I caratteri fondamentali del modello Ampliamento del mercato L’ampliamento del mercato è ottenuto attraverso l’aumento dei consumi pro capite, attraverso l’aumento del numero degli acquirenti, attraverso l’aumento della tipologia delle merci. Aumento dei consumi pro-capite I consumi pro-capite aumentano attraverso un meccanismo di pubblicità e di costruzione di immagine che fa divenire “necessari” dei prodotti. Il meccanismo produttivo individua la disponibilità economica degli individui (per tipo, area geografica, cultura) e definisce merci adeguate a stimolare l’acquisto e quindi ad aumentare ogni oltre limite plausibile i consumi. Il mercato delle “voglie” è immensamente più grande di quello delle necessità. Durante gli ultimi 25 anni i consumi sono aumentati ogni anno del 2,3 % [1]. Gran parte degli statunitensi e degli europei sono dei tacchini che mangiano molto oltre le loro necessità, mangiano per nevrosi e perché non riescono a difendersi dal mercato. Ogni anno negli USA le industrie del settore alimentare spendono in pubblicità 30 miliardi di dollari, più di ogni altro settore; anche in Francia, Belgio e Austria gli alimenti sono le merci più pubblicizzate. Tra esse quelle maggiormente sostenute sono i cibi “grassi e dolci” in quanto stimolano maggiormente, danno maggiore dipendenza e garantiscono i maggiori margini di profitto [2].Aumento del numero degli acquirenti L’aumento è ottenuto attraverso il recupero di fasce sociali (medie) o ambiti geografici potenzialmente acquirenti. Il limite di questa espansione del numero degli acquirenti è stabilito esclusivamente dalla necessità di mantenere ambiti di povertà, anche all’interno dei paesi ricchi, in cui recuperare mano d’opera a basso costo. Nei paesi industrializzati
(OCSE) le persone povere sono 100 milioni, 37 milioni sono i senza lavoro, l’8% dei bambini vive sotto la soglia di povertà, oltre 100 milioni di individui sono senza casa [1]. Aumento della quantità delle merci Le merci prodotte sono solo una parte del mercato. Per ampliare gli scambi e garantire attraverso di essi il profitto si commercializzano anche risorse comuni o profondamente personali che divengono merci: acqua, sesso, conoscenze, natura. Dal 1985 al 1996 gli scambi commerciali mondiali sono passati da 315 miliardi a 6.000 miliardi di dollari [3]. Il prodotto dell’economia mondiale è salito dai 31.000 Mld di dollari del 1990 ai 42.000 Mld di dollari del 2000 (6.300 Mld di dollari nel 1950) [4]. Vi è un turismo “sessuale” finalizzato all’uso di bambini. Nel circuito vi sono 800.000 bambini in Tailandia, 500.000 in India, 100.000 a Taiwan, 60.000 nelle Filippine, ecc. Ogni anno 300.000 tedeschi viaggiano per questo tipo di turismo e 25.000 australiani vanno nelle Filippine [5]. Il consumo delle acque minerali (la privatizzazione di un bene comune) è aumentato nel mondo di decine di volte negli ultimi venti anni (negli USA di nove volte tra il 1978 e il ‘98) [4]. Il brevetto sulla natura Sono tre gli accordi del WTO (World Trade Organisation, Organizzazione mondiale per il commercio) che possono creare difficoltà agli stati nel mantenere o rafforzare le proprie leggi di tutela nei confronti degli
OGM: SPS, TBT, TRIP. I primi due impongono pesanti oneri ai governi che desiderino limitare l’ingresso degli OGM nel proprio paese, e minacciano sanzioni commerciali da parte del WTO per soluzioni autonome o multilaterali sulla questione
Ogm. L’accordo TRIP (Trade-Related Aspects of Intellectual Property
Rights) sancisce, attraverso la possibilità di brevetto, i diritti delle imprese sulla “proprietà intellettuale”, che viene estesa ai prodotti farmaceutici, ai prodotti chimici per l’agricoltura, alle varietà botaniche e al germoplasma dei semi, a quelli derivanti da secoli di ibridazione delle piante, tra cui i metodi tradizionali di cura. Impone inoltre alle nazioni la difesa dei diritti di proprietà sui microrganismi, tra cui le linee cellulari umane e animali, i geni e le cellule del cordone ombelicale. Di fatto l’accordo TRIP insidia ulteriormente la precaria sicurezza alimentare del mondo, aggravando il problema di accessibilità e distribuzione del cibo e delle sementi. Quando le imprese brevettano un seme, i piccoli agricoltori locali devono pagare i diritti annuali per l’uso, anche se è il prodotto di ibridi ottenuti nell’arco di generazioni proprio dagli antenati di quegli agricoltori. Questa è biopirateria, ovvero il saccheggio della natura e del sapere indigeno [6] [7]. I brevetti sono troppo costosi per i paesi poveri La Fondazione Gaia, un’associazione ambientalista inglese, viene contattata da un’organizzazione non governativa della Namibia che cerca consulenza per brevettare una pianta locale con proprietà medicinali, al fine di prevenire atti di biopirateria da parte di società farmaceutiche multinazionali. In seguito ad una ricerca sui costi, la Fondazione Gaia giunge alla conclusione che ottenere un brevetto comporta una spesa proibitiva per una collettività con scarsi mezzi economici.Una comunità povera che voglia garantirsi la proprietà delle forme indigene di vita biologica, dovrebbe registrare i brevetti in tutte le nazioni sviluppate; quindi, per richiedere, ottenere e mantenere i brevetti, i contadini e le comunità locali dovrebbero affrontare costi esorbitanti: lo studio rivela che dieci brevetti, validi in cinquantadue paesi a copertura di una sola invenzione, costano circa cinquecentomila dollari. Lo studio calcola anche le spese ulteriori che si dovrebbero affrontare nel caso si renda necessario difendere un brevetto in un tribunale civile, dove i costi delle cause ricadono soltanto sui possessori dei brevetti, e non sulla controparte statale. “Emerge chiaramente, da queste cifre, che in nessun modo una comunità della Namibia potrà mai permettersi di salire sul carro dei brevetti. I costi da sostenere fanno dei brevetti un dominio dei ricchi e dei potenti” [7]. Indebolimento della comunità Le comunità, oltre ad essere destrutturate nella loro cultura, sono fortemente limitate nella loro capacità decisionale. I possessori del capitale monetario interloquiscono direttamente con le comunità superando ogni filtro, quale quello definito dall’interesse di stato o quello stabilito dalle leggi stesse degli stati. Fino a ieri i grandi gruppi economici hanno indirizzato le scelte dei governi rimanendo però in una posizione formalmente subordinata; oggi danno indicazioni ai governi dichiarando la propria superiore capacità operativa e gestionale in termini economici e, in ragione di questo, la congruità della loro gestione sociale e culturale delle società. In questo momento nessuno stato ha più la possibilità di indirizzare o controllare cosa succede nel mercato. Nessun controllo di nessun tipo può essere messo in atto sugli operatori: è buono ciò che risponde a logiche di mercato, qualunque sia il suo esito sulla popolazione e sull’ambiente. La popolazione è stata allontanata dalle scelte sia in quanto i temi centrali dell’esistenza vengono impostati sulla base di criteri esclusivamente economici, sia in quanto parallelamente alla struttura sociale e politica, si è strutturata una organizzazione decisionale che non ha una sede fissa, che non è conosciuta nei suoi partecipanti, che non rende conto del suo operato alla collettività, nemmeno formalmente. Molto del potere dei governi, già tanto lontani dalla popolazione, è stato ceduto a soggetti quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il WTO, a loro volta dominati da interessi aziendali di soggetti che fanno parte al massimo di una decina di paesi, ma che sono principalmente statunitensi. 2.000 miliardi di dollari sono le transazioni che si effettuano ogni giorno mentre solo 300-350 miliardi di dollari è l’ammontare di tutte le riserve di tutte le banche centrali dei G7 nel 1999 [8]. Le cinque società Mitsubishi hanno ricavati di vendite per un importo annuo di 320 Miliardi di dollari (circa un decimo del Pil giapponese; per riferimento, il Prodotto interno lordo dell’Italia è di 1141 miliardi di dollari, dell’Argentina di 295 miliardi di dollari [17]) e sono collegate tra loro per mezzo di politiche comuni su prezzi, produzione, commercializzazione e per politiche sociali ed economiche pubbliche; il loro comune agente è il Partito
Liberaldemocratico, di cui finanziano il 37% delle spese [10]. Nel 1975 circa l’80% delle transazioni di valuta furono rivolte ad affari reali (acquisizione di risorse o di prodotti, investimenti su attività); il 20% fu di carattere speculativo. Alla fine del secolo circa il 2,5% delle transazioni furono rivolte ad affari reali mentre il rimanente 97,5% è stato di carattere speculativo. La concentrazione del capitale, l’enorme aumento dell’entità del mercato, la mancanza di limiti alla circolazione degli investimenti rende gli stati fortemente esposti alle aggressioni degli operatori; vendite repentine di moneta portano alla crisi monetaria di interi paesi (crisi sterlina britannica del 1991, delle monete scandinave nel 1992 e 93, di alcune monete asiatiche del 1997). Ciò comporta una sudditanza enorme delle politiche dei paesi nei confronti degli interessi privati [10]. WTO L’istituzione è una “personalità legale” ed i suoi regolamenti sono vincolanti per i suoi membri. L’organizzazione è basata sulle “commissioni di risoluzione delle sentenze” composte da tre esperti commerciali senza il coinvolgimento alcuno dei cittadini. La decisione viene adottata automaticamente a meno che tutti i membri dell’Organizzazione la respingano. Se le leggi di uno stato violano i regolamenti dell’Organizzazione esse devono esser abrogate, se non lo sono vengono applicate sanzioni commerciali: sono almeno 160 le leggi nazionali già modificate in numerosi paesi per seguire i regolamenti. L’Organizzazione stabilisce dei tetti per gli standard ambientali, alimentari e di sicurezza; se gli standard nazionali sono più restrittivi, e non se lo sono meno, possono essere sottoposti a giudizio. Il trattato che istituisce l’Organizzazione è composto da 22.000 pagine, come evidenzia Ralph Nader “questi testi ‘danno forma’ a un governo dell’economia mondiale dominato dai giganti dell’imprenditoria, senza fornire una parallela normativa giuridica democratica che ne permetta il controllo” [9]. Nessuno stato ha aderito all’Organizzazione dopo un dibattito almeno parlamentare, nessuno stato ha stimolato una discussione pubblica che interessasse i cittadini, nessuno ha predisposto elementi informativi. Il piano del WTO per i paesi in via di sviluppo Il WTO svolge un’azione di spinta verso la globalizzazione economica delle imprese. Per effetto di questa azione vasti segmenti delle popolazioni e delle economie dei paesi in via di sviluppo vengono catapultati nel mercato globale. Questa strategia ha conseguenze allarmanti per il 75% della popolazione mondiale che vive ancora dei frutti della terra e dipende per il proprio sostentamento dall’agricoltura su piccola scala. Uno degli scopi del WTO è trasformare rapidamente queste economie rurali di sussistenza in economie di mercato ad ampia circolazione di denaro. Per funzionare come tali, villaggi rurali e interi paesi dovrebbero rinunciare ad essere indipendenti nella produzione di cibo ed altri generi di prima necessità. La produzione dovrebbe essere completamente finalizzata ai mercati mondiali, in modo da guadagnare il denaro per comprare il cibo e gli altri generi necessari. Se i patti sanciti dal WTO fossero pienamente rispettati, e i tassi di importazione, o i tassi di efficienza produttiva delle coltivazioni forzate occidentali venissero imposti ai paesi in via di sviluppo, 2 miliardi di persone verrebbero estromesse dal settore agricolo andando, con ogni evidenza, ad ingrossare le fila di una manodopera urbana che, essendo costantemente in esubero, sarà certamente a basso costo [7]. La riduzione della diversità I sistemi sociali, così come quelli naturali, si sono strutturati per permettere il massimo dell’utilizzazione delle risorse locali senza che questo comporti la loro distruzione, ma al contrario consentendo la perpetuazione della possibilità di sfruttamento delle risorse; quindi si sono diversificati nei modi, nella cultura, nelle tecniche in ragione dell’ottimizzazione delle loro caratteristiche e del loro essere situati in un determinato luogo. L’uniformare gli individui, le coltivazioni, le tecniche rende il massimo del profitto ad alcuni ma distrugge i sistemi sociali e naturali imponendo un modello astratto ma unificato. Questo si presenta come un modello a ridotta efficienza, ad elevato consumo energetico, ignorante delle condizioni locali ma efficace nello sfruttamento intensivo delle risorse, nell’ampliamento del mercato per merci preconfezionate che provoca l’indebolimento e il collasso dei sistemi locali, la riduzione e poi la perdita dell’autonomia sociale. Di tutte le varietà vegetali agricole catalogate negli USA nel 1900 ne sopravvive oggi solo il 3%. Delle oltre 30.000 varietà di riso coltivate in India agli inizi del XIX secolo, ne rimasero a metà del XX secolo solo 50 di cui 10 hanno occupato i 3/4 delle risaie del paese [6]. Nel XIX secolo le lingue parlate erano 15.000, alla fine del XX secolo meno di 6.000. Una persona su 5 parla inglese e per l’80% di questi l’inglese è la seconda lingua (sovrapposizione culturale); i 2/3 degli scienziati elabora in inglese. In Brasile nel XVI secolo vi erano circa 8.000.000 di persone distribuite in 1400 tribù. Oggi vi sono 350.000 indios in 215 tribù [10]. I principi su cui si struttura il modello di sistema Il mito del progresso La società proposta è una società in progresso, una società che cerca nuove soluzioni, nuove tecniche, e le innovazioni sono sempre viste come potenziali strumenti per il miglioramento. Una società lanciata verso il futuro, con un grande passato, ma senza il presente. I
Lakota, popolazione del nord America, avevano una società stabile. Non progredivano ma avevano trovato la modalità migliore per vivere e non l’abbandonavano. La società occidentale, con il mito del progresso, ipotizza il raggiungimento di sempre maggiori soddisfacimenti dei bisogni (reali o indotti) come se questo fosse automaticamente il raggiungimento della maggiore felicità possibile. In virtù di questa logica si compiono misfatti sugli altri uomini, che non godono di questa possibilità, e sulla natura. La presunta felicità dell’uomo occidentale è pagata direttamente dalle popolazioni del terzo mondo e indirettamente da tutti, attraverso i micidiali danni provocati alla natura e all’ambiente. Il progresso porta innovazioni finalizzate per gran parte al lucro; non richieste dalla collettività esse non rispondono alle necessità né ai desideri diretti, insinuano invece nuovi desideri e necessità. Il ritmo dell’evoluzione risponde all’evoluzione del capitale, e non a quello degli uomini, alla ragione di dover guadagnare di più, alla ragione di dover muovere sempre più le merci e questa frenesia definisce un tempo che, anch’esso, non risponde al tempo degli individui. Una società che progredisca in questo modo è una società infelice. Il fine della scienza La ricerca scientifica non segue un fine sociale condiviso. Va dove la portano i finanziamenti, che provengono in modo massiccio da apparati economici di mercato, e per questo definisce strumenti che rispondono prima di tutto alla necessità di ottenere profitti. Gli OGM (Organismi Geneticamente Modificati) non nascono dalla constatazione dei problemi alimentari, più connessi con la distribuzione (ad esempio l’80% dei bambini malnutriti dei paesi in via di sviluppo vive in nazioni che hanno eccedenze alimentari [2]), ma dalla volontà di concentrare ulteriormente la produzione in ambiti territoriali controllati e di aumentare la produttività per ettaro e quindi i profitti di coloro che già oggi producono e vendono. Il benessere materiale Il benessere viene inteso e vissuto come fatto individuale ed ottenuto attraverso l’acquisizione delle merci. In un’indagine svolta negli USA nel 1997 circa i desideri e le esigenze degli americani, è emerso che la risposta alla domanda “cosa rende una vita felice”, è stata per l’85% relativa all’ottenimento e al possesso di beni materiali (casa di villeggiatura, piscina, seconda televisione, aria condizionata ecc.) Non vi è benessere che non si trasformi in merce e non vi è giudizio che non sia giudizio economico. La partecipazione culturale al modello La meccanica messa in atto da questo modello sociale fa sì che esso non solo sia condiviso ma auspicato, desiderato, voluto dalla popolazione di gran parte dei paesi. Strumento per la diffusione del modello sono le immagini che pubblicità, video e media trasmettono: un mondo superficiale, apparentemente senza problemi, apparentemente pieno di sesso, di potere personale, di colori. Un mondo apparente. La partecipazione è così profonda che anche quando siano noti gli effetti negativi comportati essi sono sommersi dalla voluttà del sistema. Il disinteresse verso le risorse Nell’elaborazione dell’ "impronta ecologica globale" (metodo di confronto tra disponibilità e uso delle risorse) è individuata una disponibilità di unità di superficie per ogni abitante della terra pari a 2,0-2,2. Ma l’attuale richiesta è pari a 2,85 unità di superficie pro-capite (Italia 5,6 unità di superficie a persona contro una disponibilità di 1,92, USA 12,22 contro 5,57 disponibili) [11]. Ciò vuol dire che si stanno utilizzando risorse in una quantità del 30% superiore a quelle disponibili e questa eccedenza è verificabile nella quantità di emissioni inquinanti non recuperate, nella distruzione dei sistemi naturali, nell’uso delle risorse in maniera superiore alla capacità rigenerativa delle stesse. Gli esiti del modello La riduzione della diversità e l’aumento della disuguaglianza Mentre, da una parte, si tende all’annullamento delle diversità tra gli individui, dall’altra si aumenta la disuguaglianza tra ricchi e poveri: i ricchi divengono più ricchi e i poveri più poveri. La differenza tra ricchi e poveri si registra per gli individui, per aree geografiche e per stati. L’azione sugli stati è il primo meccanismo per portare la povertà tra le persone. Fare indebitare gli stati, fare avvantaggiare di questo gruppi interni, mantenere le imprese ricche attraverso il debito degli stati poveri. Uno dei meccanismi usato per aumentare i profitti è concentrare il controllo della produzione e del commercio mondiale in un numero ridotto di soggetti: merci uguali distribuite in tutto il pianeta. Il 20% della popolazione mondiale consuma l’86% dei consumi totali. Il rimanente 80% della popolazione il 14% dei consumi totali. Il 20% più ricco della popolazione mondiale nel 1961 aveva un reddito di 30 volte superiore a quello del 20% più povero; nel 1991 di 61 volte superiore; nel 1999 disponeva del 86% del totale del PIL mondiale mentre il 20% più povero dell’1% [8]. 2,8 Mld di individui vivono con meno di due dollari al giorno, 1,2 Mld di individui vivono con meno di 1 dollaro al giorno e 1,1 Mld sono denutriti [4]. Nel 1999 nelle piantagioni di ananas Del Monte in Kenya, un bracciante guadagnava 3.000 lire al giorno (pari al prezzo di 3 kg. di farina di mais); nel 1998 in Indonesia gli operai che lavoravano per la Nike erano pagati per 270 ore mensili meno di 64.000 lire (pari al 31% dei bisogni vitali di una famiglia di 4 persone) [12]. L’incidenza del costo della manodopera su di un paio di scarpe Nike è del 1,96% i profitti degli azionisti il 3,53%, il margine dei dettaglianti del 41,42%, le imposte del 20,4% [5]. Negli USA nel 1975 il reddito medio di un dirigente di massimo livello (strato I) era di 41 volte superiore a quello medio degli operai e impiegati (strato VIII e
IX); negli anni novanta 187 volte superiore [8]; l’1% più ricco della popolazione possiede il 48% del capitale finanziario del paese mentre l’80% ne detiene il 6%; non è un caso che dal 1973 al 1993 il reddito del 10% più ricco della popolazione è aumentato del 22% mentre quello del 10% più povero è diminuito del 21% [3]. L’aumento dei profitti sulle merci è aumentato esponenzialmente: fatto 100 il prezzo del caffè, l’87% rimane al nord, il 13% torna ai paesi produttori (stato, esportatore, grossista, fabbrica di
decorticazione) e di questo solo il 3% va ai contadini; per le banane solo il 12% torna ai paesi produttori e solo il 4% ai contadini [3]. Il numero di persone che soffre la fame e quello che è sovralimentato è simile: almeno 1,2 Mld di persone. Il 55% degli abitanti degli USA, il 54% della Russia, il 51% dell’Inghilterra, il 50% della Germania è
sovraalimentato; il 56% degli abitanti del Bangladesh, il 53% dell’India, il 48% dell’Etiopia, il 40% del Vietnam è sottoalimentato [13]. Le 200 multinazionali più grandi sono in 9 paesi: Giappone (92), USA (53), Germania (23), Francia (19) [10]. Nel 1992 le prime 200 multinazionali hanno realizzato un fatturato pari al 26,7 del PNL (Prodotto nazionale lordo) mondiale (24,2 % nel 1982) e le prime 10 multinazionali controllano un terzo delle attività detenute all’estero dalle prime 100 multinazionali. Nel 1992 la General Motors e la Exxon hanno avuto un fatturato rispettivamente di 132 e 116 Mld di dollari simile al PIL (Prodotto interno lordo) della Malesia e del Cile rispettivamente 136 e 117 Mld di dollari [19]. Nel 1989 il 91% della produzione mondiale di automobili era realizzata da venti multinazionali; il 90% del materiale medico mondiale da sette multinazionali; l’85% dei pneumatici da sei; il 92% del vetro, l’87% del tabacco e il 79% dei cosmetici da cinque multinazionali; il 41% delle assicurazioni, il 44% del mercato pubblicitario, il 54% dei servizi informatici da otto multinazionali [19]. Prestiti: una strategia per il controllo sociale Tra il 1980 e il 1996 i paesi dell’Africa subsahariana hanno pagato due volte l’ammontare del loro debito estero; oggi si trovano tre volte più indebitati (253 miliardi di dollari di debito nel 1997 contro gli 84 miliardi di dollari del 1980, nel frattempo hanno pagato 170 miliardi di dollari per oneri del debito). Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale riscuotono dai paesi indebitati (poveri) cifre enormemente più grandi di quelle prestate e attraverso questo cappio controllano la politica interna dei paesi con gli adeguamenti strutturali imposti ai singoli paesi (licenziamenti, aperture al mercato delle multinazionali, ingresso capitali, privatizzazioni) per avere altri prestiti o delazioni temporali, ne riducono fino ad annullarla l’autonomia politica e sociale. Operazioni come “Sdebitarsi” non considerano la funzionalità del debito rispetto alla gestione da parte dei potenti delle risorse dei paesi e portano a risultati concreti marginali ed ad una confusione nelle reali posizioni. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario hanno annunciato di finanziare con fino a 7 miliardi di dollari iniziative tendenti a rendere maggiormente sostenibile il pagamento del debito dei paesi più poveri e indebitati, ma il debito di quei paesi ammonta a 200 miliardi di dollari e 200 miliardi di dollari sono svaniti nel mercato borsistico asiatico nel solo mese di agosto del 1977 [10]. Banca Mondiale Tassello fondamentale per il controllo del mercato globale. Istituita per finanziare attività nei paesi “poveri” (il tasso del prestito è stato nel 1993 del 7,5%) essa è un mezzo per il controllo politico dei paesi e uno strumento per fare lavorare aziende occidentali privilegiando quelle statunitensi. Alla banca aderiscono con sottoscrizioni di capitali circa 170 paesi; essa è controllata dai paesi ricchi (gli USA controllano il 17,5% delle azioni con diritto di voto, 6,6% Giappone, 5% Francia, Germania, Gran Bretagna, ecc.; i 45 paesi africani controllano il 4% del totale) e per l’esattezza dai paesi dove risiedono le maggiori 200 multinazionali; le attività finanziate vengono commissionate per gran parte ad imprese USA [14]. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale richiedono, per ottenere nuovi prestiti, adeguamenti strutturali ovvero misure tese a facilitare l’ingresso nei paesi di capitali stranieri, ad aumentare la privatizzazione dei servizi e del patrimonio pubblico, alla riduzione degli addetti, ecc. intervenendo pesantemente sulle scelte politiche dei paesi [15]. L’ambiente compromesso, il territorio e le comunità destrutturati L’ambiente e le comunità vengono usate come risorse, materia prima con cui creare profitto. I beni comuni sono privatizzati acquisiti e rivenduti dove prima erano gratuitamente fruiti. Al prelievo corrisponde la produzione di scorie (emissioni inquinanti e ambiti di società emarginati) che alterano le condizioni complessive del pianeta con effetti spaventosi sulla salute umana. La cultura viene asservita alla produzione e concentrata fittiziamente nei paesi forti. Lo spessore del ghiaccio artico è diminuito dagli anni ‘50 del 42%; ogni anno la copertura di ghiaccio della Groenlandia perde un volume pari a 51 chilometri cubi [13]. L’ultima volta che la regione del Polo Nord rimase priva di ghiaccio come nel luglio 2000, fu 50 milioni di anni fa [4]. In alcune aree del Pacifico e dell’Oceano Indiano il temporaneo riscaldamento delle acque superiore ai massimi ha provocato la morte o l’alterazione del 90% delle barriere coralline [4]. Il deficit mondiale di acqua è stimato in 200 Mld di mc annui (si preleva acqua senza che si ricarichino i corpi idrici). Gran parte delle falde mondiali sono inquinate: tra il 50 e il 60% delle campionature fatte nel mondo rileva la presenza di inquinanti in concentrazioni sostanzialmente nocive. Sono centinaia i milioni di persone che bevono regolarmente acque fortemente inquinate [4]. Ogni anno quasi 5 milioni di persone muoiono per malattie causate da inquinamento delle acque [16]. Dal 1751 sono state immesse in atmosfera 271 Mld di tonnellate di carbonio; dal ‘58 al ‘99 le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera sono aumentate del 17% [4]. Ogni anno circa 3 milioni di persone muoiono per inquinamento atmosferico [16]. Ogni anno la foresta vergine si riduce di 14 Ml di ettari; fra il 1997 e il 1998 gli incendi provocati dagli uomini hanno bruciato in Amazzonia 5,2 Ml di ettari di foreste, macchia arbustiva e savana; in Indonesia 2 Ml di ettari di foresta sono andati in fumo [2]. Circa 6 Ml di ettari si desertificano annualmente (non sono più coltivabili quasi sempre per una cattiva conduzione agricola); quasi 5 Ml di ettari ogni anno sono occupati dall’espansione degli insediamenti. L’84% della ricerca viene attuata in 10 paesi e il 95% dei brevetti è controllato dagli USA [16]. Secondo gli USA l’etichettatura degli OGM rappresenta un’illecita barriera commerciale Gli USA non si limitano ad opporsi alle restrizioni sugli
OGM, ma usano il WTO per contrastare l’etichettatura degli alimenti geneticamente modificati. Gli USA sostengono che l’etichetta creerebbe pregiudizi nei consumatori e costituirebbe una “illecita barriera commerciale”. Dietro pressioni dell’opinione pubblica gli USA “moderano” in qualche modo la propria posizione, accettando l’etichettatura obbligatoria di alimenti contenenti
OGM, ma solo “nella misura in cui il nuovo alimento mostri di aver subìto importanti cambiamenti dal punto di vista della composizione”, trascurando che, di fatto, gli OGM implicano per definizione mutamenti genetici e hanno subìto “importanti cambiamenti dal punto di vista della composizione” [7]. Il passo successivo della logica dei brevetti La Monsanto ha brevettato semi che non possono riprodursi. I semi sterili, soprannominati terminator, possono essere attivati utilizzando una sostanza chimica, e la semenza prodotta dal raccolto non potrà mai germinare. E’ facile pensare le conseguenze di questa prassi se si pensa che in questo modo gli agricoltori sono costretti a comprare per ogni semina i prodotti della
Monsanto; per di più, è possibile che i raccolti terminator possano accidentalmente impollinare le piante normali. Nel 1996 negli Stati Uniti circa due milioni di acri sono stati piantati con una varietà di cotone geneticamente modificato della
Monsanto, chiamata “Bollgard”. Questo tipo di cotone è una varietà transgenica ingegnerizzata con DNA ricavata da un microrganismo del suolo per produrre proteine velenose contro un parassita del cotone. La Monsanto ha imposto agli agricoltori una “tassa tecnologica” in aggiunta al prezzo delle sementi dalla quale ha raccolto in un solo anno 51 milioni di dollari. Ma, al contrario di quanto assicurato, la diffusione del parassita nelle coltivazioni geneticamente modificate è stata 20-50 volta superiore di quella che si verifica per impianti tradizionali [7]. E’ vietato ai paesi limitare il commercio di prodotti ottenuti con il lavoro minorile o con il lavoro coatto. Le commissioni del GATT
(General Agreement on Tariffs and Trade, espressione degli accordi internazionali che preludono all’istituzione del WTO- World Trade Organisation) per la risoluzione delle controversie decretano che le merci non possono ricevere un trattamento commerciale diverso a seconda del modo in cui siano state prodotte o raccolte. La possibilità di distinguere tra metodi di produzione è indispensabile per la difesa dell’ambiente in parte basata sulla possibilità di trasformare le condizioni e i processi entro cui si producono le merci e si coltivano, si raccolgono, si lavorano i prodotti della terra. In ragione di questa norma ad esempio gli USA non potrebbero bandire i palloni di calcio fabbricati in Pakistan, che l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) documenta come frutto del lavoro di bambini in condizioni di sopruso. Inoltre l’accordo fa espressamente divieto ad ogni paese del WTO che abbia sottoscritto l’accordo di impedire contratti governativi con imprese che violano i diritti del lavoro, dell’uomo e dell’ambiente. La merce è giudicata rispetto alla sua funzione: un pallone di calcio è un pallone di calcio, a prescindere dalle condizioni della sua produzione [7]. Biopirateria sul riso Il produttore texano RiceTec ottiene nel 1997 un brevetto per il riso
Basmati, pur ammettendo nella domanda di brevetto che in India e in Pakistan il Basmati è coltivato da generazioni. RiceTec si è limitata a modificare leggermente il riso tradizionale indiano. Il fatto suscita forti proteste a Nuova Delhi, poiché il Basmati rappresenta un importante prodotto da esportazione per l’India. In base all’accordo TRIP, l’India deve far rispettare i diritti derivanti all’azienda americana dal brevetto, a danno dei coltivatori indiani [7]. L’uomo oggetto del mercato La sopravvivenza è divenuta l’obiettivo degli uomini; non si cercano più condizioni di benessere comune ma soluzioni individuali all’interno del mercato. Estratto dalla società e dall’ambiente l’individuo non vive ma sopravvive. Egli è principalmente usato dal mercato che commercia sulle sue necessità, sui suoi desideri, sulla sua salute. I paesi ricchi e i ricchi dispongono di molte più cure di quante ne abbiano i poveri; essi, costituendo la domanda di medicina, indirizzano la ricerca e le offerte dei prodotti: ci si interessa così molto di più dei malanni (anche non gravi) delle popolazioni e degli anziani facoltosi di quanto non ci si interessi dei milioni di persone che ogni anno muoiono di vaiolo o morbillo. La Dal Monte, qualche anno fa, ha dimostrato come si possa ribaltare la realtà e farla divenire una qualifica della merce, per quanto brutale essa possa essere. Le grandi compagnie stimolano la produzione di una monocoltura in ampi territori convincendo gli agricoltori ad abbandonare sistemi e colture tradizionali con finanziamenti o assicurazioni sulle vendite. L’area diviene succube di un mercato che non è gestito dalla comunità locale ma dalla compagnia che, raggiunta la dipendenza di quei territori, stabilisce il prezzo del prodotto e quindi massacra a propria convenienza prima l’economia e poi la società locale. La Del Monte stabilisce prima i prezzi e poi il livello di qualità delle banane filippine; quando il mercato è pieno giudica di cattiva qualità anche il 50% del prodotto mentre quando la domanda è elevata arriva fino al 5% [3]. Questa oscillazione, indipendente dalle condizioni locali e motivata esclusivamente dall’interesse della compagnia, che produce miseria e disperazione tra la popolazione, è divenuta una pubblicità “l’uomo Dal Monte ha detto sì”, nota ed usata anche al di là dell’uso strettamente commerciale. Il timore di una causa presso il WTO induce la Corea del Sud ad abbassare gli standard sulla sicurezza dei cibi Nel 1995 gli USA minacciano di denunc Fonti e riferimenti [1] UNDP (1998), Rapporto 1998 su Lo sviluppo Umano. I consumi Ineguali, Rosemberg &
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Elèuthera, Milano |