Dott. Patrizio Caini

LE PILE DI BAGHDA’D: L’ELETTRICITA’ 2000 ANNI FA?

 

 

Nel 1930 un ingegnere tedesco di nome William Koenig ricevette, dal governo iracheno, l’incarico di ristrutturare il sistema fognario del Museo Iracheno di Antichità a Baghda’d. Durante l’esecuzione dei lavori, nelle cantine del museo, rinvenne accidentalmente una cassa di legno contenente numerosi reperti non ancora classificati ma temporaneamente catalogati come “oggetti di culto”, tra i quali vi erano anche alcuni misteriosi manufatti, alti 15 cm, che si rivelarono essere, almeno secondo quanto riportato dalle fonti documentarie, vere e proprie pile elettriche ante-litteram, risalenti alla dinastia dei Sassanidi (226-630 d.C.). Otto anni più tardi, nel 1938, una di queste presunte pile venne acquistata dall’Università della Pennsylvania ed al termine di meticolose indagini, i ricercatori furono costretti, loro malgrado, a riconoscere che il reperto in loro possesso era a tutti gli effetti una rudimentale pila che impiegava il ferro, il rame, un elettrolito e l’asfalto come materiale isolante. In una delle teche nel museo di Baghda’d, sarebbe attualmente esposta una di queste presunte pile, a quanto pare ancora in grado di sviluppare una differenza di potenziale elettrico pari a 1.5 volts, secondo alcune fonti o 0.5 volts, secondo altre.

Ritengo sia corretto a questo punto riportare anche un’altra versione della vicenda inerente il ritrovamento delle pile di Baghda’d, versione secondo cui nel Giugno del 1936, nei pressi della capitale irachena, venne rinvenuta, durante i lavori di costruzione di una ferrovia, un’antica tomba coperta da una lastra di pietra, all’interno della quale un’équipe di archeologi del Museo Iracheno di Antichità scoprì ben 613 reperti risalenti al periodo dei Parti (248 a.C. – 226 d.C.). Tra monili, statuette e mattonelle scolpite, l’attenzione dei ricercatori venne richiamata da un oggetto inusitato costituito da un cilindro di rame ed una barra di ferro. Il misterioso reperto venne sottoposto all’attenzione dell’archeologo tedesco William Koenig, il quale ipotizzò che fosse una sorta di rudimentale ma ancora funzionante accumulatore di energia elettrica, vale a dire una pila. Koenig riferì anche che il manufatto presentava forti similitudini con altri reperti archeologici portati alla luce in varie località dell’Irak. Al momento del ritrovamento, la presunta pila era composta da un vaso di terracotta contenente un cilindro, a sua volta costituito da una lamina di rame saldata con una lega di stagno al 60% e provvisto di un disco di rame fissato sul fondo ed isolato con del bitume mentre la parte superiore era chiusa da una sorta di tappo da cui sporgeva un tondino di ferro. Nel 1940, l’ingegnere statunitense Willard Gray realizzò un modello funzionante della pila di Baghda’d, utilizzando solfato di rame come elettrolito ed ottenendo in questo modo una corrente elettrica. All’epoca in cui le pile vennero presumibilmente realizzate, si sarebbe potuto impiegare, in locum del solfato di rame, l’acido acetico, ricavabile dal vino o anche l’acido citrico, estraibile dagli agrumi. Koenig ipotizzò che questi oggetti fossero implicati in un procedimento elettrochimico finalizzato a placcare d’oro i vasi ornamentali, un vero e proprio processo di galvanostegia[1].

Inutile sottolineare che questa teoria è duramente contestata dalla scienza ufficiale, la quale non accetta di prendere in considerazione, neanche per un istante, la sia pur remota possibilità che l’elettricità sia stata “scoperta” circa 2000 anni fa, sebbene, anche in ambito accademico, vi siano alcuni ricercatori che dissentono dalla linea di pensiero istituzionale, come ad esempio il fisico Walter Winton, il quale, nel 1962, ebbe la rara opportunità di esaminare la pila di Baghda’d. Il suo atteggiamento iniziale fu di totale scetticismo e di diniego ma non appena poté disporre del reperto e lo ebbe analizzato scrupolosamente, realizzò di avere tra le mani l’antesignano di un moderno accumulatore di energia elettrica. Al termine dell’esame Winton dichiarò: “è poi del resto così inconcepibile la conoscenza pratica della corrente elettrica in quel periodo? Io sono certo che l’abilità dei popoli primitivi sia largamente sottovalutata. Forse è incredibile solo per coloro che non vogliono crederlo; e l’arrogante presunzione di avere scoperto la scienza moderna ci rende restii ad ammettere che anche i nostri antenati mesopotamici, duemila anni fa, conoscessero gli effetti della corrente elettrica”.

Secondo quanto riportato nel libro “Terra senza tempo”, del celebre scrittore Peter Kolosimo, le ricerche avviate a seguito del ritrovamento della presunta pila di Baghda’d consentirono di venire a conoscenza dell’esistenza di un’antica quanto misteriosa setta segreta, il cui compito era stato quello di custodire gelosamente i segreti dell’elettricità in generale e della galvanoplastica[2] in particolare. Sempre secondo quanto riportato nel libro di Kolosimo, pochi chilometri a sud della capitale irachena, furono portati alla luce altri accumulatori elettrici ancora più antichi, risalenti ad almeno 3-4000 anni fa.

E’ interessante notare, inoltre, come, fin dalla più remota antichità, le donne siriane si servissero di fusi d’ambra, i quali, secondo F. De Agostini, “girando si sfregavano agli abiti delle filatrici e attiravano pagliuzze, fili e foglie”; tale fenomeno di generazione di carica elettrostatica ha dato origine al vocabolo “elettrico”, che, difatti, deriva dal termine greco “elektron” che indicava appunto l’ambra[3].

Purtroppo la vicenda che ruota attorno al rinvenimento della pila di Baghda’d è piuttosto controversa e confusa, a tal punto che qualcuno è arrivato addirittura a dubitare del fatto che simili manufatti siano mai esistiti e che la celebre pila di Baghda’d sia esposta al pubblico nel Museo Iracheno di Antichità, tuttavia, qualora tale reperto esistesse realmente e ne venisse attestata l’autenticità storica, l’archeologia ortodossa sarebbe costretta a retrodatare la “scoperta” dell’elettricità ed il suo utilizzo di 2000 anni mentre gli editori dei libri scolastici sarebbero obbligati a riscrivere i testi di storia!!!

 

Bibliografia

 

-          UFO Dossier X – Incognite, alieni, enigmi dell’universo. Sezione Dizionario Ufologico. Fabbri Editori.

-          Paranormale – Dizionario enciclopedico. Oscar Mondadori.

-          Non è terrestre, di Peter Kolosimo. Sugar Editore.

-          Terra senza tempo, di Peter Kolosimo. Sugar Editore.

-          Fisica – per Scienze ed Ingegneria, di Raymond A. Serway. S.E.S. Società Editrice Scientifica – Napoli.

-          Nuova Enciclopedia Universale Curcio – delle lettere, delle scienze, delle arti. Armando Curcio Editore.


 

[1] Galvanostegia: tecnica impiegata per ricoprire elettroliticamente oggetti metallici con un sottile strato di un altro metallo a scopo protettivo o decorativo. La galvanostegia si esegue facendo passare una corrente elettrica attraverso la soluzione del sale del metallo che deve depositarsi (oro, platino, argento, cromo, cobalto, cadmio, rame, ecc), utilizzando come catodo (l’elettrodo negativo) l’oggetto da ricoprire mentre l’anodo (l’elettrodo positivo) è costituito da lastre di metallo puro. Per avere una buona aderenza del deposito è essenziale che gli oggetti da ricoprire siano ben puliti e che dalla loro superficie sia stata asportata qualsiasi traccia di ossido o di ruggine.

[2] Galvanoplastica: tecnica per riprodurre un oggetto mediante il deposito di uno strato metallico, per via elettrolitica, su appositi stampi (di metallo, porcellana, vetro, legno, gesso, cera, ecc) conduttori o resi tali con applicazione di grafite. La galvanoplastica si differenzia dalla galvanostegia in quanto il deposito metallico è molto più spesso e per il suo diverso scopo. La riproduzione degli oggetti si ottiene facendo passare una corrente elettrica continua nella soluzione del sale del metallo da depositare ed utilizzando come catodo gli stampi. Lo strato metallico che si deposita, di un determinato spessore e consistenza, viene staccato e costituisce il galvano. I bagni elettrolitici più impiegati sono quelli contenenti oro, argento, rame, ferro e nichel. Con la galvanoplastica si fabbricano anche clichés per stampa, matrici per resine sintetiche, per dischi, per denti artificiali, oggetti ornamentali, ecc.

 

[3] Ambra: dall’arabo ‘anbar, resina fossile. Strofinata si elettrizza negativamente. L’ambra era tenuta in gran pregio presso gli antichi e veniva utilizzata sia per la fabbricazione di monili che mescolata ad altri ingredienti per la preparazione di polveri alle quali venivano attribuite proprietà terapeutiche.