a volte viene chiesto loro di abbandonare subito il paese.

Tutto quanto pubblicherete nel dossier, tutte le denunce, rappresenta un grande aiuto per la situazione della difesa delle comunità. Al governo messicano non importa cosa dicono i messicani all’interno del loro territorio, ciò che gli fa più male è quanto si dice fuori delle nostre frontiere; il fatto di poter produrre documentazione e una diffusione della situazione reale può aiutare molto, può cercare di dare delle soluzioni alla problematica che stiamo vivendo. D’altro canto, se voi potete arrivare fino ai vostri rispettivi governi, per informarli di quanto avete visto qui, ciò è molto importante.

Non avete parlato di prigionieri politici, ce ne sono?

Digna Ochoa: Sì, soprattutto negli ultimi tempi, il numero dei prigionieri è aumentato. Da un po’ di tempo a questa parte, è stata riscontrata la fabbricazione di reati e di colpevoli. Nel momento in cui un gruppo comincia a consolidarsi ed emerge un leader, l’azione del governo è di trovare un reato per questo leader, ad esempio narcotraffico oppure porto d’arma illegale o ribellione. In seguito, il primo meccanismo che viene applicato è la tortura, per obbligare la persona a firmare dichiarazioni d’autoaccusa, o che accusano qualcun altro. Sulla base di queste prime dichiarazioni si cerca di impostare un processo del tutto irregolare, emettendo, a volte, sentenze assai gravi. Cercano poi di rinchiudere questo genere di reclusi in carceri di massima sicurezza, di difficilissimo accesso. Viene così violato il diritto alla difesa, al giusto processo, ma vengono violati ancora di più i diritti della persona, sia per quanto riguarda i difensori che i famigliari. Per entrare in alcune carceri federali, chiedono che l’avvocato, uomo o donna che sia, si spogli nudo, soprattutto se questi sono membri di organizzazioni dei diritti umani. In questo modo si cerca di ostacolare il lavoro di difesa, soprattutto volendo implicare l’avvocato nelle cause, il che è totalmente illegale. Sono pochi gli avvocati che si interessano a questo genere di difesa, poiché è grande il rischio politico, quello riguardante la loro integrità e la loro vita privata. Se da un lato la vita degli avvocati che conducono la difesa dei prigionieri politici è difficile, dall’altro, la vita che conducono i prigionieri politici viene molto repressa, sia per loro sia per i famigliari. Esiste come una presa di distanza da parte di tutti nei loro confronti. Questo tipo di prigionieri è in aumento, indipendentemente dal fatto che il governo non li riconosce come tali, legandoli in modo semplicistico a gruppi guerriglieri. Cerca di screditare il lavoro di difesa o di leadership che porta avanti una determinata organizzazione. Ora ci stiamo occupando del caso di un leader campesino del Guerrero il cui gruppo si era organizzato contro un disboscamento incontrollato, circa quattro anni fa e facente parte di un’associazione ecologista. Su questo luogo confluivano gli interessi di alcuni caciques, del governatore, di diverse autorità, di un’impresa americana di traffico di legname che danno il via ad una tagliatura esagerata dei boschi che comincia a danneggiare direttamente le comunità: alcuni torrenti si prosciugano, le donne protestano perché sono costrette a lavare i panni sempre più lontano, i leader incominciano a denunciare e a creare coscienza tra la gente… A questo punto, il governo comincia a nascondere armi e a seminare droga sui loro terreni, poi li accusa di appartenere all’Ejercito Popular Revolucionario, mette nelle loro case propaganda di partiti politici d’opposizione e alla fine, li incarcera. Ma, dato che si tratta di prigionieri politici, il potere giudiziario inizia ad ostacolare il lavoro della difesa. Prima presentiamo quelle prove che pensiamo siano procedenti e che si fondano sui codici, però il giudice ci rifiuta tutto questo. Nella prima citazione di comparizione di militari che siamo riusciti ad ottenere, poiché sono stati i militari ad effettuare l’arresto di queste persone facendo irruzione nelle loro case, torturandole, mantenendole in isolamento, segregandole in un Campo militare per sette giorni, abbiamo chiesto di interrogare questi militari. Durante l’interrogatorio siamo riusciti ad ottenere che venisse evidenziata la partecipazione dei militari nelle detenzioni illegali, nelle perquisizioni illegali, nella detenzione prolungata, nelle torture, ma soprattutto il fatto che erano stati i militari ad obbligarle a firmare, a porre come avvocati difensori delle persone di fiducia dei militari e non dei detenuti, e tutto ciò si evidenzia nella prima udienza, poi abbiamo presentato ulteriori prove del loro tentativo di rendere legali le loro azioni violatorie. Quando abbiamo chiesto che queste persone comparissero, l’azione del giudice è stata di gettare via tutto quanto senza alcun fondamento giuridico. Ciò dimostra come tentino di ostacolare la difesa diretta di un leader e di un prigioniero politico. In questo caso esiste un forte interesse delle associazioni ecologiste che per fortuna denunciano tutte queste irregolarità. Questo tipo di prigionieri è limitato in tutti gli aspetti: gli vengono costruiti i reati, viene minacciata la gente che si presenta a testimoniare in loro favore e che inoltre ha paura ad intraprendere il viaggio fino al processo (il primo luogo dove possono prendere un autobus dista 12 ore dalla comunità) poiché temono per la propria vita e quella dei famigliari.

Digna, potresti raccontarci cosa ti è successo? Chi ti ha aggredito?

Digna Ochoa: Mi piacerebbe proprio sapere chi mi ha aggredito, però, per il genere di persone, noi sosteniamo che dovevano appartenere o alla "inteligencia militar", o alla polizia federale preventiva, oppure alla PGR o al CISEN; probabilmente ad uno di questi gruppi perché in primo luogo hanno l’infrastruttura, sono dei professionisti e poi, c’è anche una gradualità nelle aggressioni. Il 9 agosto sono stata assalita e sequestrata per quattro ore. Ho voluto interpretarlo come un delitto comune, poiché allora non avevo elementi per identificare quelle persone ma, dal 13 agosto, hanno cominciato ad arrivare delle lettere minatorie, di cui una era diretta contro il direttore del Centro ed un’altra contro di me, in cui mi veniva restituita una cartolina che mi era stata rubata il 9 agosto. La cartolina in questione portava il segno di una croce, come quella degli annunci mortuari. Il collegamento era evidente e lo abbiamo denunciato come tale. Il 9 settembre arrivano altre minacce, questa volta con delle buste portate a mano all’interno delle nostre strutture poiché le abbiamo trovate sotto dei vasi: questo significa che le persone che ci minacciano hanno accesso alle nostre installazioni. Il 14 settembre arrivano altre minacce che vengono depositate nel cassetto della segretaria. Iniziano a tagliarci la corrente elettrica, il telefono smette di funzionare, cominciamo ad avere problemi con i computer, con la posta elettronica, e arrivano anche delle telefonate minatorie a casa di diversi compagni, ma noi proseguiamo il nostro lavoro. In seguito arrivano altre minacce: il 15 settembre, mentre mi trovavo in casa, trovo la mia tessera elettorale compilata con il mio vecchio domicilio; il 9 ottobre arriva una minaccia di bomba all’interno dell’area giuridica del Centro; il 14 ottobre vengono trovati giustiziati due dei poliziotti incaricati della protezione del Centro. Stranamente, le minacce ci sono pervenute in coincidenza dei nostri viaggi nel Guerrero.

Il 28 ottobre, nell’arrivare a casa mia, erano circa le otto e mezza di sera, ho avvertito la sensazione che c’era qualcosa di strano, ho ispezionato la casa ma non ho visto niente, poi, verso le dieci di sera, un tipo mi tappa la bocca con qualcosa, perdo i sensi immediatamente, mentre lui, rapido, ha la meglio su di me. Quando mi risveglio, mi trovo nella mia casa, legata e con gli occhi bendati. Mi tengono così per 9 ore, interrogandomi, domandandomi dove lavoro, cosa fa il Centro, quante aree ci sono, quanti membri ci sono per area e di cosa si occupa ogni persona, con chi vive, se ha figli, se ha armi, dove le tiene, dove abbiamo imparato ad usare armi. Poi, mi leggono una lista di nomi per vedere se li conosco, mi chiedono quali sono i contatti con l’EZLN, con l’EPR o quelli con l’ERPI. Mi mostrano anche delle fotografie di campesinos affinché io li identifichi, ma non ne conoscevo nessuno. Finalmente, circa alle 7.30 del mattino, mi cambiano di stanza, mi portano in camera, mi legano bene mani e piedi. In casa mia ho tre bombole del gas da 20 kg e loro ne aprono i rubinetti. Mi chiudono dentro. Non credo volessero uccidermi perché sono riuscita a sciogliere i lacci alle mani: non erano ben stretti. Quindi chiudo la bombola, apro la porta e tento di chiamare al telefono. Il cavo del telefono di casa era tranciato, allora prendo il cellulare e avviso il Centro. Rapidamente qualcuno viene a casa mia. Poi, arrivano i poliziotti giudiziari e ispezionano tutto. Penso che possa essersi trattato dei servizi segreti militari, per varie ragioni: una di queste è che negli ultimi tempi abbiamo lavorato, insistendo sugli accertamenti in modo che venga provata la loro responsabilità nei fatti che hanno commesso. Presumo che possa essere venuto da lì. Purtroppo, non abbiamo alcuna prova, un chiaro indizio per poterlo segnalare apertamente e questo ci limita moltissimo. Noi diciamo che è l’autorità che dovrebbe aprire le indagini, noi non abbiamo la capacità per condurre un’indagine. Anche se diverse autorità, come la PGR, hanno detto: "Non sono stati i nostri", quando noi sappiamo che non hanno un reale controllo su tutta la loro gente, quando vediamo che sono coinvolti in molti fatti delittuosi, di delitti comuni, e soprattutto in casi di delinquenza organizzata in cui partecipano vari corpi di polizia. Anche la Segob ha detto: "Non sono stati i nostri". Nessuno riconoscerà che è stata la sua gente, sarebbe troppo ingenuo pensare che, ad esempio, la Segob dica che è stata la "Policia Federal Preventiva", in altre parole, se anche lo venissero a sapere, non lo riconoscerebbero, perché ciò comporterebbe l’esporsi in modo evidente, soprattutto quando stanno ricevendo una forte pressione che chiede il chiarimento dei fatti. Speriamo davvero che un giorno tutto ciò venga chiarito, soprattutto perché venga accertata la responsabilità degli autori di questi fatti.

Siete a conoscenza di altri fatti simili perpetrati contro difensori dei diritti umani?

Digna Ochoa: Ci sono stati diversi casi e sono state usate diverse tecniche. Il 28 ottobre è stato devastato il Centro; al mattino seguente, il 29, quando i miei compagni arrivano al Centro, trovano le porte spalancate e tutte le scrivanie dell’area giuridica ribaltate. Quella stessa notte del 28 ottobre, veniva devastata la mia casa, venivo interrogata e veniva devastato il Centro. Hanno lasciato un chiaro messaggio su una delle scrivanie che diceva: "Potere suicida", che è una frase contenuta in una delle minacce ricevute. Diversi compagni che lavorano in altre associazioni dei diritti umani, ad esempio dello stato di Guerrero, sono stati minacciati, è come se le minacce obbedissero a un copione, o per telefono, o per iscritto, o in modo diretto oppure attraverso persone sconosciute, o la detenzione ingiustificata, nel tentativo di generare un’intimidazione, da parte dei militari. Abbiamo diversi casi: c’è quello di Platchinola, nello stato di Guerrero, o quello dei compagni di Tepeyac, in Oaxaca, oppure il caso di Consuelo, a Monterrey, compagni che per aver denunciato fatti concreti iniziano a ricevere minacce. Diciamo pure che il fatto delle minacce al Centro non è un fatto isolato, ma si aggiunge a questa campagna di discredito, di minacce, di intimidazioni da parte dello stesso governo, soprattutto nei confronti di gruppi che cercano di dare una risposta ai gravi fatti di violazione dei diritti umani. Ci preoccupa il fatto che questo vada aumentando sempre più.

Ad esempio, le cittadine messicane che vivono in Svizzera potrebbero avere problemi a ritornare se queste manifestassero la loro opinione su questi fatti?

Digna Ochoa: Normalmente non dovrebbero avere problemi. Non ci dovrebbero esserci problemi per il loro ritorno nel paese, dato che sono cittadine messicane. Tutto questo lavoro di diffusione, di denuncia, sia qui sia all’estero, ha avuto molto peso ed è per noi servito anche da copertura.

Cosa ne pensate dell’accordo con l’Unione Europea e della "clausola democratica"?

Rafael Alvarez: Il governo del Messico è molto sensibile alla sua immagine pubblica, e la sua priorità sono gli accordi commerciali. Noi abbiamo molte difficoltà a stabilire con esso un dialogo, stendiamo rapporti sulla situazione dei diritti umani ma non otteniamo risposta. Ma quando questi vengono presentati attraverso gli organismi governativi di altri paesi, ottengono risposta immediata, in modo distorto o con errori, ma ottengono sempre risposta e in breve tempo. Perciò noi diciamo che il presidente Zedillo capisce di più quando gli si parla in inglese che quando gli si parla in spagnolo. Guardando l’aspetto positivo della globalizzazione, grazie alla globalizzazione della giustizia e dei diritti umani, possiamo trovare colleghi in altri paesi, a livello di gruppi dei diritti umani o di organizzazioni sociali: è in atto un avvicinamento. In questo senso, il tema del Chiapas è nell’agenda ufficiale di molti governi. Per noi ciò rappresenta la possibilità di transizione a un regime democratico attraverso la via pacifica, questo è ciò che è in gioco: o uno scenario di violenza, o una transizione pacifica verso un regime democratico.

 

 

 

 

 

6. Frente Zapatista de Liberación Nacional (FZLN)

Città del Messico, 17 novembre

Nella giornata di oggi una delegazione della CCIODH si è incontrata con un gruppo di attivisti del FZLN; quanto segue è la trascrizione dell’intervista.

Membro della CCN del FZLN: Siamo membri del sindacato dei Comités Civiles del FZLN, e vi diamo il nostro più cordiale benvenuto a quest’incontro e, soprattutto, quello che più c’interessa, è di potervi essere d’aiuto nel vostro operato, che è importantissimo e che voi siete venuti a svolgere in questo paese. In primo luogo, cercherò, a grandi linee, di darvi un panorama della situazione, ponendo l’accento sui casi specifici che riguardano il FZLN, senza tralasciare però la totalità della nostra Repubblica in cui, come sapete, abbiamo al governo un partito che tra tutti i partiti politici del mondo è da più tempo al potere. Paradossalmente, è stato più facile vincere la dittatura di Franco, ma qui ci troviamo da più di settant’anni con questo partito. Questo partito che governa, il PRI, ha una caratteristica: fondamentalmente all’interno del suo discorso usa molto la demagogia, soprattutto usa una demagogia all’estero. Addirittura, durante molti anni – suppongo che ora stia diminuendo soprattutto a causa dell’insurrezione zapatista – il governo di questo paese aveva un’immagine esageratamente liberale e, in alcuni settori, per lo più nei paesi dell’Est o a Cuba, era considerato come un governo rivoluzionario in un processo di rivoluzione. Ora, negli ultimi anni, quest’immagine a livello internazionale si è andata trasformando. Il governo messicano si è dedicato a reprimere ogni tipo di mobilitazione, ogni tipo di lotta sociale che non è d’accordo con gli interessi di questo governo, che in pratica è sempre stato legato agli interessi del gran capitale, del Nord America, in concreto, degli Stati Uniti. Nel nostro paese, la storia della repressione verso il movimento operaio, il movimento sociale e il movimento campesino, negli ultimi settant’anni, è stata costante e ricca d’avvenimenti. Siamo arrivati ad avere qui prigionieri politici, operai ferrotranvieri, con più di dieci anni trascorsi in carcere, alcuni di loro molto popolari. Uno di questi, Valentín Campa Salazar, che fortunatamente vive ancora, vi ha passato molti anni della sua vita, l’ultima sua incarcerazione è durata più di dieci anni per ragioni di carattere politico. Questa situazione non è cambiata, le forme di repressione del governo, per certi versi, sono diventate più sottili ma, in generale, la repressione continua ad essere la costante in tutte quelle attività di carattere politico che mettono in pericolo il controllo di questo governo sui diversi settori della popolazione. È in questo contesto che fa la sua comparsa lo zapatismo nel 1994, l’EZLN, e con lui una nuova concezione della lotta, una nuova concezione della politica. Si aprono nuovi orizzonti per molti dei messicani che fino allora avevano percepito come molto confuso il clima politico del paese. In questo senso, all’interno dell’EZLN si decide di promuovere la costituzione, insieme con altri settori della popolazione, la cosiddetta "società civile", la nascita del "Frente Zapatista de Liberación Nacional". Il "Frente" – e il compagno segretario generale della CGT spagnola qui presente ha assistito al Congresso di fondazione nel 1997 - sorge con molte aspettative, con tante nuove caratteristiche di una nuova politica, una nuova forma di fare politica. Questo, però, non è restato al margine dell’azione repressiva del governo. Nel sessennio corrente, l’attuale governo ha represso diverse organizzazioni sociali. Ovviamente, l’organizzazione sociopolitica che è stata più repressa è quella delle basi d’appoggio dell’EZLN, e dei prigionieri di Cerro Hueco con cui v’incontrerete domani. La maggior parte di questi prigionieri si trova a Tuxtla Gutiérrez, ma ve ne sono diversi a Yajalón, Ocosingo, e a San Cristóbal de Las Casas. Come vi dicevo, la maggioranza dei detenuti politici è nel carcere di Cerro Hueco, ed è la sede, per così dire, della "Voz de Cerro Hueco".

Il FZLN, di fatto, è una nuova organizzazione poiché funziona da poco più di due anni, con molti sbagli, molti successi e alti e bassi, però stiamo continuando a funzionare. I nostri diritti umani sono stati calpestati in ripetute occasioni e, cercherò di citarne alcune tra le più importanti. Il primo caso di flagrante violazione dei diritti umani si è avuto con l’arresto dei nostri compagni nella città di Querétaro. Il 5 febbraio 1998 - tutti i cinque di febbraio, nel nostro paese, si commemora la firma della Costituzione - l’apparato priista organizza una gran cerimonia per commemorare quest’evento. A volte lo fanno qui a Città del Messico, però spesso si spostano nella città di Querétaro, che dista circa 200 chilometri da qui ed è dove, nel 1917, è stata firmata la Costituzione. Dunque, quest’apparato del PRI fa tutta una cerimonia cui partecipano tutti gli alti gerarchi del PRI e del governo, e la fanno a loro uso e consumo. Il 5 febbraio del 1998, durante una manifestazione di protesta, l’autobus sul quale viaggiavano i membri del gabinetto di Zedillo, fu intercettato, il cofano fu aperto e i cavi del motore, tagliati. Questo fece sì che le persone, di così alta investitura, furono costrette a scendere dall’autobus e a salire su un altro. Questo fu tutto, questo fu "l’oltraggio tremendo" che è stato loro fatto. L’azione successiva venne dai picchiatori del PRI. Qui il comune denominatore è che il PRI e le organizzazioni priiiste hanno i loro "corpi d’assalto", che noi chiamiamo paramilitari. Questi gruppi sono molto comuni e affini in tutti i settori di potere, non solo del PRI, ma, e ora ci arriviamo, di tutti quei partiti che hanno vinto i governatorati. Nel caso di Querétaro, governa un partito di destra, il "Partido de Acción Nacional" (PAN). Riprendiamo il discorso relativo al 5 febbraio 1998: questi picchiatori e provocatori, sono quindi lanciati all’attacco dei compagni che stavano manifestando contro la presenza di questi governanti qui a Querétaro ed esigendo l’attuazione degli Accordi di San Andrés. Erano compagni dell’FZLN, che in quella città fanno parte di un’organizzazione sociale più ampia che si chiama FIOZ (Frente Independiente de Organizaciones Zapatistas). Mandano quindi, contro di loro, i picchiatori o paramilitari e si genera lì un piccolo scontro, si danno due o tre botte, tutto qui. In pratica il nodo centrale è che i ministri hanno dovuto scomodarsi e scendere da un autobus, cui erano stati strappati i cavi, camminare per tre metri e salire su di un altro. Il problema consistette solo in questo. Poi arrivarono le botte con il gruppo paramilitare e in seguito l’aggressione poliziesca: il risultato di tutto questo fu che furono emessi ordini di cattura nei confronti dei compagni militanti dell’FZLN a Querétaro. I compagni sono stati arrestati e incarcerati dall’8 febbraio dell’anno scorso. Da allora, tre di questi non sono stati ancora rilasciati. Ma non solo, sono state loro aumentate le imputazioni, e la sentenza emessa recentemente nei loro confronti è di 16-17 anni di carcere. Questo perché hanno loro accumulato dei procedimenti passati, per esempio del 1996, mentre la questione dell’autobus risale al ’98. Nel 1996 pitturarono una sbarra con scritte in favore dello zapatismo e questa azione della sbarra la stanno imputando loro come attentato alle vie di comunicazione, ecc. Nel 1995 parteciparono all’occupazione di un terreno, in seguito se ne andarono; quello stesso terreno era stato invaso anche da priisti, però ora sono questi compagni ad essere accusati di esproprio e d’invasione di proprietà, quando, in realtà, vi sono rimasti i priisti ad occuparlo mentre i compagni si erano già ritirati da quel fronte. Le autorità paniste si sono rifiutate, in modo categorico, di risolvere il problema Le imputazioni federali riguardo al fatto dell’autobus, di cui vi ho parlato prima, sono già state ritirate. In pratica le imputazioni che sono rimaste sono a livello statale, cioè, è il governo del PAN, il governo della destra, quello che sta rifiutando qualsiasi trattativa con le organizzazioni sociali. I signori governanti, che hanno colpito direttamente i diritti umani dei compagni imprigionati, hanno espresso pubblicamente che non tratteranno con le organizzazioni, che tratteranno solo con i cittadini, con gli individui. Fintanto che continueranno a vederli come organizzazione sociale, lo Stato non risolverà un bel niente, però se Juan Pérez o Juan López ci vanno come individui, allora sì lo risolveranno. Ciò è molto grave, perché stanno attaccando direttamente il tessuto sociale che da tantissimo tempo esiste nelle comunità di qui, di questo paese.

Un altro fatto che riguarda in modo diretto il nostro "Frente" e che è ancora più grave, è quanto è successo il 2 ottobre scorso a Tijuana. Prima però, compagni, vorrei dirvi che i tre compagni che sono imprigionati a Querétaro non sono lasciati assieme, li tengono in celle o dormitori diversi e, come se non bastasse, li tengono in un settore per prigionieri pericolosi: narcotrafficanti, assassini, ecc., e con l’ordine che questi ultimi li trattino male, li maltrattino. Questo, quindi, è ancora più grave per i diritti umani dei nostri compagni a Querétaro.

Riguardo al caso del compagno Cosme, Cosme Damián Sastre Sánchez…

Compagna del FZLN: Allora, il fatto è successo nella città di Tijuana, Baja California, il 2 ottobre. Un compagno, Cosme Damián Sastre Sánchez, di 25 anni, membro del "Frente Zapatista de Liberación Nacional", è stato arrestato sulla porta di casa, nel parcheggio, insieme ad altre due persone, perché stavano bevendo degli alcolici. Questo è un reato perché in Messico è vietato bere alcolici sulla pubblica via, però si tratta di una sanzione amministrativa. Lo arrestano per questo motivo, lo portano in carcere, lo imprigionano e lo assassinano all’interno dello stesso carcere. Non è ancora pronto il dettagliatissimo dossier sulla situazione reale di Cosme. Mi piacerebbe segnalare che sia li fatto di Querétaro, sia il caso di Tijuana, sono avvenuti in Stati governati dal PAN e questa è una caratteristica peculiare degli Stati panisti. Un paio di settimane fa, si è addirittura verificata un’aggressione contro una manifestazione di "El Barzón", un’organizzazione sociale: sono stati brutalmente picchiati nello Stato di Jalisco, che ha il governatorato panista. Per questo si può dire che la repressione verso tutti i gruppi d’opposizione sta diventando una caratteristica degli Stati panisti.

Membro della CCN del FZLN: Su questo vogliamo essere enfatici. I governi panisti si caratterizzano per l’utilizzo della brutalità poliziesca e, la brutalità poliziesca va dalle detenzioni e incarcerazioni, senza che queste siano meritate, all’assassinio: come nei casi di Cosme Damián, della repressione verso i membri del Barzón a Guadalajara, dove uno di questi ultimi versa in stato di coma per le gravi lesioni riportate al cervello, e quello di Monterrey, nel Nuevo León, dove, anche in quel caso, sono stati repressi i barzonistas. Qui ad Acatlán, che è un municipio del "Estado de México", esiste una scuola facente parte dell’università che ora è in sciopero; la giunta municipale, attraverso il suo presidente e segretario di governo, ha dato ordine di perseguitare costantemente gli studenti che custodiscono la scuola, l’ENEC di Acatlán. Allora, la caratteristica dei governi panisti, è la repressione e la brutalità poliziesca contro le organizzazioni sociali, qualsiasi sia la loro affiliazione politica, sentimento politico o la loro lotta sociale. Semplicemente, reprimono i movimenti sociali.

Compagna del FZLN: Bisogna rilevare che, a Tijuana, si sostiene che il compagno Cosme si è tolto la vita, strangolandosi con la sua stessa camicia. Inoltre, i cinque giovani che erano con lui in carcere assicurano che Cosme non era mai entrato nella cella in cui, dicono, si è ammazzato.

Membro della CCN del FZLN: Ora, riguardo all’UNAM, a causa dell’atteggiamento di chiusura del governo nel risolvere questa problematica, sono state pubblicate delle liste nere di compagni dell’UNAM, che sono sottoposti ad accertamenti e sono stati demandati al Tribunale Universitario. Il Tribunale Universitario è qualcosa di simile alla Santa Inquisizione, ma all’interno dell’UNAM. È qui presente un compagno del Frente - dovete sapere che esistono diversi compagni del FZLN in queste liste in cui compaiono non solo universitari ma anche extra-universitari – quello là in fondo, che compare in tutte le liste, lui non è uno studente né un universitario; tuttavia, è segnalato dalla polizia e noi crediamo che questo colpisca i diritti umani.

Compagno del FZLN: Salve a tutti, buon giorno. In primo luogo, la lista delle irregolarità è infinita. Poiché, da quando il conflitto è iniziato, il mucchio d’irregolarità è diventato una cosa quotidiana, delle quali si è addirittura persa la pacifica nozione. Perché oltre al movimento, per le sue stesse caratteristiche, non si crede più molto ai diritti umani e a questo tipo di cose, a causa del livello di cinismo raggiunto. Per questo, esistono delle difficoltà. Per cominciare, la questione stessa delle rette universitarie va contro un trattato internazionale sottoscritto dal Messico: il Patto Internazionale sui Diritti Civili, Diritti Sociali e Culturali dei Popoli. Questo patto internazionale, già ratificato e sui punti specifici non esistono riserve, stabilisce che l’educazione pubblica sarà gratuita e inoltre che l’istruzione superiore, ove non esista gratuità, dovrà essere gradualmente instaurata come gratuita, come un obbligo per gli Stati. In questo senso, all’aumento delle rette è contrario l’articolo 11, paragrafo tre, di questa Dichiarazione. Di conseguenza, tutto il processo susseguente è impressionante: ci sono state continue aggressioni e persecuzioni. Alcuni compagni, appartenenti ad un forum che comprende diverse organizzazioni politiche, sono stati spiati, individuati e addirittura fotografati all’uscita delle riunioni, e ciò dimostra che il controllo è continuo. Il grado di cinismo del precedente ministro degli interni, ora candidato alla presidenza per il PRI e che ha dichiarato che un gruppo dei servizi segreti aveva iniziato certi esperimenti, si è palesato quando ha affermato che esistevano, in pratica, delle spie qui all’interno dell’università. La sua affermazione non dà luogo a dubbi, e la repressione è stata intrapresa contro moltissimi giovani. Poi, durante tutto il processo di sviluppo dello sciopero, sono stati ristretti gradualmente tutti i diritti, addirittura quelli riguardanti le riunioni e le contromanifestazioni, essendo state proibite nelle scuole, in molte occasioni, le riunioni in tutti gli auditorium, impedendo, per molti giorni, la diffusione di propaganda, come nel caso della facoltà di Diritto. Non potevamo distribuire propaganda, realizzare iniziative e durante la Consulta zapatista, in molti fummo minacciati d’espulsione. Una volta che lo sciopero è scoppiato, immediatamente ci vendono e iniziano ad intraprendere una serie di processi contro di noi. Ad esempio, il caso di un direttore scolastico restato fuori a causa dello sciopero e che, il giorno dopo, presenta una denuncia presso la procura, accusandoci, per il fatto di aver occupato la facoltà, del reato d’esproprio; automaticamente invia la denuncia anche al Tribunale Universitario che esercita l’istanza che gli permette prima di emettere sanzioni e poi, di svolgere accertamenti. Questo è il caso di molti di noi; per esempio è successo a cinque compagni della facoltà di Medicina dove, inoltre, hanno espulso una compagna. Nelle nostre facoltà, applicano sanzioni ed espellono. Una volta che si è espulsi, quindi, ci si deve presentare davanti al Tribunale Universitario, affinché questo tribunale stabilisca se la "divina" volontà è di applicarti sanzioni o meno. In un processo del Tribunale, che non è neppure conforme a rispettare il minimo diritto, si apre un’istanza, lì dichiari ciò che ti sembra meglio, non puoi far altro…è un periodo assurdo. Poi il tribunale, senza alcun tipo d’elemento giuridico, emette o no la sanzione.

Membro della CCN del FZLN: Volevo soltanto farvi sapere che questo Tribunale stava per scomparire…Al momento funziona senza che ci sia l’accordo d’alcun congresso universitario, inoltre il Tribunale è stato dichiarato come scomparso e, paradossalmente, anche così, ha continuato a funzionare e continua a farlo anche oggi. Di fatto, soprattutto nel mese di novembre, più precisamente dal 23 ottobre, hanno iniziato a saltare fuori 386 nomi di scioperanti, che si trovano sotto avviso di garanzia da parte della PGR. La PGR, qui in Messico, è come il pubblico ministero, come la procura speciale che, inoltre, è incaricata con facoltà assolute: indaga, conduce i procedimenti, agisce anche come accusa nei procedimenti penali in Messico e ha il compito di controllare la polizia giudiziaria (Policía Judicial).Questa PGR ha già in mano 386 studenti che sono indagati, per diversi motivi. I nomi sono comparsi su due giornali: i quotidiani "El Día" ed "El Heraldo". Una parte della lista è stata pubblicata su "Excelsior" e un’altra parte su "Novedades". In seguito è apparsa un’altra lista di indagati dopo che quattro studenti sono stati espulsi dalla facoltà di Medicina e anche in questo caso, senza rispettare alcun diritto civile, gli viene notificata l’espulsione.

Compagno del FZLN: Questi studenti di Medicina espulsi, si possono qualificare come buoni od ottimi studenti, vale a dire, le loro qualificazioni sono buone, il loro comportamento nell’università è ottimo, non hanno quindi, diciamo, una cattiva condotta. Si può affermare che sono studenti con buona condotta e d’ottime qualificazioni.

Membro della CCN del FZLN: Seguiremo con attenzione tutta questa vicenda, perché sui nomi che abbiamo, sia di quelli indagati dalla PRG sia quelli compresi nella lista mostratavi, è applicata una politica che denominiamo "della falce"; cercano le teste e colpiscono anche chi, in qualche modo, s’interpone. Per questo colpiscono molti che loro considerano le teste, ma colpiscono anche gente dei quartieri popolari o chiunque in quel momento stava passando di lì. Non svolgono neppure degli accurati accertamenti e questo, anche se apparentemente non sembra, ha una dinamica che noi consideriamo in buona parte politica. Se colpiamo i leaders, se colpiamo la gente dei quartieri e così anche chi stava passando di là, facciamo un atto d’intimidazione; perché si sappia che chiunque, non solo per il fatto di essere un leader, non solo per essere un’attivista, ma per il semplice fatto di dare appoggio, è istantaneamente in una posizione a rischio. Per esempio, esiste nella lista un gruppo formato da nomi d’otto studenti della facoltà di Diritto, di questi, tre sono considerati i leaders, gli altri quattro sono studenti in generale - sono nomi molto interessanti - l’ultimo è un compagno che ha partecipato un giorno solo allo sciopero e poi non è più tornato, e altri due nomi di persone che semplicemente erano insieme a loro e che non avevano mai appoggiato lo sciopero, anzi, erano gente vicina al direttore. Le spaventano con la questione delle rette e si schierano con lo sciopero e quanto hanno fatto è considerato come un tradimento, per questo applicano loro sanzioni che vanno dall’ammonizione, sospensione, blocco od annullamento dei crediti – il numero di crediti che ha una carriera – all’espulsione, per questo semplice fatto. Questo è un panorama di cosa sta accadendo costantemente qui. Inoltre, alcune personalità, sia dell’ambiente giuridico sia specialiste in diritti politici, soprattutto del PRI e del PAN, direttori scolastici, oltre a quello della facoltà di Medicina e di altre scuole, hanno chiesto apertamente che gli studenti in sciopero dell’UNAM vengano sgomberati con la forza. Questi signori esigono che si applichi lo stato di diritto e che intervenga così l’esercito o qualche altro corpo di polizia. Anche questa è una cosa grave, oltre al fatto che sanno i nostri nomi, i nomi di chi ha partecipato allo sciopero e di chi lo sostiene, oltre a quelli dei membri dei movimenti sociali che lo hanno appoggiato.

Esiste, in concreto, un caso, che abbiamo perfettamente documentato, di un compagno che è stato sequestrato, si chiama Ricardo Martínez Martínez. Questi – al momento non ho qui con me la data esatta – circa a metà ottobre, mentre stava entrando nell’area dell’UNAM, è stato fatto salire a forza in un furgone ed è stato fatto sparire per due giorni. Quando è stato liberato, aveva i segni delle botte ricevute, non molto evidenti, ma presentava segni di violenza.

Abbiamo avuto problemi anche con il governo di Città del Messico. Il 4 agosto era stata realizzata una protesta davanti ad una scuola, all’esterno della città universitaria - dove è in atto il blocco delle lezioni -, che funziona con gli stessi regolamenti, legge organica e statuto generale dell’università, in cui le lezioni vengono tenute allo scopo di attaccare il movimento. Stavano quindi protestando contro queste lezioni, arriva la polizia e si posiziona in modo da stringere un cordone intorno alla scuola. Mandano i loro scagnozzi, i provocatori, a picchiare i compagni; questi ultimi, però, non rispondono alla provocazione e si limitano a spingerli via, ma con questo pretesto, l’avvocato generale dell’università, che è colui che si occupa di tutte le questioni giudiziarie, parla con il dirigente della Seguridad Pública e ordina lo sgombero degli studenti a suon di botte. Molti di loro vengono arrestati e obbligati a tenere le mani dietro la nuca e, man mano che vengono fatti salire sui cellulari, vengono picchiati. Le compagne vengono molestate e minacciate di stupro, viene detto loro che le violenteranno e che le picchieranno, mentre abusano di alcune di loro, assoggettandole e toccandole. I compagni vengono picchiati e minacciati. A questo punto li portano a Seguridad Pública, sette direttamente e gli altri 106 sono passati in ispezione da giudici civici. Esiste l’articolo 7 della "Ley de enjuiciamiento civil" che stabilisce che questo è proibito, cioè, che verranno soggetti a sanzioni coloro che sono responsabili di alterazione della proprietà pubblica, pali della luce e muri compresi. Il fatto che si attacchino manifesti e striscioni, per loro costituisce una sanzione e nove compagni sono stati arrestati per questo.

Compagno del FZLN: Un altro elemento ancora: abbiamo anche realizzato, come studenti, delle carovane di appoggio alle comunità chiapaneche, soprattutto a La Realidad e La Esperanza. In particolare, in una di queste, realizzata in settembre, siamo andati ad appoggiare le comunità indigene di Amador Hernández. In quei giorni, era successo un gran casino perché il governatore, che noi chiamiamo "il crocchette Albores" aveva da poco dichiarato: "Lasciate che i chiapanechi risolvano i loro stessi problemi". Proprio per questo, dal momento in cui siamo partiti da Città del Messico con la carovana, siamo stati seguiti da diversi veicoli, specialmente nel tratto di strada che va da La Ventosa, in Oaxaca, a San Cristóbal de Las Casas. Ci hanno seguito a volte una jeep, a volte un’automobile nera ed, infine, un’altra auto nera e l’hanno fatto con un cinismo tale che, quando siamo arrivati a San Cristóbal, ogni volta che ci accorgevamo di essere seguiti ci fermavamo e loro si fermavano giusto dietro di noi. In un’occasione, abbastanza arrabbiati, ci siamo fermati a Tuxtla Gutiérrez, stavamo per andare a chiedere loro cosa volessero quando l’auto si è data alla fuga, non aveva targa. In Messico, i veicoli senza targa sono della polizia. In questo caso, i veicoli ci hanno seguito fin là. In Chiapas il governatore ha dichiarato che non eravamo graditi, anzi, la giunta municipale e il sindaco di San Cristóbal de Las Casas hanno dichiarato che non eravamo graditi, come è successo ad un’altra compagna che si chiama Ofelia Medina, ed hanno iniziato a darci fastidio in molti modi. Tutti i giornali locali sono di tendenza ufficialista e su tutti loro era scritto che la gente si sarebbe rivoltata contro questi studenti, li avrebbe cacciati. Un quotidiano, addirittura in un editoriale, ha dichiarato, con queste precise parole: questi studentelli che avevano già provato il bastone che meritavano a Città del Messico, qui avrebbero saputo come accoglierli. Per tutto il tempo che siamo rimasti nella città di San Cristóbal de Las Casas siamo stati pedinati, c’era sempre dietro di noi qualcuno che ci seguiva. Il giorno precedente il nostro arrivo alcuni compagni, una medico e due osservatori stranieri, che avevano appena passato un villaggio priista che si chiama Lerén, sono stati picchiati. Hanno tentato di violentare la compagna. Per fortuna, non accadde il peggio, ma si è trattato di una chiara aggressione. Ad Amador, l’esercito mantiene sequestrata un’intera comunità, contro ogni principio di diritto, non hanno alcun motivo per restarvi, anche la costruzione della strada che apparentemente stavano proteggendo, è stata sospesa. Hanno invaso terreni comunitari, hanno occupato proprietà indigene...

Altro compagno del FZLN: In pratica, possiamo arrivare alla conclusione che il "Partido de la Revolución Democrática" (PRD), che governa Città del Messico, è un partito che reprime le organizzazioni sociali e i movimenti. Il PAN è anch’esso un partito repressivo delle organizzazioni sociali e il PRI è ugualmente un altro partito repressivo. Qui in Messico i tre partiti più importanti sono repressivi nei confronti delle organizzazioni e dei movimenti sociali. Contrariamente a quanto si dice all’estero, o di quanto diffonde la loro propaganda, che è tutta una falsità. Nessuno di loro è democratico, nessuno è popolare, nessuno promuove l’organizzazione sociale. Tutti e tre sono repressivi e i fatti lo dimostrano: il PRD con la repressione attuata contro gli studenti il 4 agosto e il 14 ottobre, di cui le fotografie sono eloquenti; il PAN con le denunce che avete potuto sentire da noi oggi, e il PRI, veramente in tutto il paese, con la repressione ovunque, dato che la maggioranza degli Stati è governata dal PRI. In tutto il paese c’è repressione, in tutto il paese ci sono assassinii, incarcerazioni, intimidazione. La repressione è una caratteristica dei tre partiti.

Membro della CCN del FZLN: Per fare una puntualizzazione, venerdì scorso, il 5 novembre, abbiamo organizzato una manifestazione per protestare contro la repressione di cui siamo stati oggetto. Il percorso partiva da Televisa e arrivava alla residenza presidenziale di Los Pinos. Abbiamo voluto anche questa volta passare per il circuito stradale periferico e abbiamo concordato che saremmo restati sulla corsia centrale, lasciando totalmente libere le strade laterali. Invece ci siamo trovati davanti un cordone di celerini, accompagnati da picchiatori, polizia a cavallo e molti altri; una muraglia, insomma. Ci hanno quindi impedito il passaggio sul periferico, delimitandolo. Dimenticavo una cosa molto importante: sono cinque anni che i diversi gruppi conservatori del paese stanno battendosi affinché ci sia una legge che regoli le manifestazioni. Il PRD, in questa manifestazione non è voluto entrarci, per timore di perdere voti e danneggiare la sua immagine: in sintesi, è anch’esso contro le manifestazioni. L’unica cosa, quindi, cui potevano attaccarsi riguardo a questa manifestazione sul periferico, era che bloccavamo la libertà di transito. Il nostro discorso era che era possibilissimo circolare agevolmente sulla laterale, ma non ci hanno dato retta e ci hanno fronteggiato; allora noi ci siamo spostati sulla laterale cercando di evitare lo scontro e non è successo niente. Il risultato, dunque, è stato che loro hanno bloccato le corsie centrali del periferico e noi siamo andati sulla laterale, mentre se ci avessero lasciato circolare sulla corsia interna, la corsia laterale sarebbe restata libera.

Un altro fatto che è avvenuto stamattina: alle sei arriva una compagna della Scuola Superiore di Arti Plastiche, che è un liceo dell’UNAM, a chiedere informazioni perché ieri le è arrivata una citazione giudiziaria che la convocava a presentarsi ieri, però diverse ore prima che le venisse consegnata la citazione. Semplicemente per un inquisitorio, perché fornisca un resoconto, delle informazioni. Cioè, non le viene neanche chiesto di testimoniare come testimone però le è intimato di essere presente quel giorno. Lei è una delle 386 persone che rientrano, apparentemente, in un rapporto della PGR.

Vi racconto di un altro caso, che non è facile da provare, ma so che sta accadendo: un compagno dello sciopero, che è sempre stato presente nello sciopero alla facoltà di Diritto, ha un fratello che è stato arrestato di recente per aver venduto del formaggio senza pagare le imposte; questo è un genere di commercio informale che è molto diffuso in Messico. Non c’era stato alcun problema, fino a quando i poliziotti giudiziari statali durante l’indagine, si accorgono che in casa sua c’è del materiale di propaganda sullo sciopero e che suo fratello ne fa parte. Da quel momento, il problema si è caricato di un cinismo e un sadismo molto forti. In pratica, hanno iniziato a negargli delle prove e, all’interno del penitenziario de "l’Estado de México"- il quale, è amministrato dal PRI e in un certo senso anche dal PAN, poiché è in un municipio panista – gli hanno fatto ogni genere di canagliate. Quando fanno la perquisizione nella casa di questa persona - secondo loro è stata la polizia ma, in realtà, si è trattato di agenti della sicurezza privati che però si fanno passare per agenti della sicurezza statale – si portano via tutto quello che possono: telefoni cellulari, un cerca persone, carte, documenti, fotografie, videocassette, ecc. Anche se non crediamo si sia trattato di una specifica punizione nei confronti dello studente per essere un’attivista dello sciopero, siamo però convinti che sia stata data mano libera alle autorità perché facessero ciò che volevano; si è trattato di un’intimidazione, oltre al fatto che le azioni giudiziarie sono state molto oscure.

Compagno del FZLN: Vorrei esprimere un altro punto di vista importante: a volte penso che noi tutti, membri del "Frente Zapatista", siamo privati dei nostri diritti quando ci rechiamo in Chiapas. È successo anche ad altra gente che non appartiene al FZLN. Perché, la gente che si aggrega ad una carovana diretta in Chiapas, deve passare attraverso i posti di blocco dei militari che, secondo la Costituzione, dovrebbero restare nelle loro caserme, e spesso viene obbligata a scendere. Abbiamo già accennato al fatto che, ad esempio, si parte dalla città, si arriva in Chiapas e si trova seguita. Verso molte carovane che hanno raggiunto le comunità delle basi d’appoggio dell’EZLN, si è verificato, da parte dei militari, questa funzione di polizia che, evidentemente, conta con il consenso della polizia stradale federale. Questo corpo di polizia, prima, dipendeva dal ministro delle comunicazioni e dei trasporti, mentre, oggi, dipende direttamente dal ministro degli interni ed è piena di soldati: è militarizzata. Quest’aspetto fondamentale significa violare la Costituzione nei termini che non esiste libertà di transito; violare la Costituzione nei termini che i militari sono fuori dalle caserme e che, evidentemente, hanno l’obiettivo di isolare le comunità zapatiste. Legato a questo, dobbiamo segnalare che la strage di Acteal del 1997 è un crimine di Stato. Un crimine di Stato che evidentemente il governo di Zedillo cerca di occultare. Basta un esempio – che si ripercuote anche sugli osservatori internazionali –che riguarda la strage di Acteal: il fatto che in Chiapas ci sia presenza di persone, osservatori e gente accreditata di altri paesi, ha potuto evitare che questa strage venisse totalmente occultata, perché ci sono state testimonianze che lo hanno evitato. Da quel momento, nel 1998, il governo federale, di Zedillo, ha instaurato dei regolamenti in modo che, se una persona vuole venire oggi stesso in Messico, deve rispettarne i termini. Ciò significa che, se oggi avvenisse una strage, gli osservatori come voi dovrebbero fare richiesta di autorizzazione per svolgere il proprio compito. Questo, evidentemente, ha lo scopo di colpire i sostenitori degli zapatisti, perché questa forma di selezione è un qualcosa che si cerca di nascondere. Credo che questo senso deve essere molto rimarcato perché nel maggio del ‘98 sono stati espulsi circa 140 italiani. Mai nella storia del Messico era successa una cosa simile! Con questo, quindi, entriamo nel vivo della questione: negli ultimi tempi, i diritti umani non vengono rispettati, in modo da colpire le comunità indigene ma anche chiunque vi si rechi. Non lo so, spero che abbiate fortuna e che non vi tocchi passare dai posti di blocco militari, di solito stanno molto attenti e quando passano i gruppi di osservatori dei diritti umani, li rimuovono. È anche capitato ad alcune persone di altri paesi, in zone turistiche, che al loro visto venisse applicata la formula "qualsiasi luogo tranne il Chiapas" e questo allo scopo di evitare loro il transito. Poi, ovviamente, quando arriva gente straniera a San Cristóbal, le viene domandato se ha intenzione di spingersi più in là e se supera la "linea" che le autorità hanno stabilito, allora intervengono gli agenti della migra e a volte viene deportata. Esistono diversi casi: quello di Peter Brown, che ha vinto l’appello contro la sua espulsione, ma poiché la giustizia messicana sta violentando in modo flagrante e rozzo le leggi internazionali, l’ordine è stato di negargli l’ingresso nel paese. È evidente che si tratta di una questione che vale la pena di annotare poiché, evidentemente, anche gli osservatori internazionali corrono dei rischi. Speriamo che voi, ovvio, abbiate molta fortuna, poiché è importante che siate presenti e che la questione di Acteal non deve essere dimenticata e che esistono molte testimonianze che vale la pena raccogliere. La strage di Acteal avrebbe potuto essere evitata. Esistono dei video che dimostrano che era in procinto di accadere, che poteva essere evitata, ma le autorità non ne hanno tenuto conto. Per questo credo che valga la pena contemplare questo punto all’interno di tutte le situazioni esistenti di aggressione ai diritti umani.

Membro della CCN del FZLN: I militari, riguardo ai posti di blocco, sostengono che stanno applicando una legge che si chiama "Ley de Control de Armas de Fuego y Explosivos". Questa legge non contempla in nessun punto né la persecuzione né la detenzione ed ha una funzione che può essere applicata solo su ordine giudiziario. Il problema più grave è che loro applicano questa legge federale sul controllo di armi ed esplosivi e possono farlo sostenendo che hanno ordini e che possono non far passare la gente. In sintesi, per non accrescere il problema con le comunità e perché non si usi come un pretesto contro le comunità, si finisce col cedere e ci si lascia controllare. Il fatto stesso, però, che un militare possa fermare qualcuno per strada, implica una violazione costituzionale. Poiché la Costituzione stabilisce che ciò può essere fatto solo nel caso esista un’eccezione di garanzie, ossia per un qualche motivo specifico cessano le garanzie costituzionali in una determinata zona; ma questo, lo Stato messicano, non lo ha voluto applicare. È frequente che un soldato fermi qualcuno, gli dica: "Ferma!" e poi proceda ad un interrogatorio persona per persona, la quale firma e se uno lo permette, controllano anche il portafoglio. Addirittura, l’ultima volta che mi hanno fermato, mi hanno puntato l’arma in faccia: in faccia!

Altro compagno del FZLN: Vale a dire, avvengono fatti molto significativi che dimostrano che in Messico stanno istituendo un regime fascista. Dico fascista perché le leggi, lo stato di diritto propugnato dalla borghesia, si sta facendo valere mediante l’uso della forza, l’uso di armi. Una prova di questo è la Policía Federal Preventiva, creata con il pretesto della lotta alla delinquenza. Si tratta però di una farsa perché, in realtà, cosa farà questa polizia, e cosa sta facendo, è combattere le organizzazioni sociali. Un altro fatto che prova questa faccenda del regime fascista è che sta aumentando il budget alle forze militari, alle forze repressive e a quelle di polizia; per questo il governo ha stabilito una spesa maggiore. In pratica: "Com’è possibile che alle forze armate venga dato il doppio del denaro che si sta dando all’UNAM, il doppio di quanto si sta dando a qualsiasi settore sociale. Allora, questa è una chiara indicazione del fatto che il governo sta rafforzando i corpi militari e i corpi repressivi per utilizzarli contro la stessa popolazione messicana. Perché, se ci si trovasse in stato di guerra contro un altro paese, sarebbe logico rafforzare l’esercito, ma, in un paese che ha una politica estera di pace e che non ha alcuna questione aperta con un altro Stato, né intenzione d’invadere o di attaccare un paese vicino, il rafforzare i corpi militari e quelli di polizia ha un’altra finalità. L’intenzione è che questo rafforzamento vada contro la popolazione. È evidente! In pratica, si stanno dando in dotazione armi d’alta tecnologia, si sta dando addestramento nella "School of Americas", oltre al trasferire militari addestrati negli Stati Uniti nella Policía Federal Preventiva, tutto questo per attaccare la popolazione messicana perché non c’è alcuna minaccia di guerra con nessun paese. Il fatto è che questo rafforzamento avviene in primo luogo, per attaccare le comunità zapatiste del Chiapas e poi, tutte le organizzazioni sociali che lottano o che si oppongono al neoliberismo. In realtà, questo è preoccupante perché, diciamolo, è il passaggio immediato al fascismo. Forse in Messico si sta preparando un regime fascista sullo stile di Pinochet, perché, non bisogna dimenticare, che l’attuale ambasciatore degli Stati Uniti in Messico è stato funzionario delle politiche fasciste in Cile durante il regime di Pinochet e, quindi, con la sua esperienza nella repressione di movimenti sociali, come quelli facenti parte della piattaforma di lotta al regime priista, aiuta ad istituire qui un regime fascista. Con lui come assessore e con l’aumento del budget alle forze armate, non si può presagire nient’altro. Questo è importante denunciarlo, anche da voi, nei vostri paesi, perché bisogna fermare questa escalation fascista che viene sia dal PRI sia dal PAN ed ora, addirittura dal PRD che si sta unendo a questo.

Membro della CCN del FZLN: Vorrei aggiungere solo una cosa che è successa di recente: voi sapete che un organismo come la Comisión Nacional de Derechos Humanos deve essere autonoma, imparziale, come pure il presidente che la dirige. Da poco il governo ha fatto come un maquillage a livello internazionale. Dico questo perché, poco tempo fa, è stato nominato il nuovo presidente della CNDH ed è, precisamente, del partito al potere, in questo caso il PRI. C’è stata molta discussione all’interno del senato, ma alla fine è stato lasciato al suo posto.

Membro del FZLN: Mi chiamo Antonio Casas e sono un professore che lavora nell’ambito dell’istruzione indigena e, attualmente, ho un incarico nel sindacato dell’educazione degli indigeni. Noi svolgiamo il nostro lavoro, fondamentalmente, nei diversi Stati della Repubblica dove abbiamo potuto osservare che i gruppi militari, in special modo l’esercito, sta occupando le scuole, soprattutto quelle in cui si svolge l’istruzione indigena. È una cosa molto grave perché si stanno svolgendo indagini in quegli Stati in cui esiste una maggiore mobilitazione sociale, come nel caso del Guerrero, di Oaxaca e, soprattutto, del Chiapas. In questi Stati, l’esercito occupa militarmente le scuole e le converte in caserme militari. Per noi è molto grave, poiché i bambini sono costretti, di botto, a dover subire questo shock rappresentato da tutto quest’apparato militare. Ovviamente, tutta la pressione viene esercitata contro l’educazione indigena e la realizzazione delle sue attività; in alcuni casi, hanno introdotto dei militari al posto dei maestri e questo l’hanno fatto per promuovere la delazione. Tutto ciò per noi è grave, poiché non solo attenta contro l’istruzione in sé, ma anche, in modo diretto, contro le garanzie e dei professori e degli alunni. Per questi motivi, mi sembra importante che voi, giacché siete degli osservatori internazionali, possiate rendervene conto, costatando così, questa situazione. Passerete attraverso lo Stato di Oaxaca e, ovviamente, visiterete il Chiapas, avendo così modo di osservare questa situazione. Una volta entrati in queste zone, vi accorgerete che i soldati utilizzano il "lavoro sociale": tagliano i capelli ai bambini o costruiscono edifici scolastici. Quando non viene attuata in forma diretta, l’occupazione delle scuole viene portata a termine attraverso queste strategie o anche collocando i loro accampamenti molto vicino alle scuole.

Compagno del FZLN: Penso che questo accada nelle regioni indigene che sono le più numerose del paese ma, specialmente, in quegli Stati dove la questione indigena è più saliente.

Se volete fare delle domande... Come potete vedere, la preoccupazione per la violazione dei diritti umani è molto grande tra noi.

Potreste darci qualche esempio di scuole in Chiapas dove potremmo recarci per osservare la situazione? Ci potreste indicare il nome di qualche comunità?

Ci sono diverse comunità, c’è Taniperla, che è la base di operativi militari, dove sono d’istanza poliziotti giudiziari e dove la situazione è veramente grave.

Ma, i bambini, vanno lo stesso a scuola e dove ci sono i soldati, ci sono anche bambini?

Dipende. Esistono scuole che vengono occupate e trasformate in caserme e dove, evidentemente, non ci sono bambini; ma n’esistono anche alcune dove i soldati fanno una specie di lavoro sociale: pitturano, riparano qualcosa oppure tagliano i capelli.

Nelle scuole occupate dai militari, i bambini vengono trasferiti in altre scuole o restano senza istruzione?

La situazione varia a seconda delle comunità. Esistono comunità, soprattutto quelle zapatiste, che dopo l’occupazione militare, si sono rifugiate in altre comunità o in montagna. In alcuni casi, invece, la popolazione continua a convivere quotidianamente con i militari. Nello Stato di Guerrero, esiste una scuola che è stata occupata militarmente e dove si è verificato un massacro; si trova a El Charco. Lì, c’è stata una riunione di un gruppo politico-militare con dei maestri e con alcuni membri della comunità, i soldati sono arrivati e hanno commesso un massacro. Questo si tratta del fatto più noto, ma possiamo citarne altri, ad esempio quello di Veracruz. Nello Stato di Veracruz, ci sono zone molto povere come quella di Zongonica. La zona di Zongonica è anch’essa occupata dai militari ed esistono diversi esempi di questo. È importante quindi che vi prestiate attenzione in questi giorni, soprattutto verso le scuole indigene e i centri sanitari, che sono gli assi portanti della struttura delle comunità indigene; di norma, queste strutture, vengono costruite dalla gente dei villaggi, alcune con materiali come il cemento, altre con adobe e foglie di palma per il tetto. Quando una di queste scuole viene occupata dai militari, gli alunni non ci vanno più. Le lezioni si svolgono da un’altra parte, dove la comunità ha deciso, oppure, nel caso peggiore, gli abitanti della comunità vengono sgomberati, come è successo a quelli di Guadalupe Tepeyac, che presto conoscerete.

Proprio a Guadalupe è stato costruito un grande ospedale, inaugurato dall’ex presidente della Repubblica Salinas de Gortari, una clinica davvero grande ma, adesso, tutto intorno, c’è un accampamento militare. Ovviamente, gli zapatisti della comunità non si rivolgono a questa clinica perché, altrimenti, vengono sottoposti ad interrogatorio; in un ospedale! Un ulteriore dettaglio su questo genere di comportamento: il 24 ottobre, durante la consultazione degli studenti, un gruppo molto strano ha occupato un edificio scolastico. Abbiamo potuto identificare due di loro e sono gente molto vicina al direttore della facoltà di Diritto. Diciamo che erano strani, perché erano tutti vestiti di nero, hanno saputo arrampicarsi su un muro alto tre metri, erano armati, perfettamente addestrati e hanno anche fatto delle scritte. Come se non bastasse, hanno appiccato il fuoco ai libri della biblioteca, a quelli che non gli piacevano: tutti i libri di sinistra.

Vorremmo parlare con voi dello sviluppo del conflitto in Chiapas. Dalla nostra visita nel febbraio del 1998 sono avvenute diverse cose: la CONAI non esiste più, la COSEVER è come se non esista, quindi, la situazione si è dunque aggravata ulteriormente? Così come la questione dei militari e dei paramilitari? Cosa pensate sia possibile fare in una situazione in cui non esistono gli strumenti di negoziato o di mediazione, quali sono le proposte che voi fareste?

Bene, in questo senso, la nostra proposta riguarda proprio l’importanza della vostra presenza e partecipazione dall’estero, di Ong internazionali che con la loro presenza possano obbligare il governo ad aprire il dialogo. Noi speriamo che il governo si veda obbligato soprattutto dalla pressione internazionale e, chiaro, anche dalla pressione che esercitiamo noi qui all’interno del paese. Ma per riprendere il dialogo devono essere attuati i requisiti minimi posti dall’EZLN. In questo senso, il governo ha frapposto diversi ostacoli: prima ha colpito la CONAI fino a provocarne lo scioglimento, tra virgolette un autoscioglimento, e questo è stato un colpo tremendo. Poi, la COSEVER, che, praticamente, il governo non ha mai voluto mettere in moto. Perciò noi crediamo che un ruolo di mediazione, di un certo peso, deve darsi attraverso una mediazione internazionale. Una mediazione forte di compagni che mantengano una presenza, perché abbiamo potuto vedere che, all’attuale regime, duole immensamente cosa si dice del governo del Messico a livello internazionale. Ad esempio, per il governo è fondamentale il riconoscimento da parte dell’Unione Europea e, in questo senso, quanto veniva detto in ambito internazionale, lo ha valutato come molto grave. Siamo convinti che il dialogo debba essere ripreso ma, perché si riprenda, devono essere attuati gli Accordi, come anche i punti specifici che chiede l’EZLN.

Allora, credete che la situazione sia peggiorata?

Sì, certo. Lo dimostra il caso raccontato prima dal compagno, riguardo alla visita degli universitari che erano stati dichiarati persone non gradite, come gli avvenimenti a San Juan La Esperanza, dove una truppa militare decide di fare un percorso in una zona zapatista all’interno della selva, sfiorando le montagne, i Montes Azules, provocando uno scontro in cui sono stati feriti alcuni zapatisti. Da questo momento, aumentano i posti di blocco; è in uno di questi che i due spagnoli e una compagna messicana sono stati fermati, quindi la situazione sta peggiorando. Poi, soprattutto dal mese di settembre, sono comparsi altri posti di blocco. Te ne accorgi soprattutto quando, durante i controlli ai posti di blocco, ti obbligano a tirare giù i bagagli e ad aprirli, dire il tuo nome, prendono dati, ecc..

C’è anche un’altra cosa interessante: ovunque è pieno di posti di blocco della PGR, della polizia giudiziaria e non solo in Chiapas. Stai circolando per strada e improvvisamente "zac", tirano giù la sbarra e obbligano tutti a mostrare i documenti dell’auto, del motore, tutto! Il caso è che il mio motore è per metà sostituito da pezzi di ricambio acquistati e ogni volta è una scenata fermarsi al controllo perché dicono: "L’hai rubato" e cose del genere e sempre ti propongono l’accordo chiedendoti 20, 30, 40 o 100 pesos. Questo fatto è incostituzionale, ma succede spessissimo, anche sulla strada che arriva a Juchitán esistono posti di blocco…

Quindici giorni fa, un compagno del FZLN si trovava a San Cristóbal, era seduto a bere in compagnia di altri quando viene fermato.

Proprio oggi, sul quotidiano La Jornada, era scritto che in vista della visita della signora Robinson, il governo messicano stava togliendo i posti di blocco: corrisponde al vero?

Sì, succede ogni volta che arrivano le commissioni internazionali. Lo scorso anno, proprio a me è capitato di accompagnare le delegazione spagnola e, quello che è successo, è stato davvero impressionante: nei pochi posti di blocco che abbiamo incontrato, i militari erano davvero molto gentili e se stavamo dormendo, non ci svegliavano. Cose del genere succedono sempre quando viene qua una commissione, sempre che questa si comporti in un certo modo. Voglio parlarvi del caso specifico della commissione internazionale venuta dall’Italia: a questa delegazione era stato proibito entrare nella comunità di Taniperla, il percorso precedente era stato molto normale; l’esercito si fa vivo nel momento in cui questa entra a Taniperla. Nel vostro caso, giacché solo undici di voi hanno il visto FM3, è probabile che possiate imbattervi in questo problema, soprattutto se visiterete alcuni posti, lì potreste trovare opposizione da parte dell’esercito.

Per concludere, abbiamo qui per voi un dossier sulla morte e l’arresto di Cosme, questi sono documenti del Frente, e un libretto. Se non avete altre domande, vorremmo sinceramente ringraziarvi per la vostra presenza nel nostro paese. Speriamo che vi trattino bene, i compagni vi tratteranno sicuramente bene.

Arrivano altri membri della CCIODH e i membri del FZLN, dopo le rispettive presentazioni, concludono il loro intervento, che riportiamo in seguito:

Riguardo alla militarizzazione, vorremmo sottolineare che è molto più forte negli Stati del sud e, ovviamente, in Chiapas, ma è sempre più forte anche qui. Solo nel tratto che va da Città del Messico a San Luis Potosí, verso il nord del paese, esistono otto posti di blocco militari. Questi otto posti di blocco non hanno ragione d’essere in un regime di stato di diritto che è propugnato dallo Stato messicano, non ha ragione di esistere in nessuno Stato della Repubblica. La presenza al sud è molto più massiccia, ma anche al nord sta prendendo piede. Non si era mai visto prima che in un percorso di 400 chilometri, tra qui e San Luis Potosí, ci siano otto posti di blocco militari, cui, inoltre, vanno aggiunti quelli della PGR, della Polizia Militare, dei diversi corpi di polizia. In sintesi, tutto il paese, gradualmente, sta venendo militarizzato, poco a poco. Circa tre settimane fa, se non sbaglio, sul quotidiano "La Jornada", un articolo sosteneva che in Messico, da dieci anni a questa parte, è aumentato il budget per l’arsenale militare in modo addirittura superiore a quello del Cile o dell’Argentina… Nello sciopero dell’UNAM, i ragazzi stanno chiedendo solo quanto scritto nella Costituzione, non stanno chiedendo cose dell’altro mondo o fuori dal contesto politico ed economico di qualunque paese, stanno esigendo quanto sancito dal terzo articolo costituzionale, che questo venga attuato. Loro si muovono all’interno della legalità, nell’ambito del regime di diritto sancito dalla Costituzione. L’articolo 3º afferma che l’istruzione impartita dallo Stato deve essere gratuita. Gli studenti, quindi, esigono l’attuazione della Costituzione e, gli altri punti da loro rivendicati, sono del tutto attendibili e congruenti. Uno di questi punti chiede sia permesso studiare a tutti coloro che svolgono anche un lavoro, che si dia l’opportunità sia a chi lavora sia a chi studia, non regolando il periodo di frequenza nell’Università. In un altro punto, chiedono un Congresso risolutivo per modernizzare l’Università, compresa la cancellazione dei corpi repressivi interni all’Università. In pratica, stanno chiedendo cose totalmente logiche e attendibili all’interno di un paese democratico. Se vengono concessi agli studenti i loro sei punti, il paese non viene minimamente modificato. Vale a dire che, concedendo agli studenti questi sei punti non viene apportata alcuna modifica al regime economico o politico del paese, neppure a livello sociale. Il Messico andrebbe avanti esattamente come adesso anche se concedono loro questi sei punti, gli studenti non stanno chiedendo niente che esuli dal contesto universitario. In pratica, non stanno avanzando proposte economiche né cambiamenti in quest’ambito, né un cambiamento sociale né politico nel paese, niente che vada a modificare l’attualità dell’esistente.

 

 

 

 

 

7. Incontro con rappresentanti studenteschi dell’Università Autonoma del Messico (UAM)

Il 24 novembre la CCIODH ha intervistato i rappresentanti delle organizzazioni studentesche delle tre aree dell’Università Autonoma del Messico: Iztapalapa, Xochimilco e Azcapotzalco, così come i membri del "Comité de Apoyo a la Zona Norte de Chiapas", "Uameros por la Paz", "El Otro Colectivo" e "Jóvenes Construyendo la Paz" (JOCOPAZ).

Gli studenti sono unanimi nel denunciare le persecuzioni e le minacce dei paramilitari nei confronti delle comunità indigene, che hanno visitato e nelle quali continuano a svolgere attività di tipo sociale e sanitario. Hanno denunciato "l’azione antindigena del Ministero della Sanità e della Croce Rossa Messicana". Inoltre, hanno fatto presente che gli attivisti delle organizzazioni di solidarietà e per la pace, sono oggetto di minacce (di morte, di stupro) da parte di anonimi che mostrano di conoscere perfettamente ogni loro attività. Alcuni mesi fa, allo stesso tipo di minacce (registrazioni) sono seguiti sequestri ed assassinii.

Gli studenti hanno consegnato alla CCIODH documentazione sulle loro visite e soggiorni nelle comunità, così come copie di denuncie presentate dalle stesse comunità indigene del Chiapas.

È intervenuto anche Sergio Valdéz, professore di arti plastiche della UAM, che è stato recluso nel carcere di Cerro Hueco per oltre un anno, dopo aver diretto la realizzazione di un murales con artisti indigeni. Dopo un lungo processo, alla fine del quale il governo ha ritirato le accuse (tra le quali quella di ribellione, furto aggravato e associazione a delinquere), il professore è stato rimesso in libertà.

Il professor Valdéz ha denunciato l‘utilizzo, da parte delle autorità governative e giudiziarie, delle omonimie, frequenti in Chiapas, per imputare reati a persone assolutamente estranee ad essi (vedi interviste ai prigionieri di Cerro Hueco).

 

 

 

 

 

8. Consejo General de Huelga (CGH) dell’UNAM

Città del Messico, 25 novembre 1999.

La CCIODH ha incontrato, nella sede dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), alcuni membri del Consejo General de Huelga, (CGH).

Le 35 facoltà dell’UNAM, l’università più grande del paese, in questo periodo sono chiuse ed occupate dagli studenti, dichiaratisi in sciopero generale da più di sette mesi. Le loro rivendicazioni erano e sono tuttora:

- Il ritorno alla gratuità dell’università;

- L’alt a tutte le forme di selezione sociale per l’accesso e la frequenza alle lezioni;

- L’organizzazione di un congresso democratico e risolutivo che riunisca tutta la popolazione universitaria;

- Lo smantellamento dell’apparato di repressione e vigilanza;

- L’annullamento delle sanzioni contro i partecipanti allo sciopero.

Questo movimento studentesco possiede un ambito nazionale, grazie alla partecipazione di università in altri Stati. Nel febbraio del 2000, momento in cui la CCIODH sta redigendo quest’intervista per aggiungerla al secondo dossier, le forze speciali della polizia hanno fatto irruzione all’UNAM. Centinaia di studenti sono stati messi in carcere. A Città del Messico, si sono mobilitate 100.000 persone per manifestare contro queste azioni. Si tratta, innanzi tutto, dei padri e delle madri degli studenti che esprimono il loro appoggio allo sciopero, richiamandosi al diritto costituzionale per l’istruzione gratuita, diritto che loro considerano minacciato dalle riforme avvenute negli ultimi due anni. Hanno insistito sul fatto che, secondo loro, l’assenza di dialogo e di presa in considerazione dei problemi che hanno dato origine al conflitto, come la repressione del movimento, impediscono che si traducano in pratica altri diritti fondamentali: i diritti dei giovani e degli studenti, il diritto di sciopero e il diritto di manifestare. Gli studenti stavano occupando pacificamente le strutture universitarie da diversi mesi. Alcuni professori e lavoratori dell’UNAM appoggiavano e partecipavano a quest’occupazione. Diverse manifestazioni hanno accompagnato il periodo di sciopero in città. Denunciano:

1.Vigilanza ed intimidazione:

Gli scioperanti hanno visto installarsi un apparato di controllo, in cui il margine che lo divide dall’intimidazione sembra loro molto sottile. Affermano che tutti i giorni, gli elicotteri effettuano voli radenti sopra l’università. Denunciano che parecchie delle loro assemblee sono state sorvegliate, anche tramite videocamere. Gli studenti denunciano che molti sono pedinati durante i loro spostamenti. Infine, hanno osservato che fin dall’inizio dello sciopero, è stata messa in atto una vigilanza permanente degli edifici universitari. Secondo loro, esistono diversi tipi di persone che giocano questo ruolo, da quelli che possono venire associati ai corpi di polizia oppure ai gruppi privati di sicurezza dell’università, quelli vestiti da civili, fino a quelli che agiscono come paramilitari o come gruppi d’assalto. Tutti questi personaggi si aggirano nei dintorni dell’università, si rivolgono alla gente, la interrogano, la intimidiscono e la reprimono.

2. Sanzioni e detenzioni contro gli scioperanti:

Le autorità dell’università hanno dato inizio a delle lezioni fuori sede, che si svolgono in luoghi pubblici come, ad esempio, la metropolitana. I professori dell’UNAM sono stati sollecitati a fare lezione. Quelli che si sono rifiutati, sono stati oggetto di sanzioni e sono state applicate a più di mille di loro. Sanzioni diverse sono state applicate contro i partecipanti al movimento: alcune sono di natura amministrativa e toccano l’ambito universitario come, ad esempio, l’espulsione, altre, invece, sono penali e riguardano capi d’accusa che spesso gli studenti negano. I giovani che sono stati convocati dalla procura, oltre un centinaio di persone, mettono in discussione la legalità di questi procedimenti e delle sanzioni che minacciano il loro futuro studentesco. Alcuni di loro, incriminati, rischiano gravi sentenze. La loro difesa, di fronte alle accuse che definiscono prefabbricate, è difficile e costosa, così come lo sono, per loro e per il movimento, le multe e le cauzioni.

3. Minacce, persecuzioni, stupri e sequestri:

Diversi studenti in sciopero, oppure i loro familiari, raccontano di aver ricevuto, direttamente e personalmente, delle minacce che spesso sono di morte. Molti studenti denunciano di essere stati arrestati, senza accuse, da brigate di poliziotti incaricati della loro sorveglianza. Per esempio, il 4 agosto 1999, un professore è stato arrestato mentre passeggiava in città con alcuni membri del CGH. Da come dicono, erano stati tutti interpellati dalle forze speciali di polizia che gli studenti chiamano gruppi d’assalto. D’altra parte, denunciano azioni di gruppi che identificano come paramilitari o forze speciali. Sostengono che fermano gli scioperanti, li minacciano e li reprimono. Così, alcuni studenti riferiscono di essere stati sequestrati in modo simile a quanto successo a Ricardo Martinez Martinez (vedi intervista con FZLN). Permangono sequestrati, spesso in un’automobile, il tempo necessario per essere picchiati od insultati. Infine, esistono casi di stupro, che hanno dato luogo a denunce ufficiali. A tutt’oggi, le vittime non sanno se le indagini sono in atto. L’ultimo stupro è avvenuto il 23 novembre.

4. Repressione delle manifestazioni:

Gli studenti denunciano l’azione repressiva delle diverse forze di sicurezza durante le manifestazioni, in modo particolare quella avvenuta il 15 ottobre 1999. Denunciano l’accanimento dei poliziotti, la loro aggressione nei confronti dei manifestanti. Riferiscono il caso di un giovane picchiato da un gruppo di agenti, quando era già a terra, mentre, intanto, impedivano ai suoi famigliari di avvicinarsi per soccorrerlo. Al termine della manifestazione, il saldo è stato di diverse persone ferite. Le querele delle vittime e dei testimoni contro i poliziotti, al momento, non sono state prese in considerazione.

 

 

 

 

 

9. Comisión Mexicana de Defensa y Promoción de los Derechos Humanos" (CMDPDH), incontro con Mariclaire Acosta

Il 17 novembre, una delegazione della CCIODH si è incontrata a Città del Messico con una quindicina di rappresentanti della "Comisión Mexicana de Defensa y Promoción de los Derechos Humanos" (CMDPDH).

Dopo la rispettiva presentazione dei partecipanti, la presidentessa della CMDPDH, Mariclaire Acosta, ci ha consegnato una serie di documenti relativi agli obiettivi ed alle attività della loro commissione, così come inerenti alla situazione dei diritti umani in Messico. Ha presentato poi un breve bilancio dei dieci anni di attività della CMDPDH, le sue diverse aree d’intervento, i suoi obiettivi e le sue preoccupazioni prioritarie.

Mariclaire Acosta ha insistito sui quattro diritti fondamentali: il diritto alla vita, all’integrità, alla libertà ed alle garanzie giuridiche, che secondo lei, sono quelli più lesi in Messico. Ha però aggiunto che non bisogna dimenticare gli altri diritti, in particolare quelli nell’ambito economico, sociale e culturale, posto che di solito alla violazione di un diritto segue la violazione di altri.

Per la presidentessa, è evidente che nel suo paese "le vittime principali sono le popolazioni indigene e contadine, in particolare dove si sono organizzati e sono comparsi gruppi insurrezionali". Esistono anche "violazioni gravissime contro altri settori e in diverse regioni". Riguardo al peggioramento della situazione ha indicato tre cause dirette:

  1. Il deterioramento del sistema di amministrazione della giustizia, disegnato da un regime autoritario, che dipende dal potere esecutivo e di conseguenza manca d’imparzialità. Aggiunge che è "un sistema per reprimere e non per impartire giustizia, e si è perfezionato in questo senso…"; una delle conseguenze di questo disegno è che "molti leaders sociali sono accusati di reati comuni". Cita il caso del generale Francisco Gallardo, incarcerato per le sue critiche all’Esercito e condannato ufficialmente per "reati comuni" (con una sentenza di 28 anni, di cui 6 li ha già trascorsi in prigione). Questo tipo di accuse è, secondo lei, sistematico, in particolare, contro leaders ed attivisti sociali, e in modo speciale contro le comunità indigene.
  2. Un’altra causa di violazione sistematica dei diritti umani che comprende l’impiego frequente della violenza istituzionale, è la militarizzazione della polizia e della giustizia, usando il pretesto della lotta contro il narcotraffico. Il fatto che l’80% della cocaina destinata agli USA transita attraverso il canale messicano, sommato all’altissimo livello di corruzione della polizia del paese (il 30% degli assalti per strada, ad esempio, è imputato alla polizia federale, i cui effettivi sarebbero all’80 % implicati in attività delittuose), ha portato il governo USA ad affidare la funzione poliziesca di lotta al narcotraffico all’esercito messicano. Il risultato è un aggravamento delle offese ai diritti umani. Fornisce l’esempio di un fatto recente in cui sono stati coinvolti sei giovani del quartiere "Colonia Buenos Aires" di Città del Messico, che sono stati arrestati dai militari nell’ambito di un’operazione antidroga. I loro corpi sono stati poi rinvenuti nelle vicinanze della città con segni evidenti di aver subito un’esecuzione sommaria. Altri casi si sono verificati nello Stato di Guerrero, dove i dirigenti di un fronte contro la corruzione, sono stati sequestrati ed assassinati, con la spiegazione ufficiale di "un regolamento di conti".
  3. Infine, secondo la signora Acosta, "la politica controinsurrezionale in Chiapas, Oaxaca, Guerrero e in altre regioni, porta con sé gravi violazioni contro la sicurezza e la vita delle popolazioni civili, in particolare indigene". L’esercito, afferma, non è sottomesso ad un’autorità civile repubblicana.

La presidentessa sottolinea la situazione molto complessa e molto incerta in cui versa il paese, in un contesto di destabilizzazione politica e sociale creato da quasi vent’anni di politica neoliberista, e caratterizzata dall’incremento dell’uso della forza e da ogni genere di irregolarità che ledono seriamente i diritti umani fondamentali.

Durante l’intervista sono emersi altri elementi, che riportiamo di seguito:

La situazione in Chiapas è, agli occhi dei rappresentanti della CMDPDH, una specie di "punta dell’iceberg" che ha rivelato (grazie all’azione dell’EZLN) il tragico fallimento del modello neoliberista. L’insurrezione zapatista è stata un fulmine a ciel sereno che ha rovinato la festa al regime ovvero ha rivelato che le violazioni ai diritti umani, prima sconosciute, non si limitano al Chiapas, ma si estendono a tutto il paese. Inoltre, le relazioni tra l’EZLN e le organizzazioni di difesa dei diritti umani "non sono sempre fluide", "ci sono situazioni in cui camminiamo insieme, ed altre no". Il partito di potere utilizza la xenofobia e il razzismo per dividere le popolazioni, discreditare i difensori dei diritti umani e degli indigeni, e prende di mira sia gli osservatori stranieri sia i cittadini di altre regioni del paese (il caso dell’attrice Ofelia Medina, vittima di una campagna di calunnie e minacce a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas). I difensori dei diritti umani in Messico sono costantemente minacciati, aggrediti, sequestrati e persino assassinati. Inoltre, hanno un riconoscimento quasi nullo da parte del partito di governo, che ha creato la "Comisión Nacional de los Derechos Humanos" che si preoccupa solo di diffondere una buona immagine del potere.

I membri della "Comisión Mexicana de Defensa y Promoción de los Derechos Humanos" ci hanno dichiarato che valutano importantissima l’esistenza d’iniziative come quella della CCIODH, e aspettano di ricevere il dossier che realizzeremo. Hanno mostrato di apprezzare sia la visita sia l’incontro, secondo loro importante, della signora Mary Robinson in Messico.

 

 

 

 

 

10. Asociación de Familiares de Desaparecidos, incontro con Rosario Ibarra

La Commissione ha incontrato Rosario Ibarra il 17 novembre.

È la fondatrice della prima organizzazione messicana di madri, donne che avevano un parente desaparecido, perseguitato, prigioniero politico o esiliato. La creazione di questo gruppo negli anni ’70, fu per Rosario una necessità perché cercava suo figlio desaparecido. Da allora, ha dedicato la sua vita a cercare e a rendere pubblica la verità sulle vittime nascoste di una repressione che si attua fuori della legge, senza pubblicità né visibilità. Il suo lavoro le ha dato un’attenzione internazionale e una legittimità nazionale: come simbolo della resistenza ha avuto l’incarico di deputata.

La volontà delle madri, il cui comitato nel 1979 ha costituito insieme con altre 50 organizzazioni un Fronte nazionale contro la repressione, che ha permesso loro una serie di successi: negli anni ’80, dopo il loro sciopero della fame, è stata votata la Legge d’amnistia e sono ricomparsi vivi 140 desaparecidos. "Eureka", gridarono le madri. Fu così creato il Comitato Eureka per continuare a cercare i 500 che non erano tornati.

Dal 1969, quindi, sono stati denunciati 640 casi di desaparecidos. Nell’analisi su chi erano le vittime, Rosario insiste sul fatto che questa repressione ha delle motivazioni politiche, volendo punire persone coinvolte in lotte o in organizzazioni sociali e politiche. Negli anni ’70, la maggioranza di coloro che furono desaparecidos aveva partecipato a focolai di guerriglia. Negli anni ’80, appartenevano a movimenti sindacali, urbani o contadini. Ora, negli anni ’90, sono stati presi di mira quadri indigeni, studenteschi e dei diritti umani. Secondo Rosario, la diminuzione del numero dei casi di desaparecidos nell’ultima decade, sembra indicare un cambiamento nelle forme repressive. Fa un’analisi dell’aumento degli assassinii a sfondo politico e come conferma di questa interpretazione: la morte di un congiunto può portare alla rassegnazione, invece, un desaparecido non ti lascia mai in pace "continua ad essere vivo finché non è trovato".

D’altra parte, Rosario aggiunge che le sparizioni continuano ma in modo diverso: sono fatti sparire per ore, per giorni, come dimostrazione di forza, d’impunità, come minaccia. Cita i casi dell’avvocato del "Centro de derechos humanos Miguel Agustin Pro Juarez", la signora Digna Ochoa, sequestrata per ore in casa propria (vedi intervista con CDHMAPJ) e di Ricardo Martínez Martínez, studente della facoltà di Scienze politiche dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), desaparecido per 30 ore, sequestrato in un’auto che l’ha portato per tutta la città.

Nell’analisi di questi due ultimi fatti, Rosario ha poi comparato questo nuovo metodo con gli operativi "classici" degli anni ’70 e ’80. In quell’epoca, indagando caso per caso, le madri denunciarono alcuni gruppi come responsabili delle sparizioni. Sostengono che agivano nello stesso modo, che erano ufficiali – del genere di Seguridad Pública, o della polizia giudiziaria federale, o dell’esercito -, ma con status paraufficiale – come nel caso del noto gruppo chiamato "brigada blanca". Affermano che le forze armate navali, la Marina, erano coinvolte nelle detenzioni illegali dei desaparecidos, come pure il quartiere militare del Distretto Federale: il Campo n°1. Al momento, dice Rosario, non si sa più con precisione chi siano, a quali corpi appartengano, che incarico abbiano, coloro che hanno compiuto questi ultimi sequestri in modo molto preciso, professionale ed esecutivo. I testimoni parlano di gruppi speciali, come dei corpi d’élite poiché agiscono in modo analogo.

Il comune denominatore tra queste azioni repressive di sparizione, dice Rosario, è che questo problema, vale a dire l’esistenza di desaparecidos, è sempre stato negato dalle autorità. Negano di volerlo riconoscere e rifiutano di svolgere delle indagini. Ma noi, dice, "non desistiamo".

 

 

 

 

11. Incontro con l‘organizzazione "Chimalapas Maderas del Pueblo del Sureste, A.C.".

Città del Messico, 17 novembre 1999.

Si definiscono come organizzazione non governativa, ambientalista, ma di un ambientalismo sociale e politico, vincolati alle comunità indigene perché interessati alla difesa delle risorse naturali dei popoli indios della Chimalapas. La regione del sudest messicano fa parte delle cinque regioni con maggiore biodiversità al mondo, ma si trova anche al secondo posto, secondo il rapporto FAO del 1999, per quel che riguarda il tasso di deforestazione. Solo in questo secolo, nel territorio messicano è scomparso il 95% delle foreste tropicali, il 70% dei boschi delle zone a clima umido e il 50% dei boschi delle zone a clima temperato.

L‘80% dell’ecosistema forestale messicano si trova sul suolo di proprietà ancestrale dei popoli indigeni o discendenti da indigeni, e solo il 20% è di proprietà privata. I due Stati con la maggiore biodiversità del Messico sono Oaxaca al primo posto, e il Chiapas al secondo. Ciò non è casuale poiché la biodiversità e la diversità culturale dei popoli indigeni vanno di pari passo, ed è una caratteristica della loro cultura il forte legame che essi sentono con la natura e il modo in cui essi la difendono con tutti i mezzi a loro disposizione.

Le zone con la maggiore biodiversità sono la Selva Lacandona e la Chimalapas. Quest’ultima, con i suoi 600.000 ettari è molto più importante in quanto a biodiversità della Selva Lacandona, essendo presenti in essa tutti gli ecosistemi del Messico, eccetto le nevi perpetue e il deserto. I chimalapas sono suddivisi in due comunità: San Miguel e Santa María de Chimalapas. In entrambi i casi, il 95% del territorio si è conservato grazie ai popoli indios per 2000 anni fino al 1997, conservando tra l’altro, incisioni rupestri e resti archeologici inesplorati. Nel 1998, a causa d’incendi dolosi, è andata perduta una parte della biodiversità equivalente a quella distrutta negli ultimi 2000 anni.

La Chimalapa era la terra dei popoli indigeni che vi risiedevano prima dell’arrivo degli spagnoli. Dopo l’arrivo di questi ultimi, per conservare la proprietà delle loro terre, si videro obbligati a pagare alla Corona spagnola 25.000 pesos d’oro per la concessione di 900.000 ettari di terre che, di fatto, erano già loro. Questa cessione però non comprendeva la creazione di una mappa da cui risultassero i confini dei territori. Chimalapa significa in maya "piatto d’oro", in memoria dei pesos d’oro consegnati agli spagnoli in recipienti per acquistare terre che erano già di loro proprietà.

Dopo l’indipendenza del Messico e, in seguito, con la rivoluzione e le nuove norme che regolavano la proprietà della terra, bisogna aspettare fino al 1967 perché il presidente Díaz Ordaz, mediante un decreto, riconosca i titoli concessi dalla Corona ai popoli indigeni della Chimalapas. Però sono riconosciuti loro solo 600.000 ettari suddivisi in due comunità (San Miguel e Santa María de Chimalapas). I 300.000 ettari restanti erano già stati occupati da proprietari terrieri e non sono riconosciuti come proprietà dei popoli indigeni. Neanche in questa occasione vengono fissati ufficialmente i limiti dei possedimenti e non si consegna alcuna mappa. Con il pretesto che i confini dei territori non erano stati fissati, avviene una penetrazione di compagnie di sfruttamento del legname provenienti dal Chiapas, che usano come avvallo la pretesa proprietà demaniale delle terre. Così vengono installate 25 segherie e cinque imprese di sfruttamento del legname che da 30 anni sfruttano indiscriminatamente le foreste del luogo. Inoltre si promuove un esodo di indigeni tzotzil, privi di terra, dagli altipiani del Chiapas, a cui vengono regalati terreni dei chimalapas, per far occupare loro terre d’interesse di questo stato e generando così scontri con gli indigeni espropriati. Così, usando i tzotzil come scudo, ha luogo la penetrazione dei proprietari terrieri che occupano grandi estensioni di terreno per l’allevamento del bestiame. In questo modo vanno perduti altri 160.000 ettari e vengono stabiliti 34 nuovi municipi, che a partire da allora, sono contesi tra i governatori del Chiapas e di Oaxaca. Nel 1991, dopo lunghe trattative tra le comunità chimalapas e 18 di questi nuovi municipi, viene riconosciuto come abitante delle comunità solo chi vi risiede e lavora e non chi, vivendo al di fuori di esse, si limita a sfruttarne le terre con i propri dipendenti. Il governatore dello stato del Chiapas, Patrocinio González, non riconosce l’accordo e ordina la repressione contro le autorità delle 18 comunità che lo avevano firmato, per obbligarli a sollecitare una protezione da parte dello Stato nei riguardi dei chimalapas. Il documento con cui si richiede la protezione fu firmato a Cintalapa da 16 comunità. I rappresentanti di San Pedro Buenavista e di Calimayor si rifiutarono di firmare. A San Pedro Buenavista, due mesi più tardi, la polizia dello stato del Chiapas aggredì la comunità incendiando e distruggendo le case. La moglie del rappresentante comunale venne stuprata e due dei suoi figli assassinati. Al rappresentante di Calimayor fu tesa un‘imboscata dalla quale uscì fortunatamente vivo, ma che lo costrinse a trasferirsi insieme alla sua famiglia a Santa Maria de Chimalapas, dove dovette risiedere come rifugiato politico. Il 20 dicembre 1993, in seguito a diversi atti di protesta e a testimonianze di solidarietà da parte di organizzazioni ecologiste statunitensi, il presidente Salinas, i governatori degli Stati interessati ed alte autorità federali, firmarono un documento con cui il governo federale si impegnava a trovare una soluzione ai problemi dei chimalapas. Nel luglio del 1995, in seguito a pressioni scaturite dalla mancata attuazione degli accordi, venne firmato un nuovo documento in cui si stabiliva che la settimana seguente si sarebbe riunita una commissione appositamente formata per dar seguito agli accordi, però questa riunione non ebbe mai luogo. Nel 1996, dopo una frode elettorale con la quale vengono elette nuove autorità municipali, comincia una campagna di diffamazione contro la Ong attiva nella regione: la si accusa di appartenere all’EZLN, inoltre, si accusa un suo membro di essere il comandante Reinaldo e di appartenere all’EPR, di trafficare con oggetti archeologici e legname, di essere un narcotrafficante e il mandante di omicidi. Al culmine di questo processo, nel 1998, indigeni armati arrestano e incarcerano, per sottoporli a giudizio, 22 dipendenti di compagnie di sfruttamento del legname, entrati nelle loro terre per abbattere illegalmente degli alberi. Novecento poliziotti vengono mandati nella zona per liberarli ma, passando per una comunità vicina, il comandante dell’operazione di polizia viene anch’esso arrestato dagli indigeni. Viene avviata una trattativa per la liberazione degli ostaggi e vengono pagati 300.000 pesos come risarcimento degli alberi abbattuti; non hanno però luogo né processi né condanne. Casualmente, dopo questi incidenti sono cominciati gli incendi nelle terre dei chimalapas.

Il governo propone ai chimalapas il riconoscimento di una riserva ecologica per difendere le loro terre che non prevede, però, la possibilità di svolgervi lavori agricoli. I chimalapas rispondono che il loro modo di vivere, oltre a rispettare e conservare meglio l’ambiente, dà anche una soluzione alla questione agraria e propongono una riserva ecologica campesina. Sullo sfondo degli interessi governativi contro i chimalapas, proprietari sociali di queste terre, c’è il megaprogetto dell’istmo di Tehuantepec, in cui si prevede di costruire una via di comunicazione transatlantica costituita da un’autostrada a otto corsie e un treno ad alta velocità per il trasporto di containers, che dovrebbe trasportare merci da una parte all’altra dell’istmo in 12 ore. Inoltre, viene contemplata la privatizzazione delle compagnie petrolchimiche della zona, la costruzione lungo le vie di comunicazione di industrie maquiladoras e la realizzazione di progetti di sfruttamento intensivo di tipo agrario, ittico e boschivo. Alcuni progetti sono già partiti, come la creazione di boschi di eucalipto per le cartiere e la costruzione, in una zona abitata da solo 40.000 persone, di un aeroporto internazionale in grado di far atterrare aerei di grandi dimensioni (Boeing 747). Il megaprogetto, che è stato presentato dal governo alla Banca Mondiale, ma non in Messico, verrà realizzato in un territorio la cui proprietà è all’80% nelle mani dei popoli indigeni. Si prevede la creazione di 12.000 posti di lavoro altamente qualificato per una popolazione impoverita di due milioni di abitanti. Inoltre le compagnie a cui verrebbe affidata la realizzazione del progetto porterebbero con sé il proprio personale e le relative famiglie.Il Programma di Certificazione dei Diritti (PROCEDE) attacca le strutture comunitarie in quanto contrappone la proprietà privata della terra a quella comunitaria. Mediante il PROCEDE si promette ai singoli abitanti delle comunità servizi pubblici (luce, acqua, rete fognaria, scuole, sanità, ...) e lavoro in cambio della certificazione della proprietà privata dei singoli abitanti della comunità. In seguito un’impresa tratta con ognuno di loro la cessione del suo terreno in cambio di denaro, che il contadino impoverito vede come piovuto dal cielo. In questo modo, si frammentano le comunità e si rompe il sistema comunitario, il suo tessuto sociale e la sua struttura generale. Tutta questa espropriazione legale è possibile in seguito alla modifica dell’art.27 costituzionale e alla mancata attuazione degli Accordi di San Andrés.

Degli 800.000 ettari di bosco che il governo riconosce come distrutti da incendi in tutto il paese, 210.000 appartengono ai chimalapas. Tra il maggio e il giugno del 1998 si sono verificati 68 incendi. In due notti hanno avuto luogo 17 incendi che disegnano un linea retta che attraversa la Chimalapas. Un pompiere statunitense, specializzato in incendi forestali, ha spiegato che fenomeni del genere possono accadere solo utilizzando un tipo di bomba incendiaria chiamata "ping-pong", che serve a creare barriere di fuoco, quindi in modo premeditato. È anche stato denunciato che, mentre l’esercito dell’Oaxaca ha collaborato all‘estinzione degli incendi, l’esercito del Chiapas ha inviato elementi che hanno obbligato gli abitanti delle comunità a collaborare alla costruzione di eliporti: il governo, di fronte ad una eventuale comparsa di gruppi guerriglieri, prende posizione nello spazio aereo sovrastante la zona, così come spesso succede in Chiapas. È stato denunciato che la zona degli incendi coincide con quella in cui si vogliono costruire eliporti, oltre ad una diga prevista da un progetto della Banca Mondiale e all’autostrada che unirebbe Tuxtla Gutiérrez (capitale dello Stato del Chiapas) a Città del Messico.

Deposito di scorie ad alto rischio:

Con il NAFTA viene creata anche la Banca Americana per lo Sviluppo con il fine di finanziare progetti di sviluppo comuni tra i tre paesi, Canada, Stati Uniti e Messico. Nel 1998, la Banca Americana presenta, di fronte alla commissione ambiente del senato della Repubblica, il suo primo progetto. Questo consiste nella creazione di dieci depositi di scorie radioattive e tossiche nella zona di frontiera con gli USA, nel cuore delle zone aride (con un budget a disposizione di 10 miliardi di dollari), violando, così, diversi trattati bilaterali e multilaterali, ad esempio il Trattato di La Paz, che vieta la creazione di depositi di residui pericolosi a meno di 200 chilometri dalle frontiere nazionali. Nel progetto non si tiene in considerazione il fatto che, in quella zona, risiedono sette gruppi indigeni che sono inoltre i proprietari di quelle terre.

Grandi saline in Baja California:

A San Ignacio e a Guerrero Negro, la compagnia "Exportadora de Sal Spa" (ESSA) estrae attualmente il 60% del sale prodotto nel mondo. Detta impresa, è di proprietà del governo messicano e della multinazionale Mitsubishi. L’obiettivo che si persegue è quello di ampliare questa impresa sino a farne la più grande produttrice di sale al mondo. Il progetto, non solo minaccia la più importante zona di riproduzione di balene grigie al mondo, ma anche i 20.000 abitanti che vivono isolati nel cuore del deserto - non esistono vie di comunicazione, né elettricità né servizi e l’accesso alla zona è possibile solo via mare o per via aerea - e che vedranno scomparire l’habitat in cui vivono. La loro esistenza è basata sulla pesca di gamberetti, tonni, aragoste ed altre specie. In questa zona il mare e il deserto si uniscono formando la riserva del Vizcaino, che è il più importante biosistema endemico del mondo (le specie sono uniche).

Gli Stati coinvolti:

Il Michoacán è una regione Náhuatl, un popolo rimasto completamente isolato dal resto del paese fino a quando negli anni ‘80 fu costruita la strada costiera del Pacifico. È prevista la realizzazione di due megaprogetti: trasformare la città di Lázaro Cárdenas nel più grande porto del Pacifico, e realizzarvi un grande progetto metallurgico, e trasformare la parte nord dello stato in alternativa a Huatulco, Maruata e Puerto Vallarta, conosciuto come il triangolo d‘oro del Pacifico per quanto riguarda il turismo. Attraverso il PROCEDE si stanno offrendo capi di bestiame in cambio di ettari di spiaggia ai náhuatl, che sono i proprietari comunitari delle terre, i quali si vedono obbligati ad accettare sia per necessità materiali impellenti sia per le minacce. Nel Nayarit si trovano le più grandi foreste di mangrovie del continente, dalla Patagonia all’Alaska, e ed è la terra di uno dei popoli più antichi d’America: gli huicholes. La loro cultura tradizionale è profondamente radicata e i loro centri cerimoniali non sono archeologici, resti del passato, ma vengono usati tuttora. Si sta realizzando qui un grande progetto turistico, in cui impresari statunitensi stanno investendo 30 miliardi di dollari, che comprende la costruzione di 15 mila residenze turistiche, cinque campi da golf, un ippodromo... Inoltre si stanno realizzando 29 progetti di allevamento di gamberi per competere con il sudest asiatico e trasformare il paese nel più importante produttore di gamberi del mondo: ciò significa però la distruzione di 250.000 ettari di foresta di mangrovia. Tutto ciò si sta costruendo su terre di proprietà dei popoli huave, nohue, chinanteco, huichol, che vengono privatizzate con il PROCEDE.

Nella costa orientale, da nord verso sud, si sta costruendo il canale costiero che servirà a trasportare, verso gli Stati Uniti, le merci che passeranno per l’istmo di Tehuantepec, nel modo più rapido ed economico; infatti, esso verrà collegato con la rete di canali presente nel sud degli USA. Questo canale avrà duecento metri di larghezza per venti di profondità.

L’oro verde:

La rivoluzione industriale era basata sul carbone, in seguito, la rivoluzione tecnologica fu possibile grazie al petrolio, ma il XXI° secolo sarà quello de "l’oro verde". Chi avrà il controllo delle risorse genetiche controllerà la salute e gli alimenti. Il Messico dispone di grandi potenzialità per quel che riguarda le risorse genetiche ed esiste un progetto che fa riferimento alla "pianta del miliardo" (si intende per "pianta del miliardo" quella che, usata per operazioni commerciali, produce, nel giro di cinque anni, utili minimi del valore di un miliardo di dollari). Il Dipartimento per le Droghe e i Servizi degli Stati Uniti ha investito nel 1998, in seguito ad accordi con la multinazionale Monsanto ed altre imprese del ramo, 60 milioni di dollari in bioricerche nel Messico, alla ricerca della "pianta del miliardo".

Nel 1998, il governo messicano convinse l’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), attraverso l’Istituto di Biologia e l’Istituto di Tecnologia, a firmare un accordo senza precedenti nel mondo con la ditta DIBERSA, una filiale della Monsanto, con il quale si consegnano a detta impresa tutti gli archivi genetici della UNAM, tutti gli erbari, tutte le mostre, tutto il materiale bibliografico prodotto dalla UNAM dalla sua creazione, tutte le ricerche sui principi attivi delle piante, tutto ciò, in cambio di 50 miliardi di dollari in apparecchiature obsolete per gli statunitensi, apparecchiature usate. E non si tratta solo di consegnare tutto quello che la UNAM ha prodotto finora, ma anche tutto quello che produrrà nei prossimi vent’anni. Non solo è stata violata la Costituzione messicana, ma si è anche venduto il potenziale uso delle millenarie conoscenze indigene sulle piante, depredando per l’ennesima volta gli indios. La maggior parte di queste ricerche sono state realizzate grazie alle conoscenze delle piante degli indigeni, ai quali non sono mai stati comunicati i risultati. Si passava dalla ricerca alla commercializzazione, dimenticandosi di darne conoscenza alle comunità. Tutta la biodiversità, tutte le banche genetiche si trovano in territorio indigeno. Da quanto finora esposto, risalta il fatto che tanto le risorse naturali quanto il territorio in cui si vogliono realizzare i megaprogetti, appartengono agli indios, e che il loro sfruttamento influisce sulle forme di vita di questi. Non è un caso che si siano create difficoltà per impedire la firma degli Accordi di San Andrés, in quanto essi rappresentano una chiave per il controllo delle risorse naturali più importanti del Messico. Non riconoscere gli Accordi di San Andrés, significa poter depredare le ricchezze che appartengono agli indigeni. Gli Accordi di San Andrés non solo riguardano gli indios del Chiapas, bensì quelli di tutto il Messico e la loro attuazione significherebbe permettere ai popoli indigeni di disporre liberamente delle proprie risorse.

 

 

 

 

 

12. Coordinadora de la Consulta por la Paz y los Derechos Indígenas di Coyoacán,

Quanto segue è un riassunto degli interventi dei membri delle brigate della Consulta zapatista di un quartiere di Città del Messico

Mario Padilla: Vorrei qui porre l’accento sull’importanza del lavoro della commissione nel contesto della campagna denigratoria nei confronti degli osservatori dei diritti umani, montata l’anno scorso dalla stampa e dal governo federale. In quel periodo, i difensori dei diritti umani furono accusati d’essere "complici e protettori di criminali e delinquenti". L’attuale governatore dello Stato del Messico, Arturo Montiel, durante la sua campagna elettorale, ha dichiarato che "i diritti umani sono per gli umani, non per i topi di fogna (ratas)", riferendosi a chi compie delle azioni delittuose. Esiste un "clima di linciaggio" a favore dell’istituzione della pena di morte.

In quanto ai diritti umani, il governo si oppone in modo particolare alla creazione di un ombudsman militare (vedi il caso del generale Gallardo). Un anno fa, alcuni militari hanno costituito il "Comando de Concientización Patriótica y Popular" con lo stesso tipo di rivendicazioni. Hanno sfilato disarmati per la capitale, sono stati arrestati, giudicati da tribunali militari e mandati in carceri militari dove si sospettano torture. Inoltre, l’atteggiamento adottato dal presidente della "Comisión Nacional de Derechos Humanos" (CNDH), recentemente designato dal presidente e non eletto dal parlamento, che si è presentato, qualche giorno fa, in un’università privata accompagnato da guardie del corpo armate che non sono state fatte passare; per questo motivo anche lui si è rifiutato di entrare.

Blanca Ibarra: Appartengo alla brigata di Coyoacán. Nel marzo scorso, si è costituito questo coordinamento per promuovere ed effettuare la consultazione sui diritti dei popoli indigeni indetta dagli zapatisti. Molti partecipanti alle brigate si sono mobilitati sin dal 1994, prima con il rifiuto popolare alla soluzione armata, poi per la consultazione del 1995 e in tante altre occasioni. Dopo la consultazione del marzo di quest’anno, hanno deciso di non sciogliersi e, così, l’EZLN li ha invitati a svolgere i "sette compiti" relativi all’organizzazione della consulta e all’accoglienza dei delegati zapatisti in ogni municipio del Messico. Abbiamo lavorato quindi per diventare un ponte tra gli zapatisti e il resto della società civile, informando sul Chiapas e sulla situazione dei diritti dei popoli indigeni, e per creare una rete della società civile ponendo come base le 13 richieste principali degli zapatisti per tutti i messicani: terra, abitazione, lavoro, alimentazione, salute, istruzione, cultura, informazione, indipendenza, democrazia, libertà, giustizia e pace. Per quanto riguarda la Consulta del 21 marzo scorso, questa è stata realizzata nei 32 Stati della Repubblica. A Città del Messico, il lavoro è stato suddiviso tra le 16 delegaciones, vale a dire le 16 unità amministrative e politiche esistenti. Solo a Coyoacán, una di queste unità, sono state costituite 18 brigate che hanno collocato 150 banchetti informativi in cui sono state raccolte 45.000 risposte. A livello nazionale, 3 milioni di persone hanno espresso la propria opinione riguardo al riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni. Nonostante l’assenza di mezzi propri di espressione e il silenzio da parte dei mass-media, esiste una grande simpatia tra la popolazione nei riguardi degli zapatisti, e i loro appelli trovano sempre una grande eco. Lo zapatismo cresce attraversando tappe di riorganizzazione della società civile e momenti di ricerca di nuove prospettive. Gli impegni assunti dalla società civile in solidarietà con gli zapatisti sono la messa in atto delle attività che questi propongono attraverso i loro appelli: la rottura dell’assedio militare attraverso la diffusione di informazioni e l’organizzazione di carovane, così come l’organizzazione di corsi di formazione professionale. Il contributo apportato dagli zapatisti alla società civile attraverso il processo portato a termine durante i dialoghi di San Andrés Larrainzar con il governo è una nuova forma di fare politica, in cui non solo si portano avanti richieste di cambiamento, ma ci cambia anche dentro come persone. Si cerca e si riesce a fare in modo che non ci siano dirigenti.

José Luis Montoya: Sono membro di un gruppo che distribuisce il caffè prodotto nel Municipio Autonomo Ernesto Che Guevara in Chiapas. Portiamo avanti con i compagni zapatisti anche un altro progetto di formazione per applicazioni di produzione manifatturiera e fabbricazione di macchinari e pezzi meccanici. Inoltre, nello stesso municipio, si collabora con un gruppo spagnolo che vuole raccogliere fondi per l’ambito sanitario, previa analisi dei bisogni.

Arturo Landeros: La mia brigata porta avanti da un anno un progetto pilota di ludoteca ad Acteal. Il 18 di dicembre si trasporterà il materiale. Funzionerà attraverso i promotori di educazione all’interno della comunità e si spera poterne costruire anche altre. Per il trasporto del materiale didattico abbiamo sempre dovuto subire gli impedimenti creati dalle autorità attraverso controlli e perquisizioni lunghissime ed esasperanti per poter raggiungere Acteal.

Salustio Barrios: Appartengo alle Comunità Ecclesiastiche di Base, gruppi di cattolici che rivendicano i valori cristiani di impegno con la società, con l’altro. Riflettiamo sulla parola di Dio e la vincoliamo al nostro impegno civile a livello di quartiere e solidarizzando con i più bisognosi. Così appoggiamo i fratelli chiapanechi e facciamo parte del coordinamento.

Mara Tello: Faccio parte di un’organizzazione di quartiere che ha come obiettivo il fomentare la formazione di gruppi di cittadini per esigere dalle autorità il rispetto dei loro obblighi di provvedere, ad esempio, alla sicurezza pubblica o all’illuminazione elettrica. Inoltre organizziamo iniziative per richiedere il rimboschimento della zona e per realizzare progetti finanziati attraverso l’organizzazione. Ci muoviamo insieme con altre realtà di lotta popolari (alcuni studenti della facoltà di chimica in sciopero ci appoggiano dando corsi di formazione politica).

Cecilia Peralta: Sono d’accordo con quello che dice Mara. Uno degli obiettivi di questo coordinamento è lottare per realizzare le 13 richieste principali degli zapatisti, non solo in Chiapas o per gli indigeni, ma anche nei nostri quartieri e barrios, nei nostri spazi, coordinandoci con altre organizzazioni sociali specializzate in queste attività.

Guadalupe Pavía: Faccio parte della brigata di Contreras che vede al suo interno la partecipazione di studenti, casalinghe, professionisti, lavoratori dell’ambito educativo, ecc., che si sono conosciuti organizzando la consultazione del marzo del 1999 e che continuano a lavorare nel coordinamento, non solo appoggiando gli zapatisti, bensì per risolvere anche i problemi che esistono in ogni Stato. Le violazioni dei diritti dei popoli indigeni avvengono in tutti gli Stati della Repubblica e il bisogno di difendere i diritti esiste anche nelle città dove, per esempio, alcuni studenti in sciopero della UNAM sono minacciati di arresto; alcune settimane fa è stata violentata una compagna studentessa e non ci sono in atto serie indagini di polizia per scoprire i colpevoli; la polizia mantiene un controllo forte sulla popolazione usando una legge che permette, al fine di cercare armi, il fermo dei passanti. Durante lo sciopero, vari studenti sono stati arbitrariamente arrestati fuori del recinto universitario e sequestrati perché dichiarati sospetti. Non è stato dato seguito giuridico a migliaia di denunce formali esposte per violazioni dei diritti costituzionali. Il coordinamento vuole diffondere informazioni su queste violazioni in Chiapas e in altri Stati ed appoggiare le lotte dei diversi settori della società civile (contadini, studenti, ...)

Guadalupe Buensil: Io sono della brigata di Coyoacán. Il neoliberismo e la globalizzazione, sono responsabili della persecuzione sistematica dei popoli indigeni e dei più emarginati del nostro paese, degli attacchi all’educazione pubblica, dei danni ambientali, ecc. L’impegno intrapreso dal coordinamento consiste nell’appoggiare le diverse lotte a livello nazionale e nell’articolarle. Così si sta creando una rete informativa tramite posta, comunicati stampa, volantini, video, ecc. Propongo alla commissione di avere uno scambio delle informazioni raccolte. L’impegno del coordinamento è di non limitare questo lavoro alle zone emarginate e più colpite (indigene), ma di realizzarlo anche nelle nostre rispettive comunità.

Eduardo Aguirre: Il primo diritto che si sta negando al popolo messicano, per far sì che non venga a conoscenza dei propri diritti umani, è il diritto all’informazione. I mezzi di comunicazione di massa sono proprietà di imprese private che seguono criteri commerciali e sono sotto il controllo del governo, che crea disinformazione. Per esempio, lo sciopero dell’UNAM è regolarmente attaccato, i compagni studenti in sciopero subiscono continue diffamazioni attraverso una campagna di linciaggio pubblico basata sul presunto disturbo alla circolazione che causerebbero con le loro manifestazioni.

Lucía García: Faccio parte di un comitato per i diritti umani di Santo Domingo (zona sud della città).

Esiste una grave violazione dei diritti umani sia a livello nazionale sia a Città del Messico. Abbiamo sviluppato una rete ecclesiale riunendo 12 vicariati di 8 parrocchie. Effettuiamo un lavoro di sensibilizzazione sui diritti umani perché solo chi è informato abbandona quell’atteggiamento tipico di rassegnazione, sintetizzato nella frase: è Dio che ha voluto così.

Moisés Quintana: Appartengo alla brigata di Coyoacán, e sono membro di "Familia Franciscana". È più che mai necessario che il governo attui gli Accordi di San Andrés firmati con l’EZLN.

Mario Padilla: L’ostacolo maggiore al rispetto dei diritti umani è la corruzione dell’apparato giudiziario di cui vi darò ora un esempio: la mia brigata appoggia 17 comunità indigene degli stati di Guanajuato e Michoacán (zona di Salvatierra), le cui casse popolari sono state rovinate a causa degli alti tassi di interesse stabiliti dalle banche creditrici. Questa gente è stata privata delle proprie terre, case, mezzi di trasporto e degli attrezzi di lavoro con la complicità delle autorità giudiziarie e civili. Quando si rivolsero a degli avvocati, questi furono cooptati e li hanno lasciati senza difesa (poi la brigata li mise in contatto con l’associazione "Abogados Democráticos). Inoltre queste comunità costituiscono "l’Asociación Cívica Salvaterrense" che non solo promuove i diritti umani individuali ma anche i diritti civili e sociali collettivi. Abbiamo avviato un progetto di nuovo municipio che prevede una maggiore partecipazione della popolazione attraverso assemblee comunali pubbliche, contabilità pubblica, referendum e l’istituzione del diritto alla rimozione dei funzionari. Siamo oggetto di tentativi d’infiltrazione da parte della PGR (Procura Generale della Repubblica) che fotografa e filma i membri della brigata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4. Denunce ricevute

  1. Acteal, Municipio Autonomo di Chenalhó. "Organización de la Sociedad Civil Las Abejas", 22 novembre 1999. Documento contro la liberazione degli autori della strage e richiesta di visita ad Acteal rivolta a Mary Robinson.
  2. CERESO nº1 Cerro Hueco, Tuxtla Gutierrez. "La Voz de Cerro Hueco", 22 marzo 1999. Documento sull’esistenza di prigionieri politici nello stato del Chiapas, rivolto a Mary Robinson.
  3. Amador Hernández, Municipio Autonomo "General Emiliano Zapata". Rappresentanti del presidio di Amador Hernández, 21 novembre 1999. Denuncia dell’occupazione militare illegale di terreni della comunità e di altri fatti illegali compiuti dall’Esercito Federale.
  4. San Pedro Polhó, Municipio Autonomo di San Pedro Polhó. Consiglio Municipale Autonomo, 20 novembre 1999. Denuncia riguardante la violenza militare e paramilitare che dall’aprile 1997 ha colpito le regioni di Los Altos, Zona Norte, Sur e La Selva, e che ha causato lo sgombero di migliaia di persone dalle loro comunità. Viene accompagnato da una lista, per comunità, di aggressori e di gruppi paramilitari.
  5. Oventic, Municipio di San Andrés Sakamch’en. "Agencia Municipal de Bayalemo", 19 novembre 1999. Denuncia di provocazioni e minacce da parte dell’Esercito Messicano.
  6. San Pedro Polhó, Municipio Autonomo di San Pedro Polhó. Consiglio Municipale Autonomo, 18 novembre 1999. Denuncia dell’occupazione di terre di Agustín Pérez da parte di Antonio Pérez Sántiz, che viene inoltre accusato di aver partecipato alla strage di Acteal.
  7. Patria Nueva, Municipio Autonomo "1 de Enero". Consiglio Municipale Autonomo, 18 novembre 1999. Denuncia della costruzione di una strada su commissione de "Secretaría de Gobierno" senza il consenso delle comunità della zona.
  8. Amparo Aguatinta, Municipio Autonomo "Tierra y Libertad". Pueblo Autonomo. Denuncia della manovra dei priisti di farsi passare per disertori zapatisti per ottenere in cambio benefici dal governatore dello Stato Roberto Albores.
  9. San Samuel, Municipio Autonomo San Samuel. Denuncia di pattugliamenti terrestri ed aerei e di posti di blocco dell’Esercito Fedrale Messicano nella regione di Las Cañadas.
  10. San Samuel, Municipio Autonomo San Samuel. Denuncia della divisione provocata nelle comunità dal governo attraverso le risorse economiche.
  11. San Samuel, Municipio Autonomo San Samuel. Relazione di diverse denunce. Lista dei nomi degli accusati di delitti.
  12. San Marcos, Municipio Autonomo San Samuel. Municipalità di San Marcos. Denuncia sull’accampamento della Polizia Federale su terreni della comunità La Trinidad.
  13. Ricardo Cayetano Martínez Martínez. Denuncia per la Comisión de Derechos Humanos di Città del Messico, sul suo sequestro, torture e interrogatorio da parte di sconosciuti a causa dello sciopero all’UNAM.
  14. Tierra Blanca, San Vicente Loxicha, 15 novembre 1999. Denuncia di violazione di domicilio, sequestro e incarcerazione di Fernando Santiago Enríquez e di Gaudencio Martínez López, da parte di un operativo congiunto del presidente municipale, Lucio Vázquez Ramírez, dell’Esercito Messicano, della polizia giudiziaria, statale e preventiva, di guardias blancas e di paramilitari.
  15. San Agustín Loxicha, Oaxaca. "Unión de Pueblos Contra la Represión y Militarización de la Región Loxicha", "Comité de Familiares de Presos Políticos de la Región Loxicha" e "Comité de Presos Políticos de la Región Loxicha", 25 novembre 1999. Denunce di repressione, esecuzioni extra-giudiziarie e sparizioni forzate, consegnate a Mary Robinson.
  16. Arroyo Granizo. Ordine di carcerazione formale contro Antonio Jiménez Encino, per i reati di lesioni, omicidio qualificato, aggressione e furto ai danni di una famiglia del municipio.
  17. Familiari di José Hidalgo, San Cristóbal de Las Casas, 21 novembre 1999. Relazione delle pratiche giuridiche nell’indagine sulla morte di José Hidalgo.
  18. Comitato Esecutivo Statale del "Partido de la Revolución Democrática" (PRD), Tuxtla Gutiérrez, 22 novembre 1999. Petizione rivolta alla signora Mary Robinson affinché emetta una raccomandazione presso il Procuratore Generale della Giustizia dello Stato, sull’arresto degli aggressori dell’ingegnere Julian Raquel Ramirez Morales, fatto avvenuto il 26 maggio 1999.
  19. Minaccia: Pamphlet contro il vescovo Samuel Ruíz García, Amado Avendaño e altri cittadini di San Cristóbal de Las Casas, in cui si minaccia di bruciar loro le case e di ammazzarli.
  20. Jolnixtié, Zona Norte, 18 settembre 1999. Denuncia della comunità contro due membri di "Paz y Justicia" che hanno minacciato alcuni appartenenti alla comunità e tentato di aggredirli a colpi di machete.
  21. Nuevo Centro de Población Patria Nueva, Municipio autonomo "Primero de Enero", 21 novembre 1999. Denuncia riguardante la detenzione, l’aggressione e la tortura nei confronti di due persone ad opera di militanti del PRI di comunità limitrofe. Il conflitto ha come origine la costruzione di un tratto di strada.
  22. San Cristóbal de Las Casas, 20 novembre 1999. 14 famiglie di desplazados denunciano la situazione dei rifugiati nei campi delle Regioni Autonome Plurietniche di San Cristóbal de Las Casas.
  23. Regione Loxicha, Oaxaca. Senza data. Denuncia d’incarcerazione di campesinos per presunta appartenenza all’EPR.
  24. "Liga Mexicana por la Defensa de los Derechos Humanos", 16 novembre 1999. Petizione al governo federale e al governo dello stato di Oaxaca, in cui si chiedono garanzie al rispetto dell’integrità fisica e patrimoniale di María Estella García Ramirez.
  25. Lettera alla signora Mary Robinson in cui si denuncia la situazione agraria a San Juan Jaltepec, Oaxaca, 17 novembre 1999.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5. Documentazione ricevuta

1. "La Guerra en Chiapas: Denuncias de las comunidades indígenas". Gennaio-Luglio 1999. Enlace Civil A.C.

2. Dossier informativo della "Red Civil de Observación", RECIO, 1999

3. "Para México...Cuatro Lunas por la Paz", Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad, Centro de Promoción para la Paz, A.C., 1999

4. "Acteal. Entre el Duelo y la Lucha", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., dicembre 1998

5. "La Legalidad de la Injusticia", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., agosto 1998

6. "Presunta Justicia", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., marzo 1998

7. "El Proceso de Guerra en México, 1994-1999: Militarización y Costo Humano", Espacio de Reflexión y Acción Conjunta, 1999

8. "Solicitud de Juicio Político en contra del Gobernador Sustituto del Estado de Chiapas, C. Roberto Albores Guillén", Ofelia Medina, Begoña Lecumberri e Gloria V. Mansur

9. Rapporti degli osservatori internazionali de La Realidad, 22 novembre 1999

10. "Informe sobre la situación de los Derechos Humanos en Chiapas", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., 1998

11. "Seis Meses de Estado de Derecho en Taniperla", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., ottobre 1998

12. "Reporte sobre los atentados al derecho a la libertad religiosa en Chiapas", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., 1998

13. "La disputa por la legitimidad. Aniversario de los ataques a los municipos autónomos", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., maggio 1999

14. "Special Report On Execution In Chiapas", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., 1998

15. "El Laberinto de la Impunidad. Postura sobre la iniciativa de Ley de Amnistía para el desarme de los Grupos Civiles en el Estado de Chiapas", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., febbraio 1999

16. "El Valor de la Vida. Propuesta al Gobierno del Estado", Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., 28 febbraio 1999

17. "Chiapas: La guerra. Entre el satélite y el microscopio, la mirada del otro (Carta 5.1)", Subcomandante Insurgente Marcos, 20 novembre 1999

18. "Estudio descriptivo sobre el estado de nutrición en menores de cinco años en tres comunidades indígenas de la zona de conflicto en Chiapas". Víctor Ríos Cortazar, Edith Pimentel Reza, M.Adriana Quintero Ortiz e M.Lizbeth Tolentino Mayo.

19. "Informe del FZLN sobre el asesinato de Cosme Damián Sastre Sánchez". FZLN.

20. "Informe breve sobre la situación de los presos políticos del FZLN en el Estado de Querétaro". FZLN.

21. "Evaluación sobre la situación de los derechos humanos en Jolnixtié, Municipio de Tila". Caravana Nacional Estudiantil ¨Ricardo Flores Magón¨, Jovenes construyendo la paz. Giugno 1998.

22. "Folleto explicativo del Movimiento BACOSAN" di San Cristóbal de Las Casas.

23. "Estadistica de población desplazada por municipios hasta 1999", consegnato da Enlace Civil A.C.

24. Cartella di documenti consegnati dal "Congreso Nacional Indígena" contenente, tra l’altro:

- Situazione Generale dei diritti dei popoli indigeni in Messico, Riunione di Mary Robinson con organismi civili di Città del Messico.

- Proposta per l’articolo sulla cooperazione

- Dichiarazione politica di Valladolid (Foro Maya Peninsular CNI)

- Riviste: ATLALLI (Maggio e Giugno 1999)

- Diritti indigeni e Ambiente.

- La Storia di Chimalapa. (Maderas del Pueblo del Sureste. A.C.)

- Chimalapas. I diritti Indigeni e l’Ambiente in Messico.

- Chimalapas, Il problema agrario

- Chimalapas. Il Conflitto dei limiti tra Oaxaca e Chiapas.

- Copia dell’atto degli accordi tra il Governo Federale e gli Stati di Chiapas e Oaxaca con la comunità Chimalapas. 20 dicembre 1993.

- Atto degli accordi tra rappresentanti del Governo Federale, gli Stati del Chiapas e Oaxaca e la comunità di Chimalapas. 25 luglio 1995.

- Chimalapas. Riserva ecologica campesina.

- Ritagli di stampa sul megaprogetto dell’Istmo di Tehuantepec, Oaxaca.

- Scambio di corrispondenza tra la "Secretaría del Medio Ambiente, Recursos Naturales y Pesca" e "Asociación Civil Maderas del Pueblo del Sureste".

- Copia della proposta di Decreto che riforma la frazione XXV dell’Articolo della Costituzione politica degli "Estados Unidos Mexicanos" e stabilisce la "Ley general del Patrimonio Cultural de la Nación".

- Rapporto del "Frente Nacional en Defensa del Patrimonio Cultural" sulla "Ley de Patrimonio Cultural de la Nación".

- Comunicato N°5 del "Sindicato de Academicos" del "l’Instituto Nacional de Antropología e Historia" sulla "Ley de Patrimonio Cultural de la Nación".

- Ponencia: Patrimonio Cultural Indígena del Frente Nacional para la Defensa del Patrimonio Cultural.

25. "La estrategia de guerra en Chiapas, primera parte". Centro de Investigaciones Económicas y Políticas de Acción Comunitaria, A.C. (CIEPAC). Luglio 1999.

26. "Pronunciamiento del Congreso Nacional Indígena"(CNI). Ottobre 1999.

27. "Boletín de la Cáritas Mexicana". Novembre 1999.

28. Esame del IV Rapporto periodico del Messico in relazione al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici. Nazioni Unite, Comitato dei Diritti Umani, 66° periodo di sessioni. Luglio 1999.

29. Programma svizzero di Osservazione in Chiapas, rapporto della seconda missione: 19 giugno al 2 luglio1999.

30. Stranieri di coscienza, campagna del Governo messicano contro gli osservatori dei diritti umani in Chiapas. AA.VV (Global Exchange). Aprile 1999.

31. Cartella di documenti consegnata da "Red de la Sociedad Civil".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6. Conclusioni e raccomandazioni

Le conclusioni del Primo Dossier della CCIODH affermavano che nello stato messicano del Chiapas, la situazione dei diritti umani si trovava in uno stato di gravissimo deterioramento, ed enumeravamo i sette fattori che, a nostro giudizio, contribuivano, in maggior misura, a generare detta situazione. Questi erano:

1. L’intensa militarizzazione della zona.

2. La presenza di gruppi paramilitari.

3. La situazione generalizzata d’impunità.

4. Gli ostacoli nell’accesso alla giustizia.

5. La situazione di miseria strutturale in cui versano le comunità.

6. La repressione delle forme d’organizzazione della società civile.

7. La mancanza di volontà politica nella ricerca di una soluzione rispettosa alle rivendicazioni indigene.

Di fronte a questa situazione, la CCIODH emise undici raccomandazioni che, consideriamo, avrebbero potuto contribuire a migliorare la situazione menzionata. Un anno e mezzo dopo, e in seguito al lavoro svolto nell’arco di questi dieci giorni, possiamo fare un bilancio provvisorio di quale sia la situazione rispetto ad ognuna delle nostre precedenti raccomandazioni.

1. Attuazione immediata e totale degli Accordi di San Andrés e continuazione del processo di dialogo e negoziato, tra l’EZLN e il governo federale.

In questo paragrafo, la CCIODH ha costatato che l’attuazione degli Accordi di San Andrés, che il governo ha sottoscritto, continua in uno stato di paralisi. Sia nell’iniziativa di legge sui diritti indigeni del presidente Zedillo, sia nelle diverse leggi approvate in alcuni stati, si ignora l’asse centrale degli accordi, che è il riconoscimento dei diritti e cultura dei Popoli Indigeni, poiché, detto riconoscimento non supera l’ambito municipale e pertanto ignora, di fatto, i loro diritti come tali e non li riconosce come soggetti di diritto.

La creazione di Municipi Autonomi, organizzati in accordo a quanto pattuito a San Andrés, ha provocato la reazione del governo messicano che violenta e attacca sistematicamente gli stessi, per conseguire il loro smantellamento.

Sia la proposta di legge federale sui diritti indigeni (che pretende di sopperire all’iniziativa di legge elaborata dalla COCOPA), come la legge di rimunicipalizzazione del governo del Chiapas, hanno fondamentalmente due propositi:

- isolare le comunità e i Municipi Autonomi;

- generare una situazione favorevole alle elezioni del 2000, in funzione delle adesioni che si producono grazie ai benefici economici suddivisi tra coloro che si sottomettono.

2. Rispetto al progetto d’iniziativa di riforme costituzionali della COCOPA.

L’iniziativa di legge emessa dalla COCOPA, continua a non essere inclusa a dibattito nelle Camere Legislative, perché il governo ha disconosciuto quest’iniziativa ed emesso, in maniera unilaterale, una sua iniziativa di legge in materia.

3. Consolidamento delle funzioni delle istanze di mediazione tra le parti, CONAI, e di verifica, COSEVER.

La CONAI si scioglie nel giugno del 1998, a causa dei continui attacchi, oblio e ritiro della fiducia da parte del governo. La COSEVER, a causa della non attuazione degli Accordi di San Andrés e, di conseguenza per la sospensione del dialogo, si converte in un’istanza senza spazio d’azione.

4. Porre fine alla militarizzazione e paramilitarizzazione, (rientro dell’esercito nelle sue caserme e disarmo dei gruppi paramilitari).

L’aumento di effettivi dell’esercito federale, di accampamenti e basi militari così come un maggior numero di posti di blocco, contraddice esplicitamente la raccomandazione sul rientro dell’esercito nelle sue caserme. Ogni giorno di più aumenta il numero di soldati, moltiplicandosi gli accampamenti militari e i posti di blocco, pregiudicando conseguentemente le comunità indigene che vedono come la prostituzione, l’alcol e le droghe sono introdotte dai soldati e, allo stesso tempo, vedono inquinate le acque da cui si approvvigionano. Anche la loro vita quotidiana si vede gravemente alterata dalle perquisizioni ed intimidazioni che subiscono nei numerosi controlli militari, colpendo in modo grave la loro economia per le difficoltà che hanno a produrre e commercializzare i loro prodotti.

La presenza dell’esercito fa sì che gli abitanti delle comunità si dividano tra coloro che si beneficiano dalla prestazione di servizi ai soldati e coloro che si mantengono al margine per esprimere il loro ripudio dell’invasione di cui sono oggetto.

La divisione prodotta nel seno di gruppi paramilitari come "Paz y Justicia" a causa della discordia provocata dalla ripartizione dei "benefici" ricevuti dal governo, aumenta il clima di violenza, con il conseguente incremento dell’insicurezza nella zona.

Questa situazione è in flagrante contraddizione con la presunta missione di difesa dell’ordine che il governo assegna all’esercito ed alle forze di sicurezza.

Le comunità denunciano che ogni giorno aumenta il numero dei gruppi paramilitari, così come l’azione congiunta di elementi di detti gruppi con membri dell’esercito federale e di polizia, in operativi contro le comunità. Non siamo a conoscenza del fatto che un solo gruppo paramilitare sia stato disciolto o disarmato.

5. Assicurare il libero accesso alla giustizia e promuovere la lotta contro l’impunità per mezzo di azioni globali e non meramente simboliche.

Nonostante l’annuncio, da parte del governo federale, di misure come la denominata "Crociata Nazionale contro la Violenza e l’Impunità" e l’istituzione di alcuni "tribunali indigeni", nella pratica gli alti livelli di impunità e discriminazione, in special modo nei confronti di persone indigene, continuano ad essere molto preoccupanti. In questo senso, risalta il numero ridotto di denunce in cui l’indagine arriva sino alla fine dell’intero procedimento giudiziario. In questo modo, si deve continuare a parlare di una situazione generalizzata di mancanza di accesso egualitario e con tutte le garanzie alla giustizia.

Mentre il governo continua a negare l’esistenza di gruppi paramilitari (li riconosce solamente come gruppi di civili armati), questi continuano a proliferare, favoriti dalla legge statale di amnistia, che asseconda la situazione di impunità degli stessi.

6. Amnistia immediata ai prigionieri politici.

Risulta contraddittorio che il governo federale affermi di non riconoscere l’esistenza di prigionieri politici e, tuttavia, annunci la liberazione di "membri o simpatizzanti dell’EZLN" (nello scritto presentato dal Coordinatore per il dialogo ed il negoziato in Chiapas). D’altro canto, i 46 presunti " membri o simpatizzanti dell’EZLN" liberati fino ad oggi, non lo sono stati per il desistere nel procedimento sulle loro accuse, bensì per pre-liberazione, per pagamento di cauzione o per aver scontato la condanna. Di conseguenza, non è stata prodotta alcun’amnistia giacché continua ad esserci più di un centinaio di prigionieri politici nelle carceri del Chiapas.

7. Ritorno dei desplazados alle loro comunità d’origine, con la totale restituzione dei loro beni e con il corrispondente indennizzo per i danni e le perdite subiti.

I desplazados o rifugiati a causa di guerra, il cui numero invece che diminuire aumenta, continuano senza poter tornare alle proprie case perché le condizioni che li hanno costretti alla fuga non sono assolutamente variate. Continuano le minacce e la persecuzione dei paramilitari verso le famiglie che tentano il ritorno.

Le richieste di indennizzo dei rifugiati sono disattese e, nella misura in cui si estende la loro situazione, si possono generare nuovi conflitti per l’occupazione o, in alcuni casi, della vendita delle terre che occupavano nelle loro comunità d’origine.

8. Rafforzamento degli organismi dei diritti umani messicani e garanzia della presenza di organismi a carattere internazionale, così come il riconoscimento di uno status internazionale dell’osservatore.

Il governo prosegue nell’ignorare le azioni e le denunce dei diversi organismi dei diritti umani messicani, la cui situazione si è vista minacciata ed attaccata sia in senso materiale sia nell’integrità fisica delle persone che vi lavorano. Inoltre, dalla prima visita della CCIODH, il Governo ha emesso una normativa per regolare il lavoro di osservazione internazionale attraverso la concessione di visti FM3, previo il compimento di rigidi requisiti. Questa normativa, come il modo in cui è applicata, suppone una chiara restrizione allo svolgimento dell’operato degli osservatori dei diritti umani. Questo è stato costatato dalla CCIODH nella sua seconda visita, posto che, nonostante aver adempiuto tutti i requisiti richiesti, sono stati concessi solo undici visti sulle quarantuno richieste, senza fornire, d’altro canto, alcun tipo di spiegazione giustificativa.

9. L’intervento della Croce Rossa Internazionale come mezzo di garanzia dell’assistenza umanitaria alla popolazione, dovuta al rifiuto esistente verso gli aiuti provenienti da organismi istituzionali messicani.

Anche se con critiche al suo operato, l’intervento della Croce Rossa Internazionale, assicura in alcuni casi l’alimentazione dei desplazados e, quindi, è visto come una garanzia di sicurezza e pertanto si chiede la sua permanenza nella zona. Verso la Croce Rossa Messicana, le popolazioni desplazadas mantengono lo stesso atteggiamento di sfiducia, poiché la considerano del governo.

10. La designazione di un relatore speciale dell’ONU per il Messico.

Non è stato designato alcun relatore speciale per il Messico. La visita della Relatrice Speciale per le Scomparse e le Esecuzioni Extragiudiziarie e quella dell’Alto Commissario che è avvenuta in questo periodo, per la loro brevità e limitazioni non si possono equiparare alla presenza permanente di un Relatore Speciale.

11. L’istituzione di un meccanismo da parte dell’Unione Europea di seguimento della Clausola Democratica e dei Diritti Umani, nel caso che l’Accordo di Associazione Economica, di Coordinamento Politico e di Cooperazione, firmato con il Messico, si faccia vigente, dovrebbe permettere di procedere a una verifica permanente della situazione dei diritti umani in Messico. Detto meccanismo, dovrebbe integrare diverse organizzazioni sociali messicane e internazionali di difesa dei diritti umani.

Non è stato stabilito alcun meccanismo, da parte dell’UE e del Messico, di seguimento e verifica permanente dei diritti umani, dato che non possono essere considerate come tali le riunioni realizzate tra membri del Parlamento Europeo e le istanze ufficiali messicane. Continua ad essere alquanto necessario che si stabiliscano meccanismi che assicurino la vera effettività della clausola democratica con cui si apre l’accordo tra l’UE ed il Messico, essendo specialmente raccomandabili i contatti periodici con organizzazioni messicane ed internazionali dei diritti umani e la presenza di commissioni di osservazione sul territorio.

12. Dal precedente dossier fino all’elaborazione di questa valutazione si sono prodotte più di 400 espulsioni di stranieri dal territorio messicano. Questo fatto aggiunge alle precedenti una nuova conclusione, che si riferisce alle difficoltà per l’osservazione dei diritti umani. Il governo ha stabilito una nuova normativa, nel maggio del ’98, con obbligo di osservanza, per regolare la presenza di osservatori stranieri ed ha proceduto alle espulsioni con diverse argomentazioni giuridiche.

La normativa, così come le successive modifiche, sono state denunciate come restrittive, sia dalle Ong messicane sia da quelle internazionali, ed il cui obiettivo è di restringere la presenza di osservatori e di rendere difficile il loro operato. Le espulsioni, sono state oggetto di ricorso presso i tribunali, ottenendo in alcuni casi la loro revoca che è stata ignorata dal governo. Sono state anche denunciate in molti forum internazionali, il che ha provocato una sorveglianza delle istituzioni internazionali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7. Comunicati stampa della CCIODH

Comunicato Stampa n°1

2 novembre 1999

La Commissione Civile Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani (CCIODH) si rivolge ai suoi diversi interlocutori ed all’opinione pubblica messicana ed internazionale per informare quanto segue:

1. Che avendo adempiuto la totalità dei requisiti entro i termini richiesti dalla normativa disposta dall’Instituto Nacional de Migración (INM) del Messico per la concessione del visto FM3 in ognuno dei consolati che questo paese possiede nelle diverse città dove sono state consegnate le richieste, (Montreal, Berna, Buenos Aires, Milano, Siviglia, Barcellona, Roma, Managua, Parigi, Madrid e Bruxelles), i cinquanta membri della CCIODH, di dieci paesi differenti, che faranno parte della delegazione che per la seconda volta visiterà il territorio messicano dal 15 al 25 novembre prossimi, al fine di realizzare un secondo dossier di valutazione sulla situazione dei diritti umani nel paese, in particolare nello stato del Chiapas, si trovano in attesa della risposta che il governo messicano si è impegnato ad offrire nei prossimi giorni attraverso i suoi uffici consolari.

2. Che come parte del lavoro previo che si sta realizzando, una delegazione della CCIODH terrà il giorno 4 novembre, a Ginevra, una riunione con il Segretario della titolare dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU, Sig.ra Mary Robinson, e il Gruppo di Lavoro che l’accompagnerà in Messico nella sua visita dal 23 al 27 novembre, con l’obiettivo di verificare in situ la situazione dei diritti umani nel paese.

3. Che durante la settimana entrante, e nell’ambito di questo stesso lavoro, un’altra delegazione della CCIODH avrà un colloquio a Bruxelles con deputati appartenenti alla Commissione per il Messico e l’America Centrale del Parlamento Europeo. In detti incontri si affronterà la situazione in cui versano i diritti umani in Messico, sarà loro presentato il progetto di lavoro della CCIODH per la sua seconda visita di osservazione, e si programmerà il calendario delle presentazioni e consegne al Parlamento Europeo del "Secondo Dossier della CCIODH sulla situazione dei Diritti Umani in Messico", come si fece in seguito alla prima visita che la CCIODH effettuò nel febbraio dell’anno scorso.

4. Che, al tempo stesso, siamo in attesa di conferma alla richiesta di interviste alle istanze del governo federale e dello stato del Chiapas, con le quali è stata sollecitata un'udienza, tra cui la Presidenza della Repubblica, il Ministero degli Interni (SEGOB), la Procura Generale della Repubblica, la Segreteria di Governo dello stato del Chiapas, ecc.

Rispettosamente,

Commissione Stampa CCIODH

 

Comunicato Stampa n° 2

5 novembre 1999

Nella giornata di ieri, giovedì 4 novembre, nel pomeriggio una delegazione della CCIODH si è riunita con il Sig. Antonio Cisneros, segretario dell’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU, Sig.ra Mary Robinson, e con il suo gruppo di lavoro per il Messico e l’America Centrale. Detto incontro ha ottenuto i seguenti risultati:

- Presentare alla Sig.ra Robinson, attraverso il suo segretario, il progetto riguardante la seconda visita della CCIODH in Messico (15-25 novembre);

- Informare il gruppo di lavoro che viaggerà in Messico con la Sig.ra Robinson, sulla situazione dei diritti umani in Messico nell’ultimo periodo;

- Stabilire un incontro con la Sig.ra Robinson, a Città del Messico, per esporle le prime impressioni della CCIODH, rispetto alla seconda visita di osservazione, e consegnarle una bozza del dossier sulla situazione messicana. In questo senso, informiamo che la titolare dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU ci riceverà a Città del Messico il giorno mercoledì 24 novembre alle ore 16.30 locali, negli uffici delle Nazioni Unite di Polanco;

- Confermare la ricezione da parte della Sig.ra Robinson, del "Secondo Dossier sulla Situazione dei Diritti Umani in Messico", che sarà elaborato dalla CCIODH al ritorno dalla seconda visita di osservazione;

- Ratificare la relazione di scambio fluido e permanente di informazione con il segretario ed il gruppo di lavoro della Sig.ra Robinson, sui diritti umani in Messico. La CCIODH resta a loro disposizione per tutto quello che considerino necessario.

Ugualmente informiamo che nei giorni 8 e 9 del corrente mese, una delegazione della CCIODH avrà a Bruxelles diverse riunioni con deputati del Parlamento Europeo, i cui risultati saranno resi noti in seguito.

Rispettosamente,

Commissione Stampa CCIODH

 

Comunicato Stampa n°2 bis

Città del Messico, 8 novembre 1999

A nome della CCIODH (Commissione Civile di Osservazione dei Diritti Umani), che visiterà il Messico dal 15 al 25 novembre 1999, vogliamo rendere pubblico il seguente comunicato:

Esprimiamo la nostra solidarietà all’avvocato del Centro dei Diritti Umani Miguel Agustin Pro Juarez, Digna Ochoa e al resto dei membri di questo centro, per i continui attentati e minacce che ultimamente stanno subendo.

Queste minacce dimostrano il loro impegno e coraggio nell’assumere la difesa di questi diritti sopra ogni altra cosa.

Speriamo di poterci incontrare sia con il Centro, sia con la Sig.ra Digna Ochoa, nell’ambito della nostra visita per avere dalla sua stessa voce la testimonianza diretta delle aggressioni subite.

Manifestiamo il nostro impegno, nell’ambito del dossier, di rendere pubbliche queste denunce alle istituzioni e alla società civile che ci hanno avallato per la realizzazione del nostro lavoro.

Ci sommiamo alle voci che in Messico, come nel resto del mondo, hanno chiesto sicurezza per coloro che difendono persone e comunità, oggetto di costanti violazioni dei loro diritti.

Manifestiamo personalmente gratitudine e sostegno alla difesa di questi diritti.

Rispettosamente,

Commissione Stampa CCIODH.

 

Comunicato Stampa n°3

10 novembre 1999

Durante i giorni 8 e 9 del corrente mese, quattro membri della CCIODH hanno partecipato, nella sede del Parlamento Europeo di Bruxelles, a diverse interviste con funzionari, assessori, assistenti e deputati di quest’istituzione. In detti incontri, si è potuto prendere contatto, anche se indirettamente o attraverso i propri assistenti e assessori, 9 dei 24 deputati appartenenti a tutti i gruppi politici che compongono la "Delegazione per l’America Centrale e il Messico". Tutti loro hanno dimostrato interesse riguardo al lavoro della CCIODH, in particolare sulla seconda visita imminente e sulla possibilità aperta di mantenere uno scambio, fluido e permanente, d’informazione sulla situazione dei diritti umani in Chiapas.

Allo stesso modo, si segnala che tutti/e loro sono d’accordo e hanno mostrato interesse alla programmazione della presentazione del "Secondo Dossier", che sarà frutto della prossima visita della CCIODH.

La convocazione è stata fissata per il giorno 14 dicembre 1999, alle ore 16, nella sede del Parlamento Europeo di Strasburgo.

In conclusione, i parlamentari e gli assessori, hanno enfatizzato l’importanza della relazione di scambio e di lavoro che si sta sviluppando tra la CCIODH e l’Alto Commissariato per i Diritti Umani, rilevando l’importanza dell’udienza che la CCIODH avrà il giorno 24 novembre, a Città del Messico, con la Sig.ra Mary Robinson.

Rispettosamente,

Commissione Stampa CCIODH

Comunicato Stampa n°4

Oggi, 15 novembre, ha inizio in Messico la seconda visita della CCIODH che terminerà il giorno 25 dello stesso mese. La maggioranza dei membri della Commissione, composta da 40 persone provenienti da Germania, Francia, Svizzera, Argentina, Danimarca, Nicaragua, Italia, Canada, Belgio e Spagna, è già arrivata in Messico e si attende, nelle prossime ore, l’arrivo del resto dei partecipanti.

Esprimiamo soddisfazione per il riconoscimento del nostro lavoro - che si è tradotto in disponibilità da parte del governo messicano - della società civile, degli organismi dei diritti umani e delle comunità indigene, che hanno reso possibile questa seconda visita. Fino ad oggi, sono stati concessi 10 visti FM3 e siamo in attesa della decisione amministrativa che permetterà di regolarizzare la situazione del resto dei partecipanti.

Fin dalla consegna della documentazione, avvenuta lo scorso 18 ottobre, abbiamo seguito le procedure necessarie e i requisiti posti dalle autorità migratorie. Queste stesse norme, sono state contestate da organismi internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch, perché restrittive del lavoro di osservazione in materia di diritti umani. La prima parte del nostro programma, avverrà a Città del Messico, attraverso una nutrita serie di interviste ad organismi sia istituzionali sia della società civile e, da giovedì 18, ci trasferiremo nello stato del Chiapas, dove proseguiremo il nostro programma di visite e interviste. Torneremo a Città del Messico il 23 novembre per continuare le interviste, in particolare quella con la signora Mary Robinson nel pomeriggio del giorno 24. Il giorno 25 avrà termine il lavoro della commissione e sarà indetta una conferenza stampa. Siamo consapevoli che la soluzione del conflitto in Chiapas corrisponde solo ai cittadini e ai popoli del Messico e, quindi, vogliamo ribadire che il nostro lavoro si atterrà strettamente all’osservazione e alla diagnosi della situazione dei diritti umani, non implicando ingerenza alcuna nelle questioni politiche del paese. Al tempo stesso, ribadiamo l’impegno di consegnare il dossier agli organismi, realtà e persone che ci hanno appoggiato, in ognuno dei nostri paesi, e al Parlamento Europeo in occasione dell’appuntamento fissato per il prossimo 14 dicembre 1999.

Rispettosamente,

Commissione Stampa CCIODH

 

Comunicato Stampa n. 5

17 novembre 1999.

Il giorno 15 novembre è iniziata, a Città del Messico, l’attività della CCIODH nella sua seconda visita di valutazione.

Fanno parte di questa Commissione, 41 persone di dieci diversi paesi, tra le quali, 11 sono in possesso del visto FM3. Si stanno portando avanti le pratiche con l’INM per risolvere la questione degli altri visti.

I partecipanti sono man mano entrati nel paese e si sono riuniti nel giorno d’inizio delle attività; fino ad oggi sono state realizzate delle riunioni con il gruppo di assessori in Messico che affianca la CCIODH, cosi come con il gruppo d’appoggio formato da persone appartenenti alla società civile messicana.

Sono stati presi contatti con l’ANAD, "Asociación Nacional de Abogados Democraticos", cui la commissione di osservatori ha inviato un saluto che è stato letto durante l’atto d’inaugurazione del loro VIII Congresso e ha partecipato al gruppo di lavoro su "Chiapas e i Diritti Indigeni".

In seguito alla conferenza stampa realizzata nei locali del MCD, "Movimiento Ciudadano por la Democracia", la CCIODH è stata invitata a una colazione di lavoro e ha ricevuto inviti da diverse organizzazioni della società civile messicana. Ha inoltre partecipato a tre gruppi di lavoro organizzati negli stessi locali del MCD.

Il primo gruppo si è incontrato con il "Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad", "Maderas del Pueblo del Sureste", la "Comisión Episcopal de Pastoral Social", il "Centro de Apoyo a las Mujeres" e "Mujeres en Lucha por la Democracia".

Il secondo gruppo si è riunito con SERPAJ e con rappresentanti del MCD, che hanno invitato i membri della CCIODH a visitare la comunità di Moisés Gandhi, nel Chiapas, per realizzare il lavoro di osservazione.

Il terzo gruppo si è riunito con organizzazioni civili vicine agli alluvionati degli stati di Hidalgo, Oaxaca, Puebla, Veracruz e Tabasco.

Nel pomeriggio si è svolto l’incontro con Carmen Lira, direttrice del quotidiano "La Jornada", e l’incontro con l’Ong "SOS Chiapas". In questi colloqui è stata sottoscritta una lettera di sollecitazione per la consegna dei visti alla totalità dei partecipanti alla Commissione, che è stata pubblicata il giorno seguente.

Martedì, 16 novembre, sono state svolte le seguenti attività: rilascio di interviste ai mass-media, come la partecipazione al programma radiofonico "Chiapas: Expediente Abierto" e con Radio Voz Pública.

Si è partecipato con gli assessori ad una riunione preparatoria alle prossime interviste e, alle 12.30, si è svolta, nei locali di SERAPAZ, la riunione con il vescovo Samuel Ruiz García, Miguel Alvarez, ex segretario della CONAI e altri accompagnatori. Alle 15, la CCIODH si è incontrata, nel Colegio de México, con il presidente della COSEVER, Sig. Rodolfo Stevenhagen.

Mercoledì 17 novembre, si è lavorato alla preparazione delle future interviste, e domani, giovedì 18, avverrà la partenza per San Cristóbal de Las Casas, dove un gruppo, della CCIODH, sta preparando il programma da svolgere in Chiapas.

Rispettosamente,

Commissione Stampa CCIODH

 

Comunicato Stampa N° 6

Città del Messico, 17 novembre

In relazione alla lettera firmata dal Dott. Raúl Solórzano Díaz, coordinatore dell'Ufficio per il Regolamento del Soggiorno dell’INM, pubblicata sul quotidiano La Jornada, nella rubrica "Correo Ilustrado" di oggi, mercoledì 17 novembre, vogliamo fare le seguenti considerazioni:

1. Ringraziare per la lettera pubblicata il giorno precedente, nella stessa rubrica del quotidiano, le persone e le organizzazioni della società civile messicana che, con questa lettera, hanno sollecitato l’INM a concedere i visti FM3 alla totalità dei partecipanti della CCIODH.

2. Ringraziare il Dott. Solórzano e l’INM, per la generosità dimostrata nell’aumentare del 50% il numero dei visti già concessi, secondo quanto affermato dallo stesso Dott. Solórzano.

3. Chiarire che l’atteggiamento di serietà e di responsabilità, finora dimostrato, non è stato condizionato, né lo sarà, dalla concessione dei visti, ma si basa sul nostro impegno e sul nostro rispetto delle leggi e della società messicana.

4. Ricordare che le richieste dei permessi presentate, fin dal principio della seconda visita di valutazione, nei consolati ed ambasciate, dalle 41 persone che fanno parte della CCIODH, adempiono tutti i requisiti; quindi, continuiamo ad aspettare una risposta positiva alle nostre richieste di concessione dei visti FM3 ai 41 membri della Commissione, richieste scritte nel rispetto della legge e presentate pubblicamente, la cui credibilità e senso di responsabilità sono riconosciuti tanto in Messico quanto nei nostri paesi.

Restiamo in attesa delle notificazioni ufficiali, sicuri che sempre adempiremo i nostri impegni e manterremo un atteggiamento di serietà e di responsabilità verso l’insieme dei nostri garanti e interlocutori. Vogliamo comunicare la nostra soddisfazione per gli sviluppi della visita di valutazione, per l’appoggio e i riconoscimenti che abbiamo ricevuto, e perché questa visita si sviluppi con le garanzie necessarie per ultimare il dossier da presentare alle istituzioni e agli interlocutori che così ci richiedono.

Rispettosamente,

Commissione Stampa CCIODH

 

Comunicato Stampa nº7

San Cristóbal de Las Casas, 19 novembre

Durante la giornata di ieri, giovedì 18 novembre, i 41 partecipanti della Commissione sono arrivati con differenti mezzi di trasporto a San Cristóbal de Las Casas, in Chiapas.

Alle ore 19, di questo stesso giorno, si è realizzata una conferenza stampa nel "Museo del Caffè" della città, dove José Castelló, Claude Rioux, Erika Hennequin e Christian Pletscher, hanno spiegato lo svolgimento della visita fino ad oggi e il programma ancora da realizzare nello stato del Chiapas.

Le interviste realizzate a Città del Messico con la società civile, hanno coperto un ampio spettro che ne denota la ricchezza e la diversità, e che saranno allegate al dossier, poiché si riferiscono alla situazione dei diritti umani in tutto il paese. È già stato fissato l’incontro con la COCOPA, che si realizzerà a Città del Messico, mercoledì 24 alle ore 14, nella sede dell’organizzazione. È stata fissata anche l’intervista con il Commissario dell’INM, Sig. Carrillo Castro, per giovedì 25 alle ore 18. Siamo in attesa di concordare altre interviste con diversi ministeri e realtà istituzionali.

L’intervista con l’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU, Sig.ra Mary Robinson, è stata spostata nella serata di giovedì 25, per questioni di lavoro.

Oggi, venerdì 19, la maggioranza dei partecipanti della Commissione si è recata a visitare le seguenti comunità: Polhó, Acteal, San Andrés, Oventic e San Juan de la Libertad, realizzando interviste con le comunità di desplazados e i Consigli Autonomi, per raccogliere testimonianze sulla situazione in cui versano e documentazione sulle violazioni dei diritti umani.

Rispettosamente,

Commissione Stampa CCIODH

 

Comunicato Stampa nº8

20 novembre 1999

Da giovedì 18 novembre, giorno dell’arrivo in Chiapas della CCIODH e della sua presentazione in conferenza stampa ai mezzi di comunicazione, si è continuato a svolgere il programma previsto.

Nella giornata di ieri, venerdì 19, si sono realizzate le visite ad Acteal, Polhó, San Andrés Larraínzar, El Bosque, Oventic e Nuevo Brillante.

Oggi, sabato, diversi gruppi della Commissione si sono recati ad Amador Hernández, Roberto Barrios, Francisco Gómez e Jolnixtié, includendo una visita al carcere di Yajalón.

Fino a questo momento, tutto il lavoro della CCIODH, si sta realizzando senza incidenti degni di nota, quindi ribadiamo la nostra soddisfazione.

Commissione Stampa CCIODH

 

Comunicato Stampa n°9

San Cristóbal de Las Casas, 23 novembre 1999.

Oggi, 23 novembre, termina il soggiorno in Chiapas della CCIODH. Dal nostro arrivo giovedì 18, abbiamo realizzato tutte le visite previste nel nutrito programma della Commissione.

In cinque giorni abbiamo visitato la maggior parte delle realtà nelle zone di conflitto: Las Cañadas, Zona Norte, Los Altos e la Selva e i cinque Aguascalientes, così come i detenuti politici nei carceri di Yajalón e Cerro Hueco; ripetendo, in linea di massima, le visite dell’anno precedente, sommando ad esse, quelle comunità in cui si sono verificati conflitti durante quest’anno, com’è il caso di Amador Hernández, Taniperla e San Juan de La Libertad.

Nella maggior parte dei casi, abbiamo realizzato interviste con autorità delle comunità in resistenza, i Consigli Autonomi e anche con il Comando Generale dell’EZLN. A San Cristóbal de Las Casas, abbiamo intervistato organizzazioni della società civile: Ong, organismi dei diritti umani e movimenti sociali, la Croce Rossa Internazionale, il PRD e, infine, oggi, a Tuxtla Gutiérrez, l’équipe del governatore Albores Guillén. Nell’attesa di poter trascrivere tutte le registrazioni e stendere la relazione definitiva di questa seconda visita, possiamo, intanto, avanzare una serie di impressioni, sviluppate dalle richieste, denuncie, aspirazioni e desideri dei villaggi visitati, insieme alle opinioni espresse, all’interno delle interviste, dai nostri interlocutori. Ciò che è denominata Guerra del Chiapas o, in linguaggio più tecnico, Guerra di Bassa Intensità, continua a persistere nella maggior parte delle zone visitate ed i suoi effetti sono subiti dai villaggi indigeni, che vedono venire meno i loro diritti economici, politici, culturali e sociali. In particolare, la condizione, delle donne e dei bambini desplazados a causa della guerra, è grave, l’abbiamo rilevato a Polhó, nella Zona Norte ed a Guadalupe Tepeyac. Allo stesso modo, abbiamo potuto osservare la grave situazione in cui versano nella loro vita quotidiana: fuori delle loro case e dai loro villaggi d'origine e senza che s’intraveda una soluzione immediata, come potrebbe essere il loro ritorno, con un minimo di garanzie, alle comunità d’origine. La presenza visibile di elementi dell’Esercito Federale Messicano, con caserme, posti di blocco, accampamenti, ecc., è motivo di denuncia da parte di tutte le comunità: denunciano l’occupazione di terre, la presenza di alcol e di prostituzione, l’inquinamento ambientale, in particolare dei corsi d’acqua. La presenza militare interferisce nel rispetto del diritto al libero transito ed impedisce il normale sviluppo della vita quotidiana: la coltivazione dei campi, la possibilità per le donne e i bambini approvvigionarsi di acqua e legna, ecc.

Abbiamo raccolto denunce di diverse comunità perché le si trasmetta alla signora Mary Robinson, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani; tra queste, ad esempio, una lettera dei detenuti politici che sarà consegnata durante il colloquio che avremo con lei a Città del Messico, giovedì 25 novembre. Come pure l’invito a visitare la comunità di Acteal, terra sacra, dove sono stati assassinati 45 indigeni il 22 dicembre 1997.

Nei due ultimi giorni che resteremo a Città del Messico, lavoreremo alla prima stesura del dossier che sarà consegnato alla signora Robinson e resa pubblica lo stesso giorno, il 25. In questa relazione, esporremo nei dettagli le nostre osservazioni e raccomandazioni preliminari, come anticipazione della relazione finale che sarà consegnata il 14 dicembre al Parlamento Europeo. Il 6 dicembre, nella città di Ottawa, sarà presentata al Ministero degli Esteri del governo del Canada. Lo stesso avverrà con gli altri parlamenti dei rispettivi paesi dei membri della Commissione.

Commissione Stampa CCIODH

P.S. Vogliamo fare qui una serie di precisazioni su alcune questioni organizzative. Nel viaggio del febbraio del 1998, eravamo 210 persone che, in 15 giorni, hanno realizzato un itinerario più breve di quello attuale. Con sole 41 persone, 11 FM3 e in meno tempo, abbiamo incontrato un maggior numero di persone e visitato più luoghi.

La situazione paradossale è che abbiamo richiesto incontri istituzionali, tanto a Città del Messico quanto in Chiapas, con più di 20 giorni d’anticipo e la risposta è stata il silenzio. Nonostante le nostre insistenze telefoniche, hanno accettato di incontrarci soltanto due giorni fa, cosa che ha costretto le 11 persone con FM3 a uno sforzo impressionante per potervi partecipare. Denunciamo che questi problemi amministrativi ci hanno impedito di svolgere il nostro lavoro, con la programmazione e la tranquillità necessarie. È ancora da chiarire che i visti FM3 concessi siano 11, l’INM ne ha offerti altri quattro ma al momento non ne siamo ancora in possesso, inoltre ci sono stati offerti un giorno prima di lasciare il Chiapas e ci aspettavamo ci fossero consegnati a San Cristóbal, ma tutto è rimasto a livello di una dichiarazione di buona volontà. Inoltre, deploriamo le difficoltà di transito che hanno causato problemi agli spostamenti della Commissione. Nella maggioranza dei posti di blocco, sia militari sia di Migración, i membri della Commissione sono stati trattenuti per ore, senza alcuna necessità. Per esempio, durante il viaggio verso La Realidad, del 22 novembre, i membri della CCIODH sono stati costretti a fermarsi da quattro posti di blocco militari diversi, causando un ritardo di cinque ore sulla tabella di marcia.

 

Comunicato Stampa n°10

Città del Messico, 25 novembre 1999

Nella giornata di oggi, giovedì 25, diamo per conclusa la fase di lavoro della CCIODH che si riferisce alla visita d’inchiesta in Messico dal 15 al 25 novembre 1999.

Durante questi dieci giorni suddivisi tra Chiapas e Città del Messico, le 41 persone, membri della Commissione, tra le quali 11 in possesso dell’FM3, siamo riusciti a realizzare, quasi integralmente, il nostro programma. Il gruppo che ha impiegato più tempo a concederci le interviste è stato il settore istituzionale ma, alla fine, con le interviste alla COCOPA, Instituto Nacional de Migración, CNDH, Coordinatore per il Dialogo, così come al governo dello stato del Chiapas, abbiamo sufficienti elementi per conoscere il discorso ufficiale sul conflitto e le opinioni al riguardo.

La società civile è stato il soggetto con cui abbiamo sostenuto diverse interviste: Ong, organismi dei diritti umani e movimenti sociali, potendo osservare la vitalità di questo settore così importante della società messicana, che ci ha dimostrato che la problematica non tocca solo il Chiapas, ma tutto il paese, comunicandoci opinioni sul conflitto e su altre situazioni che saranno rese note sotto forma di allegati. Nella nostra visita in Chiapas, come già indicato nei comunicati precedenti, ci siamo recati nei luoghi dove sono stati realizzati operativi militari o della polizia di Seguridad Pública, come: San Juan de la Libertad, Amador Hernández ed il Municipio Autonomo Ricardo Flores Magón. Abbiamo visitato due carceri statali e abbiamo potuto parlare con i prigionieri rilasciati membri del Municipio Autonomo Tierra y Libertad. Abbiamo parlato con la "Comandancia General del EZLN", che in poche parole ci ha spiegato che esiste una guerra in Chiapas e che questa è contro gli indigeni. In questi luoghi si contrapponevano costantemente due discorsi:

- il discorso ufficiale, che parla dello sforzo del governo per sradicare la povertà investendo grandi somme di denaro, che parla dell’esistenza di gruppi di civili armati, giustificati dalla violenza zapatista, e di una nuova proposta di dialogo che urta regolarmente con la chiusura zapatista, affermando "il conflitto è tra indigeni e l’esercito è presente per garantire l’ordine, controllare il traffico di narcotici e far rispettare la Legge sulle Armi e gli Esplosivi";

- al contrario, le comunità avvertono che il governo non ha attuato, né si aspettano che attuerà mai, gli Accordi di San Andrés, che i paramilitari continuano ad agire nella più assoluta impunità, che la presenza militare, non solo non è diminuita, ma è incrementata in numero di elementi e campi militari, che i loro diritti collettivi come popoli non sono riconosciuti e che portano avanti una resistenza pacifica contro la Guerra di Bassa Intensità che li colpisce.

Con queste prime impressioni e con tutti i materiali raccolti, stenderemo, nella prima settimana di dicembre, il secondo dossier di valutazione sul Chiapas della CCIODH, che presenteremo nei nostri rispettivi paesi e nei Forum Internazionali, alla società civile, ai governi e ai mezzi di comunicazione. Nella giornata di oggi, in serata, consegneremo personalmente alla signora Mary Robinson, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, una relazione preliminare con le testimonianze raccolte e alcune richieste che ci è stato espressamente chiesto di consegnare nelle sue mani; poi, una volta a Ginevra, in una successiva intervista, le consegneremo il dossier completo. Il giorno 14 dicembre lo presenteremo nel Parlamento Europeo e durante tutto il mese, nei dieci paesi di provenienza dei membri della Commissione.

Crediamo che tutte le vicissitudini che abbiamo vissuto durante questa seconda visita, oltre ai problemi costanti che creano le diverse visite di osservazione, denotino la necessità di adattare i criteri della normativa - messi in questione dalla maggior parte delle Ong di prestigio e oggetto di chiare raccomandazioni da parte della Commissione dei diritti umani dell’ONU - nel senso di promuovere la difesa dei diritti umani, sia verso le Ong messicane, che ultimamente hanno subito minacce ed aggressioni, sia permettendo la presenza internazionale con garanzie e sicurezza sufficienti. L’espulsione di oltre 400 stranieri nel corso del conflitto, ha messo in questione, nella maggioranza dei paesi di provenienza di queste persone espulse, le restrizioni imposte dal governo messicano e la discriminazione nell’applicazione della legge. Infine, vogliamo ringraziare per l’accoglienza ricevuta, esprimere la nostra soddisfazione per aver potuto svolgere il nostro lavoro e così adempiere alla nostra responsabilità, sperando che la permissività su cui abbiamo fatto assegnamento, non resti un fatto isolato, ma una propensione generalizzata che permetta a noi in seguito, e a chiunque, in Messico come nel resto del mondo, di fare della difesa dei diritti umani una causa universale e giusta.

Commissione stampa CCIODH

 

Comunicato Stampa n°11

Strasburgo, 14 dicembre 1999.

Nella giornata di oggi, 14 dicembre 1999, alle quattro del pomeriggio, nella sede del Parlamento Europeo a Strasburgo, è stata presentata una versione riassunta del Dossier sulla seconda visita di valutazione della CCIODH (Commissione Civile Internazionale di Osservazione per i Diritti Umani), realizzata in Chiapas, Messico, dal 15 al 25 novembre 1999.

Invitati dai tre eurodeputati, Claudio Fava (Partito Socialista Europeo), Laura González (Gruppo della Sinistra Unitaria Europea) e Wolfang Kreissl-Dörfler (Verdi), membri della Delegazione per l’America Centrale e il Messico del Parlamento Europeo, cinque membri della CCIODH (Simona Granati, Antoine Soldevila, Colette Beriot, Carlo Baumgartner e Ignacio García) hanno presentato pubblicamente alla presenza di 23 eurodeputati del P.E., in maggioranza membri della Delegazione per l’America Centrale e il Messico e rappresentanti dei gruppi popolare, socialista, della sinistra unitaria europea, liberali e indipendenti, in un’udienza durata un’ora e mezza, il citato dossier.

Negli interventi sono state presentate le conclusioni e le raccomandazioni della Commissione, richiamando l’attenzione sul deterioramento della situazione dei diritti umani e l’aggravamento delle condizioni di vita delle comunità, provocato dall’aumento della militarizzazione nella zona di conflitto, nel numero sia di effettivi sia di installazioni (caserme e posti di blocco, la cui attività crea difficoltà al libero transito delle persone). L’attività dei gruppi paramilitari si mantiene presente, provocando paura e terrore nelle comunità indigene e si svolge nella più assoluta impunità.

È stata fatta speciale menzione sull’accordo preferenziale tra il Governo Messicano e l’Unione Europea, principalmente per quanto riguarda la clausola sulla democrazia e i diritti umani, che hanno bisogno, per diventare una realtà, della costituzione di meccanismi concreti di monitoraggio, valutazione e diagnosi sulla loro evoluzione e che ciò avvenga in modo regolare. Si è chiarito che mancano ancora, per la ratifica di questo accordo, la firma di tre parlamenti nazionali: Italia, Germania e Danimarca e che, nel caso italiano, la ratifica è condizionata al rispetto dei diritti umani. Dopo gli interventi dei membri della CCIODH, ha avuto inizio un dialogo con i partecipanti alla riunione: eurodeputati, assessori e funzionari del Parlamento che si sono complimentati per il lavoro realizzato, incoraggiandoci a mantenere la relazione e il canale d’informazione, impegnandosi, inoltre, a recapitare il dossier a tutti i membri della Delegazione e a realizzare istanze in riferimento alla presenza della Croce Rossa Internazionale, ai meccanismi sulla clausola dei diritti umani e alle denunce presentate. Durante il resto della giornata, sarà consegnato il dossier alle persone che non hanno potuto assistere alla riunione per motivi di agenda, ma che hanno mostrato interesse, come nel caso del signor Antonio Seguro (Presidente della Delegazione) o del signor Antonio Cabral (Coordinatore della stessa Delegazione). Le due parti hanno espresso soddisfazione per l’iniziativa e si sono impegnate a mantenere la relazione concernente lo scambio di informazione sulla situazione e le iniziative da intraprendere. Nella documentazione consegnata sono stati inclusi diversi allegati sulle espulsioni di osservatori stranieri; una lettera di risposta a quella dell’Ambasciatore del Messico presso l’Unione Europea, da lui inviata agli eurodeputati che avevano chiesto spiegazioni sulla concessione dei visti FM3 (visti di entrata al paese come osservatori) a solo 11 delle quarantuno persone della Commissione e altra documentazione. Della stessa forma, rendiamo nota la presentazione del dossier ai diversi parlamenti nazionali, all’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU, signora Mary Robinson e alla società civile dei diversi paesi.

Per la CCIODH, i cinque partecipanti all’iniziativa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8. Manifesto di presentazione della CCIODH

 

Alla società civile internazionale

Ai popoli e ai governi del mondo

Ai mezzi di comunicazione

Alle comunità indigene in resistenza

All’EZLN

Nel febbraio del 1998, a radice del massacro di Acteal avvenuto nel dicembre 1997, la società civile del mondo ha reagito con diverse mobilitazioni per esprimere il suo ripudio al massacro perpetrato contro gli indigeni ribelli del Chiapas e trovare vie per una soluzione pacifica del conflitto.

Oltre 500 personalità ed organizzazioni dei cinque continenti hanno avallato la creazione di una Commissione Civile Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani, la quale ha visitato il Chiapas per realizzare, sul posto, un’osservazione che ha portato alla stesura di un dossier contenente una serie di conclusioni e raccomandazioni che sono state rese pubbliche. In queste raccomandazioni si è fatto riferimento all’impunità, all’accesso diseguale alla giustizia, alla militarizzazione e alla paramilitarizzazione, alla situazione dei rifugiati interni a causa della guerra, alla situazione dei prigionieri, ecc.. Un mese e mezzo dopo, alcuni partecipanti di questa Commissione sono tornati in Chiapas per consegnare il dossier a tutti gli interlocutori che erano stati intervistati. Al tempo stesso si consegnava questo dossier al Parlamento Europeo, all’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU e a diverse istanze locali, nazionali e internazionali. Quella visita fu accompagnata da una campagna xenofoba dei mezzi di comunicazione progovernativi contro il presunto intervento straniero nel conflitto, questo però non ha impedito la visita d’osservazione come pure la successiva consegna del dossier.

L’esperienza di lavoro della Commissione e le sue implicazioni successive, ci obbligano, ancora una volta, come società civile, a fare appello alla nostra responsabilità di realizzare una seconda visita d’osservazione in cui si possa valutare quale sia la situazione attuale, quali aspetti del conflitto siano cambiati e quali sono le nuove possibilità di aprire strade per una soluzione giusta e pacifica del conflitto.

Cercare la verità, con il cuore, senza obbedire ad interessi di potere od economici, è lo spirito che ci anima. Molte cose sono cambiate da allora e, nonostante il doppio linguaggio del governo messicano, la realtà imperante è stata dibattuta in diversi forum internazionali, mezzi di comunicazione e dall’opinione pubblica di molti paesi. Consideriamo, come lo abbiamo fatto allora, che l’osservazione dei diritti umani incombe su tutte quelle persone ed organizzazioni che lavorano giorno per giorno alla realizzazione di un mondo migliore per tutte/i, in ogni parte del mondo. Per questo, sollecitiamo la società civile messicana, come pure il governo federale, le comunità indigene in ribellione e l’EZLN, affinché ci accordino la stessa fiducia data nel febbraio del 1998, ci ricevano e ci concedano la loro parola, ci permettano di realizzare liberamente e con responsabilità il nostro lavoro; tutte le organizzazioni che ci hanno avallato allora, affinché lo facciano di nuovo, permettendoci di osservare, riflettere, diagnosticare e stendere le nostre osservazioni.

Quindi, i sottoscritti, aderiscono a questo manifesto che sarà presentato ai mezzi di comunicazione, al governo messicano ed alle istanze internazionali, il giorno 18 ottobre. La delegazione della CCIODH viaggerà in Messico dal 15 al 25 novembre per ripetere le nostre interviste agli attori del conflitto e consegnare questo dossier alle istanze internazionali, all’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, al Parlamento Europeo, e a tutte quelle realtà che lo prendano in considerazione così come alla società civile e ai mezzi di comunicazione dei nostri rispettivi paesi.

18 ottobre 1999.

Firmano:

EUROPARLAMENTARI: Sr. Wolfgang Kreissl-Dorfler (Verts/ale, Germania, vicepresidente della Delegazione per le relazioni con il Messico); Sr. Koldo Gorostiaga (NI, Stato Spagnolo, membro della Delegazione per le relazioni con il Messico). Sr. Gerard Deprez (P.P.E, Belgio); Sr. Paul Lannoye (Presidente dei Verdes/ALE, Belgio); Sr. Josu Ortuondo Larrea (Verdes/ALE, Stato Spagnolo); Sra. Alima Boumedienne-Thiery (Verdes/ALE Francia); Sr. Per Gahrton (Verdes/ALE, Svezia); Sra. Monica Frassoni (Verdes/ALE, Belgio); Sra. Kathalijne Buitenweg (Verdes/ALE, Olanda); Sr. Bart Staes (Verdes/ALE, Belgio); Sra. Heidi Hautala (Verdes/ALE, Finlandia); Sr. Didier Rod (Verdes/ALE, Francia); Sr Pierre Jonckheer (Verdes/ALE, Belgio), Sr Alain Lipietz (Verdes/ALE, Francia), Sr Helmut Markov (GUE/NGL, Germania), Sra. Arlette Laguiller (GUE/NGL, Francia), Sra. Ilka Schroder (GUE/NGL, Germania); Sr. Efstratios Korakas (GUE/NGL, Grecia); Sr. Mihail Papayannakis (GUE/NGL, Grecia); Sra. Luisa Morgantini (GUE/NGL, Italia); Sra. Chantal Cauquil (GUE/NGL, Francia), Sra. Armonie Bordes (GUE/NGL, Francia).ARGENTINA: Diario "Jornada" (Trelew), FM de la calle (Bahia Blanca), Frente Amplio estudiantil Santiago Pampillón (Rosario), Federación Universitaria de Rosario (sec. de DDHH), Federaciones de estudiantes secundarios, terciarios y universitarios de Bahía Blanca, Federaciones nacionales de estudiantes de Historia y Antropología, Centro de estudiantes de Humanidades (UNS), Cátedra de historia América Contemporánea (UNR), Asociación Magisterio de Santa Fe (CTA), Comisión Gremial empleados de comercio (Rosario), Hijos (hijos por la identidad y la justicia contra el olvido y el silencio), Madres de la plaza 25 de mayo (Rosario), Familiares de desaparecidos y detenidos por razones políticas, Asamblea permanente por los Derechos Humanos (Rosario), Grupo de mujeres María Madre (Rosario), Red de mujeres, prevención y asistencia en la violencia (Rosario), Grupo Arte en la Kalle (Rosario), Antropólogos contra el Neoliberalismo (Universidades de Buenos Aires, Misiones, La Plata, Salta), Redes de Solidaridad con Chiapas de Argentina (Buenos Aires, Rosario, Bahía Blanca, Bariloche, Arequito, Chabas, San José de la esquina), Alejandro Goldberg (antropologo UBA, membro della CCIODH feb.’98).NICARAGUA: Comité de Solidaridad Nicaragua-Chiapas, José María Vigil (Director Agenda Latinoaméricana), William Grigsby Vado (Director Radio "la Primerisima"), William Ramirez (Director Radio 580), Monica Baltodano (Diputada FSLN), José Ernesto Bravo (Diputado FSLN), José González Picado (Diputado FSLN-Matagalpa), Edwín Castro (Diputado FSLN), William Schwartz (Diputado FSLN), Miguel Angel González (Diputado FSLN), Stedman Fagoth Müller (diputado PLC-Región Autonoma Atlantico Norte-RAAN), Hélène Roux (membro della CCIODH Feb.98), Remedios García (membro CCIODH Feb.98), Helena Ramos, Fundación "Puntos de Encuentros", Centro Nicaraguense de Derechos Humanos (CENIDH), Bufete Popular "Boris Vega", Ciudad de Masaya. AMERICA CENTRALE E AMÉRICA LATINA: Lorenzo Ccapa Hilachoque Secretario General Colegiado por la Confederacion Campesina del Peru (CCP), Myrna Torres (Guatemala), Ixim, Centro Maya de Comunicación (Quetzaltenango-Guatemala), Celia Sanjur Palacios, Presidenta de la Comisión para la Defensa de los Derechos Humanos en Centroamérica (CODEHUCA con estatus

consultivo en la ONU)* *Esta firma está acompañada de una carta explicita de respaldo de CODEHUCA a la CCIODH y las gestiones que estamos realizando.Organismos miembros de CODEHUCA: 12: -Comisión de Derechos Humanos de Guatemala (CDHG) -Comisión de Derechos Humanos de El Salvador (CDHES-NG) -Centro Nicaraguense de Derechos Humanos (CENIDH) -Comisión Costarricense de Derechos Huamanos (CODEHU) -FAPREP por los Derechos Humanos (Costa Rica), -Centro de Capacitación Social (CCS/Panamá) -Human Rights Commission of Belize (HRCB), -Comisión Nacional de Derechos Humanos en Panamá (CONADEHUPA) -Centro de Investigación , Estudio y Promoción de los Derechos Humanos (CIEPRODH-Guatemala), -Grupo de Apoyo Mutuo (GAM) -Comité de Familiares de Detenidos-desaparecidos en Honduras (COFADEH) -Comité de Familiares de Victimas de las violaciones de los Derechos, Humanos "Marianella García Villas"(CODEFAM) -Fdo. Clemente Alonso Crespo (España), -Santiago Barroso Gamella (Comité de Solidadridad con Nicaragua de IBERIA (España), -Joan Rossel Reus (España). URUGUAY: Comunidad del Sur, Consulado Rebelde Zapatista en Montevideo. BRASILE: Camara Municipal Unicipal De São Paulo Bancada Do Partido Dos Trabalhadores: Vereador Italo Cardoso - também presidente da Comissão de Direitos Humanos da Câmara Municipal de São Paulo, Vereador Dr. José Mentor, Vereador José Eduardo Martins Cardoso, Vereadora Aldaíza Sposati, Vereador Adriano Diogo, Vereador Arselino Tato, Vereador Carlos Neder, Vereador Devanir Ribeiro, Vereador Vicente Cândido; Camara Municipal De Guarulhos: Bancada Do Partido Dostrabalhadores Vereador Edson Albertão, Vereador Orlando Fantazini Camara Municipal De São Bernardo Campo: Bancada Do Partido Dos Trabalhadores Vereador Aldo dos Santos, Vereador Melão Monteiro, Vereadora Ana do Carmo, Vereador Antônio Carlos, Vereador José Ferreira, Câmara Municipal De Diadema: Vereador Manoel Eduardo Marinho PT, Vereador Antônio Rodrigues PT Vereador José Queirós Neto PT, Vereador Armelindo Santana PT, Vereador José Dourado PPS, Vereador Carlos Bezerra da Silva PPS, Vereadora Maridite de Oliveira PPS, Vereador João Gualberto PPS, Vereador Milton Capel PPS, Vereador Wladimir Pereira Campos - PC do B, Vereador Laércio Soares - Presidente da Camara Municipal - PSB, CereadorJosé Zito da Silva PSB, Vereadora Eliete Menezes PSB, Vereadora Denise Ventrice PSB, Vereador Antônio Bonfim de Melo PSDB, Vereador José Zeferino PSDB, Vereador Edgar de Sousa PSDB, Vereadora Cida Ferreira PMDB, Vereador Orlando Aníbal PMN, Vereador José Rodrigues PDT, Vereador José Antônio Fernandes Pdt, Assembléia Legislativa De São Paulo: Deputado Estadual Jamil Murad - PC do B, Deputado Estadual Nivaldo Santana – PC do B, Deputado Estadual César Callegari PSB, Deputado Estadual Gilmar Tato - PT, Deputado Estadual José Augusto PPS, Diputado Esatdual Paulo Teixeira - Partido dos Trabalhadores Apoio das seguintes entidades: Diretório Acadêmico XIII de Setembro das Faculdades Metropolitanas Unidas / Faculdade de Direito Centro Acadêmico de Ciências Sociais e Relações Internacionais da Pontifícia Universidade Católica de São Paulo, Associação dos Funcionários da Pontifícia Universidade de São Paulo, Sindicato dos Funcionários da Universidade de São Paulo, Grupo Cultural Cacorê - São Paulo, Grupo Anarquistas Contra o Racismo - São Paulo e Rio de Janeiro, Associação dos Professores da Pontifícia Universidade Católica de São Paulo, Grupo de Funcionários da TV Cultura do Estado de São Paulo, Fundação Florestan Fernandes Diadema, Espaço Cultural Florestan Fernandes Guarulhos, Grupo Attac - São Paulo, Centro de Documentação e Pesquisa Vergueiro - São Paulo, Núcleo de Educação Popular 13 de Maio - São Paulo, Centro Cultural Monte Azul - São Paulo, Prefeitura de Diadema Diadema, Sindicato dos Radialistas do Estado de São Paulo, Sindicato dos Jornalistas do Estado de São Paulo, Sindicato dos Trabalhadores Coureiros do Estado de São Paulo, Comitê Zapatista de São Paulo, Coletivo Avante Zapata de São Paulo, Comitê de Solidariedade às Lutas Latino- Americanas de São Paulo, Núcleo de Estudos de Ideologias e Lutas Sociais - NEILS - do Programa de Estudos Pós-Graduados em Ciências Sociais, Deputado Estadual São Paulo: Carlos Zarattini Marinilda Dias da Silva, Thais Menandro, Wilson Fernando Trevisam, Jeferson Mattos, José Antonino Carmelle, Cleide Navas Ventura, Demerson Dias, Edilson P. Nascimento, Maria da Conceição Falabella , Laercio Gimes (vereador(), Tito Antonio B. De Melo (vereador), José Zito da Silva (vereador), José Rodrigues (Verador), Josér Rodrigues (vereador), Carlos Barnes da Silva (Vereador), Edivan J. Alamar (Verador), Manoel Oliveira (vereador), Eriate Azvedo de Menez (vereador), Joa Gualberton (vereador), Ana do Carmo (vereador), Gervison M. M. Monteriro (vereador), José de Filippi Jr. (diputado), Nabi Abi Chedid (diputado), Campo Machado (lider del PTB Sao Paulo), Alberto "turco loco" Hiar (diputado), Luis Carlos Gondin (diputado), Edivan Vales Fernanades (vice presidente de sindicato), Gilson Menezes (Prefecto de Municipio), Anisio Teixeira (jefe de gabinete), Felix Sanchez (universitario), Emilio Gennari (traductor), Lelia Abramo (actriz), Sergio Carvalho (musico), Carlos Tiburcio (periodista), Antonio Othon P. Rolin (periodista), Antonio Martins (periodista), più 48 firme individuali. CANADA: Comité Cristiano por los Derechos Humanos en América Latina, Red de Solidaridad con México de Montreal. USA: Global Exchange, Mexico Solidarity Network, Susana Prensa Nuevo Amanecer (N.A.P), Ramón Trujillo. BELGIO: Entraide et Fraternite(ONG), Comité para la anulación de la deuda en el tercer mundo, Socialismo Sin Fronteras, Quinoa (ONG), Comité Chiapas-Bruselas, Red Europea de los Comités Oscar Romero, Serpaj Europa ( Derechos Humanos), Comité por el respeto de los derechos humanos , Daniel Gillard, Vrede, Uilekot., Leef (partido poli'tico en la ciudad de Gante), - Oxfam-Solidaridad (ONG) NORVEGIA: Grupos de Solidaridad con América Latina en Noruega (LAIN) IRLANDA: Irish México Group (Dublin). GERMANIA: AG Chiapas; AK ASYL, Colectivo Penumbra di Frankfurth. INGHILTERRA: "ChiapasLink", de Bristol e Newcastle, DANIMARCA: Alianza Roja y Verde; Pernille Fram , diputada del Partido Socialista (SF) en el Parlamento Europeo; Solidaridad Internacional Infantil; Foro Internacional; Periodico "Socialisten"; Diario "El Trabajador"; Partido Comunista marxista leninista de Dinamarca (DKP-ML); Comité de solidaridad con Centroamerica (MAK); Movimiento del pueblo contra la UE; Importación desde el Tercer Mundo; Confederación de Asistentes Pedagógicos (PMF); Tienda "Boutique Salam"; Confederación Nacional de Pedagógicos Sociales (SL); IBIS; Asociación Danesa para la Cooperación Internacional (MS); TINKU Dinamarca; Jens Galschiot (escultor); Arte en defensa del Humanismo (AIODH); Estación de Televisión alternativa (TV-Stop); Comité de Solidaridad con Mujeres del tercer Mundo (KULU); Asociación para el Desarrollo Social Internacional (The Swallows) ITALIA: Coordinamento Unitario Toscano; Roberto Bugliani (scrittore); Coordinamento "Viva Zapata" de Lucca; Coordinamento Toscano "Senza Volto" di appoggio al Chiapas; Mani Tese, Gianfranco Bettin (vicesindaco di Venezia), Luana Zanella (presidente del consiglio municipale di Venezia), Giuseppe Caccia, Piero Petteno (consiglieri municipali di Venezia), Graziano Burattin (vicesindaco di Due Carrare (Padova), Nunzio D’Erme (consigliere municipale di Roma), Marco Savelli (consigliere municipale di Pesaro), Giorgio Marchetti (Presidente del consiglio municipale di Ancona), Sergio Cerioni ( consigliere municipale di Iesi, Ancona), Paolo Cacciari (consigliere regionale del Veneto), Saro Pettinato (senatore), Francesco Bonato (deputato), Luisa Morgantini (deputata europea), Giacomo Marramao (filosofo, Roma), Dario Evola (accademico), Patrizia Cavalli (poetessa), Isabella Ferrari (attrice), Tano D’Amico (fotografo), Pierluigi Sullo (giornalista), Radio Sherwood, Associazione per la Pace, Mani Tese, ARC (Associazione e cooperativa Robin Hood in consorzio), MAG (Veneto), LITA (Roma), SAL (Roma), CRIC, associazione di solidarietà ''Il cerchio'', Radio Onda d’Urto- Brescia, Centro sociale Magazzino 47-Brescia, Paolo Cento (deputato Verdi); Giovanni Russo Spena e Walter de Cesaris (senatori di Rifondazione Comunista); Comitato Chiapas di Torino-, Confederazione Nazionale COBAS (Comitati di base dei lavoratori), Comitato di solidarietà con i popoli dell’America Latina "Carlos Fnseca", Roma. FRANCIA: A.C: Contra el Paro de Ariege, Ariege-Palestina, ADDEARH (Asociación departamental por el desarrollo del empleo agrícola y rural L’Herault), Asiciación Zapata, ATTAC (Ariege), Colectivo "Ya Basta", C.N.T , Unión departamental de l’Aude, CAP-LONG, CGT, Parados de Pays d’Olmes, CIDES (Tarn), Colectivo de Chiapas (Ariege), Colectivo Chiapas-Mexico de Toulousse, Colectivo Derecho Campesino (Ariege), Comité Chiapas- Cercle Emili di Geon de L’Aude, Confedración campesina de Tarn, Confederación Nacinal Campesina, CSPCL (Paris), F.S.U nacional, FSU Ariege, Federación Anarquista de Ariege , Francia-América Latina Comité de Midi Pyrenees, France Libertes, Fundación Danielle Miterrand, Liga de los derechos del Hombre, Ariege, Mille Pattes , P.B.I. Francia (Brigadas de Paz Internacionales), P.C. Federación de l’Ariege, Partido Comunista Couserans, Pitchkepoï, Revue Chimeres, Solidaridad Gaillac, Sur-Educación Midi-Pyrenees, SUD-PTT 31, Sur-Rural Nacional, Sindicato SUR-grupo de 10 Haute Garonne , TAKTIK Colectivo, U:D:-CGT de l’Ariege, UPR-SGEN de Poitiers, Verts Ariege., Federación SUR-PTT Nacional, Federación SUR-ANPE Nacional, Marie Sarda (infirmière), Pascal Pavie (syndicaliste paysan), José Bové (Confédération Paysanne), PC Federation de l'Ariège, UPR-SGEN de Poitiers, Henri Lourdou (syndicaliste), Monique Amade (enseignante), GRUMEAU, Fédération SUD-PTT national, Fédération SUD-ANPE national, No Pasaran (Paris), CGT (Département International ), Gérard ONESTA Vice-prédident du Parlement européen; Marie-Claude VAYSSADE Députée honoraire au Parlement européen; Dominique LIOT Conseiller municipal de Plaisance-du-Touch; Henri AREVALO Maire-adjoint de Ramonville-St-Agne, Collectif Alternatif Progressiste du Tarn(CAP), Gauche et Ecologie Tarn, Francis St Dizier(médecin, France-Amérique Latine), 85 firme individuali. SVIZZERA: François Lachat Président de la commission de politique extérieure du Conseil national suisse, Porrentruy, Rose-Marie Ducrot Conseillère nationale, syndic, Châtel-St_Denis, Rosemarie Bär Coordinatrice pour la politique de développement des >œuvres d’entraides, anc. Conseillère nationale, Muri b/Berne, Jean-Claude-Rennwald Conseiller national, Courtételle, Odile Montavon Députée, anc. Ministre, Delémont, Alberto Velazco Député genevois, président du groupe Attac Genève, Carlo Baumgartner Conseiller municipal, solidarité-alliance de gauche, UP albanaise, Meyrin, Roland Pérusset Syndic, Baulmes; Jocelyne Gianini Conseillère municipale, Baulmes; Marie-Hélène Martin Présidente du Conseil général, membre de la constituante vaudoise; Christian Pletscher Conseiller municipal, Baulmes; Guy Loutan Médecin, anc.député genevois; Antonio Hodgers Député genevois; Andreas November Professeur, anc. député genevois; Bernard Burkhardt Député jurassien; Pierre Losio, Conseiller municipal, instituteur; Patrice Mugny Secrétaire des Verts genevois; Julien Loichat président des Jeunesses socialistes jurassiennes, Fontenais; Rémy Meury député jurassien, Delémont; Erica Hennequin Vice-présidente des Verts suisses, membre de la Commission fédérale des questions féminines; Jean Berger Ecrivain; Daniel de Roulet Ecrivain; Patricia Plattner Cinéaste; Yvette Theraulaz Comédienne; Sergio Ferrari Berne; Cornelius Koch Abbé, Genève; Lourdes Mendes mère au foyer, agricultrice biologique, Undervelier; Josette Fernex-Ory Scientifique, Bressaucourt; Anna Fedele Courrendlin; Patrick Berdat Undervelier; Theodor Bürgi Moutier, Claire-F. Liegme Moutier; Marcel Milani Delémont; Jean-Pierre Kohler Delémont; Claude Noirjean Delémont; Pierluigi Fedele Porrentruy, Liza Crétin Courtételle, Christophe Marchand Vicques, Claude Braun Longo Maï, Undervelier, David Sauvain Delémont, Christophe Schaffter Avocat, Delémont, Madeleine Chapuis Courcelon, Laurence Maquat Delémont, Christine Milani Delémont, Stéphanie Gisiger Courcelon, Rennwald Chantal Courrendlin, Raymond Gétaz Longo Maï, Undervelier; Pascal Faivre Delémont, Les Verts suisses, Parti écologiste suisse; Solidarités, parti, Nord-Sud 21; APCM, action populaire contre la mondialisation EFI, Espace Femme International; Association El Camino, Parti socialiste genevois, Mouvement écologiste jurassien, Genève socialiste, Ligue suisse des droits de l’homme, Attac Genève, Jeunesses socialistes, COTMEC Commission Tiers Monde de l’Eglise catholique, Le Courrier, Patrice Mugny (consjero nacional, secretario de los Verdes de Ginebra), Monique Cossali (jurista y diputado), Elisabeth Baume (diputada), Jocelyne Gianini (consejero municipal) Marie-Hélène Martin (presidente del consejo general), Jean Yves Pidoux (profesor y copresidente de los Verdes), Marianne Schmid (diputada), Markus Ritter (diputado), Anita Lachermeier (diputada), Jürg Stöcklin (diputado), Peter Schiess (profesor y diputado), Blaise Horisberger (copresidente de ecologia y libertad), Myrta Giavanchi (los Verdes), Comisión Federal de Cuestiones femeninas, Daniel de Roulet (escritor), Peter Stirnimann (presidente del consejo europeo de ongs Drogas y Desarrollo), Jean Crevoisier, Sergio Ferrari (periodista), Stefan Stankowsky (Amnistia Internacional), Pictet Georges (presidente del sindicato de servicios públicos), Philippe Martion (secretario del sindicato), Laurence Marquis, Laurent Olivier Giarard, Etienne Voisinand (director de seminario), Walter Biri ( licenciado), Rita Altermatt (licenciada), Andreas Nidecher (médico), Cristoph Ackermann (licenciado), Markus Diefenbach (diplomado), Susi Ruedi (diplomada), Monika Bitterli (licenciada), Lukas Lablhardt (doctor), Marianne Hazenkamp (doctora), Anita Frei (geógrafa), CETIM, Sindicato de servicios públicos sección Vaud, Nord-Sud 21, Colectivo 14 de junio, Grupo de solidaridad con Guatemala, Solidaridad Directa con Chiapas de Zurich, Colectivo Viva Zapata de Ginebra, AG Chiapas de Berna, Colectivo "insurgéEs " de Lausanne, Partido Verde de berna, Los Verdes de Ginebra, Ecología y Libertad de Neuchatel, Lista libre de Berna. STATO SPAGNOLO: MURCIA: Cosal Entrepueblos; Arcoiris; Liberación, UGT de Cartagena, Liga Española por los Derechos Humanos de Cartagena, Unión Regional de CCOO, Sindicato de Trabajadores de la Enseñanza (STERM), CGT, Partido de la Nueva Izquierda, Asociación de Amigos de El Alto de Bolivia, Comisión 0’7 y +, Comité Oscar Romero, Ingeniería Sin Fronteras, Asociación de Amigos del Pueblo Saharaui, Comisón 0’7 de Totana, Juventudes Marianas Vicencianas de Totana, Asociación La Milagrosa, Colegio Público Antonio Machado, Colegio Público La Milagrosa, Manos Unidas de Cartagena, Colectivo "La Huertecica" de Cartagena. ALICANTE: Plataforma Solidaridad con Chiapas, Comité de solidaridad con Nicaragua de Iberia (España). ANDALUCÍA: Asociación Pro Inmigrantes de Córdoba, Asociación Promotoras por la Igualdad de la Mujer, Asociación Pro-Derechos Humanos, Confederacion General del Trabajo , Confederación Nacinal del Trabajo, Colectivo de Solidaridad con Cuba, Consejo Local de Juventud de Córdoba, Juventud Obrera Cristiana, Grupo de Apoyo al Movimiento de los Sin Tierra de Brasil, Unión de Sindicatos de los Trabajadores de la Enseñanza de Andalicía, Ecologistas en Acción, Asociación Andaluza por la Solidaridad y la Paz (ASPA), Los Verdes, Encuentros en la Calle , Concejalía de Cooperación y Solidaridad del Ayuntamiento de Córdoba, Colectivo Zapatista de Córdoba, Area de Paz y Solidaridad de IU de Nerja, Grupo editorial Guarache, FETESE-UGT de la Axarquía, Comité de Apoyo a Chiapas de Nerja, Comité de Apoyo a Chiapas de Málaga, Comité de solidaridad con Chiapas de Torremolinos, CGT, Rolabola Malabares, IU de Torremolinos, Juventudes Comunistas de Andalucía, Estudiantes Progresistas de Torremolinos, Seminario de estudios para América Latina (SEPAL), Acción Alternativa, Colectivo Juvenil "Algarive", Plataforma 0,7% y +, Ayllú, Colectivo Zapatista, Asociación de Amistad con Cuba "Nicolás Guillén", Centro Social Okupado, JALEO, CJC (Colectivo de Jóvenes Comunistas) y Comunidades Cristianas de Granada, Colectivo "Diamantino García Acosta" por los Derechos Humanos y la Solidaridad, de Pedrera (Sevilla), Colectivo de Solidaridad de Alameda (Málaga) y el Sindicato de Obreros del Campo (SOC). ARAGON: Centro de Estudios Libertarios José Alberola (Fraga); C.N.T (Confederación Nacional del Trabajo); Asamblea de Solidaridad con la Rebelión Zapatista (B.Cinca): Colectivo de Apoyo Zapatista, Grupo Apoyo Mutuo, Darrin Wood, Director. Nuevo Amanecer Press Europa, Plataforma de Solidaridad con Chiapas de Zaragoza. CATALUNYA: Manuel Vázquez Montalbán (escritor)Fons Català de Cooperació al Desenvolupament (agrupa a los ayuntamientos de Catalunya);, USCOB (unió sindical de CC.OO del barcelonés); AIDE (col.lectiu d’assessorament i defensa jurídica); Col.lectiu Ronda; Federacio del metall i la mineria de Catalunya de CC.OO; CNT-AIT (Comité regional de Catalunya); Club de los poetas muertos; Andreu Carranza (escritor); Rafael Subirats (músico); Xavier Joanpere (escritor); Xavier Garcia (periodista y escritor); CGT (Comité confederal, secretariat permanent); ERC (sede nacional); Empenta; Paco Ibañez (cantautor); Joan Jara (viuda de Victor Jara); Medicus Mundi Catalunya; Plataforma Antiguerra de la UOC; Ayuntamiento de Arbucies, SOARTAL (solidaridad Arbucies con Palacahiaua); CUPA (candidatura unitaria popular Arbucies); Vall DELGES solidaria (Vic); Pau i Justicia (Malgrat); Malgrat Solidari; Pineda solidaria; Agermanament Solidari Somoto (Vic); La Noguera (grup de defensa del entorno natural); Grupo d’Anellament de Calldetenes; Asamblea de Independentistas de Osona; Defensem Cuba; Maulets Osona; Ayuntamiento Santa Eugenia de Berga; Casal Claret; Justicia i Pau de Vic; ERC Santa Eugenia de Berga; ARAGUAIA (amigos de Casaldaliga); Justicia i Pau de Barcelona; INSHUTI (Manresa); EntrePobles-EntrePovos-Entrepueblos; Comision 0’7 Lleida; AEP; Cooperativa XOU; Joves de L’Ekipa (Pineda de mar); Grupo ecologista CANEM; Grupo de solidaridad con centroamerica de Sabadell; Asociación catalana de brigadistas a Nicaragua; Fundació Pau i Solidaritat CC.OO; Dolores Juliano (antropologa); CASAL (Colectivo autogestionado solidaridad area latina); Casa Nicaragua (Barcelona); EMBAT; Colectivo de Solidaridad La Barrina; Coordinadora ONGs solidarias de las comarcas de Gerona, Arenys Solidari, Servicio Jesuita a Refugiados-España, Comité d’Osona de Solidaridad con Nicaragua y Centroamérica, Hermanamiento San Juan de Limay de l’Esquirol, Hermanamiento Manlleu San Bartolo de Quilali, NATRUS Consejo de Jovenes de Centelles, Colectivo de Centelles, Justicia y Paz de Centelles, SETEM, Joan Coscubiela (secretario de CCOO), Joan Saura (dipùtado en el Parlamento español), Antonio Gutierrez Díaz (europarlamentario), Rafael Ribó (Presidente de Iniciativa por Catalunya), Iniciativa por Catalunya, Fundación Akwaba, Vols? Associació de Voluntaris, Defensem Cuba l'Hospitalet, Madres de Plaza de Mayo-Barcelona, La Chichigua, La Torna, ASOPXI, Comunidad Cristiana de la Madre de Dios de la Luz, José Mordf; Clarisó Martí coordinador de EUIA de la Asamblea Local de Lleida, HIJOS , Josep Pau i Varela (senador de CiU); seguono 1.479 firme individuali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. Allegato di comunicati dell’EZLN

 

A.1. (Lettera 5.1)

Chiapas: la guerra

Tra il satellite e il microscopio, lo sguardo dell'altro

20 novembre 1999

Seguono alcune note sulla chiacchierata tra la nostra delegazione del Comitato Clandestino Indigeno - Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e un gruppo di osservatori della CCIODH, Commissione Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani. In un primo tempo, prevedendo che non fosse possibile un incontro personale, questa chiacchierata era stata pensata come una lettera. Sarà quindi letta come una lettera, a voce alta e direttamente al destinatario o, per meglio dire, a uno dei destinatari, perché è indirizzata alla società civile internazionale. Ho scelto la data dell’anniversario della Rivoluzione Messicana in parte perché sono un po’ discolo, ma soprattutto per riprendere due immagini di questo secolo: una è il volto di Emiliano Zapata, l’altra è una bimba indigena con la faccia parzialmente nascosta dal paliacate rosso. Più oltre tornerò su queste due immagini.

Ciò di cui si tratta, non è dimostrare che nelle terre indigene del sudest messicano c’è una guerra (il governo messicano fa perfino l’impossibile per negare una cosa così evidente), ma capire il perché questa guerra continui.

Sì, questa guerra che è iniziata il primo gennaio del 1994, avrebbe dovuto terminare circa quattro anni fa, quando si sono firmati i primi accordi di San Andrés e il processo di dialogo appariva già definitivamente avviato verso il conseguimento della pace. Il fatto che la guerra continui, nonostante avrebbe potuto già terminare in modo degno ed esemplare, ha le sue ragioni. Quanto segue sono alcuni tentativi di riflessione per cercare di rispondere alla domanda: perché la guerra in Chiapas?

Vi chiedo pazienza e comprensione. Dato che non ho più il limite nel numero di pagine e nell'aver riguardo sui costi di carta e inchiostro, allora, posso estendermi in questioni che suole essere arido toccare nelle conversazioni di Don Durito de La Lacandona e del vecchio Antonio.

Bene allora, qui ci sono le tesi generali che svilupperò nell’esposizione orale:

1. Le guerre mondiali

- Costanti: conquista e riorganizzazione di territori, distruzione del nemico, amministrazione della conquista.

- Variabili: strategia militare. Attori coinvolti. Armamenti, tattiche.

- La III Guerra Mondiale, il periodo della "guerra fredda". Due grandi superpotenze, due periferie vicine (Europa e parte dell’Asia) ed il resto come spettatori e vittime (America Latina, Oceania, Africa e un’altra parte dell’Asia). La corsa agli armamenti globale e le guerre locali e regionali.

- La IV Guerra Mondiale, dal mondo unipolare alla globalizzazione. Il Neoliberismo. La doppia coppia distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordinamento, le bombe finanziarie. La distruzione degli stati nazionali e di quanto è inerente ad essi (lingua, cultura, politica, economia, tessuto sociale). L’omogeneizzazione e l’egemonia iniziano a produrre ed a incoraggiare la crescita dei loro contrari: la frammentazione e la moltiplicazione delle differenze.

Dal vasto mondo unificato all’arcipelago controllato e intercomunicante grazie all’informatica e le bombe (quelle finanziarie e le altre). La guerra contro l’umanità, vale a dire, contro quanto è essenzialmente umano: la dignità, il rispetto, la differenza.

2. La guerra militare. Passaggio in concezioni e azioni. Tappe:

a) III Guerra Mondiale o Fredda. Guerra convenzionale sul terreno europeo, guerra nucleare localizzata (Europa, Cuba, Oriente), guerra nucleare totale. Strategia di postazioni avanzate, linee permanenti di logistica, retroguardia stabile. I grandi patti. La NATO, Varsavia, SEATO. Le guerre locali: eserciti locali e appoggio dalle metropoli. Le dittature in America Latina, le guerre in Africa, il conflitto del Medio Oriente. Si costruisce il concetto di guerra totale, che qui incorpora i terreni economico, ideologico, sociale, politico e diplomatico. Le guerre locali nella logica della teoria del domino. La giustificazione: la difesa della democrazia, gli aiuti e la prevenzione di minacce mondiali (secondo la logica della II Guerra Mondiale).

b) IV Guerra Mondiale. Sviluppo e consolidamento del concetto di guerra totale. Guerra in qualsiasi parte, in qualsiasi momento, in qualsiasi circostanza. Evoluzione della strategia militare. Strategia di dispiegamento rapido (l’invasione a Panama, la guerra del Golfo Persico). Dopo la strategia di proiezione di forze (scartata quasi immediatamente in previsione di proteste per le perdite, remember il Vietnam) nuovo rimpasto: soldati "internazionali" e "locali" per guerre mondiali e uso di istanze sovranazionali (caso Kossovo e la NATO-ONU). La giustificazione: la difesa dei diritti umani (guerra umanitaria), nella globalizzazione tutto il mondo è il cortile del potere, ergo, tutto ciò che succede in qualsiasi parte del mondo può essere considerato una minaccia diretta alla sicurezza interna.

3. La guerra militare mondiale.

Dottrine e comportamenti

a) Teatri di Operazioni. Dalla certezza all’incertezza, dalle risposte sistematiche alla versatilità.

b) Dalla strategia di contenimento a quella di espansione. La guerra non si limita all’aspetto militare, bensì si estende alle azioni di "non guerra" (occhio: mezzi di comunicazione e diritti umani). Pertanto, il "nemico" da vincere non è solo l’esercito contrario o la forza armata contraria, bensì il tutto sociale, politico, economico e ideologico in cui il conflitto si sviluppa. Ora non esistono più "civili" né "neutrali", tutti sono "belligeranti".

c) Il rimpasto degli eserciti nazionali nella nuova strategia mondiale. Il superpoliziotto ed i suoi aiutanti locali, allo stile di Hollywood, la star principale e le "partecipazioni straordinarie". La distruzione degli stati nazionali obbliga gli eserciti nazionali a ristrutturarsi e a ridefinire le loro funzioni.

d) Il budget. La guerra come affare. La ristrutturazione militare mondiale sarà cara. Il preventivo di spesa che presenta Clinton per l’anno fiscale 2000 fino a quello del 2005 potrebbe arrivare intorno ai 1.900 miliardi di dollari, suddivisi in varie spese. Il piano di difesa del "futuro" degli USA è quello di considerare nemico... il genere umano. La spesa include 12,6 miliardi di dollari per il Pentagono, 112 miliardi per i militari, 280,8 miliardi di budget militare e 274,1 miliardi per altri questioni di difesa. Il budget include 555 miliardi di dollari di spesa discrezionale (281 per i militari). Per l’anno 2005 gli Stati Uniti staranno spendendo più della media annuale della Guerra Fredda (Tutti dati da "The Defense Monitor", Center for Defense Information, Washington, DC #1, 1999. www.cdi.org). Agli Stati Uniti costa 261 mila dollari ciascuno dei 6.900 soldati in Bosnia, 1,8 miliardi l’anno.

4. La guerra nel continente americano

a) La Dottrina Cheney. Il narcotraffico come nemico in America. Sostituzione della dottrina di Sicurezza Nazionale con quella di Stabilità Nazionale (sovranità limitata). Il poliziotto locale e quello internazionale.

b) Nel ruolo della NATO... la OSA! Il sistema di difesa emisferico.

c) I saggi della "versatilità". Colombia e Chiapas. Gli obiettivi: ridefinire l’arcipelago secondo la logica del mercato. Centri commerciali in tutto il mondo, però mascherati da paesi vecchi o "nuovi".

5. La Guerra in Chiapas

Guerra totale e nemico totale. Tutti sono nemici. L’obiettivo da distruggere: i popoli indios. Il disturbo: l’EZLN.

6. La Guerra in Chiapas. La conquista del territorio e il bottino di guerra

a) Esercito di Occupazione. Comportamento: controllo del potere politico locale (estensione della guerra), fabbricazione di mezzi di comunicazione ad hoc, sfiducia dei civili, bottino di guerra (bambini, narcotraffico, traffico di legname prezioso, tratta delle bianche, alcol, promozioni, affari, paghe, prestazioni e diserzioni). La Polizia Militare (insubordinazione, diserzione. Versus civili).

b) Il golpe chirurgico e il golpe totale. Ambiente politico poco propizio. Avere tutte le possibilità per il momento opportuno.

c) Per il golpe chirurgico: i GAFE (Grupos Aerotransportados de Fuerzas Especiales), da 90 a 105 soldati per unità.

d) Per il golpe totale. Forze dispiegate per "sigillare" l’area. Celle sotterranee, tunnel e cripte nelle grandi caserme (San Quintín).

7. L'Esercito Messicano

È un Esercito in transito verso la sua ristrutturazione. La sua essenza attuale è il peón da sacrificare nella giocata bellica chiamata "Chiapas". La sua prova nel ruolo di poliziotto "locale": narcotraffico, delinquenza organizzata, sovversione.

a) Ristrutturazione verso un unico comando generale. Tocca gli interessi delle zone e delle regioni militari (quota di potere dei generali).

b) Transito in quantità: di 170 mila nel 1996. Il budget è aumentato del 44% dal 1995 al 1996.

c) Lotte interne tra corpi militari e tra Esercito, Forza Aerea e Marina.

d) Ingerenza nordamericana. La USADO (Ufficio del Dipartimento alla Difesa degli Stati Uniti) aveva nel 1995 due équipe speciali in Chiapas, con il beneplacito della Sedena.

8. I diritti umani individuali e i diritti umani dei popoli: la vita, la cultura, la differenza, il domani.

9. Le immagini:

Emiliano Zapata, il ieri, volto comune e diversa posizione di fronte al Potere. La bambina indigena zapatista, il domani, volto comune e diversa posizione di fronte ai poteri. Tra l’uno e l’altra, gli indigeni ribelli dell’EZLN, senza volto e che mettono in discussione tutto, addirittura il loro procedere.

Dalle montagne del sudest messicano

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno - Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Marcos

La Realidad in Guerra, Messico

Novembre 1999

 

P.S.: Sequenza di Mappe. Dal satellite al microscopio. Prese da Barreda Marín, Andrès: Atlante geoeconomico e geopolitico dello stato del Chiapas.

a) I due TLC: America del Nord e Unione Europea. Include petrolio.

b) Spesa Militare in Messico, 1987-1999.

c) Il Mondo Maya. Ubicazione.

d) Indigeni nel Mondo Maya.

e) Petrolio nel Mondo Maya.

f) Minerali in Chiapas.

g) Chiapas. Gruppi indigeni. Lingue.

h) Chiapas. Emarginazione e popoli indios.

i) Chiapas. Paramilitari nel 1997.

j) Chiapas. Offensiva nel giugno del 1999.

 

A.2. (Lettera 5.2)

Chiapas: la guerra

II. La macchina dell’etnocidio

Novembre 1999

"Già all’imbrunire e per una scorciatoia sono arrivati al villaggio Ramón Balam e Domingo Canché. Scappavano dal massacro che i bianchi facevano tra gli indios. Balam era stato ferito da un colpo di machete alla schiena e sanguinava. Jacinto Canek gli disse: Si stanno già compiendo le profezie di Nahua Pech, uno dei cinque profeti del tempo antico. I bianchi non si accontenteranno di ciò che possiedono, né di quello che hanno vinto in guerra. Vorranno anche la miseria del nostro cibo e la miseria della nostra casa. Innalzeranno il loro odio contro di noi e ci obbligheranno a rifugiarci in montagna e nei luoghi più appartati. Allora andremo, come le formiche, dietro alle bestie selvatiche e mangeremo cose cattive: radici, gracchi, corvi, ratti e locuste del vento. E il putridume di questo cibo riempirà di rancore i nostri cuori e verrà la guerra.

I bianchi hanno gridato: Gli indios si sono sollevati!".

Canek. Storia e leggenda di un eroe maya. Ermilo Abreu Gómez

Ottobre-novembre 1999, agenzie internazionali di notizie.- Il Ministero per le Relazioni Estere (SRE) ha lanciato una campagna d’informazione via Internet, per rendere noto il lavoro che il governo messicano realizza per porre fine alla povertà in Chiapas. Il testo che viene diffuso, scritto in spagnolo, inglese, francese, italiano e tedesco, dice che le autorità hanno raggiunto in Chiapas grandi progressi in educazione, salute, distribuzione agraria e sviluppo agricolo. Tuttavia, il documento non nomina la situazione del conflitto armato né la situazione degli indigeni desplazados.

Alla società civile nazionale e internazionale:

Da: SupMarcos

Signora: In questi giorni sta circolando un documento elaborato dal Ministero per le Relazioni Estere, sullo stato messicano del Chiapas, in cui si riportano in dettaglio le azioni governative in materia di educazione, salute, distribuzione agraria e sviluppo agricolo. Con il fine di completare su quanto "informa" il governo messicano, l’EZLN lancia il seguente pamphlet intitolato CHIAPAS: LA GUERRA, che può essere riprodotto totalmente o parzialmente, citando la fonte o senza citarla, o si può anche fare un aeroplanino di carta per lanciarlo in faccia all’ambasciatore o al console messicano di sua preferenza, oppure archiviarlo nella lista degli "orrori" sotto la "H" di "storia" [in spagnolo horrores e historia]. Oppure può essere consegnato a qualche alta commissaria per i Diritti Umani dell’ONU a cui le vogliono vedere la faccia di Rabasa ... Sale y vale:

Nelle sue mani lei ha ora il pamphlet. In copertina si vede l’immagine di un mappamondo che, curiosamente, ha lo stesso contorno geografico del sudorientale stato messicano del Chiapas. Sopra, in caratteri "bold" o "black" (o come li si vuole chiamare "neretto") e in maiuscole, si legge

CHIAPAS: LA GUERRA.

Sotto al mappamondo "chiapanizzato", in caratteri più piccoli si dice: "Sono così le ultime guerre del secolo XX°? O così saranno le guerre del secolo XXI°?".

Nella parte posteriore, ossia sul retro, l’immagine è un passamontagna, nell’apertura dove dovrebbero starci gli occhi c’è un specchio. Sotto si legge: "Si permette, anzi, si esige la riproduzione totale o parziale di ciò di cui parla questo pamphlet e, soprattutto, di ciò che tace".

In prima copertina ci sono alcuni dati:

Paese: Messico

Superficie: 1.967.183 km quadrati

Popolazione: 91.800.000 (1994)

Popolazione Indigena: 10 milioni (le cifre ufficiali parlano di poco più di 5 milioni)

Stato: Chiapas

Superficie: 74.211 chilometri quadrati

Popolazione: 3.607.128

Popolazione indigena: Più di un milione di persone (il governo ne cita solo 706 mila).

La prima pagina inizia, senza anestesie, dichiarando che: Per trovare il "Messico" in un mappa moderna lei deve affrettarsi, poiché gli attuali governanti si sono impegnati nel distruggerlo e, se hanno successo, presto non apparirà più sui mappamondi. Localizzi innanzitutto il continente americano. Bene, ora ubichi ciò che si chiama "nordamerica". Adesso, questo che appare a sud degli stati nordamericani di Texas, Arizona, Colorado e California non è (ancora) un’altra delle stelle nella bandiera statunitense. Osservi con attenzione questo pezzetto del continente il cui fianco occidentale è accarezzato dall’Oceano Pacifico, previa la coltellata che gli ha lasciato la penisola della Baja California come solitario e destro braccio, e il cui ventre si assottiglia per dare un luogo privilegiato all’Oceano Atlantico (protetto dal pollice della penisola dello Yucatán). Che le sembra? Sì, lei ha proprio ragione, la sua figura è quella di una mano che aspetta. Bene, questo è il Messico. Uff!, è bello sapere che è ancora lì.

Adesso annoti i dati che compaiono sulla prima di copertina. Man mano avanza nella lettura di questo pamphlet, il numero della popolazione indigena in Chiapas andrà diminuendo. Il governo messicano porta avanti una guerra il cui primo passo contempla l’eliminazione di quasi mezzo milione di indigeni (precisamente quelli "mancanti" nel suo censimento, che sono gli indigeni che abitano nella denominata "zona di conflitto").

Fonti governative stimano in almeno 450 mila il numero di indigeni che sono zapatisti o che simpatizzano con la causa dell’EZLN, ergo, sono "potenziali zapatisti", vale a dire, "eliminabili".

Con proiettili, bombe, granate, paramilitari, sterilizzazione forzata, sequestro e traffico di infanti, degrado dell’ambiente, asfissia culturale e, soprattutto, con l’oblio, gli indigeni messicani sono annientati in una guerra la cui intensità nei mezzi di comunicazione è alta e bassa, ma è costante e inesorabile nella quota di morte e di distruzione che si fa pagare alla realtà chiapaneca.

Bene, adesso si concentri sull’angolo sudorientale della mappa del Messico. Questa zona scura e piena di montagne è il Chiapas. Sì "Chiapas" e non "Chapas", come lo pronuncia Zedillo. Chi? Zedillo? Ah! È quello che è al fronte del gruppo che governa il Messico. Bene, non al fronte, per meglio dire dietro. No, volevo dire, in parte. No, è meglio dire che sta sotto di. Insomma, alcuni lo chiamano "il presidente del Messico", però in questo paese nessuno prende sul serio questa affermazione. Bene, non distraiamoci. Prenda un lapis di colore rosso e colori quest’angolo, l’ultimo, del Messico. Perché di rosso? Beh, perché vuol dire diverse cose: "lotta", "conflitto", "allerta", "pericolo", "emergenza", "sangue", "lotta", "resistenza", "alto là", "guerra". Chiapas vuole dire tutto questo, però ora intenderemo il rosso come "guerra".

Sì, qui c’è una guerra. Sì, soldati, aerei, elicotteri, carri armati, mitragliatrici, bombe, feriti, morti, distruzione. Le parti che si scontrano? Beh, da un lato c’è il governo messicano, dall’altro stanno gli indigeni. Sì, il governo contro i popoli indios. Cosa? No, non le sto parlando di qualcosa che è già accaduto, ma di qualcosa che succede attualmente. Sì, in questa fine del secolo XX° e quando il secolo XXI° già sta disfacendo il suo bagaglio di incertezze, il governo messicano fa la guerra agli abitanti, i primi di questo paese, gli indigeni.

Che dice? Che il governo del Messico dice che non è una guerra bensì un "conflitto"? Beh, vediamo alcuni dati che possono essere comprovati "in situ", con il semplice metodo dell’osservazione, guardando ed ascoltando. Il problema è che, per il governo messicano, le azioni denotate dai verbi "guardare" ed "ascoltare" sono stigmatizzate come reati. Qualsiasi cittadino messicano o di qualsiasi dei paesi dei 5 continenti deve essere muto e cieco, pena il carcere, l’espulsione, la minaccia, la scomparsa o la morte.

Ma supponiamo che lei non voglia rischiare di venire incarcerato, perseguitato, minacciato o fatto sparire se è messicano, o, se lei è di un'altra nazionalità, minacciato, perseguito ed espulso dal nostro paese da autorità governative che odiano coloro che vengono a comprovare "in situ" le informazioni giornalistiche. Che fare? Bene, per questo c’è questo pamphlet, in esso le diremo solo ciò che si può comprovare a semplice vista e non ciò che richiede di un’indagine a fondo e "contatti" molto in alto nel governo... nordamericano. Come avallo morale di queste informazioni, le diremo che noi non le abbiamo mai mentito e non abbiamo motivo di farlo ora. Però, anche così, lei ha il pieno diritto di dubitare, così che lei può ricorrere alla stampa internazionale e nazionale, o arrischiarsi a visitare le terre indie del sudest messicano. Vedrà che non ci sono dubbi che sotto questi cieli si libra una guerra e che questa guerra è contro i popoli indios.

Beh. Primo dato di guerra: la presenza di un numero straordinariamente alto di forze armate governative.

Secondo la cifra ufficiale, sono 30 mila gli elementi dell’Esercito Messicano distaccati in Chiapas. Calcoli non ufficiali assicurano che sono circa 70 mila. Per l’irruzione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale il 1° gennaio 1994, il governo federale, nella prima settimana di gennaio, ha inviato nella zona di conflitto circa diecimila soldati dell’Esercito Messicano, 200 veicoli (jeep munite di artiglieria, carri armati, per citarne alcuni) e 40 elicotteri. Ma in dieci giorni di conflitto il numero degli effettivi è aumentato a 17 mila. In quello stesso anno, il governo federale ha ristretto il conflitto armato a quattro municipi: San Cristóbal de las Casas, Las Margaritas, Ocosingo e Altamirano. E poi l’ha esteso: nel 1999 l’Esercito Messicano ha ampliato il suo raggio d’azione a 66 dei 111 municipi del Chiapas. Sì, più della metà dei municipi chiapanechi vivono in situazione di guerra ed in essi la massima autorità è quella militare.

Per la guerra nel sudest messicano, l’Esercito federale è organizzato nella settima Regione Militare, che comprende 5 zone militari: la 30a con sede a Villahermosa, la 31a a Rancho Nuevo, la 36a a Tapachula, la 38a a Tenosique e la 39a ad Ocosingo. Inoltre comprende le seguenti basi aeree militari: Tuxtla Gutiérrez, Ciudad Pemex e Copalar.

Ufficialmente la forza principale dell’Esercito federale, la cosiddetta Fuerza de Tarea Arcoiris, comprende 11 raggruppamenti: San Quintín, Nuevo Momón, Altamirano, Las Tacitas, El Limar, Guadalupe Tepeyac, Monte Líbano, Ocosingo, Chanal, Bochil e Amatitlán.

Ma basta un’occhiata a volo d’uccello per rendersi conto che questo è falso. Esistono grandi guarnigioni militari quantomeno nei seguenti luoghi:

Zona Selva: San Caralampio, Calvario, Laguna Suspiro, Taniperla, Cintalapa, Monte Líbano, Laguna Ocotalito, San Tomás, La Trinidad, Jordán, Península, Ibarra, Sultana, Patiwitz, Garrucha, Zaquilá, San Pedro Betania, Yulomax, Florida, Ucuxil, Temó, Toniná, Chilón, Cuxuljá, Altamirano, Rancho Mosil, Rancho Nuevo, Chanal, Oxchuc, Rancho El Banco, Teopisca, Comitán, Las Margaritas, Río Corozal, San Tomás, Guadalupe Tepeyac, Vicente Guerrero, Francisco Villa, El Edén, Nuevo Momón, Maravilla Tenejapa, San Vicente, Rizo de Oro, La Sanbra, Flor de Café, Amador Hernández, Soledad, San Quintín, Amatitlán, Río Euseba.

Zona Los Altos: Chenalhó, Las Limas, Yacteclum, La Libertad, Yaxmel, Puebla, Tanquinucum, Xoyeb, Majomut, Majum, Pepentik, Los Chorros, Acteal, Pextil, Zacalucum, Xumich, Canonal, Tzanen Bolom, Chimix, Quextik, Bajoventik, Pantelhó, Zitalá, Tenejapa, San Andrés, Santiago El Pinar, Jolnachoj, El Bosque, Bochil, San Cayetano, Los Plátanos, Caté, Simojovel, Nicolás Ruiz, Amatengango del Valle, Venustiano Carranza.

Zona Norte: Huitiupán, Sabanilla, Paraíso, Los Moyos, Quintana Roo, Los Naranjos, Jesús Carranza, Tila, E. Zapata, Limar, Tumbalá, Hidalgo Joexil, Yajalón, Salto de Agua, Palenque, Chancalá, Roberto Barrios, Playas de Catazajá, Boca Lacantún.

Questo solo nella denominata "zona di conflitto". Per rispettare la cifra ufficiale di 30 mila soldati in Chiapas, queste guarnigioni dovrebbero avere una media di 300 soldati, cosa che è evidentemente falsa. Le piccole guarnigioni hanno, in media, questo numero. Ma le grandi caserme superano di molto le 10 volte questa quantità. Le grandi caserme di Rancho Nuevo, Ocosingo, Comitán, Guadalupe Tepeyac e San Quintín contano tra i 3 mila e i 5 mila effettivi ciascuna.

Secondo organizzazioni indigene e sociali del Chiapas (diverse e distanti dall’EZLN), l’Esercito Messicano ha attualmente in Chiapas 266 posizioni militari, il che significa un considerevole incremento rispetto alle 76 postazioni che aveva nel 1995. In una lettera diretta a Ernesto Zedillo ed al ministro della Difesa Nazionale, Enrique Cervantes Aguirre, i raggruppamenti con presenza nelle vallate della selva del Chiapas, hanno manifestato che solo nei municipi di Ocosingo, Altamirano, Las Margaritas, La Indipendencia e La Trinitaria sono distaccati 37 mila soldati.

In questi cinque municipi, aggiungono, la popolazione non raggiunge i 300 mila, il che significa che c’è un soldato ogni nove abitanti. Perciò, segnalano nel documento, "il ritiro dell'Esercito Messicano dalle nostre comunità costituisce la principale rivendicazione dei popoli indigeni del Chiapas e non risponde ai soli interessi di alcuni".

Oltre alle forze "regolari" inquadrate nelle zone militari dell’Esercito e forza aerea in Chiapas, il governo conta su 51 Gruppi Aeromobili di Forze Speciali (GAFE), dei quali almeno cinque sono in Chiapas: uno a El Sabino, un altro a Copalar, gli altri a Terán, Tapachula e Toniná. Per l’addestramento di questi GAFE gli Stati Uniti hanno preventivato 28 milioni di dollari nel 1997 e 20 milioni nel 1998. Nel 97-98 circa 2 mila e 500 militari si sono addestrati a Fort Bragg, North Carolina, e a Fort Benning, Georgia, Stati Uniti.

Anche in Chiapas, un corpo di Fanteria di Difesa Rurale, 6 battaglioni di fanteria, 2 reggimenti di cavalleria motorizzata, 3 gruppi di mortai e 3 compagnie non inquadrate, oltre a 12 compagnie di Fanteria non inquadrate a Salto de Agua, Altamirano, Tenejapa e Boca Lacantún.

La media di truppa per compagnia è da 145 a 160 soldati e quella di un battaglione è da 500 a 600 circa.

Paramilitari. Almeno 7 gruppi paramilitari: Máscara Roja, Paz y Justicia, Mira, Chinchulines, Degolladores, Puñales, Albores de Chiapas. Il responsabile della loro attivazione nel 1995 fu il generale Mario Renán Castillo, addestrato a Fort Bragg, North Carolina, USA, e, a quel tempo, capo della settima Regione Militare. L’equipaggiamento per questa guerra è sorprendente (siamo in possesso solo di cifre che sono pubbliche).

Acquisti nel 1994. Quattro elicotteri S70A Blackhawk della ditta Sikorsky. Altre imprese Bell, MacDonell-Douglas; 7.573 fucili lanciagranate, 18 lanciagranate M203P1 da 40 millimetri, 500 fucili da franco-tiratore, 473 mila set da campo, 14 mila sacchi a pelo, 660 mila razioni, 120 mila cinture con fondina per pistola, 608 puntatori laser e 208 equipaggiamenti per la visione notturna, 500 armi anticarro belghe, 856 lanciagranate automatici HK19, 192 mitragliatrici M2HB. Usano anche RPG-7 e armi simili al B-300.

Nel 1996 il Congresso nordamericano autorizzò la vendita al Messico per 146.617.738 dollari. Dieci milioni in pezzi di ricambio per aeronavi, sei milioni di cartucce, un milione e mezzo di dollari in erbicidi, 378 lanciagranate, 3 elicotteri MD-500, maschere antigas, più di 61 mila dollari in prodotti chimici anti-persona.

Nel 1997, 10 mila pistole, mille 80 fucili AR-15, 3 mila 193 M-16 e pezzi di ricambio per carri armati e veicoli con artiglieria. Nel 1999 è previsto l’acquisto per almeno, 62 milioni di dollari. (I dati sono stati presi da "Las Fuerzas armadas mexicanas a fin de milenio. Los militares en la conyuntura actual". López y Rivas, Gilberto; Sierra Guzmán, Jorge Luis; Enríquez del Valle, Alberto; Gruppo Parlamentare del PRD, Camera di Deputati, 57a Legislatura).

La Forza Aerea Messicana, secondo un rapporto del Ministero della Difesa Nazionale (Sedena), durante i cinque anni del sessennio di Ernesto Zedillo, ha incrementato le sue operazioni aeree del 37% rispetto al sessennio precedente. Ora si stanno realizzando fino a 110 operazioni giornaliere (contro le 87 del sessennio scorso). Dal 1995, la dotazione di aerei e elicotteri è cresciuta del 62%. All'inizio dell’amministrazione di Zedillo si contavano 246 aeroplani, ora ce ne sono 398 (senza contare i 74 elicotteri Huey che sono stati restituiti agli USA - dai dati del Boletín de la Fuerza Aérea Mexicana ed El Universal).

Ogni 29 giorni si verifica un incidente, un incidente fatale ogni 105 giorni e si perde un aeronave militare ogni 86 giorni. Ogni 26 giorni hanno "incidenti" che si possono catalogare all’interno di quella che si chiama "pressione di guerra" (war stress). Gli "incidenti" avranno un incremento superiore al 43% rispetto al sessennio precedente.

I fornitori delle macchine aeree di morte per il Messico sono Stati Uniti, Svizzera e Russia (dai dati della pubblicazione Airpower Journal Internacional, con dati del tenente colonnello Luis F. Fuentes, della Forza Aerea degli Stati Uniti). Con il loro appoggio sono stati armati cinque squadroni di controinsurrezione. Uno degli squadroni di controinsurrezione (conta cinque elicotteri Bell 205A-1, cinque Bell 206 JetRanger e 15 Bell 212) è destinato al Chiapas ed i suoi 25 elicotteri sono dotati di artiglieria. Nella lista di aerei da ricognizione, dei due squadroni di aerofotometria (per la stesura di piani) dei 10 Rockwell 500S Commander esistenti, almeno quattro aerei operano sulla "zona di conflitto"; e della unità di ricerca e soccorso, che conta nove aeronavi IAI-201 Arava, almeno due sono destinati alla vigilanza aerea del territorio ribelle.

Rispetto agli elicotteri, sono da notare i nuovi acquisti di unità di fabbricazione russa e così il totale di apparati: 12 Mi-8, 4 Mi-17, quattro Bell 206, 15 Bell 212, tre Sa-330 Puma e due Bell UH-60 Black Hawk.

La FAM (Fuerza Aérea Mexicana) utilizza la Lockheed AT-33 come nave da combattimento, perché ha in dotazione una varietà di armamenti, come mitragliatrici Browning M-3 calibro 0.50 all’imboccatura e come due punti sotto le ali per sopportare carichi di bombe da 500 libbre e/o lanciamissili. Secondo la versione ufficiale, la FAM non li ha utilizzati nel conflitto del Chiapas (La Jornada).

La realtà è un’altra. Esistono video girati nei giorni 5 e 6 gennaio del 1994, dove aerei Lockheed AT-33 bombardano i dintorni di San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Questi video sono stati girati da Amnesty International e includono foto di schegge e di parti di bombe o "rockets" ("Chiapas: 1994", dottor Steven Czitrom, Messico, 1999).

Se questo di per sé fosse poco, un gruppo di 17 osservatori stranieri, guidati dall’organizzazione statunitense Global Exchange, ha denunciato l’esistenza di trappole cazabobos che costruiscono i militari, come parte di una guerra di bassa intensità contro l’EZLN. Ha spiegato che queste trappole consistono in buche scavate nel terreno, le quali sono ricoperte da foglie e hanno sul fondo delle stecche di circa 40 centimetri di lunghezza. Ha aggiunto che le trappole sono state scoperte nelle vicinanze della comunità di Amador Hernández. D’altra parte gli osservatori hanno detto che l’armamento fornito dagli Stati Uniti al Messico, non si utilizza per la lotta al narcotraffico bensì per la guerra contro i popoli indigeni.

Dopo aver letto, in un piccolo riquadro: Il Messico ha rifiutato fra il 1993 ed il 1995 gli aiuti degli USA, ma nel 96/97 ha accettato 7 milioni di dollari da parte del Pentagono per l’addestramento e l’equipaggiamento (Nacla, vol. 32 # 3 nov-dic ‘98), lei cambia pagina e si trova con il seguente sottotitolo:

L’ALTRO AFFARE DELLA GUERRA.

Tutto questo gigantesco macchinario militare ha la sua ragione d’essere. Benché il governo insista inutilmente che si tratta di una forza di "contenzione" nei confronti dei ribelli zapatisti, la verità è che si tratta di un contingente di guerra. Una guerra che ha come obiettivo per prima cosa la distruzione dei popoli indios ribelli e poi di tutti gli altri indigeni. Non si tratta solo di un’eliminazione fisica, bensì, più che altro di un’eliminazione, in quanto cultura diversa. Ciò che si persegue è distruggere, annichilire tutto quanto è indigeno di questi popoli. Il delitto è quadruplo: esistono (e nel neoliberismo l’esistenza della diversità è un delitto), non rispondono alle leggi del mercato (non hanno carte di credito, non concepiscono la terra come una merce), abitano su un territorio pieno di ricchezze naturali (vedi la lettera 5.1 Chiapas: la guerra. Tra il satellite e il microscopio, lo sguardo dell'altro, esposizione del CCRI-CG dell’EZLN davanti alla CCIODH - Commissione Civile Internazionale di Osservazione per i Diritti Umani - del 22 novembre 1999. Di prossima pubblicazione internazionale) e sono ribelli.

Non ci dilungheremo oltre su questo aspetto, posto che questo pamphlet ha la pretesa di mostrare la prova di un dispositivo militare bellico e di una guerra in atto sulle montagne indigene del sudest messicano. Prima le abbiamo menzionato che in Chiapas esistono per lo meno 266 postazioni militari. Ora lei faccia il conto per ogni caserma e guarnigione, un bordello e almeno tre spacci di bevande alcoliche; 266 nuovi postriboli e almeno 798 bar. I gestori di questi postriboli e bar sono i generali. Sono in combutta con i polleros nel traffico di donne provenienti dal Centroamerica, il cui status di illegalità impedisce loro di avere la minima difesa davanti ai loro padroni militari.

Oltre alla proliferazione di malattie veneree, l’arrivo della prostituzione importata ha fatto fiorire quella locale. È comune che, nelle comunità indigene affini al PRI, le donne si convertano in prostitute che lavorano nelle caserme che occupano i loro terreni. L’ingresso di alcol ha incrementato la violenza intrafamiliare e cresce il numero di donne e bambini picchiati da maschi ubriachi. Oltre al fatto che, posizionando le sue unità, l’Esercito invade terreni ejidales (e viola la legge che dice di difendere) e il potere di fatto dei soldati trova docili complici nelle presidenze municipali, nel governo dello Stato e nella stampa locale, il traffico di esseri umani arriva al suo massimo orrore: il traffico di infanti.

Nell’ospedale del vecchio Guadalupe Tepeyac, la dottoressa Maria de La Luz Cisneros, si dedica a procurare al generale, al comando della guarnigione locale, i nascituri che ruba. Insieme collaborano con una rete di trafficanti di bambini. Il procedimento è molto semplice: una donna indigena arriva a partorire in questo ospedale. Dà alla luce e la menzionata dottoressa esige dalla donna che presenti i suoi documenti perché senza lei non le può consegnare il bambino, terrorizza la donna e riesce a far sì che se ne vada senza il bambino. Altre volte la dottoressa comunica alla donna che il bambino è nato morto e che non le consegneranno il cadavere perché "lei non ha i documenti". I bambini rubati, con la collaborazione del generale al comando della caserma del vecchio Guadalupe Tepeyac, sono inviati in un luogo sconosciuto. Quanto vale un bambino o una bambina indigena probabilmente zapatista? Quanto valgono i suoi organi se si vendono "per parti"? A queste domande le possono solo rispondere la dottoressa Cisneros e il complice col grado di generale.

Oltre al traffico di donne e di bambini (o di parti di bambini), gli Alti comandi militari distaccati per contenere gli zapatisti, hanno un grande affare nel narcotraffico. Fino al febbraio del 1995, quando gli zapatisti avevano il controllo totale del territorio della "zona di conflitto", i narcotrafficanti si videro impediti di usare la selva Lacandona come "trampolino" verso gli Stati Uniti; e la semina, il traffico e il consumo di stupefacenti in questo territorio si ridusse a zero. Quando però l’Esercito "recuperò la sovranità nazionale", i grandi capi del Messico e del Sudamerica trovarono la comprensione dei generali, oltre al fatto che da allora proliferano le piantagioni di marijuana e di papavero, operano al massimo della loro capacità le piste aeree sotto controllo militare. Il narco internazionale conta così con un territorio dove solo i suoi soci, i militari, possono entrare. La fetta che i generali si prendono in questa operazione non è piccola.

Non solo i militari fanno affari grazie a questa guerra vergognosa. Anche i governi federale e statale si arricchiscono con la militarizzazione. Il grande investimento in alloggi per soldati e caserme ha un beneficiario occulto, il fratello del signor Ernesto Zedillo Ponce de León. Nome: Rodolfo Zedillo Ponce de León (dati da Debate Sur-Sureste numero 2, marzo 1999) che è padrone della ditta costruttrice che edifica complessi abitativi, centri di tortura, magazzini e postazioni di comando dell’Esercito federale in Chiapas. Il padre del signor Ernesto Zedillo s’incarica delle installazioni elettriche di queste caserme tramite la sua impresa Sistemas Eléctricos SA de CV.

Come fermare la militarizzazione se questo significherebbe che la famiglia di Zedillo perderebbe un’importante fonte di entrate? Col sangue indigeno si alimenta il "benessere della famiglia" di Ernesto Zedillo Ponce de León.

Il "crocchette" Albores non volle essere da meno. In base alla denuncia del deputato locale del PAN, Cal y Mayor, il prodotto ("colazioni scolastiche", le chiamano) che il DIF-Chiapas distribuisce a 675 mila bambini è elaborato con "pasta di soia da foraggio" ed ha bisogno di additivi come il "metabisolfito di sodio e di zolfo per potersi amalgamare". L’impresa Abasto global SA de CV è quella che distribuisce ed è di proprietà di Albores Guillén attraverso dei prestanome. Il governo dello stato paga 1,56 pesos per ogni prima colazione a quest’impresa che è stata creata il 17 febbraio 1998 per "la compravendita e la rappresentanza commerciale di prodotti agricoli, per l’allevamento e industriali".

Se a questo punto lei non è già nauseato, allora volti la pagina e prenda nota di quanto segue.

I PARAMILITARI

Nella Camera dei Deputati, il procuratore Jorge Madrazo Cuéllar ha riconosciuto che nel Chiapas agiscono 15 organizzazioni civili "probabilmente armate": i Chinchulines, Paz y Justicia, Abu-Xú, Guardián de mi Hermano, Tomás Múnzer, MIRA, Tzaes, Guaches, Pates, Botex, Xoxepes, Xiles y Los Mecos (tutti questi del municipio di Pantelhó), oltre alle organizzazioni Bartolomé de los Llanos, Fuerzas Armadas del Pueblo, Casa del Pueblo, OCEZ-CNPA, Primera Fuerza e Máscara Roja. Salvo informazioni di stampa, non esiste alcun altro tipo di prove o di evidenze rispetto ai gruppi denominati MIRA, Tomás Múnzer, Primera Fuerza e Máscara Roja.

La storia dei paramilitari in Chiapas risale al 1995. Quando fallì l’offensiva dell’Esercito federale nel febbraio di quell’anno, e visto il discredito che portò alle forze governative, Zedillo optò per attivare diversi gruppi paramilitari. L’incaricato fu il generale Mario Renán Castillo, che aveva già tradotto dall’inglese il manuale nordamericano che raccomanda l’uso di civili per combattere le forze insorgenti. Allievo di spicco della scuola statunitense di controinsurrezione, Renán Castillo si dedicò a selezionare un gruppo di militari per l’addestramento, la direzione e l’equipaggiamento. Il denaro, lo mise il Ministero per lo Sviluppo Sociale (Sedeso) ed i "soldati", il PRI chiapaneco.

Paz y Justicia fu il nome ideato da questi militari per il primo di questi gruppi. La sua area di operazioni è il nord dello stato del Chiapas e la sua impunità arriva a tal punto che controlla il transito su questo territorio. Niente né nessuno entra o esce in questa zona senza la "autorizzazione" di Paz y Justicia. I "meriti in combattimento" di questi paramilitari non sono pochi. Quantomeno un attentato di morte contro i vescovi Samuel Ruiz García e Raúl Vera López, decine di indigeni assassinati, decine di donne stuprate e migliaia di desplazados. I "successi" di Paz y Justicia però impallidiscono davanti al suo fratello minore: Máscara Roja. Preparato e addestrato per operare nei Los Altos del Chiapas, Máscara Roja ha la medaglia della strage di Acteal, il 22 dicembre 1997. In questa "azione", i paramilitari fecero impallidire i kaibiles guatemaltechi. L’agire di Máscara Roja ha provocato l’esistenza di quasi 8 mila desplazados di guerra soltanto a Chenalhó.

Il successo di Paz y Justicia e di Máscara Roja, ha incoraggiato l’Esercito ad armare un altro gruppo, ora assegnato alla selva Lacandona: il Movimiento Indígena Revolucionario Antizapatista (MIRA). Il MIRA non ha avuto altri successi militari che l’assassinio di alcuni indigeni e la sua principale funzione è di prestarsi alla messa in scena di "disertori zapatisti" che ogni tanto monta il crocchette Albores Guillén. Il crocchette non ha voluto essere da meno ed ha fondato il gruppo paramilitare Albores de Chiapas, che ha caratteristiche molto versatili: convogliano gli indigeni alle mobilitazioni in "appoggio al governatore Albores", sgomberano contadini o giustiziano sommariamente i segnalati dalla zampa che abita il palazzo di governo a Tuxtla Gutiérrez.

L’azione di militari e paramilitari necessita del "accompagnamento" di altre forze. Così passi pure alla seguente sezione e legga...

GLI ALTRI PERSEGUITATI

L’attività di militari e paramilitari è completata dai caciques locali. A Tuxtla Gutiérrez, imprenditori priisti chiapanechi, hanno presentato davanti al sostituto Albores, la cosiddetta Fundación Social para Chiapas, AC. L’imprenditore della benzina, Constantino Narváez Rincón, è il presidente della fondazione e la coordinatrice della campagna di raccolta fondi è Maria Elena Noriega Malo. Questa fondazione pretende di costituire un fondo di 200 milioni di pesos, tra il governo dello stato del Chiapas, imprenditori dello stato e del paese, per fornire un’assistenza totale nei campi della nutrizione, educazione e salute agli abitanti di 134 comunità ad alta emarginazione appartenenti ai sette municipi di recente creazione. Gli imprenditori hanno aggiunto di avere esperienze in campagne simili di altri paesi. Il progetto della presunta organizzazione indipendente avalla il programma ufficiale di Rimunicipalizzazione e la Legge su Diritti e Cultura Indigeni proposta dal sostituto, il crocchette Albores Guillén.

Tuttavia, nell’articolo di Lourdes Galaz, intitolato Netwar contro l’EZLN, pubblicato sul quotidiano La Jornada, il 29 agosto, si segnala che gli obiettivi della fondazione sono derivati dal progetto The Advent of Netwar (1996), creato dagli analisti dell’Istituto di Ricerca per la Difesa Nazionale, di Santa Mónica, California, negli Stati Uniti, John Arquila e David Rondfeldt.

L’articolo segnala che, in alcuni circoli politici e accademici, si avverte che ci sarebbe già una definizione del governo zedillista per affrontare il problema della guerriglia zapatista in Chiapas. La strategia della guerra di reti è focalizzata nell’analizzare, contenere, isolare, destrutturare e immobilizzare le reti sociali, così come quelle del narcotraffico, di terroristi e di gruppi criminali. Secondo questo, la strategia deve focalizzarsi non solo sull’EZLN, ma su tutte le organizzazioni, i fronti e gli individui che fanno parte dell’ampia rete d’appoggio allo zapatismo.

Gli analisti raccomandano che devono imporsi ogni tipo di azioni e tattiche che vanno da quelle classiche di taglio controinsurrezionale (persecuzione, minacce, azioni psicologiche, sequestri, attacchi di gruppi paramilitari, esecuzioni individuali, eccetera) fino a campagne di disinformazione, spionaggio, creazione di ONG finanziate dal governo per contrapporle a quelle indipendenti (collegate alla rete), insieme ad altre.

Come risultato, i più vigilati in questa guerra che si nega a dire il suo nome, non sono i delinquenti che pullulano soprattutto nel palazzo di governo. I più vigilati e braccati sono i difensori dei diritti umani. Persone che lavorano in ONG chiapaneche, nella Academia Mexicana de Derechos Humanos, nella Comisión Mexicana de Defensa y Promoción de Derechos Humanos AC, nel Centro Mexicano de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez e, in generale, chi fa parte della rete Todos los derechos para todos, sono oggetto di vigilanza, persecuzione e minacce di morte.

Il fatto che i difensori dei diritti umani siano considerati come un obiettivo militare in questa guerra non è gratuito. Per il governo messicano, il rischio di questa guerra non è la morte e la distruzione che provoca, bensì fatto che venga conosciuta. E questo è un problema con i difensori dei diritti umani: non se ne stanno zitti davanti alle ingiustizie ed alle arbitrarietà. Se, però, per i difensori messicani dei diritti umani ci sono minacce, persecuzione e accanimento, per gli osservatori internazionali ci sono menzogne. L’Esercito Messicano, la cui macchina da guerra in Chiapas è evidente, si sforza, inutilmente, di mostrarsi davanti all’opinione pubblica come un "operatore sociale". Le seguenti sono "perle" catturate da un eccellente servizio alternativo di notizie: Nuevo Amanecer Press Europa, direttore: Darrin Wood, dwood@encomix.es.

- Settima regione militare, Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, 11 settembre 1999

"Nel quadro della coadiuvanza con il governo dello stato del Chiapas, le truppe distaccate nella settima Regione Militare hanno portato a termine nella giornata di ieri le seguenti attività: otto tagli di capelli..."(comunicato della Sedena)

- Settima regione militare, Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, 12 settembre 1999

"Come parte delle attività che svolgono le truppe della settima regione militare per garantire il benessere e la sicurezza in differenti comunità dello stato del Chiapas, nella giornata di ieri si sono portate a termine le seguenti attività: sei tagli di capelli..."(comunicato della Sedena)

- Settima regione militare, Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, 22 settembre 1999

"Nel continuare con lo svolgimento di attività per garantire la sicurezza ed offrire benessere alle comunità dello stato del Chiapas, nella giornata di ieri si sono effettuate le seguenti azioni: sei tagli di capelli..."(comunicato della Sedena)

- Settima regione militare, Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, 23 settembre 1999

"Le truppe distaccate nella settima regione militare continuano ad appoggiare il governo dello stato del Chiapas realizzando attività di opera sociale in aiuto alla popolazione civile in diverse zone dello stato, portando a termine le seguenti attività: cinque tagli di capelli..."(comunicato della Sedena)

- Settima regione militare, Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, 24 settembre 1999

"Nel quadro degli aiuti alla popolazione civile e dell’appoggio che si offre al governo dello stato del Chiapas, le truppe della settima regione militare, hanno portato a termine in diverse zone dello stato nella giornata di ieri le seguenti attività: sette tagli di capelli..."(comunicato della Sedena).

Sì, ha proprio letto bene!, in cinque giorni gli oltre 60 mila soldati acquartierati in Chiapas hanno compiuto l’opera sociale di ...32 tagli di capelli! Sì, ha proprio ragione, sono i tagli di capelli più cari e più sanguinosi della storia dell’umanità.

Con questa "umanitaria" immagine dell’Esercito in Chiapas si conclude questo pamphlet. Se lei è un’alta commissaria dell’ONU ed è in visita nel nostro paese, non si sorprenda; che nulla di ciò coincida con la deplorevole macchinazione che ha montato il governo messicano. Risulta che la menzogna è anche un’arma. Già si vedrà poi se lei si arrende o, come insegnano gli indigeni di qua, resiste alla menzogna.

Tutto quanto le ho riferito è vero. Può essere comprovato direttamente o consultato nei reportage giornalistici. Non riflette ancora la totalità dell’orrore che questa guerra significa. Ma il fatto sorprendente non è questa gigantesca macchina da guerra che distrugge, assassina e perseguita più di un milione di indigeni. No, ciò che è realmente straordinario e meraviglioso, è che è e sarà inutile. Nonostante questa, gli zapatisti non solo non si arrendono né sono sconfitti, ma anzi crescono e si fanno più forti. Da come si racconta in queste montagne, gli zapatisti hanno un’arma segreta molto potente e indistruttibile: la parola.

Bene, mi accomiato, signora. Così stanno le cose da queste parti. Non importa quello che le dicano, raccontino o mostrino i sinistri personaggi che pullulano nei ministeri di Stato, nelle ambasciate e nei consolati: questa è la verità. Ma, se non mi crede, venga a comprovarlo lei personalmente. Saprà di essere arrivata se guarda verso quelli di sopra e si accorge che abbondano i carri armati, i posti di blocco militari, gli interrogatori polizieschi degli agenti di migración, le caserme, gli spacci di bevande alcoliche, i bordelli, la menzogna.

Non dimentichi di guardare anche verso quelli di sotto, lì si renderà conto che la luce può anche essere scura e piccoletta, che c’è chi deve occultare il volto per essere guardato e che deve nascondersi per mostrarsi.

Se però uno qualsiasi di questi dati non le conferma che è arrivata, perché certamente sono molti gli angoli della storia che così dipingono il sopra e il sotto, abbiamo pensato di facilitarle la sua visita. All’entrata, lei vedrà un cartello non molto grande, con caratteri a colori e dal tratto maldestro che dice: Benvenuti in Territorio Zapatista, ultimo angolo della dignità ribelle. E non creda che diciamo questo de "l’ultimo angolo" in senso storico o di coerenza, perché certamente sono molti gli angoli che il mondo custodisce per la sua dignità ribelle e sono tutti coerenti. Quando diciamo che siamo "l’ultimo angolo" vogliamo solo dire che siamo i più piccoli...

Vale. Saluti e, se viene, l’aspettiamo, anche se non ci saremo più. Vada con cautela perché è molto semplice arrivare a queste terre, il difficile è andarsene

Dalle montagne del sudest messicano

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno - Comando Generale dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Marcos

La Realidad in Guerra. Messico, Novembre 1999.

P.S. CHE AVVERTE: Ah!, mi stavo dimenticando. Faccia molta attenzione quando arriva sui suoli ribelli. Risulta che, dal 1° gennaio 1994, da queste parti si è dichiarata l’abolizione della legge di gravità ed è comune che, in alcune albe, la luna si denudi e si mostri come ciò che è realmente, vale a dire, una delle mele che ha sfidato Newton...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Glossario

Adobe: mattone di fango.

Aguascalientes: nel 1914, ad Aguascalientes, cittadina dell’altopiano centrale messicano, si celebrò una famosa Convenzione degli eserciti rivoluzionari. In ricordo di quell’avvenimento, gli zapatisti convocarono nell’agosto del 1994 un incontro con la società civile, la Convenzione Nazionale Democratica, battezzando Aguascalientes lo spazio che costruirono presso il villaggio di Guadalupe Tepeyac, dove si svolse l’evento. Dopo che, nel febbraio 1995, l’esercito federale messicano invase i territori zapatisti, distruggendo tutto quanto trovava, l’EZLN creò altri cinque centri d’incontro, anch’essi chiamati Aguascalientes, nelle diverse regioni della denominata zona di conflitto, tuttora esistenti.

Amparo: figura legale dell’ordinamento giuridico messicano, mediante la quale un imputato, previo pagamento di una somma, può difendersi dall’arbitrarietà delle autorità.

Auténticos Coletos: la casta degli (estremamente razzisti) abitanti di San Cristóbal de Las Casas che si considerano i diretti discendenti dei conquistatori spagnoli.

Barzonistas: membri di "El Barzon", organizzazione di piccoli proprietari agricoli e di debitori nei confronti delle banche, costituitasi come movimento di protesta contro la riforma dell’Art. 27 della Costituzione messicana, attuata dal governo del PRI per spianare il terreno all’entrata in vigore del NAFTA. Questa riforma consente la privatizzazione dell’ejido (forma di proprietà collettiva della terra) e ciò ha provocato una crisi senza precedenti nella storia del Messico, portando alla rovina economica e alla miseria un vasto settore della popolazione rurale. Il movimento dei barzonistas è uno dei più combattivi della società civile messicana.

Cacique: cacicco. Termine d’origine caraibica che indica le autorità indigene. In Messico indica un potere arbitrario.

Campamentistas: volontari appartenenti alla società civile messicana ed internazionale, che, dall’invasione militare del febbraio 1995 e dalla conseguente creazione degli Accampamenti Civili per la Pace, offrono la loro presenza nelle comunità indigene in cui svolgono il compito di osservatori per il monitoraggio della situazione nella zona di conflitto fungendo, altresì, da deterrente di eventuali azioni militari. Le loro testimonianze si sono rivelate indispensabili alla denuncia delle gravi violazioni ai diritti delle popolazioni indigene. La loro "scomoda" presenza ha infastidito il governo messicano che ha inasprito le regole riguardanti il rilascio di visti per osservatori e ha attuato, negli ultimi due anni, oltre 400 espulsioni di cittadini stranieri dal Messico.

Coyotes: coloro che lucrano sulle disgrazie altrui, nel caso del Chiapas il termine indica coloro che acquistano a prezzi irrisori i prodotti dai contadini e dagli indios.

Dedazo: indicare con il dito. Nel sistema politico messicano, si riferisce al sistema antidemocratico di cooptazione delle autorità.

Dengue: malattia tropicale causata da un virus trasmesso da una zanzara.

Desplazado: rifugiato interno.

Ejido: forma collettiva di proprietà della terra, prevista dall’articolo 27 della Costituzione messicana. La riforma di quest’articolo da parte del presidente Salinas è una delle cause della ribellione zapatista.

EPR (Ejército Popular Revolucionario): alleanza di gruppi armati di orientamento marxista-leninista, presenti soprattutto negli stati di Guerrero, Oaxaca, Chiapas, Hidalgo, Puebla, Morelos e Veracruz. L’EPR apparve il 28 giugno del 1996 presso la località di Aguas Blancas, Guerrero, dove era in corso una manifestazione per commemorare l’assassinio di 17 campesinos da parte della polizia dello Stato. Nell’agosto dello stesso anno realizzò una serie di azioni armate spettacolari presso il centro turistico di Huatulco (Oaxaca).

ERPI (Ejército Revolucionario del Pueblo Insurgente): è una scissione dell’EPR con presenza quasi esclusivamente limitata allo stato di Guerrero. Tra le due organizzazioni si contano in questo momento circa 120 prigionieri politici in gran parte detenuti in condizioni subumane nel carcere speciale di Almoloya.

FM3: documento che permette ad uno straniero di svolgere, in Messico, attività lavorative od attività diverse dal turismo. E’ concesso (in maniera ogni giorno più arbitraria) agli osservatori dei diritti umani.

Guardias blancas: termine con cui, in Chiapas, sono denominati i piccoli eserciti privati dei latifondisti, scagnozzi armati che sono utilizzati per minacciare od uccidere gli indigeni e campesinos costretti, dalla mancanza di terre libere da coltivare, ad occupare gli appezzamenti dei latifondi. Anche se l’etimologia riconduce alle guardie bianche della controrivoluzione russa, spesso il termine è usato per descrivere le bande paramilitari odierne.

Kaibiles: truppe speciali, note per la loro ferocia, impiegate dall’esercito guatemalteco per combattere la guerriglia. Nel corso di una ventina d’anni, quell’esercito ha raso al suolo 450 villaggi, ha ucciso 250.000 persone, ha fatto un milione di rifugiati interni e 500.000 rifugiati in Messico su una popolazione totale di 11 milioni di abitanti.

Ley de Armas: disposizione normativa che vieta la detenzione di armi di uso esclusivo dell’esercito federale messicano, usata come scusa da quest’ultimo per fare irruzione nelle comunità zapatiste.

Machete: lungo ed affilato coltello impiegato dai contadini nei lavori agricoli.

Maquiladoras: impianti industriali di assemblaggio, presenti nelle diverse zone di frontiera del Messico e specialmente alla frontiera con gli USA, di proprietà delle più famose compagnie statunitensi: General Motors, ITT, ecc. Veri e propri bunker di sfruttamento della mano d’opera messicana che vi lavora senza alcuna garanzia sindacale. Queste "maquiladoras" sono anche causa dell’inquinamento ambientale di ampie zone per lo scarico incontrollato di sostanze altamente nocive, che ha causato alla popolazione limitrofa un aumento dei casi di cancro e di nascituri gravemente malformati.

Migra: termine comunemente usato per definire l’Instituto Nacional de Migración, la polizia migratoria messicana.

Milpa: campo di mais e fagioli.

Montes Azules: località montuosa immersa nella selva del Chiapas, dichiarata Riserva Naturale della Biosfera. In questa zona quasi inaccessibile, si sono ripiegate le truppe insorgenti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Ultimamente, è diventata oggetto di un intenso movimento di truppe federali con l’intenzione di stringere l’accerchiamento militare nei confronti dei ribelli.

Paliacate: termine con cui in Messico viene chiamato il fazzoletto, colorato e stampato con disegni vari, che, per il suo basso costo e ampia diffusione, viene portato al collo, o sulla testa, dalla gente operaia e contadina. Dall’insurrezione zapatista del 1 gennaio 1994, il paliacate, di colore rosso, è diventato il simbolo, insieme al passamontagna, dei popoli indigeni del Chiapas in ribellione che lo usano per coprirsi il volto.

PAN (Partido de Acción Nacional): partito delle destra liberista.

PEMEX (Petróleos Mexicanos): azienda parastatale che controlla l’estrazione e la vendita del petrolio.

Polleros: termine che indica quei personaggi che, previo pagamento di una somma di denaro, organizzano l’attraversamento clandestino della frontiera di persone sprovviste di documenti d’immigrazione.

Potrero: luogo destinato al pascolo dei cavalli.

PRD (Partido de la Revolución Democrática): partito della sinistra moderata diretto da Cuauhtemóc Cárdenas, più volte candidato alla presidenza della Repubblica.

PRI (Partido Revolucionario Institucional): partito al governo fin dalla sua fondazione nel 1929. Nel XX° secolo è il partito al mondo che si è mantenuto più a lungo al potere. Lo scrittore Mario Vargas Llosa (non certo sospettabile di simpatie sovversive) ha definito quella del PRI, la dittatura perfetta.

Ranchero: piccolo proprietario agricolo.

Rimunicipalizzazione: legge che prevede la costituzione di nuovi comuni nello stato del Chiapas. Era prevista dagli Accordi di San Andrés, nell’ambito di un’azione concordata tra l’EZLN e le autorità statali. Tuttavia, l’attuale governatore, Roberto Albores Guillen, la sta mettendo in atto in maniera unilaterale all’interno di uno schema controinsurrezionale.

Samuelistas: termine con cui i gruppi paramilitari vicini al PRI, professanti la religione evangelica, definiscono i membri della Diocesi di San Cristóbal diretta, appunto, dal vescovo Samuel Ruiz Garcia. Il vescovo e i suoi catechisti, da loro accusati di appartenere all’EZLN, sono tuttora oggetto di una campagna di denigrazione e di minaccia, soprattutto condotta dall’organizzazione Paz y Justicia che, oltre ad aver imposto con la forza la chiusura di una ventina di chiese nella Zona Norte, è arrivata ad attentare alla vita del vescovo ed il suo coadiutore, don Raul Vera Lopez.

Televisa: canale televisivo che, insieme a Tv Azteca, si è rivelato un utile strumento per il governo messicano nelle sue campagne di disinformazione su quanto accade in Chiapas. In particolare, ha svolto un ruolo importante durante la campagna xenofoba avviata nel 1998 dal governo nei confronti degli osservatori stranieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indice

Introduzione

Riassunto delle attività

Interviste con rappresentanti istituzionali
1. Comisión de Concordia y Pacificación (COCOPA)
2. Coordinatore governativo per il Dialogo in Chiapas
3. Instituto Nacional de Migración (INM)
4. Governo dello Stato del Chiapas
5. Comisión Nacional de Derechos Humanos del Estado de Chiapas
6. Comitato della Croce Rossa Internazionale

Interviste alle comunità indigene
1. San Andrés Sacamch'en
2. Aguascalientes di Oventic (CCRI-EZLN)
3. El Nuevo Brillante
4. Acteal "Las Abejas"
5. Polhó
6. Zona Norte
7. Ricardo Flores Magón
8. Arroyo Granizo
9. San Manuel
10. Primero de Enero
11. Amador Hernández
12. Aguascalientes di "Roberto Barrios"
13. Aguascalientes di Morelia
14. Moisés Gandhi
15. Aguascalientes de "La Realidad",
1) Nuevo Guadalupe Tepeyac
2) Subcomandante Marcos, CCRI - Comando Generale dell'EZLN
16. Carcere di Yajalón (Voz de Cerro Hueco)
17. Carcere di Cerro Hueco(Voz de Cerro Hueco)
18. Prigionieri rilasciati dal carcere di Cerro Hueco
19. Tierra y Libertad

Interviste con realtà della società civile che operano in Chiapas
1. SOS Chiapas
2. SERAPAZ, vescovo Samuel Ruiz García
3.Comisión de Seguimiento y Verificación (COSEVER)
4. Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas
5. Red Civil de Observación (RECIO)
6. Red de defensores de los Derechos Indigenas
7. Amado Avendaño, governatore in ribellione dello Stato del Chiapas
8. Familiari di José Jesús Hidalgo Pérez

Interviste con organizzazioni della società civile messicana
1. Movimiento Ciudadano por la Democracia (MCD)
2. Convergencia de Organismos Civiles por la Democracia
3. Realtà vicine agli alluvionati degli stati di Oaxaca, Veracruz e Tabasco
4. Red de la Sociedad Civil
5. Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez
6. FZLN, Frente Zapatista de Liberacion Nacional
7. Realtà studentesche dell'UAM e della ENAH
8. Consejo General de Huelga (CGH), della UNAM
9. Comisión Mexicana de Defensa y Promoción de los Derechos Humanos
10. Asociación de Familiares de Desaparecidos
11. Chimalapas Maderas del Pueblo del Sureste A.C.
12. Coord. de la Consulta por la Paz y los Derechos Indígenas di Coyoacán

Denunce ricevute

Documentazione ricevuta

Conclusioni e raccomandazioni


Lista dei partecipanti e comunicati stampa della CCIODH

Manifesto di presentazione della CCIODH

Comunicati del CCRI - CG - EZLN

1) Comunicato Lettera 5.1.
2) Comunicato Lettera 5.2

Glossario