Léo Ferré
Léo Ferré nasce a Monaco (Montecarlo) nel 1916. Muore il 14 luglio 1993 a Castellina in Chianti, dove viveve da vent'anni. Nel 1946 si insedia a Parigi, dove prende a cantare nei mitici cabaret di Saint-Germain. Lì nasce la Nuova Canzone Francese del dopoguerra, che in Ferré mostra timbri anarchici e afflati poetici mai espressi prima. Stringe amicizia con gli esiliati politici spagnoli ciu dedica diverse canzoni, come "Franco la muerte", per cui non potrà più entrare in Spagna se non dopo la caduta del regime fascista. Scrive e canta testi di provocazione libertaria, mette in musica i poeti maledetti dell'ottocento francese e accoglie con fraternità prima il movimento beatnick poi il 68. Nel 1983 scrive "l'Opera du pauvre", forse il vertice massimo della sua creatività.
Gli anarchici
- Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
- In gran parte spagnoli chi lo sa mai perché
- Penseresti che in Spagna proprio non li capiscano
- Sono gli anarchici
-
- Han raccolto già tutto
- Di insulti e battute
- E più hanno gridato
- Più hanno ancora fiato
- Hanno chiuso nel petto
- Un sogno disperato
- E le anime corrose
- Da idee favolose
-
- Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
- Figli di troppo poco o di origine oscura
- Non li si vede mai che quando fan paura
- Sono gli anarchici
-
- Mille volte son morti
- Come è indifferente
- Con l'amore nel pugno
- Per troppo o per niente
- Han gettato testardi
- La vita alla malora
- Ma hanno tanto colpito
- Che colpiranno ancora
-
- Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
- e se dai calci in culo c'è da incominciare
- Chi è che scende per strada non lo dimenticare
- Sono gli anarchici
-
- Hanno bandiere nere
- Sulla loro Speranza
- E la malinconia
- Per compagna di danza
- Coltelli per tagliare
- Il pane dell'Amicizia
- E del sangue pulito
- Per lavar la sporcizia
-
- Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
- Stretti l'uno con l'altro e se in loro non credi
- Li puoi sbattere in terra ma sono sempre in piedi
- Sono gli anarchici
Signora miseria
Signora miseria ascolta il clamore Di chi stringe la cinghia di chi piega il groppone Quando muore di sete si abbevera di pianto Quando non piange più crepa sotto l'incanto Della natura e della distruzione
Sono dei suppliziati dal ventre trasparente Senza fede né legge che regolano il conto Al signor Effemeride che li ha derubati Dei vent'anni ponendoseli fra gli occhi cerchiati E non lasciando loro più niente
Signora miseria ascolta il tumulto Che come un carro funebre dai bassifondi sale Trascinando illusioni ed inghiottendo insulti E tenendo per mano dalle collere adulte Perché non restino sole
Sono degli arrabbiati che disturbano la storia E mettono talvolta del sangue sulle cifre come se uno debba toccare perché alla fine sappia Che un popolo felice ruttando nella greppia Val bene una testa di re
Signora miseria ascolta il silenzio Che attorno ai letti sfatti dei magistrati troverai Il codice del terrore fa rima con forca Basta solo trovare impiccati di scorta E ciò Dio mio non manca mai
Prefazione di Leo Ferré
La poesia moderna non canta più... striscia. Però ha il privilegio della distinzione... non frequenta le parole malfamate, anzi le ignora. Si prendono le parole con le pinze: a "mestruale" si preferisce "periodico", e si ripetono dei termini medici che non dovrebbero uscire dai laboratori o dai trattati di medicina. Lo snobismo scolastico che consiste nel non usare in poesia che certe parole ben definite, nel privarla di certe altre, che siano tecniche, mediche, popolari o dialettali, mi fa pensare al prestigio dei baciamano e delle vaschette lava dita. Non sono le vaschette lava dita a rendere le mani pulite né il baciamano crea la tenerezza. Non è la parola che fa la poesia, è la poesia che illustra la parola. Gli scrivani che fanno ricorso alle dita per sapere se tornano i conti dei piedi, non sono dei poeti: sono dei dattilografi. Oggigiorno il poeta deve appartenere ad una casta, a un partito o al bel mondo. Il poeta che non si sottomette è un uomo mutilato. La poesia è un clamore e deve essere ascoltata come la musica.La poesia destinata ad essere soltanto letta e rinchiusa in veste.tipografica non è ultimata. Il sesso le viene dato dalla corda vocale così come al violino viene dato dall'archetto. Il riunirsi in mandrie è un segno dei tempi. Del nostro tempo. Gli uomini che pensano in circolo hanno le idee curve. Le società letterarie sono ancora la Società. Il pensiero messo in comune è un pensiero comune. Mozart è morto solo, accompagnato alla fossa comune da un cane e da dei fantasmi. Renoir aveva le dita rovinate dai reumatismi. Ravel aveva un tumore che gli risucchiò di colpo tutta la musica. Beethoven era sordo. Si dovette fare la questua per seppellire Bela Bartok. Rutebeuf aveva fame. Villon rubava per mangiare. Tutti se ne fregano. L'Arte non è un ufficio di antropometria. La Luce si accende solo sulle tombe. Noi viviamo in un'epoca epica ma non abbiamo più niente di epico. Si vende la musica come il sapone da barba. La stessa disperazione si vende, non resta che trovare la formula giusta. Tutto è pronto: i capitali La pubblicità I clienti Chi dunque inventerà la disperazione? Con i nostri aerei che fregano il sole. Con i nostri magnetofoni che si ricordano delle "voci ormai spente", con le nostre anime ormeggiate in mezzo alla strada, noi siamo sull'orlo del vuoto, confezionati come carne in scatola, a veder passare le rivoluzioni. Non dimenticate che l'ingombrante nella Morale, è che si tratta
sempre della Morale degli Altri. I canti più belli sono quelli di rivendicazione. I versi devono fare l'amore nella testa dei popoli. Alla scuola della poesia non si impara: CI SI BATTE.
|