LA CRIMINALITA' DELLE LEGGI SUL COPYRIGHT E SUI BREVETTI di Benjamin Tucker Le leggi sui brevetti e sui diritti di
copyright sono i mezzi tramite i quali lo Stato, che è il più grande
dei monopoli criminali e tirannici, garantisce speciali, monopolistici
privilegi a pochi a spese di molti per proteggere inventori e scrittori
contro la competizione per un periodo lungo abbastanza da metterli in
condizione di estorcere alla gente una remunerazione enormemente
superiore al valore dei loro servizi. L'abolizione di questi monopoli potrebbe
regalare ai loro attuali beneficiati una salutare paura della
competizione che potrebbe indurli a contentarsi di pagamenti per i loro
servizi uguali a quelli che altri lavoratori prendono per i loro, e a
mettersi al sicuro proponendo i loro prodotti e lavori sul mercato fin
da principio a prezzi tanto bassi che il loro modo di fare affari non
potrebbe tentare altri a mettersi in competizione con essi. I monopoli dei Brevetti e del Copyright
sono una specie di diritti di proprietà che dipendono per la loro
legittimità dalla sottile nozione di "proprietà nelle idee". I difensori di questa proprietà
propongono una analogia fra la produzione di cose materiali e la
produzione di astrazioni, e per questo paragone dichiarano che il
costruttore di prodotti mentali, non meno del costruttore di prodotti
materiali, è un lavoratore degno del proprio salario. Fin qui va bene. Ma, per completare le loro tesi, essi
sono costretti ad andare oltre, e a esigere, in violazione della loro
stessa analogia, che il lavoratore che crea prodotti mentali, a
differenza di quello che crea prodotti materiali, abbia diritto
all'esenzione dalla competizione. Poichè il Signore, nella sua
saggezza, o il Diavolo, nella sua malizia, ha disposto le cose così che
l'inventore e lo scrittore produca naturalmente da uno svantaggio,
l'uomo, nelle sue forze, propose di supplire alla (divina o diabolica)
mancanza con un artifizio che non soltanto elimina lo svantaggio, ma in
realtà dà all'inventore o allo scrittore un vantaggio che non ha
nessun altro lavoratore - un vantaggio, per giunta, che in pratica va,
non all'inventore o all'autore, ma al promotore e all'editore ed al
monopolista. L'argomento per la proprietà nelle idee
può sembrare di primo acchito convincente, ma se tu ci pensi abbastanza
a lungo, comincerai ad esserne sospettoso. La prima cosa, forse, a
destare il tuo sospetto sarà il fatto che nessun sostenitore di tale
proprietà propone la punizione di quelli che la violano, essendo
soddisfatti loro stessi dal porre coloro che violano tale proprietà
sotto il rischio di pericolose cause legali, e che quasi tutti loro
desiderano che anche il rischio delle cause legali scompaia quando il
proprietario ha goduto del suo diritto per un certo numero di anni. Allora, se, come Alphonse Karr,
scrittore francese, ha rimarcato, la proprietà delle idee è una
proprietà uguale ad altri tipi di proprietà, allora le sue violazioni,
come le violazioni delle altre proprietà, meritano la punizione dei
criminali, e la sua vita, come quella di ogni altra properità, dovrebbe
essere assicurata contro lo scorrere del tempo. E sorge il sospetto che
la mancanza di coraggio nelle proprie convinzioni possa essere dovuta a
un istintivo sentire di essere nel torto. Io suppongo che, se fosse possibile, e
se fosse mai stato possibile, per un illimitato numero di individui
usare in un numero illimitato di posti la stessa cosa concreta nello
stesso tempo, allora non ci sarebbe potuto essere nulla di simile
all'istituzione della proprietà. In tali circostanze, l'idea di proprietà
non sarebbe mai entrata nella mente umana o, se vi fosse entrata,
sarebbe stata sommariamente lasciata da parte come un'assurdità tale da
essere seriamente considerata solo per un momento. Se fosse stato possibile per una
creazione concreta o un adattamento della natura risultato dagli sforzi
di un singolo, essere usato contemporaneamente da ogni individuo,
inclusi il creatore o adattatore, impedendone la realizzazione, fino a
fissare una legge per prevenire l'uso di una cosa concreta senza il
consenso del creatore o adattatore, e venendo garantiti da una
violazione a uno, tale violazione sarebbe stata benvenuta come una
benedizione per tutti - in breve, sarebbe stata vista come il più
fortunato elemento nella natura delle cose. La ragion d'essere della proprietà si
trova nel fatto (vero) che non c'è alcuna possibilità, de facto che
sia impossibile, nella natura delle cose, per un oggetto concreto essere
usato in differenti posti allo stesso tempo. Esistendo questo fatto, nessuno può
rimuovere da un altro un suo possesso ed usare la creazione concreta di
un altro senza spogliare perciò tutti gli altri dell'opportunità di
usare ciò che è stato creato, e per questa ragione diventa socialmente
necessario, dacchè una società prosperosa si basa sull'iniziativa
individuale, proteggere l'individuo produttore nell'uso delle sue
concrete creazioni proibendo ad altri di usarle senza il suo consenso. In altre parole, diventa necessario
istituire la proprietà privata nelle cose concrete. Ma tutto ciò è accaduto tanto tempo fa
che adesso noi abbiamo totalmente dimenticato ciò che accadde. Infatti,
è veramente incerto se, al tempo dell'istituzione della proprietà,
quelli che la fondarono abbiano realizzato e compreso il motivo che li
spingeva. Gli uomini spesso operano per istinto e
senza l'analisi che concorda con la corretta ragione. Coloro che istituirono la proprietà
forse erano costretti dalle circostanze inerenti la natura delle cose,
senza realizzare la quale, sarebbe stata stravolta la natura delle cose.
Essi non avrebbero istituito la proprietà. Ma, anche supponendo che avessero
compreso a fondo la strada imboccata, noi abbiamo dimenticato ciò che
compresero. E così è arrivato il momento che
abbiamo fatto della proprietà un feticcio ; che noi consideriamo come
una cosa sacra ; abbiamo messo il dio della proprietà su di un altare
come un idolo ; e molti di noi non stanno facendo soltanto quel che noi
possiamo fare per perpetuare il nostro regno nei limiti della nostra
sovranità, ma anzi stanno erroneamente tentando di estendere il loro
dominio su cose ed in circostanze che, nelle loro
caratteristiche-chiave, sono precisamente opposte a quelle in cui si è
sviluppato il potere della proprietà. Tutto ciò che è da dire, per sommi
capi, è che dalla giustizia e necessità sociale della proprietà delle
cose concrete noi abbiamo erroneamente assunto la giustizia e necessità
sociale della proprietà delle cose astratte - che è la proprietà
delle idee - con il risultato di privare di validità, in un'estensione
lata e deplorevole, quell'elemento fortunato nella natura delle cose,
nelle circostanze non ipotetiche, ma reali - cioè, l'incomminesurabile,
fruttuosa possibilità di usare le cose astratte da un qualsiasi numero
di individui in un qualsiasi numero di posti e precisamente allo stesso
tempo. Noi siamo frettolosamente e stupidamente
saltati alla conclusione che la proprietà nelle cose concrete
implicasse logicamente quella nelle astratte, dal momento che, se
abbiamo avuto la cura e la perspicacia di fare un'accurata analisi, noi
abbiamo trovato che la vera ragione che detta la convenienza della
proprietà nelle cose materiali rinnega la convenienza della proprietà
in quelle astratte. Noi vediamo qui un curioso esempio di
quel frequente fenomeno mentale, cioè la precisa inversione della verità
da parte di una visione superficiale. Di più, qualora le condizioni fossero
le stesse in ambo i frangenti, e le cose concrete potessero essere usate
da differenti persone in differenti luoghi in uno stesso tempo, allora,
dico io, anche se l'istituzione della proprietà nelle cose concrete
sarebbe in queste condizioni manifestamente assurda, sarebbe
infinitamente meno distruttiva delle opportunità individuali, e
infinitamente meno dannosa al benessere umano, che l'istituzione della
properietà per le cose astratte. E' facile vedere che, accettando
l'ipotesi che una singola pannocchia sia continuamente e
permantentemente consumabile, da un indefinito numero di persone
disseminate sulla superficie della terra, anche la istituzione della
proprietà nelle cose concrete che assicurerebbe al seminatore di grano
l'esclusivo uso di ciò che cresce nel suo campo non potrebbe, nel fare
ciò, togliere ad altre persone il diritto di seminare altri campi e
diventare coloro che godono esclusivamente dei rispettivi campi ;
l'istituzione legale della proprietà nelle cose astratte invece non
solo assicura all'inventore del vapore l'uso dell'energia che egli ha
ora creato, ma allo stesso tempo toglie a tutte le persone il diritto di
inventare loro stesse altre energie che partano dalle stesse idee. La proprietà perpetua nelle idee, che
è la logica conseguenza di ogni teoria della proprietà delle cose
astratte, per l'essere vissuto di James Watt, avrebbe fatto dei suoi
diretti eredi i proprietari di almeno nove decimi della ora esistente
ricchezza del mondo. E avrebbe fatto in modo che, in forza
della di vita dell'inventore dell'alfabeto romano, ora tutti i popoli
altamente civilizzati della terra sarebbero gli schiavi virtuali degli
eredi di quell'inventore, che è un altro modo per dire che essi, anzichè
diventare altamente civilizzati, sarebbero rimasti in uno stato di
semi-barbarie. Mi sembra che queste due affermazioni, incontrovertibili
dal mio punto di vista, siano in sè sufficienti a condannare la
proprietà perpetua delle idee.
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