L'ANARCHIA - Storia di un movimento utopistico che terrorizzò
Che cos'è l'anarchia? O, per meglio dire, esiste l'anarchia? Sfuggevole, indefinito, ribelle ad ogni tentativo di
uniformizzazione, il pensiero anarchico - in nome del suo dichiarato ideale supremo, la libertà - è sempre risultato come un cavallo indomabile per gli storici, gli studiosi, gli intellettuali che hanno cercato di avvicinarvisi. Come conseguenza di ciò, si può dire che non esiste un chiaro percorso scientifico di studio sull'anarchia, e la letteratura in materia si divide tra l'analisi delle diverse, innumerevoli correnti filosofiche e l'aneddotica sugli estremi atti individualistici (ma chiamiamoli con il loro vero nome, e cioè terrorismo, tanto più che molti anarchici non disdegnarono affatto questo termine) compiuti da quelli che sono stati definiti "gli angeli neri" dell'anarchia. Definire che cosa sia l'anarchia non è compito semplice, quindi, e forse la maggiore responsabilità va imputata agli stessi anarchici. L'anarchia, infatti, non fu mai, nella sua storia, un movimento politicamente omogeneo e disciplinato (come fu, ad esempio, il rivale marxismo), bensì un "punto di incontro" tra individualità orgogliosamente differenti l'una dall'altra. Rovesciamento che può avvenire in molti modi, tra cui la violenza, il cui significato "catartico" affascinò spesso gli anarchici, anche coloro che non si sognarono mai di ricorrervi. Anarchia - recita la Piccola Enciclopedia dell'anarchia di Boussinot - è "negazione, rifiuto dell'ordine artificiale basato sul principio di autorità, principio di violenza, che viene imposto nella comunità umana […], negazione della legittimità di questa violenza, della legittimità delle varie istituzioni da essa instaurate, in primo luogo quella dello Stato." Ovviamente, nonostante qualche superficiale affinità, le differenze con il comunismo e il marxismo in generale sono evidenti. Gli anarchici non accetteranno mai il concetto di dittatura del proletariato (anzi, nemmeno quello del proletariato come "avanguardia" della rivoluzione), trovando assurdo e improbabile che una classe, una volta raggiunto il potere, per di più assoluto, scelga di privarsene per favorire l'avvento del comunismo totale. Per molto tempo il termine "anarchico" assunse nell'immaginario collettivo un significato meramente negativo, dai contorni essenzialmente nichilisti. Anarchia e disordine, cospirazione, immoralità formarono un tutt'uno, almeno fino a quando il mondo intellettuale (il primo fu il francese Pierre Joseph Proudhon) non cominciò ad accostarvisi e a concedere all'idea dignità teorica. A ben vedere, anche dopo questa evoluzione, lo stereotipo dell'anarchia e dell'anarchico rimase legato all'immagine del terrorista isolato che pugnalava il potente di turno o spargeva il sangue della gente innocente ricorrendo alle bombe. Altri movimenti hanno eccelso nella pratica terroristica e cospiratoria più degli anarchici - basti pensare ai socialisti-rivoluzionari russi - ma questo non ha impedito che la palma del terrore non rimanesse agli "angeli neri". I termini "anarchia" e "anarchico" furono usati per la prima volta negli anni della Rivoluzione Francese. Con essi si voleva marchiare, da destra e da sinistra, l'avversario politico. E' così che il girondino Brissot, nel lontano 1793, definiva la corrente degli Enragés (Arrabbiati). Sotto la Convenzione, gli Arrabbiati non erano classificabili sotto alcuna tendenza (giacobini, hebertisti, babuvisti, ecc...), contestavano ogni autorità, volendo opporre al potere della Convenzione uno di diretta emanazione popolare. Inoltre, si scagliavano contro il nuovo potere incarnato nella borghesia, definendola "aristocrazia commerciale più perniciosa di quella nobiliare e clericale". L'anarchia degli Enragés - affermava Brissot - consisteva in "leggi non tradotte in effetto, autorità prive di forza e disprezzate, il delitto impunito, la proprietà minacciata, la sicurezza dell'individuo violata, la moralità del popolo corrotta, nessuna costituzione, nessun governo, nessuna giustizia: queste le caratteristiche dell'anarchia". Pochi anni dopo il Direttorio dichiarava che "per anarchici si intende quegli uomini carichi di delitti, macchiati di sangue, impinguati dalle ruberie, nemici di tutte le leggi […]che predicano la libertà ed esercitano il dispotismo, parlano di fraternità e massacrano i loro fratelli." Definizioni e opinioni, queste, che non cessarono mai di esistere e riaffiorarono soprattutto negli ultimi decenni del XIX secolo, quando la furia degli attentati anarchici (o presunti tali) raggiunse il suo apogeo. Dagli anni della Rivoluzione Francese bisognerà aspettare quasi la metà del secolo successivo per assistere ad una rivalutazione (anzi, ad una valutazione positiva) dei termini "anarchia" e "anarchico". Come detto, è Proudhon a compiere questo passo, nella sua opera dal titolo "Che cos'è la proprietà?". "La proprietà è un furto", "Il grado più elevato dell'ordine nella società viene espresso dal grado più alto di libertà individuale, ossia dall'anarchia": sono queste le frasi più celebri espresse da Proudhon (che a buon diritto viene definito l'autentico fondatore del pensiero anarchico moderno) nella sua opera rivoluzionaria. E' il 1840. Prima e dopo P.J. Proudhon, altre figure incarnarono il sentimento anarchico e furono considerati "padri putativi" dell'anarchia dagli stessi accoliti, benché mai (o non sempre) avessero espresso alcuna adesione, più o meno formale. Nel Pantheon (anche questo termine è forzato, considerata l'allergia anarchica per Miti, Eroi, Bandiere) dell'anarchia troviamo così uomini molto differenti tra loro, per provenienza culturale, estrazione sociale e slancio politico: parliamo di personaggi come: Lev Tolstoj, William Godwin, Piotr A. Kropotkin, Max Stirner. Non è questa la sede per analizzare il pensiero politico-filosofico di ognuno di loro, ma si può altresì dire che ogni loro riflessione è contenuta all'interno dei due estremi della weltanschaung dell'anarchia: il comunismo anarchico (o collettivismo) e l'individualismo. Il primo sostiene l'importanza dell'equilibrio tra gli individui all'interno di un corpo sociale, oltre alla finalità principale dell'uomo che è l'associazione. Da questa tendenza deriva l'anarco-sindacalismo, e in genere quella corrente anarchica più disposta a calarsi in piccoli compromessi riformistici con la società. Il secondo, e cioè l'individualismo, costituisce uno degli aspetti più "romantici" dell'anarchismo. Da esso deriva uno dei motivi di grande incomprensione con il marxismo e il comunismo, nonché anche l'avvicinamento all'anarchia di una certa destra nietzschiana affascinata dal mito del Superuomo. Volendo sintetizzare (e oggettivamente forzare la storia del pensiero anarchico) si possono pensare come estremi, rispettivamente della visione sociale e individuale, Proudhon e Stirner. Proudhon considera l'individuo e la sua libertà come il fine supremo dell'anarchismo, ma allo stesso tempo non concepisce una degna esistenza per questo se non all'interno di una società. L'anarchia per il pensatore francese non è caos ma ordine, un ordine precedente all'organizzazione di poteri che l'uomo ha storicamente costruito. L'anarchia è una condizione armonica che l'uomo ha la piena potenzialità di costruire, mirando all'annullamento dello Stato e all'instaurazione di una società federalista e basata sul mutualismo (i suoi seguaci proudhoniani si chiameranno infatti mutualisti). In Proudhon anarchia è tutt'altro che nichilismo: "Destruam et aedificabo" (distruggerò ed edificherò) era il suo motto, una visione comunque teleologica. Proudhon fu in vita un grande avversario di Karl Marx e della sua visione - a detta del francese - "autoritaria", e non deve quindi stupire il boicottaggio che il pensiero proudhoniano ha avuto ad opera dei marxisti. Stirner rappresenta invece il trionfo estremistico dell'individualismo. Esaltatore dell'Io, auspice di un'Unione degli Egoisti, Stirner viene ricordato soprattutto per l'opera "L'unico e la sua proprietà", che scandalizzò gli uomini del suo tempo. Il suo è un individualismo assoluto, l'io che si oppone alla società. "Nessun giudice può decidere se ho ragione o no, se non io stesso. Non ho regole, né leggi, né modelli. Dio, la coscienza, i doveri, le leggi sono delle stupidaggini di cui ci sono stati imbottiti cervello e cuore. Quello che è necessario al tuo Io, conquistalo, se ne hai la forza. Metti la mano su quanto ha bisogno. Prendilo!": sono alcune delle affermazioni-esortazioni di STIRNER. L'Egoista di Stirner e il Superuomo di Nietzsche vengono quindi a toccarsi (e infatti Nietzsche considerò sempre Stirner uno degli "spiriti più fecondi del diciannovesimo secolo".). Il pensiero anarchico si è sempre dibattuto tra i suoi due estremi, cercando un equilibrio tra la necessità della solidarietà umana e le libertà individuali. Bakunin, l'Internazionalismo Anarchico, lo scontro con Marx Se Proudhon è il "primo anarchico", Michail Aleksandrovic Bakunin è senza dubbio il più grande e illustre. Uomo di pensiero, ma anche di azione, fu per generazioni di anarchici l'indiscusso punto di riferimento (la sua influenza fu fondamentale in Italia presso uomini che a loro volta divennero bandiere dell'anarchia, come Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Andrea Costa). Oggi si tende a vedere la figura di Bakunin fuori da ogni esaltazione (cfr. "Gli angeli neri - Storia degli anarchici italiani" di Manlio Cancogni): l'uomo fu spesso contraddittorio e confusionario, e spesso sfruttò a proprio vantaggio la propria popolarità presso stuoli di anarchici. Questo non impedisce di vedere in lui un uomo di grande slancio ideale, seminatore postumo delle idee anarchiche. La sua leggendaria lotta con Marx per la supremazia del socialismo è a posteriori un monito non ascoltato del fallimento che il marxismo e il comunismo avrebbero portato con sé. "Io non sono comunista - affermava Bakunin - perché il comunismo concentra e fa assorbire tutta la potenza della società nello Stato, perché porta necessariamente alla centralizzazione della proprietà nelle mani dello Stato, mentre io voglio l'abolizione di questo Stato che, col pretesto di moralizzare e civilizzare gli uomini, li ha fino ad oggi asserviti, oppressi, sfruttati e depravati." Figlio di un aristocratico russo, BAKUNIN si avvicina alle idee di PROUDHON a trent'anni, in occasione di un soggiorno parigino. Nella capitale francese fonda "Le Peuple", viene espulso, arrestato diverse volte in Austria, Germania, viene condannato a morte ed estradato nella Russia zarista dove subisce una condanna a dieci anni in Siberia (1857), evade 4 anni dopo e vaga per l'Europa (in Italia resterà dal 1864 al 1867). In questi anni fonda alcune associazioni rivoluzionarie e nel 1868, con l'Alleanza Internazionale della Democrazia socialista aderisce alla Prima Internazionale. Cominceranno così gli scontri con Marx per assicurarsi la supremazia nel mondo socialista. Finché rimarrà in vita la posizione di Bakunin rimarrà predominante, ma col tempo (e con metodi autoritari) i marxisti riusciranno a estendere la propria egemonia, fino all'espulsione degli anarchici. Il fatto avvenne nel 1872 al congresso dell'AIL (Associazione Internazionale dei Lavoratori, o Prima Internazionale) all'Aia in cui i marxisti truccano la propria rappresentanza per ottenere la maggioranza nel consesso. "I marxisti - scrive Boussinot - fabbricano una rappresentanza congressuale che lascia loro 42 voti di maggioranza (Per la prima volta, e sotto la responsabilità personale di Marx, si assiste, da parte dei rivoluzionari, a tale manipolazione di un'assemblea teoricamente sovrana e rappresentativa delle masse. Quando si cercano, oggigiorno, le origini dello stalinismo, sarebbe bene esaminare quanto accadde durante quel congresso, già nel 1872!)" Da quel momento gli anarchici cercheranno dapprima di creare una propria "Internazionale Nera" (decennio 1880-1890), poi cercarono di entrare nella Seconda Internazionale Socialista (1889-1896), fallendo, infine ritentarono la strada esclusivamente anarchica (Congresso di Amsterdam del 1907) che terminò con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, pietra tombale dell'anarchia... ... intesa come grande fenomeno internazionale. Dal Verbo alla Violenza: il decennio 1890-1900. Alla fine del XIX secolo, se il movimento anarchico perdeva visibilità nel mondo socialista e all'interno del mondo operaio a vantaggio dei marxisti, un eccezionale florilegio di attentati di stampo anarchico contribuì ad affossarne le prospettive di propaganda all'interno della società europea. L'anarchia tornava ad essere una sorta di perversione intellettuale, il simbolo dell'assassinio e della cospirazione, il culto del disordine. Assassinii celebri, con finalità politiche e non, tutto contribuì a far fiorire l'immagine del terrorismo anarchico: nel 1884 Louis
Chavés, giovane giardiniere anarchico licenziato da un convento marsigliese, uccise la madre superiora, nel 1892 a Parigi vennero assassinati un proprietario di caffè e quattro poliziotti, nel 1893 venti spettatori in un teatro spagnolo, e prima del nuovo secolo persero la vita in attentati il presidente francese
Carnot, il primo ministro spagnolo Canovas, l'imperatrice d'Austria-Ungheria Elisabetta e Umberto I, re d'Italia. Il XX secolo si aprì infine con l'uccisione del presidente degli Stati Uniti McKinley (1901). L'anarchia in Francia Alcune delle figure più rappresentative nella Francia del XIX secolo furono Anselme
Bellegarrigue, Ernest Coeurderoy e Joseph Déjacque. Il primo si mantenne sempre lontano dalla pratica rivoluzionaria, a differenza degli altri due. ""Nego tutto, affermo solo me stesso. Io sono, questo è un fatto positivo. Tutto il resto è astratto e fa parte dell'X matematico, dell'ignoto. Non vi può essere sulla terra nessun interesse superiore al mio, nessun interesse al quale io debba il sacrificio neppure parziale degli interessi
miei.": in queste parole di Bellegarrigue risuona più di un'eco
stirneriana. Ciò nonostante, egli fu un sostenitore acceso del collettivismo e della Comune. Corderoy e Dèjacue parteciparono materialmente alla rivoluzione e all'insurrezione operaia del 1848, e a quella del 1849 contro la nomina di Luigi Napoleone a presidente. Entrambi fuggirono dopo la sconfitta, uno vagando tra Spagna, Belgio, Italia e Svizzera, l'altro tra Svizzera e Stati Uniti. L'opera di questi uomini è però ancora legata ai moti rivoluzionari più che agli atti terroristici isolati.
Dèjacque, comunque, fu un convinto propugnatore del ricorso alla violenza: abolire religione, proprietà, famiglia e stato attraverso l'opera di groppuscoli anarchici, questo il suo programma. Con il 1881 e l'Internazionale Nera l'anarchia dimostrò di essere un movimento indipendente e relativamente potente. Tra il 1880 e il 1890 in Francia esistevano più di 50 gruppi anarchici (tremila attivisti e un numero di simpatizzanti ragionevolmente superiore), i due giornali anarchici principali - Le Révolté e Le Père - vendevano insieme settimanalmente più di diecimila copie. A fungere da miccia per questa situazione esplosiva ci fu la figura del durissimo prefetto di polizia parigino Louis Andrieux e del suo agente segreto Egide Spilleux, alias Serraux. Quest'ultimo si infiltrò nei circoli anarchici parigini, fornendo importanti informazioni alla polizia. Il primo tentativo di assassinio ad opera di un anarchico avvenne nel 1881. Emile Florain, giovane operaio tessile disoccupato, si recò da Reims a Parigi a piedi per sparare al repubblicano Gambetta. Non riuscendo nell'intento, il giovane decise di sparare ad un borghese a caso, e lo fece. Un certo dottor Meymar, la vittima predestinata, rimase solo ferito. L'impresa di Florain - seppur infruttuosa - costituì un modello per gli assassini anarchici che gli succedettero. La cospirazione francese si basò sempre su atti individuali, a differenza di quella russa, basata tradizionalmente su gruppi terroristici organizzati. Il primo assassinio avvenne nel 1884, ad opera del già citato Chaves, il giardiniere che uccise la madre superiora del convento dal quale venne licenziato. "Si comincia da uno per arrivare a cento - disse - mi piacerebbe la gloria di essere il primo a cominciare. Non cambieremo le condizioni esistenti con le parole o con la carta. L'ultimo che posso dare ai veri anarchici, agli anarchici attivi, è di armarsi, seguendo il mio esempio, con un buon revolver, un buon pugnale, una scatola di fiammiferi." In quegli stessi anni, nella regione mineraria di Monceau-les-Mines un'organizzazione denominata la Banda Nera cominciò la propria attività, con atti anticlericali, come saccheggiare chiese e danneggiare crocifissi. Per entrare nella Banda Nera si doveva superare una sorta di iniziazione. Intanto nel 1883 si svolgeva il famoso processo di Lione, nel quale venivano giudicati una settantina di celebri anarchici tra cui Petr Kropotkin e Emile Gautier. Durante il processo scoppiò una bomba nel ristorante del Teatro Bellecour, fatto che contribuì ad esasperare l'atmosfera. Tutti gli anarchici vennero condannati, Kropotkin e Gautier a cinque anni. In questi stessi anni l'anarchismo divenne popolare (e, come al solito, secondo il tradizionale conformismo intellettuale, di moda). Uomini di cultura e artisti si schierarono per l'anarchia e parteggiarono per gli anarchici in occasione dei processi che li vedevano imputati. Il primo gruppo di studenti anarchici si formò a Parigi nel 1890, a Londra e New York l'anarchismo fiorì tra il 1940 e il 1950. "Ciò che attraeva artisti e intellettuali- scrive George Woodcock in "L'anarchia, storia delle idee e dei movimenti libertari - era il culo anarchico per l'indipendenza di giudizio, la libertà d'azione e l'esperienza per amore dell'esperienza." Tutto ciò - potremmo affermare con sarcasmo - che spesso non caratterizza la casta cosiddetta intellettuale. Tra il marzo 1892 e il giugno 1894 si ebbe in Francia una fase alquanto cruenta di attentati dinamitardi (ben undici). Era come se, dopo le delusioni e i fallimenti nel costruire un Internazionale anarchica o perlomeno un legame internazionale tra i socialisti europei (occasioni durante le quali si era discusso incessantemente dell'utilità del ricorso alla violenza), alcuni anarchici avessero deciso di passare ai fatti. La violenza - questa la loro convinzione - avrebbe causato la scintilla della rivoluzione. Tutti gli attentati terroristici di questo periodo, tra l'altro, sono legati tra loro, conseguenza uno dell'altro. Tutto cominciò il 1 maggio 1891 quando alcuni anarchici inscenarono una manifestazione nel sobborgo di Levallois. La polizia intrevenne disperdendoli e catturando gli organizzatori, dopo un breve scontro a fuoco. Al processo che ne conseguì il pubblico ministero Benoit invocò nientemeno che la pena di morte, ma ottenne solo pene detentive severe. Della vicenda fu colpito uno sconosciuto tintore, tale Koenigstein che si faceva chiamare Ravachol. Povero, dedito a vita criminosa (piccoli furti, contrabbando, falsario), frequentava circoli anarchici. Nel 1891 il ladro Ravachol profanò la tomba della Contessa della Rochetaillé, poco dopo arrivò ad uccidere un mendicante novantenne, tale Jacques Brunel, noto per avere svolto la sua attività di questuante per oltre cinquant'anni. Ravachol lo uccise per impossessarsi dell'immensa ricchezza che segretamente il vecchio aveva accumulato. Processato per il delitto Ravachol sfrontatamente dichiarò: "Se ho ucciso, l'ho fatto prima di tutti per soddisfare le mie necessità personali, e in secondo luogo per la causa anarchica, poiché noi lavoriamo per la felicità del popolo." L'attività di Ravachol continuò una volta riacquistata la libertà. L'anarchico decise che avrebbe fatto la caccia ai responsabili del famoso intervento poliziesco nella manifestazione di Levallois. L'11 marzo 1881 mise dinamite nella casa del Presidente Benoit, il 27 marzo fece lo stesso con la casa del pubblico ministero Bulot, due giorni dopo veniva arrestato in un ristorante grazie ad un cameriere che lo aveva riconosciuto. Il 26 aprile veniva condannato ai lavori forzati a vita, poco dopo veniva condannato a morte per un assassinio precedente. Alla sentenza Ravachol urlò solo "Vive l'Anarchie!" e affrontò la ghigliottina cantando versi contro la Chiesa. Nel novembre 1893 un altro anarchico, tale Léauthier aggredì un ministro serbo con un arnese da calzolaio ferendolo gravemente. Un mese dopo AUGUSTE VAILLANT lanciò una bomba dalla galleria della Camera dei Deputati, colpendo al cuore la classe politica governativa francese. Un gesto simbolico che attirò l'attenzione del mondo: il pericolo dell'anarchia poteva arrivare ovunque. Vaillant, sebbene non avesse ucciso nessuno, fu condannato a morte. Come rappresaglia, una settimana dopo la condanna, una bomba venne gettata nel Café Terminus alla Gare St. Lazare, causando un solo morto e venti feriti. Il responsabile era un giovane, tale Emile Henry, autore anche dell'esplosione nella stazione di polizia di rue des Bons-Enfants. La figura di Henry - fanatica e affascinante al tempo stesso - attirò l'attenzione dell'opinione pubblica francese. Durante il processo Heny espresse il rammarico di non aver causato un numero di vittime maggiore. Dopo l'arresto di Henry un altro anarchico, il belga Pauwels causò tr esplosioni, morendo nella terza. Il 24 giugno l'anarchico italiano SANTE CASERIO giungeva a Lione per assassinare il presidente Carnot; mescolato tra la folla avvicinò il presidente e lo pugnalò al fegato gridando il solito gelido motto: "Vive la Révolution! Vive l'Anarchie!". Carnot morì. Da quel momento il governo francese decise di dichiarare guerra aperta al movimento anarchico (che tra l'altro da questi atti criminosi non aveva ricavato alcun profitto d'immagine, nemmeno tra coloro per cui dichiarava di battersi), promulgando quelle che passeranno alla storia come les lois scellerates (le leggi scellerate). In base ad esse, anche la sola istigazione a compiere atti criminali veniva considerata un delitto passabile di condanne pesantissime. Inoltre, con estrema facilità si poteva arrivare a definire un gruppo attivista come "associazione a delinquere". Infine, la propaganda anarchica veniva dichiarata illegale. Come conseguenza, l'anarchia in Francia riprese a percorrere il sentiero della teoria e dell'associazionismo a fini politici. Cominciò a svilupparsi la dottrina anarcosindacalista e gli anarchici cercarono di influenzare la politica sindacale francese. Tra il 1902 e il 1908 gli anarchici sembravano aver egemonizzato la scena sindacale. Gli anarchici volevano che il sindacato generale (C.G.T.) seguisse una via rivoluzionaria, mentre buona parte dei suoi rappresentanti rimaneva su posizioni riformiste. Ciò nonostante il primo decennio del XX secolo fu caratterizzato da violenti scioperi e sabotaggi. Nel 1906 l'anarcosindacalismo sembrò all'apice con la redazione della Charte d'Amiens, che dichiarava la completa autonomia del sindacato e proclamava il suo distacco sia dalla destra come dalla sinistra. Una serie di scioperi falliti nel 1908 segnò la curva discendente dell'anarcosindacalismo. Nel 1914 la Grande Guerra sconvolse tutto. L'antimilitarismo, in un epoca di accesi nazionalismi, isolò gli anarchici ( e li divise anche: molti videro nell'intervento un 'occasione per combattere contro la peggiore delle autocrazie, la Germania guglielmina). Il pensiero anarchico trovò in Italia un terreno fertile, soprattutto per i fermenti rivoluzionari che ancora non erano sopiti dopo il Risorgimento. Ex-garibaldini ed ex-mazziniani costituirono la base su cui il movimento anarchico - anche grazie all'influenza di BAKUNIN, che soggiornò per diversi anni in Italia - costruì le proprie fondamenta. Alcuni anarchici italiani - alludiamo a MALATESTA, CAFIERO, COSTA - divennero tra i più infaticabili propagandisti dell'anarchia, non solo in Italia ma anche all'estero. Figure come quelle di Malatesta assursero a veri e propri miti internazionali. Il primo anarchico può essere considerato CARLO PISACANE, eroe risorgimentale che nel 1857 partì da Genova sul vapore "Cagliari" per sbarcare in Calabria. Fiducioso in un supporto di presunti insorti del luogo, che mai avvenne, Pisacane incontrava la morte ad opera delle forze borboniche. Uomo di idee oltre che di lotta, Pisacane ci ha lasciato scritti che chiariscono la sua posizione libertaria e anarchica (influenze del Proudhon). La permanenza in Italia di Bakunin, dopo l'evasione dalle prigioni zariste siberiane, fu la pietra angolare su cui si costruì il movimento anarchico italiano. In Italia l' "Orso russo", uomo di grande carisma e con l'ossessione della cospirazione e delle società segrete (in Italia trovò un terreno già fertilizzato dalle esperienze carbonare), fondò la Fratellanza Internazionale. Venne creato un Comitato Centrale Italiano e nacquero numerose sezioni regionali (che rimasero però spesso solo sulla carta). Quando Bakunin lasciò l'Italia per Ginevra l'associazione cominciò a vacillare (1867), ma due anni dopo si riprese, grazie a uomini del Mezzogiorno (dove le questioni sociali erano più drammatiche) come Stefano Caporosso e Michelangelo Statuti. Nel 1871 fiorì un nuovo gruppo di anarchici, riconoscenti verso Bakunin ma non direttamente legati alla sua esperienza: erano Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Carmelo Palladino. Giovanissimi, entusiasti, figli di ricchi proprietari dell'Italia meridionale. Non bisogna dimenticare che l'anarchia sedusse esponenti delle classi abbienti così come di quelle povere, ma chissà perché le condanne più dure colpirono chi apparteneva a quest'ultime. La situazione rivoluzionaria in Italia aveva bisogno di una scossa - GARIBALDI invecchiava in solitudine, Bakunin era lontano, MAZZINI si cristallizzava su posizioni sempre più conservatrici e diffidava del socialismo (soprattutto di Marx) - e i "nuovi anarchici" volevano intervenire. Il Congresso di Bologna del marzo 1872 e di Rimini del maggio successivo furono gli eventi principali di quegli anni. In essi si consacrò - almeno in Italia - il predominio dell'anarchismo sul rivale marxismo. In occasione del congresso di Rimini si mise in evidenza il giovane ANDREA COSTA, che sarebbe diventato una delle figure più eminenti del movimento. La Romagna divenne il cuore dell'anarchia in Italia, e grazie soprattutto all'attivismo fuori del comune di Costa. Dopo il Congresso dell'Aia (quello del "golpe" marxista verso gli anarchici) gli anarchici italiani si schierarono decisamente su posizioni bakuniniane e antimarxiste. Intanto il governo italiano aveva cominciato a preoccuparsi per il continuo aumento di circoli anarchici nel paese, tanto più che al loro interno si stava per decidere di passare all'azione. La lotta rivoluzionaria cominciò dopo il duro inverno del 1873-74. Nell'estate dello stesso anno gli anarchici romagnoli organizzarono una cospirazione che avrebbe dovuto portare ad impadronirsi di Bologna. Da qui - nella speranza dei rivoltosi - tutta l'Italia centrale avrebbe dovuto alzarsi in rivolta. La polizia, grazie ad alcuni informatori, venne a conoscenza del piano. Un migliaio di bolognesi avrebbero dovuto raccogliersi in due punti fuori città per poi marciare al suo interno, dove Bakunin le avrebbe attese. Si sarebbe attaccato l'arsenale militare della città per distribuire le armi ad altri sostenitori venuti da tutta la Romagna. Il piano fallì: i sostenitori non furono più di duecento, e vennero fermati dai carabinieri. I bolognesi quindi si dispersero e anche nelle altre città la polizia soffocò ogni tentativo di rivolta. Malatesta, il leader carismatico dell'impresa venne arrestato a Pesaro mentre cercava di fuggire verso la Svizzera. Tutta la dirigenza anarchica cadde nella tela e il Movimento subì un arresto letale. Nel giugno 1876, però, tutti gli insorti furono rimessi in libertà, guadagnando in prestigio presso l'opinione pubblica e la stampa. L'Internazionale anarchica ricominciava quindi a muovere i suoi passi. Cafiero e Malatesta cercarono di riattivare la rete cospiratoria e rivoluzionaria, convinti che il Mezzogiorno li avrebbe entusiasticamente seguiti. Eppure, proprio i contadini, coloro che avrebbe dovuto costituire lo zoccolo duro della rivolta, tradirono le aspettative dei leader anarchici. "Diversamente dai lavoratori dei campi della Spagna meridionale - scrive Woodcock - quelli dell'Italia meridionale si rivelarono refrattari al messianismo libertario, e in Italia l'anarchismo doveva rimanere un movimento limitato quasi esclusivamente alle città minori." Il fallimento dell'impresa nel Matese ne fu l'esempio lampante. Il Matese è una regione tra Campania e Molise, dove nel recente passato il brigantaggio aveva spadroneggiato, creando seri problemi al Regno da poco nato. Una zona, ritenevano gli anarchici, adatta alla guerriglia. Da qui - nel cuore del Mezzogiorno - Cafiero, Malatesta e Ceccarelli ritennero di far scoccare la scintilla della rivoluzione. Nella primavera del 1877, essi ritennero che fosse venuto il momento giusto: non pensavano ad un'insurrezione generale, bensì ad un'azione di vera e proria guerriglia. Lo scopo era quello di occupare, con pochi uomini, una zona simbolicamente importante perché inespugnabile, e da lì incitare all'azione chi agognava alla libertà. Oggi si può dire che l'ingenuità del piano era pari solo all'entusiasmo dei suoi organizzatori. L'operazione sarebbe dovuta scoccare a marzo, ma la neve ancora presente nel Matese fece rallentare i piani degli anarchici (e permise al ministero degli Interni, debitamente informato, di studiare delle contromosse). Il luogo dell'incontro dei cospiratori doveva essere San Lupo, un piccolo paesello. Invece che cento - come preventivato - se ne presentarono solo ventisei. Si decise di continuare comunque e il piccolo gruppo di uomini cominciò a marciare, naturalmente ognuno con la sua bella sciarpa rossa in evidenza. Le guide non si presentarono, i viveri non giunsero a destinazione. La leggenda dice che i rivoluzionari avessero deciso di passare agli espropri, ma quando - alla prima pecora sequestrata - il piccolo pastore, tale Purchia, cominciò a piangere, la restituirono. Dopo tre giorni di marcia, la banda giunse a Letino, occupò il Municipio, proclamarono la decadenza della monarchia (solo dopo aver staccato dal muro, ovviamente, il ritratto del re Vittorio Emanuele), fecero un falò con le carte comunali e catastali. A quel punto intervenne la polizia e inseguì la banda, che cercò di fuggire. Dopo tre giorni, smarritisi nella foresta, gli anarchici si arresero al capitano Ugo De Notter. Come reazione al fallimento della "rivoluzione sociale", cominciarono gli atti terroristici individuali. Il 17 novembre 1878 il cuoco napoletano GIOVANNI PASSANANTE si scagliava sul nuovo re Umberto che attraversava le vie di Napoli in carrozza. L'uomo non riuscì nel suo intento criminale, ma il gesto colpì molto negativamente l'opinione pubblica che lo mise in relazione con le continue esortazioni che dagli opuscoli anarchici invitavano ad eliminare tutti i re, gli uomini di potere e i preti. Il giorno dopo l'impresa di Passanante una bomba esplose in occasione di un corteo monarchico a Firenze; due giorni dopo un'altra bomba esplose a Pisa. Le forze dell'ordine non dovettero farsi pregare per iniziare la repressione del movimento anarchico. Quasi tutti i personaggi principali del movimento furono esiliati o imprigionati, e l'Internazionale rischiò di essere dichiarata fuorilegge. Essa rischiò forse di peggio, e cioè l'estinzione. Cafiero e Malatesta, esiliati, non potevano più reggere le sorti del movimento anarchico italiano. Addirittura Andrea Costa stava maturando il suo abbandono dell'anarchismo rivoluzionario e l'entrata in Parlamento, fatto che costituì scandalo tra gli anarchici più accesi. Molto più che un pezzo di anarchia italiana morì quando Andrea Costa, "el biundén" che aveva acceso i cuori degli uomini (e di tante donne, soprattutto) per lo slancio rivoluzionario, giurò fedeltà al Re e divenne parlamentare. CARMELO PALLADINO, uno dei primi italiani a rispondere all'appello di Bakunin, sul "Grido del Popolo" disse: "Ho sempre amato e stimato Costa più che un fratello ma ora che egli abbandona la causa della rivoluzione non esito un istante a ritenerlo il maggior nemico dei lavoratori". Intanto Costa, con l'inseparabile amante ANNA KULISCIOFF (responsabile, si dice, della sua conversione al riformismo), fondavano l'"Avanti!". Il terrorismo anarchico per mano italiana continuò fuori dei confini: il presidente francese Sadi Carnot venne ucciso nel 1894 dall'anarchico Caserio, nel 1897 in Spagna l'anarchico pugliese Michele Angiolillo sparò al primo ministro Antonio Canovas. La polizia spagnola cercò di fargli pronunciare i nomi di presunti complici, ma Angiolillo disse solo di "non essere un assassino ma un giustiziere" e andò incontro con un coraggio fuori del comune alla tortura della garrota, uno strangolamento graduale degno della Santa Inquisizione (che evidentemente da queste parti non avevano dimenticato). Un anno dopo LUIGI LUCCHENI pugnalò a tradimento a Ginevra ELISABETTA d'Austria, "Sissi", amatissima moglie di Francesco Giuseppe. Cercando la morte, Luccheni chiese di essere giudicato in un Cantone dove vigesse la pena di morte e non ottenendolo, si impiccò nella cella dove era stato condannato all'ergastolo. Nel 1900 Umberto di Savoia venne ucciso a Monza con tre colpi di rivoltella, dopo aver scampato due attentati, da GAETANO BRESCI. Bresci era un giovane toscano, di Prato, e risiedeva a Paterson, negli Stati Uniti, vicino a New York, cittadina tradizionalmente ricca di anarchici. La stampa cercò di dipingerlo come un folle ("Un microcefalo, una testa non sviluppata"), ma egli era invece un uomo brillante, sposato con figli, lavoratore e con una vita sociale equilibrata. Bresci sarebbe morto un anno dopo, in cella, suicida o, molto più probabilmente, assassinato. Il movimento anarchico, frattanto, passava attraverso alterne vicende che comunque non mutarono il fatto che per esso era cominciata la curva discendente. La figura di maggior spicco, Malatesta, non tornò permanentemente in Italia fino al 1913. In occasione del 1 maggio 1890 si realizzarono tumulti provocati da repubblicani e anarchici, e le istanze anarchiche sembrarono ottenere il perduto prestigio. Era però un fuoco di paglia: gli anarchici persero sempre più posizioni nei confronti non solo del socialismo parlamentare e in genere riformista, ma anche nei confronti della corrente meno rivoluzionaria dell'anarchismo, e cioè l'anarcosindacalismo. Lo stesso ritorno in Italia di Malatesta era motivato dal tentativo di recuperare il significato originario dell'anarchia rivoluzionaria, e arginare l'influenza dell'ormai "rinnegato" Costa. Dopo la guerra mondiale - che affossò l'anarchismo per tutta l'Europa - sembrò che il sogno rivoluzionario anarchico dovesse risorgere, anche sull'esempio della Rivoluzione russa. Il primo quotidiano anarchico nacque nel 1920 sotto l'egida di Malatesta. Un'altra ondata di scioperi travolse il Paese, che rischiò il tracollo (e le continue tensioni sociali furono uno dei motivi che aiutò il fascismo a raggiungere il potere), ma le ennesime delusioni scatenarono nuove imprese terroristiche. Il 23 marzo del 1921 un gruppo anarchico mise bombe in un teatro, in una centrale elettrica e in un albergo. Fu uno degli ultimi atti che permise ai fascisti di scatenarsi contro la sinistra in generale. Nella nuova Italia in camicia nera l'anarchia finì nei sotterranei. La figura di Malatesta, vecchio ottantenne che visse "tollerato" da Mussolini (forse in nome del proprio passato rivoluzionario) fino alla morte nel 1932, è il triste simbolo di come il cuore dell'anarchia avesse cessato di battere nella terra che aveva esaltato Bakunin. Sebbene la Spagna - tradizionalmente conservatrice e geograficamente "esclusa" dal cuore dell'Europa - si fosse aperta alle influenze anarchiche più tardi rispetto ai paesi vicini, l'ideale dell'anarchia vi trovò terreno assai fertile. Quando era già un fantasma in Francia e Italia, l'anarchismo in Spagna era vivo e vegeto, popolarissimo soprattutto (e come avevano sperato invano gli anarchici italiani e francesi per le loro società) tra le classi contadine e operaie. L'anarchia - forse anche per la forte tradizione spirituale spagnola - assunse in questo paese un significato altamente utopico, millenaristico, in una parola religioso. I braccianti di Madrid, gli operai di Barcellona, ad ogni rivolta, ad ogni chiesa bruciata, veramente pensavano che fosse imminente l'avvento della società perfetta, dove ognuno sarebbe stato uguale al suo prossimo nella totale condivisione dei beni. L'esperimento della collettivizzazione ebbe infatti un discreto successo in Spagna, sicuramente più che altrove in Europa. La prima figura dell'anarchia spagnola è sicuramente Piy MARGALL, un funzionario di banca madrileno, catalano discepolo spirituale di Proudhon, e di conseguenza deciso assertore del federalismo. In occasione della prima rivoluzione del 1854 Margall pubblicò il suo primo libro, La "Reaccion y la revolucion": in esso vagheggiò la nascita di un governo che attuasse graduali riforme di stampo anarchico, fino alla sua estinzione. Margall diventò in seguito il princiaple traduttore del tempo delle opere di Proudhon. Frattanto, intorno al 1867, anche le idee di Bakunin cominciarono ad approdare in Spagna, diventando da subito popolari in grosse città come Madrid e Barcellona. Non bisogna dimenticare che già dal 1839 le associazioni di lavoratori erano state legalizzate dal governo, e la situazione era perlomeno favorevole per lo sviluppo dell'anarcosindacalismo. Nel 1840 si associarono i tessili di Madrid, sei anni dopo nasceva il giornale anarchico La Atraccion di Fernando Garrido, nel 1864 nasceva un altro giornale, più a sinistra, dal titolo El Obrero e creato dall'anarchico Antonio Gusart. La vera scintilla dell'anarchia in Spagna era stata però la rivoluzione del 1868 che aveva costretto all'esilio la regina Isabella. La situazione era favorevole alla nascita di un'Internazionale anarchica, cosa che Bakunin riteneva indispensabile, soprattutto per sottrarre la Spagna all'influenza marxista. L'impresa fu affidata alle sicure doti di propagandista dell'italiano Giuseppe Fanelli che arrivò a Barcellona, senza un soldo, un mese dopo la rivolta. Nella città che poi sarebbe diventata il cuore pulsante dell'anarchia spagnola, Fanelli paradossalmente non ebbe successo. Fu a Madrid che l'italiano riuscì a far scoccare la scintilla, e con estrema facilità: sembrava che gli spagnoli attendessero da tempo la "buona novella". Nel 1870 nasceva la Federazione anarchica e realizzava un congresso a Barcellona cui parteciparono oltre 150 società operaie rappresentanti 40.000 membri. L'arrivo in Spagna del nuovo re straniero Amedeo di Savoia, che aveva accettato la corona, portò il governo spagnolo ad assumere misure per la prima volta persecutorie verso gli anarchici. I leaders vennero arrestati e molti fuggirono in Portogallo, a Lisbona, dove cominciarono a tessere altre trame anarchiche. Il governo spagnolo arrivò a sciogliere l'Internazionale, dichiarandola illegale e strumento di paesi stranieri. Nonostante questo provvedimento Anselmo Lorenzo cominciò una sorta di viaggio apostolico tra le campagne (1872) per promuovere l'anarchismo tra i contadini e i piccoli agricoltori. Nel 1873 Amedeo di Savoia rinunciava al trono spagnolo e rinacque la Repubblica, l'Internazionale, sopravvissuta clandestinamente, ricominciò ad operare alla luce del sole. La prima rivolta anarchica accadde ad Alcoy, una cittadina industriale vicina a Valenza. Alla nascita della Repubblica gli operai entrarono in sciopero (tra le richieste vi era la giornata lavorativa di otto ore), ma la polizia aprì il fuoco nei pressi del Municipio. Per due giorni la cittadina fu teatro di scontri e crimini orrendi, tipici della tradizione "guerresca" spagnola: i rivoltosi giustiziarono il sindaco, uccisero poliziotti, diedero fuoco ad alcune fabbriche e diedero vita ad un terrificante corteo dove esibirono le teste mozzate degli avversari. Nel 1874 il terreno era favorevole alla restaurazione a al ritorno dei Borboni. La Federazione spagnola anarchica fu soppressa e con il 1878 si aprì un periodo di violenze anarchiche. Un giovane anarchico terragonese, JUAN OLIVA MONCASI, cercò di assassinare Alfonso XII, e come conseguenza si ebbe un'ondata di arresti di leaders e capi sindacali. Seguirono scioperi a catena in Catalogna e Andalusia. Solo nel 1881 si cercò di calmare la situazione permettendo nuovamente all'Internazionale di vivere ed operare. Come in Francia e Italia, anche in Spagna l'ultimo decennio del XIX secolo fu caratterizzato da atti terroristici e rivolte. Nel 1892 le regioni dell'Andalusia furono scosse da una rivolta di oltre 4000 contadini armati. Le solite carneficine con esecuzioni sommarie di bottegai e "borghesi" causarono la repressione governativa. Il governo aveva cominciato anche ad assumere dei pistoleros prezzolati che compivano una sorta di "caccia all'anarchico". Nel 1896 fu lanciata a Barcellona una bomba da una finestra su di una processione del Corpus Domini, l'attentatore non fu catturato, ma molti notarono che l'ordigno era stato lanciato contro la povera gente in corteo, e non tra le autorità in prima fila: che fosse una provocazione governativa? Quel che è certo è che le repressioni verso gli anarchici volute dal durissimo governo Canovas, che invitò la propria polizia a ricorre anche alla tortura - continuarono. Lo stesso Canovas venne ucciso da un anarchico italiano - MICHELE ANGIOLILLO - nella stazione termale di Santa Aguada. Verso la fine del secolo, come accadde in Francia, anche in Spagna il movimento anarchico incontrò il favore di artisti e intellettuali, nel 1896 nacque anche il principale giornale anarchico, La Revista Blanca, che raccolse illustri personaggi e uomini della cultura e del mondo professionale. Nel luglio 1909 il governo spagnolo, in difficoltà in una delle frequenti guerriglie in Marocco, arruolò di proposito un gran numero di giovani catalani (tradizionalmente indipendentisti) da inviare al fronte. Il provvedimento causò quella che passò alla storia come la "settimana tragica", e cioè sette giorni di scontri sanguinosi per le strade di Barcellona (più di 200 lavoratori uccisi, 50 chiese bruciate, molti preti linciati). Nel 1910, anche come conseguenza della settimana tragica, si riunivano in uno storico congresso a Siviglia le principali associazioni anarchiche, che diedero vota al CNT (Confederacion Nacional del Trabajo), il Sindacato generale. Nel 1914 il CNT uscì dalla clandestinità e cominciò a subire il corteggiamento della Terza Internazionale (comunista). Il ritorno dalla Russia bolscevica dell'anarchico ANGEL PESTANA, testimone di quale fine facessero gli anarchici sotto il pugno degli uomini di Lenin (il massacro dei marinai di Kronstadt, ad esempio), contribuì a liberare il movimento dall'influenza marxista. Nel frattempo il governo autoritario di Primo de Rivera non facilitava le cose al movimento anarchico: tutti i sindacati vennero sciolti e molti loro membri arrestati. Con la successiva Repubblica, destinata a finire sotto le ceneri della Guerra Civile vinta dal dittatore nazionalista Francisco Franco, gli anarchici entrarono addirittura a contatto con l'esperienza governativa. I rapporti tra comunisti e anarchici, già in questi anni, erano molto tesi, lo divennero ancor di più quando al governo Caballero succedette quello, molto più gradito ai comunisti (e al grande padrone moscovita), di Negrin-Prieto. In questa lotta per il potere, l'intellettuale anarchico italiano CAMILLO BERNERI fu addirittura assassinato da sicari comunisti in una strada di Barcellona. A Barcellona comunisti e anarchici si affrontarono apertamente: per gli anarchici fu la sconfitta e molti fuggirono all'estero. "Per gli anarchici, scrive Manlio Cancogni ne "Gli Angeli Neri", il giorno della vendetta venne […] nel marzo 1939, quando a Madrid una giunta militare, esautorato il governo di Negrin, s'impadronì del potere per firmare un armistizio. Agli ordini della Giunta essi parteciparono, e sembra molto volentieri, alla repressione che si concluse con un massacro di comunisti sui prati dell'ippodromo". Durante la Guerra Civile che vide opposti i Repubblicani ai Nazionalisti di Franco, le lotte tra comunisti e anarchici erano continuate, più o meno sotterranee. La dittatura di Franco avrebbe soffocato, con ogni dissenso, anche il movimento anarchico. Scrivendo dell'anarchia non si può ignorare il caso simbolico di SACCO e VANZETTI. Negli anni Venti la coscienza dell'America fu sconvolta dal caso di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due italo-americani, rispettivamente un ciabattino e un pescivendolo della periferia di Boston, Massachusetts. I due, incarcerati con l'accusa di aver organizzato una rapina, attesero per sei anni una condanna alla sedia elettrica che arrivò (quasi) puntuale. La rapina, avvenuta nell'aprile 1920 a Boston in una fabbrica di scarpe, aveva causato due morti, il cassiere e la guardia. L'accusa - sostenuta dal durissimo Katzman - invocò, anche se con poche prove a favore, la pena capitale. Nonostante numerose irregolarità - i due erano effettivamente anarchici, ma non si erano mai macchiati di delitti - il processo decretò la condanna di Sacco e Vanzetti. In favore dei due anarchici si mobilitò tutta l'opinione pubblica mondiale, soprattutto europea, ma l'atmosfera che in quegli anni vigeva in America, di estrema diffidenza verso il socialismo e il comunismo vittorioso da poco in Russia, fu più forte di tutto. Nemmeno una tardiva confessione di un uomo già condannato - il quale affermò che la rapina era stata compiuta dalla banda Morelli di Providence - servì a cancellare la sentenza. Il 23 agosto 1927 Sacco e Vanzetti, martiri in Europa, assassini in America, si sedettero sulla sedia elettrica.
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