Fisica di dati UFO

di Massimo Teodorani, Ph.D.
Via Catalani 45 - 47023 Cesena (FO) - ITALY
mteo@linenet.it

 


Indice

 

Riassunto
Prefazione
1. Introduzione
2. Strumentazione e strategie di osservazione
3. Tempi di esposizione calcolati per le misuraizioni
4. Fisica derivabile dall'analisi dei dati e strategie di ricerca
5. Variabilità temporale dei parametri fisici
6. Osservazioni conclusive
Riferimenti Bibliografici

 

Riassunto

In questo lavoro viene presentato un progetto di ricerca mirato all'ottenimento di parametri fisici derivabili dall’analisi dei fotoni emessi dal fenomeno UFO. In tale ambito si assume che questo particolare tipo di fenomenologia radiante, in questo contesto intesa come "luce notturna" presente in aree di ricorrenza, possa essere misurata con sensori in tutto analoghi a quelli astrofisici comunemente usati per lo studio degli oggetti celesti. Vengono a tal fine proposte particolari tecniche di monitoraggio, le quali, basate su un radar con funzione di ricerca, inseguimento e telemetria, prevedono l’utilizzo di mini-telescopi e obiettivi grandangolari alternativamente connessi con camere CCD, fotometri a conteggio di fotoni e spettrografi CCD. In seguito viene mostrato a scopo esemplificativo un calcolo preliminare dei tempi di posa che si prevede di utilizzare con i differenti strumenti di misura al fine di ottenere il miglior rapporto segnale/rumore, requisito questo indispensabile per costruire una buona fisica su base sperimentale. Infine, dopo aver delineato le particolari tattiche necessarie per acquisire dati dalle differenti configurazioni del fenomeno UFO, viene presentata in dettaglio una descrizione relativa ai parametri fisici che ci si aspetta di poter misurare come processo finale di analisi dello spettro continuo e discreto di tali oggetti, ponendo una particolare enfasi sull’importanza di studiare la variabilità temporale del fenomeno al fine di comprenderne in una chiave dinamica il meccanismo di irraggiamento. Questo progetto di ricerca ha lo scopo di dimostrare come la tecnologia optoelettronica di tipo militare accoppiata a comuni sensori astronomici, possa permettere di misurare con estrema precisione i parametri fisici di un dato fenomeno UFO, presupposto inprescindibile per la successiva costruzione di teorie rigorosamente fondate.

 

Prefazione

Non tutti gli avvistamenti UFO avvenuti nel mondo sono caratterizzati da una breve durata o si manifestano casualmente in zone diverse. Esistono alcuni casi particolari in cui tali fenomeni sembrano essere limitati a zone ben determinate (v. Appendice). Il fenomeno di Hessdalen, sul quale sono state condotte in passato alcune campagne di misurazione (v. 12, 16 e Appendice), costituisce un chiaro esempio di tale peculiarità, perciò può essere considerato il prototipo dei cosiddetti "UFO ricorrenti". Inoltre, la luminosità intensa e la durata protratta (v. 12) che lo caratterizzano consentono agli scienziati di studiarlo facilmente con l’ausilio della strumentazione adeguata. Tale specifico comportamento degli UFO, che finora è stato osservato in almeno altre 15 zone del mondo, offre ai fisici l’opportunità di raccogliere dati quantitativi utilizzando stazioni strumentali provviste di sensori multimodo operanti in un intervallo esteso di lunghezze d’onda. Con lo studio qui presentato si intende proporre una ricerca il cui obiettivo principale consiste nell’ottenere un insieme completo di parametri fisici, necessario per poter costruire una teoria fondata sul fenomeno in oggetto. Il modo migliore per svolgere questo compito consiste nello scegliere nella maniera più accurata e più completa gli strumenti adeguati: a questo scopo, e in relazione all’obiettivo pratico della ricerca, risulta indispensabile fornire precisi dettagli scientifici e tecnici. L’articolo è diviso in due parti: la prima è dedicata alla strumentazione per l’acquisizione dei dati; la seconda concerne i parametri fisici che se ne possono ricavare. La prima parte descrive una piattaforma multifunzionale costituita da una batteria di strumenti fotometrici e spettroscopici, mentre la seconda parte descrive il modo in cui si prevede di analizzare e interpretare i dati fisici raccolti mediante tale strumentazione. Con la fotometria ci si propone di misurare sia l’intensità luminosa di un oggetto determinato, sia il modo in cui i fotoni sono distribuiti su una data superficie radiante. Con la spettroscopia ci si propone di studiare sia il meccanismo fisico di irraggiamento del fenomeno luminoso (dallo spettro continuo) sia il livello di eccitazione degli atomi che producono luce (dallo spettro a righe).

Poiché la luce viene emessa entro ben specifiche finestre di lunghezza d’onda e poiché i sensori impiegati non consentono di effettuare contemporaneamente misurazioni su tutte le finestre, bensì debbono essere muniti di filtri specifici per ciascuna di esse, risulta necessario effettuare misurazioni fotometriche e spettroscopiche per ciascuna finestra: tutto ciò è essenziale al fine di ottenere un quadro simultaneo che descriva un fenomeno luminoso radiante in un vasto intervallo di lunghezze d’onda. È molto importante rendere effettivo un monitoraggio che consenta di osservare simultaneamente diverse finestre di lunghezza d’onda, giacché è prevedibile che il fenomeno UFO sia altamente variabile nel tempo, anche su scale temporali estremamente ridotte: per questa ragione è indispensabile sincronizzare i dati che si prevede di ricavare dalle osservazioni su più lunghezze d’onda. Tale procedimento, ad esempio, è essenziale per consentire di ottenere un’adeguata quantificazione del parametro fisico connesso al colore degli UFO (indice di colore), il quale, nel caso di fenomeni ad elevata variabilità come appunto gli UFO, si può ottenere soltanto dopo avere acquisito simultaneamente i dati entro finestre di lunghezza d’onda diverse utilizzando i filtri adeguati, e dopo avere calcolato i rapporti fra i valori di luminosità in due finestre contigue. In linea di principio, una filosofia di ricerca molto simile viene applicata comunemente in astrofisica allo scopo di studiare sorgenti celesti variabili che emettono in più lunghezze d’onda, come ad esempio le stelle pulsanti (v. 6). Soltanto ricorrendo ad un approccio di questo genere è possibile stabilire correlazioni temporali fra i comportamenti della luce in finestre di lunghezza d’onda diverse: è questa la ragione principale per la quale risulta necessario utilizzare rivelatori (come i dispositivi CCD) e analizzatori (come gli spettrografi) multipli.

Sono inoltre necessari dati fotometrici di tipo particolare, come quelli che provengono dalla fotometria "a conteggio di fotoni", allo scopo di verificare l’eventuale variabilità rapida del fenomeno luminoso, la quale non può essere affatto rilevata mediante la bassa risoluzione temporale dei misuratori di luce del tipo di una comune fotocamera o dell’occhio umano.

Ci si propone di effettuare la spettroscopia in due modalità: a bassa risoluzione e ad alta risoluzione. Con la bassa risoluzione ci si prefigge di ottenere uno spettro preliminare di un oggetto determinato: utilizzando questo procedimento non è possibile avere dettagli morfologici delle righe dello spettro (se sono presenti), tuttavia è possibile dedurre correttamente il meccanismo di emissione (termico o non termico) e la temperatura (ammesso che si tratti di un meccanismo termico) del fenomeno luminoso, semplicemente studiando la forma e la pendenza dello spettro che appare su tutto l’intervallo globale di lunghezze d’onda indagato (ad esempio, ottico), il quale è costituito in se stesso da più finestre di lunghezza d’onda. Con l’alta risoluzione (o anche con la media) ci si prefigge di misurare dettagli precisi delle righe dello spettro (se sono presenti): tale procedimento può essere fondamentale per ottenere parametri fisici importanti quali la densità, la pressione, la composizione chimica, il campo magnetico intrinseco, la rotazione dell’oggetto e gli eventuali effetti di emissione di gas.

Come si mostrerà in seguito, è molto più problematico acquisire i dati spettroscopici che quelli fotometrici, poiché la quantità di fotoni che si può registrare utilizzando le tecniche spettroscopiche è molto inferiore a quella che si può ottenere usando le tecniche fotometriche: ciò significa che i tempi di esposizione, a cui si deve ricorrere per registrare i fotoni di luce emessi da un determinato oggetto UFO, sono necessariamente più lunghi nel caso dell’indagine spettroscopica (la spettroscopia ad alta risoluzione rappresenta un caso estremo in tal senso), con la conseguenza che per mezzo di questa tecnica si possono studiare soltanto i fenomeni UFO molto luminosi, molto vicini, e/o di maggiore durata. Tutte queste caratteristiche si incontrano molto spesso nei fenomeni simili a quello di Hessdalen, in particolare (v. 12), ma talvolta anche nelle luci notturne del tipo "strutturato" (v. 13), le quali, pur essendo di breve durata, possono manifestare una luminosità molto elevata: in questi casi è dunque raccomandata la spettroscopia ad alta risoluzione, soprattutto perché consente di ottenere risultati di grande rilevanza per la fisica.

Si dimostrerà inoltre che gli strumenti fotometrici e spettroscopici devono necessariamente essere connessi a teleobiettivi con capacità grandangolare, e/o a minitelescopi a riflessione, al fine di consentire una raccolta adeguata dei fotoni che si prevede di registrare mediante i fotometri e di analizzare mediante gli spettrografi, nonché, nel caso che se ne presenti la necessità, al fine di amplificare (caso dei minitelescopi) la luce di oggetti luminosi lontani o di piccole dimensioni intrinseche. Si prevede che la ridondanza strumentale raccomandata per gli strumenti fotometrici e spettroscopici di misurazione della luce venga coerentemente applicata anche agli strumenti raccoglitori di luce.

Si sottolinea inoltre l’importanza di acquisire molti frame fotometrici e spettroscopici in sequenza temporale di un medesimo oggetto UFO: la variabilità temporale di un determinato oggetto luminoso, come le pulsazioni o le variazioni del periodo di pulsazione simili a quelli registrati a Hessdalen e altrove (v. 11, 12, 13, Appendice), può fornire, da un punto di vista dinamico, informazioni preziose ai fini della comprensione del meccanismo fisico del fenomeno UFO in generale.

Infine si sottolinea l’indispensabilità dell’utilizzo di un radar, e/o di apparecchiatura complementare, allo scopo di cercare, puntare e inseguire gli UFO come "bersagli" mentre sono in movimento. Benché il fenomeno UFO sia caratterizzato da un movimento erratico, la sua traccia radar è spesso ben marcata (v. 12, 13). E un fenomeno luminoso con queste caratteristiche, di natura sia metallica sia di plasma, può essere intercettato facilmente dai radar, con la conseguenza che possono essere agevolmente effettuate misurazioni, purché gli strumenti fotometrici e spettroscopici siano connessi direttamente al radar, senza contare che quest’ultimo è indispensabile a fornire anche la distanza dell’oggetto, in modo che sia possibile calcolarne sia le dimensioni intrinsiche che i parametri fisici intrinsici.

La fisica discussa nella seconda parte dell’articolo deriva direttamente dai fondamenti della "fisica fotonica" comunemente applicata nella ricerca astrofisica (v. 5, 6): tecnicamente si dimostrerà che essa può essere messa in pratica anche nelle misurazioni dei fenomeni UFO, purché vengano effettuati alcuni opportuni adattamenti alla specificità di tali oggetti fisici. In questa parte, la discussione è dedicata in primo luogo ad argomenti fisici classici, e in secondo luogo ad argomenti relativistici. La trattazione relativistica sembra necessaria nel tentativo di spiegare alcune strane osservazioni relative a "luci incurvate" viste in concomitanza con gli eventi UFO (v. 13).

 

1. Introduzione

Come dimostrano con i loro risultati le precedenti ricerche strumentali effettuate sul fenomeno UFO, quali quelle condotte dal "Project Hessdalen" (v. 12) e dal "Project Identification" (v. 11), è possibile affrontare anche questo peculiare tipo di problema applicando rigorosamente il metodo galileiano, come avviene con problemi fisici meno insoliti. In particolare, il "Project Hessdalen" sta continuando tuttora (1999) l’attività di monitoraggio con l’ausilio di una stazione provvista di strumentazione automatizzata (Hessdalen Interactive Observatory), costituita da una sofisticata videocamera, da un analizzatore di spettro radio e da un magnetometro, in grado di individuare e documentare la manifestazione dei fenomeni UFO (v. 12). Il progetto di monitoraggio strumentale che si propone in questo lavoro (v. 14, 15, 16, 17) è concepito come supporto scientifico ai progetti precedentemente realizzati e a quelli attualmente in fase di realizzazione, nonché come opportunità di discussione per i progressi futuri nella ricerca sui fenomeni UFO. Esso prevede l’utilizzo di strumentazione che viene comunemente impiegata nella ricerca astrofisica allo scopo di acquisire, registrare e analizzare i fotoni emessi dagli oggetti celesti. Poiché gli oggetti UFO sono caratterizzati dall’assenza di coordinate fisse, e da un movimento che spesso è casuale o imprevedibile, è necessario guidare l’intera piattaforma di misurazione per mezzo di un’apparecchiatura adeguata. Per questa ragione si propone di collegare una strumentazione di tipo astronomico ad apparati di intercettazione di tipo militare, quali il radar e/o il telemetro laser (v. 18). Mettendo in pratica tale strategia è possibile ottenere dati molto precisi, i quali, una volta analizzati, possono fornire informazioni fondamentali sui meccanismi fisici che governano il comportamento di un dato "target UFO". Nel caso tale procedura fosse concretamente realizzata, la fenomenologia UFO, che sino ad ora è stata circoscritta principalmente alle semplici testimonianze (v. 13), potrebbe essere studiata applicando la stessa metodologia fisica con cui in astronomia si studiano gli oggetti celesti. In generale, è molto difficile prevedere dove e quando si manifesterà il fenomeno UFO. Tuttavia, e fortunatamente, le aree del mondo in cui esso si manifesta più spesso (v. 11, 12, Appendice) offrono le condizioni più favorevoli all’applicazione delle tecniche di monitoraggio.

 

2. Strumentazione e strategie di osservazione

Il progetto consiste nell’utilizzare rivelatori e analizzatori di luce di tipo astronomico connessi con piccoli telescopi a grande apertura o con teleobiettivi, che possano essere trasportati facilmente, per ottenere immagini e spettri dei fenomeni UFO (v. 14, 15, 16, 17). Il sistema composto da telescopio, rivelatore e analizzatore (TDA: Telescope-Detector-Analyzer) costituisce l’unità optoelettronica principale (v. 18) che deve essere utilizzata per l’acquisizione dei dati. Affinché il sistema TDA possa essere facilmente puntato in direzione di un oggetto determinato, è essenziale che esso sia connesso ai seguenti apparati telemetrici e di rilevamento:

Tali dispositivi sono resi disponibili dalla tecnologia di tipo militare, sperimentata e impiegata fin dagli anni settanta (v. 18).

Il sistema TDA più completo è progettato per operare nello spettro ottico più esteso (inclusi UV vicino e IR vicino), il quale, essendo compreso fra 3500 Å e 11600 Å, è suddiviso in 5 principali finestre di lunghezza d’onda. I segnali raccolti dal telescopio sono registrati su rivelatori CCD (Charge-Coupled Devices, dispositivi ad accoppiamento di carica), che vengono usati sia per l’acquisizione diretta delle immagini (per fotometria e fotografia) sia per la spettroscopia (v. 2, 5, 7). Uno strumento supplementare è il fotometro a conteggio di fotoni (PCP: Photon Counting Photometer) (v. 3, 5, 9). Il sistema TDA ideale, il più completo possibile, è costituito da un insieme di 20 piccoli telescopi connessi a dispositivi fotometrici e spettroscopici: una tale ridondanza strumentale è indispensabile a causa della necessità di acquisire simultaneamente dati di 4 tipi diversi (2 fotometrici e 2 spettroscopici) da tutte le 5 principali finestre di lunghezza d’onda presenti in tutto lo spettro compreso nell’intervallo 3500-11600 Å. Dunque l’intero apparato TDA, costituito da 20 sottosistemi, è caratterizzato da 4 unità principali:

 

Unità PHOTOM-A
Questa unità è composta da 5 telescopi, ognuno dei quali è connesso a una camera CCD che opera su una finestra di lunghezza d’onda specifica. Ogni finestra viene ottenuta utilizzando i seguenti filtri di tipo astronomico: U (3000-4000 Å), B (3700-5500 Å), V (4900-6700 Å), R (5400-9400 Å) e I (7000-11600 Å). In questo caso, si esegue la Acquisizione Diretta di Immagini CCD (CCDDI: CCD Direct Imaging), per effettuare simultaneamente la fotometria e la fotografia di una fonte luminosa estesa (non puntiforme). La fotometria si usa per misurare l’intensità luminosa di una data sorgente, mentre la fotografia (di tipo elettronico, in questo caso) si usa per misurare la distribuzione spaziale dei fotoni sulla superficie della sorgente che emette luce.

Unità PHOTOM-B
Questa unità è composta da 5 telescopi, ciascuno dei quali è connesso con un Fotometro a Conteggio di Fotoni che opera su una finestra di lunghezza d’onda specifica. Ogni finestra viene ottenuta utilizzando i medesimi filtri usati nella Unità Photom-A: U, B, V, R, I. In questo caso, si esegue la Fotometria a Conteggio di Fotoni (PCP: Photon-Counting Photometry), al fine di cercare fluttuazioni, pulsazioni o variazioni rapide di luce: in questo caso viene misurata soltanto l’intensità della luce, e non la sua distribuzione sulla superficie della sorgente che la emette.

Unità SPEC-A
Questa unità è composta da 5 telescopi, ciascuno dei quali è connesso con un Prisma Obiettivo, il cui elemento disperdente, un semplice prisma (v. 5), è inclinato ad angoli diversi a seconda della finestra di lunghezza d’onda richiesta. Le finestre di lunghezza d’onda sono: 3000-4700 Å, 4700-6400 Å, 6400-8100 Å, 8100-9800 Å, 9800-11500 Å. La luce dispersa è registrata su camere CCD. In questo caso, si esegue la Spettroscopia con Prisma Obiettivo CCD (CCDOPS: CCD Objective-Prism Spectroscopy), per ottenere spettri ad ampio campo visivo e a bassa dispersione. Il valore indicativo della dispersione raggiungibile è dl /dx = 100-300 Å/mm. In tal modo è possibile ottenere "spettri panoramici" che compaiono direttamente sul campo del teleobiettivo o del telescopio impiegato. Tali spettri sono in grado di mostrare la forma dello spettro luminoso compreso in una determinata finestra di lunghezza d’onda, e consentono di identificare le righe (se sono presenti), ma senza dettagli morfologici.

Unità SPEC-B
Questa unità è composta da 5 telescopi, ciascuno dei quali è connesso con uno Spettrografo a Reticolo-Fenditura, in cui la luce, dopo essere entrata da una fenditura, passa attraverso un elemento disperdente, che può essere un reticolo classico, oppure un più sofisticato "grism" (v. 5): per ottenere la dispersione della luce nella finestra di lunghezza d’onda richiesta, è necessario inclinare l’elemento disperdente ad angoli diversi. Le finestre di lunghezza d’onda hanno la stessa lunghezza d’onda centrale della Unità SPEC-A, ma sono limitate a una banda più stretta (100-300 Å). La luce dispersa viene registrata su camere CCD. In questo caso si esegue la Spettroscopia a Reticolo-Fenditura CCD (CCDGSS: CCD Grating-Slit Spectroscopy), per ottenere spettri a dispersione medio-alta. Il valore indicativo della dispersione raggiungibile è dl /dx = 1-30 Å/mm. Tali spettrogrammi appaiono come piccole porzioni dello spettro che compare nelle finestre di lunghezza d’onda più ampie utilizzate nella Unità SPEC-A, ma forniscono dettagli preziosi sui profili delle righe, ogni volta che esse sono presenti.

L’otturatore del sistema TDA, che necessariamente dovrebbe essere connesso con un esposimetro controllato da un computer, deve entrare in funzione automaticamente ogni volta che viene individuato un oggetto volante non identificato. La filosofia che si intende seguire è di cercare di ottenere in sequenza rapida "frame" ripetuti sia delle immagini sia degli spettri, a seconda della luminosità apparente dell’oggetto. Il telescopio T deve essere utilizzato nel caso si intenda monitorare un oggetto lontano. Invece, nel caso in cui l’oggetto sia molto vicino, il telescopio deve essere sostituito da un Obiettivo Grandangolare (WAL: Wide-Angle Lens), mediante un cilindro rotante a cui sono collegati internamente, in posizioni opposte, sia T che WAL. Come T, anche WAL può essere connesso ai rivelatori e agli spettrografi. Il movimento delle 4 unità descritte è sincronizzato con il movimento dei dispositivi di "ricerca, puntamento e inseguimento" R-IRST-L, ciascuno dei quali è dotato di montatura altazimutale (basata su coordinate riferite all’orizzonte).

Nella parte che segue sono descritti dettagliatamente i singoli strumenti, come pure le strategie di osservazione che ci si propone di adottare.

Il telescopio
L’uso del telescopio dipende strettamente dalla portata del radar disponibile, la quale, almeno per i radar portatili con base a terra, non può superare i 30-40 Km. A questa distanza, un oggetto esteso fortemente luminoso delle dimensioni tipiche di 10-50 m è del tutto alla portata di un telescopio con apertura D ~ 20 cm. I telescopi a riflessione offrono una capacità di raccolta della luce e una risoluzione spaziale ottimali per questa ricerca: ciò significa che la luce viene come amplificata e che i dettagli eventuali della superficie dell’oggetto possono essere risolti molto chiaramente. Ciascun telescopio dovrebbe essere abbastanza leggero da consentire che l’intero complesso di 20 telescopi, con i sensori di misurazione ad essi collegati, possa essere facilmente messo in movimento e accoppiato, senza effetti apprezzabili di inerzia meccanica, con il sistema di puntamento R-IRST-L: ciò è importante soprattutto quando si verificano effetti di "stop and go", e/o mutamenti improvvisi di direzione, nel regime di moto dell’oggetto luminoso che si intende monitorare. Allo scopo di aumentare le probabilità che le coordinate dell’oggetto, le quali dovrebbero essere calcolate istante per istante dal computer del radar, corrispondano effettivamente al centraggio dell’oggetto nel campo visivo dello strumento, il telescopio dovrebbe essere del tipo Schmidt (v. 5), che è un collettore di luce tipicamente caratterizzato da un campo visivo abbastanza ampio (almeno 4° x 4°): in tal modo diviene possibile ridurre gli eventuali effetti di uscita dal campo visivo, dovuti ai movimenti erratici dell’oggetto, come pure alle eventuali imprecisioni della guida radar.

L'obiettivo grandangolare
Se sono in movimento, gli oggetti UFO che si trovano in prossimità dell’osservatore sono caratterizzati necessariamente da una forte velocità angolare e da una luminosità molto intensa, perciò il telescopio deve essere sostituito con un Obiettivo Grandangolare (WAL: Wide-Angle Lens), dotato di un angolo d’apertura che dovrebbe variare da 10° a 90° per mezzo di un apposito zoom. Impiegando un dispositivo di questo genere è possibile anche inquadrare eventuali oggetti UFO multipli. L’obiettivo WAL deve inoltre prevenire ogni rischio possibile di sovraesposizione dei rivelatori nei casi in cui sia puntato un oggetto molto vicino con una luminosità apparente molto intensa.

Il rivelatore CCD
A ciascuno di 15 dei 20 telescopi (5 per l’unità PHOTOM-A, 5 per l’unità SPEC-A, e 5 per l’unità SPEC-B) è connesso un rivelatore CCD allo scopo di permettere l’acquisizione sia di immagini che di spettri. L’impiego di un CCD ad altissima efficienza come rivelatore e registratore di fotoni (v. 2, 7) è giustificato, in un progetto di osservazione di UFO, fondamentalmente per le ragioni che seguono:

Tali ragguardevoli prestazioni di un sensore CCD possono essere messe in pratica sia nell’ottenimento di immagini che nell’ottenimento di spettrogrammi. Quando si acquisiscono immagini CCD, è possibile ottenere una specie di "fotografia elettronica" dell’oggetto, tramite la quale si possono ricavare misurazioni accurate dei dettagli della superficie emittente dell’oggetto stesso e della distribuzione luminosa lungo assi opportunamente scelti (rappresentata in termini tecnici da una "Point Spread Function") dell’oggetto medesimo e del mezzo gassoso, presumibilmente ionizzato, che lo circonda. Quando una camera CCD registra luce dispersa, per mezzo di un prisma, di un reticolo o di un "grism", è possibile ottenere una specie di "spettro elettronico", mediante il quale si possono eseguire misurazioni sullo spettro continuo, e si possono anche, eventualmente, ricercare e identificare righe o bande di emissione. Le righe o le bande, le quali possono essere caratterizzate da una particolare intensità, nonché da una larghezza equivalente, una larghezza di base e uno spostamento doppler, sono il risultato delle transizioni atomiche provocate dai particolari regimi di temperatura di un oggetto presumibilmente incandescente e possono essere prodotte da elementi chimici specifici (v. 1, 6, 10).

Il Fotometro a Conteggio di fotoni
Questo rivelatore di luce possiede la preziosa qualità di essere estremamente lineare se paragonato con le lastre o le pellicole fotografiche convenzionali: ciò significa che gli "effetti di saturazione" risultano limitati. Soprattutto, questo dispositivo garantisce la massima risoluzione temporale. Così esso permette di rilevare eventuali variazioni luminose rapide dell’oggetto dell’ordine di 10-6-10 secondi: i conteggi fotometrici ottenuti con la risoluzione temporale massima (ad esempio, da 10-6 a 10-3 secondi) richiedono comunque tempi di esposizione prolungati (in questo caso, "tempi di integrazione" dei fotoni) se la fonte luminosa è debole. Nondimeno, un rivelatore di questo genere, differentemente da una camera CCD, non è in grado di risolvere spazialmente i fotoni (v. 4, 5, 9). Tale limitazione può essere superata se si decide d’impiegare i rivelatori, di recente realizzazione, di tipo ICCD (Intensified CCD, CCD Intensificato), oppure di tipo EBCCD (Electron Bombarded CCD, CCD a Bombardamento di Elettroni), i quali uniscono le prestazioni di una normale camera CCD a quelle di un fotometro a conteggio di fotoni ad alta velocità. Tuttavia, questi nuovi dispositivi non sono ancora abbastanza perfezionati, così che attualmente la loro risoluzione spaziale è limitata a matrici caratterizzate da un numero ridotto di pixel (v. 19): ciò significa che, essendo la porzione di cielo monitorabile limitata a pochi primi d’arco (anziché ad alcuni gradi, come richiesto), può risultare molto difficile guidare i sensori assistiti dal radar in direzione dell’oggetto. Esistono tuttavia ragioni valide per prevedere che i rivelatori ICCD e EBCCD (strumenti di misurazione della luminosità degli UFO potenzialmente molto preziosi) subiranno miglioramenti significativi nei prossimi anni.

Lo spettrografo Prima-Obiettivo
Mediante un prisma obiettivo non è possibile ottenere dispersioni spettrali migliori di dl /dx = 100-300 Å/mm (v. 4, 5). In tal modo è possibile effettuare soltanto spettroscopia a bassa dispersione. Un risultato approssimativamente paragonabile può essere ottenuto applicando un reticolo elementare, caratterizzato da poche linee per millimetro, all’obiettivo di una fotocamera convenzionale (v. 21): un tentativo simile è stato compiuto durante alcuni precedenti progetti di monitoraggio di UFO (v. 12). Sia in generale sia nel caso presente, la spettroscopia a prisma obiettivo può essere realizzata tentando di inseguire uno o più oggetti insieme, tenendoli puntati all’interno del campo visivo di un telescopio di tipo Schmidt (v. 4, 5), per ottenere spettri che appaiono su tutto il campo. Si ottiene così una sorta di fotografia che contiene luci disperse anziché semplici luci. I frame spettroscopici ottenuti con un prisma obiettivo richiedono tempi di esposizione brevi (ma più lunghi che in fotometria) per via della quantità relativamente alta di fotoni che passa attraverso l’elemento disperdente (prisma). Il dispositivo a prisma obiettivo dovrebbe essere utilizzato nei casi che seguono:

  1. Se l’oggetto non si libra su una posizione fissa.
  2. Se nel campo visivo del telescopio sono presenti più oggetti.
  3. Se le circostanze a) e b) sono concomitanti.
  4. Quando la luminosità dell’oggetto è troppo bassa per consentire una spettroscopia a dispersione media o alta utilizzando tempi di esposizione ragionevolmente brevi.
  5. Quando la luminosità dell’oggetto è alta, ma l’oggetto non può essere seguito facilmente in posizione centrata. In tal caso potrebbe risultare impossibile centrare l’oggetto nella fenditura di dispersione di uno spettrografo a reticolo per dispersione medio-alta.

Lo spettrografo a Fenditura e Reticolo
Mediante uno spettrografo a fenditura e reticolo (v. 1, 4, 5) è possibile ottenere spettri a dispersione medio-alta. Questa tecnica di analisi della luce si può impiegare soltanto quando si ha tempo sufficiente per centrare l’oggetto nella fenditura di dispersione dello spettrografo. Le circostanze più favorevoli si verificano quando/se l’oggetto è immobile. Inoltre, affinché si possa ottenere un ottimale rapporto S/N (signal-to-noise, segnale/rumore) con il tempo di esposizione più breve possibile, l’oggetto deve essere sufficientemente luminoso, e questo per via della piccola quantità di fotoni che passa attraverso l’elemento di dispersione qui utilizzato (il reticolo, oppure il "grism" negli spettrografi più sofisticati). Lo spettrografo a fenditura e reticolo dovrebbe essere impiegato nei casi che seguono:

  1. Se l’oggetto è lontano ma non è di luminosità troppo debole, e se la sua velocità angolare è sufficientemente bassa. In questa situazione l’oggetto può essere inseguito facilmente e, di conseguenza, può essere centrato nella fenditura di dispersione. Così, a seconda della luminosità apparente dell’oggetto, si può utilizzare la spettroscopia a media dispersione, che può andare approssimativamente da 20 a 50 Å/mm.
  2. Se l’oggetto è molto luminoso e ragionevolmente fisso. In tale circostanza fortunata, dovrebbe essere possibile ottenere il rapporto S/N più elevato e, di conseguenza, la dispersione più elevata, utilizzando tempi di esposizione ragionevolmente bassi. Così la dispersione potrebbe essere dell’ordine di 1-10 Å/mm. Eventualmente, il rischio di sovraesposizione dell’oggetto potrebbe essere evitato restringendo la fenditura, oppure sostituendo T con WAL.
  3. Se l’oggetto rimane fisso per un lasso di tempo ragionevole e se esso appare come una sorgente luminosa in cui la luce è distribuita su una superficie (sorgente estesa) e non localizzata semplicemente su un punto (sorgente puntiforme), si può garantire una "modalità a scansione" per la spettrografia. In tal caso si possono ottenere frame spettroscopici sequenziali dell’intero oggetto spostando di volta in volta la fenditura di dispersione lungo un asse prescelto della sorgente luminosa estesa (ad esempio dal centro al bordo), includendo anche l’eventuale gas eccitato-ionizzato circostante l’oggetto.

Costi di un sistema TDA completo e di sistemi meno sofisticati
Il costo finanziario di un apparato TDA completo il quale abbia il livello di sofisticazione richiesto, che è approssimativamente dell’ordine di 1-2 milioni di dollari, dovrebbe essere compatibile con le possibilità economiche della maggior parte delle nazioni che hanno accesso alla tecnologia più avanzata. Pertanto, una piattaforma di tipo TDA, che dovrebbe essere in possesso di ciascuno di tali paesi, dovrebbe essere installata in ognuna delle zone in cui il fenomeno UFO si presenta con ricorrenza (v. 12, Appendice). Comunque, un tipico sistema TDA non deve essere considerato come una stazione fissa, in quanto si prevede che possa essere facilmente trasportabile (mediante autocarri, elicotteri o aerei da trasporto) ovunque e in qualsiasi momento sia necessario.

Un apparato più essenziale e meno dispendioso, che avrebbe un costo non superiore ai 60.000 dollari, potrebbe essere assemblato utilizzando gli strumenti alternativi elencati qui di seguito, molti dei quali sono di tipo amatoriale avanzato:

  1. Un radar occidentale a bassa sofisticazione, o di "tipo russo" a media sofisticazione, per cercare, puntare e inseguire l’oggetto (v. 18). Tale sistema sostituirebbe interamente l’unità R, mentre le unità IRST e L sarebbero escluse.
  2. Per la fotometria, una singola camera CCD (v. 20) con filtri intercambiabili, dotata di un teleobiettivo zoom (30-300 mm). Tale apparato fotometrico sostituirebbe interamente l’unità multipla PHOTOM-A, mentre l’unità multipla PHOTOM-B verrebbe esclusa.
  3. Per la spettroscopia, una singola camera CCD (v. 20) dotata di un teleobiettivo zoom (30-300 mm) e di un prisma obiettivo come strumento primario (oppure di un reticolo a bassa dispersione (v. 21) ). Tale apparato spettroscopico sostituirebbe interamente l’unità multipla SPEC-A, mentre l’unità multipla SPEC-B verrebbe esclusa.

Si può osservare che gli svantaggi principali di una piattaforma essenziale di questo tipo sarebbero i seguenti: una bassa sofisticazione in generale; l’assenza dei dispostivi IR e Laser; l’assenza di strumenti per fotometria rapida e di strumenti spettroscopici ad alta dispersione; e inoltre l’impossibilità di compiere simultaneamente le osservazioni su tutte le finestre di lunghezza d’onda richieste. In ogni caso si potrebbero ottenere alcuni risultati che, quantunque parziali, sarebbero comunque di una certa rilevanza scientifica.

Occorre infine ricordare che alcuni importanti risultati preliminari si potrebbero ottenere anche applicando semplicemente un reticolo a bassa dispersione (v. 21) alle fotocamere convenzionali. Il reticolo per pellicola fotografica, il cui costo è di circa 200 dollari, si può applicare molto facilmente alle normali fotocamere di tipo reflex e dovrebbe essere usato da tutti gli ufologi che si dedicano all’attività di "skywatch" nelle zone in cui il fenomeno UFO si manifesta con maggiore frequenza (v. 12, Appendice).

 

3. Tempi di esposizione calcolati per le misurazioni

È possibile prevedere l’ordine di grandezza del Tempo di Esposizione TE nel caso che ci si proponga di acquisire frame fotografici CCD e frame spettroscopici CCD di un dato oggetto UFO. A questo scopo è necessario definire quale genere di oggetto ci si aspetta di osservare. Considerando tutte le testimonianze e le fotografie di UFO (v. 11, 12, 13, Appendice), si può ragionevolmente presumere che l’"aspetto medio" di un oggetto UFO sia semplicemente quello di un "oggetto esteso" illuminato in maniera più o meno uniforme. In tal caso, se si considerano tutte le caratteristiche della strumentazione scelta e le basi della fisica fotonica (v. 5), è possibile ricavare la formula seguente, la quale può fornire una valutazione preliminare del tempo di esposizione TE che è necessario per ottenere un buon rapporto S/N:
 

  (1)

Per illustrare tale procedimento occorre stabilire arbitrariamente i parametri che seguono:

Si presume che l’intervallo di lunghezza d’onda d l sia l’unico parametro variabile. La scelta di questa sola variabile è dovuta al fatto che ci si propone di verificare le differenze fra i tempi di esposizione in rapporto al tipo di tecnica di osservazione che si intende applicare. Tutto ciò è sintetizzato nella lista di opzioni che segue:

  1. ta(d) = spettrografia a dispersione molto elevata, che utilizza d l = 0.005 Å
  2. tb(d) = spettrografia a dispersione elevata, che utilizza d l = 0.05 Å
  3. tc(d) = spettrografia a dispersione media, che utilizza d l = 0.5 Å
  4. td(d) = spettrografia a dispersione bassa, che utilizza d l = 5 Å
  5. te(d) = spettrografia a dispersione molto bassa, che utilizza d l = 50 Å
  6. tf(d) = fotometria CCD, che utilizza d l = 500 Å

I risultati di questi calcoli sono presentati nel grafico di Figura 1. Il grafico, che fornisce 6 diversi valori di TE per diversi valori del parametro d l , è riferito specificamente a un valore fissato del parametro L, che in questo caso si presume essere L = 1 kW (valore tipico ed esemplificativo). Se si intende effettuare fotometria a conteggio di fotoni, anziché fotometria CCD, occorre adottare il valore d l = 500 Å (come nel caso del CCD) e e = 0.05 (anziché 0.25): in tal caso è possibile ottenere un tempo di esposizione superiore di un fattore 5 rispetto al caso della fotometria CCD. Se si desidera diminuire o aumentare di un fattore 10 il diametro D o la luminosità L (ad esempio) di un dato oggetto UFO, si può facilmente osservare in base alla formula precedente che in tal caso TE aumenta o diminuisce di un fattore 102.

L’intervallo di variabilità 100 m £ d £ 10 km per la distanza dell’UFO è puramente indicativa. La distanza massima d = 10 km è presentata soltanto per mostrare che oltre una certa distanza critica, i tempi di esposizione (in particolare, quelli per la spettrografia) con i quali si mira a raggiungere un ottimale rapporto S/N, possono diventare proibitivi se la luminosità apparente dell’oggetto è molto bassa (v. Formula [1]): tale situazione può diventare difficoltosa se si confronta la breve durata tipica dei fenomeni UFO in generale (v. 13), la quale è dell’ordine di pochi secondi o pochi minuti, con i tempi di esposizione prolungati che sono necessari per monitorare oggetti molto lontani o debolmente luminosi. Pertanto è ragionevole ipotizzare una distanza critica ideale d = 1 km che consente di compiere con maggior successo (cioè con S/N = 100) i due fondamentali tipi di osservazione seguenti: (a) fotometria convenzionale (CCDDI) e spettrografia a bassa dispersione (CCDOPS) dei fenomeni UFO di breve durata e/o debolmente luminosi; (b) fotometria rapida (PCP) e spettrografia ad alta dispersione (CCDGSS) di oggetti tipicamente molto luminosi, come i fenomeni simili a quello di Hessdalen (v. 12), la cui durata è stata talvolta riportata essere lunga fino a 2 ore, e la cui luminosità risulta essere compresa fra 1 kW e 100 kW. Al contrario, la fotometria convenzionale di fenomeni simili a quello di Hessdalen potrebbe essere eseguita fino a una distanza dell’oggetto d ³ 10 km. In ogni caso, è molto importante sottolineare che queste apparenti limitazioni dovute alla distanza di un dato oggetto UFO non devono essere considerate insormontabili, giacché possono essere compiute anche osservazioni di oggetti molto lontani (fino a 50 km) o debolmente luminosi, seppure con la previsione di ottenere un rapporto S/N basso o molto basso, quale 10 o 5. Tuttavia, come nel caso tipico dell’osservazione di oggetti astrofisici molto deboli, quali le "stelle nane bianche" o le "sorgenti extragalattiche" (v. 6), questo basso valore S/N spesso può essere sufficiente (anche se per nulla ideale) per ricavare dati di un certo valore fisico.

 



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Figura 1. Tempi di esposizione per un oggetto UFO con luminosità L = 1 kW, assumendo dl = 0.005 Å (ta), dl = 0.05 Å (tb), dl = 0.5 Å (tc), dl = 5 Å (td), dl = 50 Å (te), dl = 500 Å (tf). Il diametro assunto dell’oggetto è D = 10 m. La distanza d varia da 100 m a 10 Km. Il grafico è tracciato su scala bilogaritmica.

 

4. Fisica derivabile dall’analisi dei dati e strategie di ricerca

Si prevede di ricavare dal trattamento dei dati i seguenti parametri misurabili:

  1. Parametri Geometrici e Cinematici.
  2. Parametri Fotometrici.
  3. Parametri Spettroscopici.

Al fine di derivare quantità fisiche per mezzo di sensori multimodo operanti in un vasto intervallo di lunghezze d’onda, occorre adottare scelte specifiche per i parametri fisici e strategie mirate per ottenerli. Le scelte e le strategie proposte sono descritte in questa sezione.

A. Parametri Geometrici e Cinematici

ufophys_06.gif (1102 byte)           (2)

L’altezza angolare è una quantità altazimutale (cioè basata sul sistema di coordinate riferito all’orizzonte) che può essere ricavata dalla posizione dell’oggetto, la quale è a sua volta fornita direttamente dall’apparato radar.

ufophys_07.gif (1112 byte)           (3)

ufophys_08.gif (1124 byte)           (4)

In generale, la possibilità di ottenere le quantità S e Z dipende strettamente dalla capacità di risoluzione spaziale della camera CCD (v. 2, 4, 7). Per tale ragione è importante che il sensore CCD sia dotato di una matrice caratterizzata da grandi dimensioni e composta da singoli pixel di piccole dimensioni.

 

B. Parametri fotometrici

Una immagine CCD misurabile di un oggetto di tipo UFO può essere considerata come la rappresentazione di una "sorgente estesa" (in questo caso approssimata ad una sfera) che sottende un angolo solido W e avente una intensità superficiale B ad un determinato intervallo di frequenza Dn . Perciò, il flusso superficiale F nel medesimo intervallo è dato da:

ufophys_09.gif (1282 byte)            (5)

in cui l’integrale, essendo w l’elemento infinitesimale di angolo solido, è esteso a tutta la superficie apparente della sorgente. Questa non è altro che una misurazione della luminosità apparente dell’oggetto (v. 6), la quale può essere ricavata in seguito all’elaborazione di un determinato frame di fotometria CCD.

ufophys_10.gif (1237 byte)           (6)

ufophys_11.gif (1221 byte)            (7)

In particolare, si considera che IDn assuma il medesimo valore entro contorni isofotali concentrici, mediante i quali è suddivisa l’intera superficie dell’oggetto luminoso. Per ottenere IDn si è costretti a effettuare "fotometria differenziale" di un oggetto esteso che ha una dimensione lineare S. Tale misurazione consiste nel calcolare, ad un dato intervallo fisso di frequenze, il gradiente d’intensità dIDn /dr, dove r è definito nell’intervallo 0 £ r £ S/2. Questa procedura è considerata fondamentale, poiché si può ben prevedere che l’intensità superficiale intrinseca di un oggetto UFO non sia uniforme su tutta l’area di emissione (v. 18). La misurazione del gradiente d’intensità richiede due varianti, cioè dIDn /dr e ddI/dr, dove dI è un indice di colore espresso come il rapporto fra le intensità superficiali intrinseche in due diverse bande di frequenza. In breve, la misurazione del gradiente di intensità di un dato oggetto UFO consiste nel determinare in che modo l’intensità della luce e il colore sono distribuiti su tutta la superficie illuminata, considerando che questi parametri possono assumere valori diversi fra il centro e il bordo di una tale superficie. A questo proposito, si possono citare come esempi quattro casi estremi: a1) la luce dell’UFO è tutta concentrata nel centro; b1) la luce dell’UFO è tutta concentrata in un anello esterno; a2) il colore dell’UFO è giallo luminoso nel centro e rosso scuro nel bordo esterno; b2) il colore dell’UFO è rosso scuro nel centro e giallo luminoso nel bordo esterno. Tutti questi casi estremi, insieme alle varianti più sfumate, sono stati descritti dai testimoni di fenomeni UFO (v. 13). Le misurazioni del contorno isofotale e dei parametri fisici da esso derivabili vengono comunemente usate nella ricerca astrofisica riguardante gli oggetti celesti estesi, quali le galassie, le nebulose o i pianeti (v. 6).

ufophys_12.gif (1972 byte)            (8)

dove, in particolare, s è la costante di Stefan-Boltzmann, e TE è la temperatura effettiva dell’oggetto (v. 6). In base a tale formula è facile osservare che, dopo avere ottenuto le misurazioni di LT e di S seguendo le procedure descritte nelle sezioni precedenti, è possibile dedurre la temperatura effettiva dell’oggetto UFO. La misurazione della temperatura è resa possibile soltanto se si riesce ad accertare, per mezzo delle misurazioni spettroscopiche sullo spettro continuo e compiendo confronti adeguati con la teoria di Planck (v. 6), che l’oggetto UFO emette radiazione secondo un meccanismo termico. Quando è possibile, ci si aspetta solitamente di effettuare questa misurazione della luminosità totale (o luminosità bolometrica) LT, nel caso di oggetti celesti di qualsiasi tipo, nel caso che siano disponibili osservazioni su un vasto intervallo di lunghezza d’onda (v. 6).

  1. L’immagine CCD di un oggetto UFO registrata durante una osservazione notturna contiene presumibilmente anche un certo numero di "stelle di campo". Per questa ragione sarebbe necessario confrontare il frame CCD in cui l’UFO è presente con un frame CCD della medesima porzione di cielo che contiene soltanto stelle. È prevedibile che il cammino dei fotoni delle stelle più vicine all’UFO sia deflesso dal proprio cammino reale di un angolo ADG a causa dell’effetto di "lente gravitazionale", e che, se il "fuoco gravitazionale" è prossimo all’apparato TDA, la luce ricevuta dalle stelle perturbata dal campo possa risultarne amplificata. Confrontando i due frame CCD (quello dell’oggetto e quello di controllo) dovrebbe essere possibile verificare che la posizione delle stelle risulta effettivamente cambiata rispetto alla posizione reale e che la luce delle stelle può apparire come rinforzata.

  2. Un esperimento alternativo per la misurazione dell’angolo ADG potrebbe essere effettuato puntando il fascio di un dispositivo laser a distanze diverse (perpendicolari alla linea di vista) dall’oggetto UFO e acquisendo simultaneamente in sequenza rapida fotogrammi CCD della porzione di cielo che contiene sia l’oggetto sia il raggio laser. Se il raggio laser appare deflesso, si può facilmente misurare l’angolo ADG mediante la successiva analisi dei frame CCD, stabilendo così di quanto aumenta l’angolo di deflessione all’aumentare della distanza del fascio laser dall’UFO.

Viceversa, se si ipotizza che un determinato oggetto UFO sia in grado di generare un campo "antigravitazionale", si sarebbe portati a ipotizzare che l’angolo ADG possa essere deflesso nel senso opposto. Di conseguenza si potrebbero compiere misurazioni simili a quelle descritte nei punti a) e b).

 

C. Parametri Spettroscopici

Sulla base della configurazione fisica di un possibile oggetto UFO, ci si dovrebbe aspettare di rilevare tipi diversi di caratteristiche spettrali. L’oggetto medesimo, e/o il mezzo gassoso che presumibilmente lo circonda, o entrambi, devono presentarsi in ben precise condizioni di eccitazione e/o di ionizzazione. Ciò implica l’esistenza dei possibili scenari elencati di seguito:

  1. L’oggetto medesimo è costituito da materiale solido incandescente.
  2. Il gas atmosferico circostante è reso incandescente dall’oggetto centrale per mezzo di qualche esotico meccanismo fisico.
  3. Entrambe le situazioni sono presenti.
  4. L’oggetto medesimo è costituito da plasma incandescente.
  1. Se l’oggetto UFO è una macchina la cui superficie esterna è resa incandescente per via di qualche meccanismo di propulsione, si può presumere che esso sia in grado di produrre bande molecolari in emissione di varia intensità, che potrebbero risultare da transizioni atomiche in elementi chimici di natura presumibilmente metallica. Ci si aspetta che tali bande in emissione possano essere accompagnate anche da righe in emissione dell’ossigeno e dell’azoto prodotte da processi di eccitazione-ionizzazione a cui il mezzo atmosferico circostante andrebbe soggetto per via dell’elevatissimo calore presumibilmente prodotto dall’oggetto centrale. L’intensità sia delle "bande metalliche" che delle righe atmosferiche in emissione dovrebbe dipendere dalla temperatura della sorgente incandescente e dalla densità sia della sorgente incandescente che del mezzo gassoso circostante. Alle basse altitudini, dove la massa dell’aria è più densa, ci si aspetta necessariamente di registrare righe atmosferiche in emissione più forti.

  2. Nel caso che l’oggetto UFO non si presenti come una macchina resa incandescente dal suo meccanismo di propulsione (in tal caso non verrebbe generata nessuna riga metallica), ma il mezzo che lo circonda è di fatto incandescente, ci si dovrebbe aspettare di rilevare soltanto righe atmosferiche in emissione. Una delle cause di tale situazione potrebbe essere innescata da un "campo magnetico pulsato" la cui pressione agisca, in ogni dato istante e in ogni dato punto, determinando uno shock termico indotto magneticamente sul mezzo atmosferico (v. 14). Se così fosse, ci si potrebbe aspettare emissione di microonde: nella fattispecie, la radiazione nelle microonde potrebbe essere individuata con un dispositivo complementare appropriato.

  3. Se l’UFO stesso è un oggetto costituito di plasma incandescente, si prevede di rilevare righe in emissione risultanti dalla ionizzazione e dall’eccitazione del gas atmosferico.

ufophys_13.gif (1194 byte)            (9)

In tal caso, l’acquisizione di uno spettro a bassa dispersione può essere considerata sufficiente per una misurazione preliminare di T.

ufophys_14.gif (1578 byte)            (10)

dove c è la velocità della luce, lufo è la lunghezza d’onda osservata, spostata verso il blu o verso il rosso, del centro della banda in emissione prodotta dall’oggetto; llab è la lunghezza d’onda della banda di laboratorio a riposo, e Vrad è la velocità radiale dell’oggetto (v. 1, 6). Questo metodo per determinare la velocità di trasferimento è concepito per essere strettamente abbinato al metodo radar. Per via dell’estrema precisione richiesta, una tale misurazione può essere consentita soltanto dalla spettroscopia a dispersione media o alta. Al contrario, prevedibilmente, le righe in emissione dovute al gas atmosferico riscaldato non dovrebbero mostrare alcuno spostamento Doppler, poiché i processi di eccitazione-ionizzazione dovuti alle transizioni atomiche del mezzo gassoso che circonda l’oggetto luminoso hanno luogo soltanto quando l’oggetto medesimo attraversa un dato punto di un’atmosfera quasi stabile ad un dato istante. Le righe atmosferiche in emissione potrebbero solo essere soggette ad un effetto di allargamento per via di turbolenza nel gas (v. 1, 6, 10), la quale può risultare dalla commistione di una normale turbolenza atmosferica e di un eventuale "fattore additivo" eventualmente innescato dalla superficie incandescente dell’oggetto o da un’altra eventuale fonte di riscaldamento da esso generata.

ufophys_15.gif (1444 byte)             (11)

dove Vrot è la velocità di rotazione dell’oggetto, e i è l’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto a un piano normale alla linea di vista (v. 6). Se anche il gas ionizzato circostante è in rotazione, è possibile rilevare righe atmosferiche in emissione, il cui profilo risulta rotazionalmente allargato del medesimo fattore Doppler di cui sopra: questa caratteristica costituirebbe una chiara indicazione della presenza nel gas atmosferico di un "effetto a vortice" innescato dalla rotazione dell’oggetto centrale. Se l’oggetto medesimo è una concentrazione di plasma in forte rotazione, è possibile registrare solo righe atmosferiche che presentano un elevato allargamento rotazionale.

 

5. Variabilità temporale dei parametri fisici

Le quantità fisiche ricavate dall’elaborazione dei dati sono di scarsa utilità se vengono considerate separatamente. Il problema indagato può essere compreso pienamente soltanto se tutte le quantità vengono connesse fra loro in modo dinamico. Per questa ragione si è necessariamente indotti a ricercare correlazioni significative tra i parametri misurati, sulla base della possibile rilevazione di caratteristiche variabili nel tempo. L’eventuale variabilità temporale del fenomeno UFO può fornire spiegazioni illuminanti sul suo meccanismo fisico. Questo obiettivo può essere raggiunto se si è in grado di acquisire una grande quantità di frame CCD (sia fotometrici che spettroscopici) quando/se la traiettoria dell’oggetto possa essere seguita per un periodo di osservazione ragionevolmente lungo. Ad esempio, se l’oggetto è molto luminoso e può essere mantenuto centrato nel campo visivo del telescopio per una durata di 30 minuti, è possibile ottenere tipicamente 100-200 frame CCD in sequenza rapida, considerando il fatto che il tempo di esposizione controllato dal computer può mutare drasticamente col mutare della distanza dell’UFO. Una ricerca analoga sulla variabilità temporale degli UFO può essere compiuta effettuando simultaneamente osservazioni con fotometria a conteggio di fotoni: in questo caso l’unità PCP dovrebbe rimanere puntata sull’oggetto per tutta la durata del fenomeno.

Primariamente occorre accertare la variazione temporale dei due parametri che seguono:

Inoltre e soprattutto, sulla base della grande quantità di testimonianze finora raccolte (v. 13), si sospetta che la variazione temporale della velocità di trasferimento di un oggetto UFO possa essere correlata alla corrispondente variazione temporale dei parametri fisici che seguono:

6. Osservazioni conclusive

La ricerca di correlazioni temporali fra i parametri fisici misurabili di cui si è discusso potrebbe sicuramente gettare luce sul meccanismo fisico che crea il fenomeno UFO. Tali conoscenze fisiche consentirebbero di stabilire definitivamente se gli UFO siano fenomeni naturali finora sconosciuti, oppure vere e proprie "macchine di natura esotica" caratterizzate da un sistema di propulsione specifico. Ad esempio, è necessario fin da ora iniziare a porsi alcuni interrogativi fondamentali:

  1. Esistono correlazioni fra la velocità di trasferimento, la luminosità intrinseca, l’indice di colore, l’intensità di campo magnetico, il periodo di rotazione e il periodo di pulsazione di un UFO?
  2. È un UFO in grado di produrre un campo gravitazionale localizzato e/o un campo localmente antigravitazionale, nonché di alternare queste due forze?
  3. Esiste una relazione fra il campo magnetico prodotto da un determinato UFO e il suo campo gravitazionale locale, se quest’ultimo è presente?

Resta certo che prima di azzardare ipotesi di qualunque tipo, anche le più elaborate, è d’importanza fondamentale poter raccogliere la maggiore quantità possibile di dati empirici garantendo la simultaneità delle due strategie di osservazione descritte qui di seguito:

  1. Monitoraggio dell’oggetto su un intervallo di lunghezze d’onda il più esteso possibile.
  2. Monitoraggio dell’oggetto compiuto mediante un apparato multimodale di dispositivi di rilevamento.

IIn particolare, gli astronomi dovrebbero tentare di dedurre che cosa agisce all’interno di un UFO studiandone la qualità, la quantità e la variabilità della radiazione continua e discreta che viene emessa, allo stesso modo in cui questi scienziati sono in grado di comprendere la fisica operante all’interno di una stella studiando le proprietà osservate della sua atmosfera. Questo eccitante problema rimane tuttora aperto e la tecnologia che consente di studiarlo è allo stato attuale del tutto disponibile e attuabile.

 

Riferimenti bibliografici

Fisica generale e Astrofisica

1. Gray D. - "The Observation and Analysis of Stellar Photospheres", ed. J.Wiley & Sons, 1976.
2. Janesick J. - "Sky on a Chip: the Fabulous CCD", Sky & Telescope, Sept. 1987, p.238.
3. Henden A.A. Kaitchuck R.H. - "Astronomical Photometry", ed. Van Nostrand R.C., 1982.
4. Hiltner W.A. - "Astronomical Techniques" (Vol.2 of "Stars and Stellar Systems" ), ed. Univ. of Chicago Press, 1962.
5. Kitchin C.R. - "Astrophysical Techniques", ed. A.Hilger LTD, 1984.
6. Lang K.R. - "Astrophysical Formulae", ed. Springer & Verlag, 1980.
7. Mac Kay C.D. "Charge-Coupled Devices in Astronomy", Ann.Rev.Astron.Astroph. 24, 255, 1986.
8. Misner C.W., Thorne K.S., Wheeler J.A. - "Gravitation", ed. Freeman, 1973.
9. Warner B. - "High Speed Astronomical Photometry", ed. Cambridge Univ. Press, 1988.
10. White L. - "Introduction to Atomic Spectra", ed. Mc. Graw-Hill, 1975.

 

Progetti Realizzati di Monitoraggio Strumentale degli UFO

11. Rutledge H.D. - "Project Identification: The First Scientific Study of UFO Phenomena", ed. Prentice Hall, 1981, ISBN 0-13-730713-6.
12. Strand E. - "Project Hessdalen 1984: Final Technical Report - Part One", 1984 - http://www.hiof.no/crulp/prosjekter/hessdalen/

 

Ufologia generale

13. Le migliori testimonianze relative agli avvistamenti di UFO sono riferite e discusse nei testi scritti da alcuni fra i più qualificati investigatori del fenomeno UFO (1950-1999), e talvolta anche da alcuni scienziati, tecnici e docenti universitari. Quali esempi significativi si possono citare i seguenti studiosi: Hyneck J.A., Hendry A., Vallee J., Friedman S., Maccabee B., Haines R., Jessup M., Mc Donald J.E., Jacobs D. M., Mack J., Rodeghier M., Corliss W., Randles J., Watts A., Cramp L., Clark J., Warrington P., Messeen A., Michel A., Petit J.P., Dutton R., Poher J.C., Velasco J.J., Bougard M., Von Ludwiger I., Cabassi R., Cornet B., Persinger M., Sturrock P., Yamakawa H., Devereux P., Delaval M., Brovetto P., Condon E., Constable T. J., Reich W., Derr J., Davidson L., Fort C., Fiebag J., McCampbell J.M., Nordberg J., O’Leary B., Sagan C., Pritchard A., Ruppelt E.J., Shuessler J.E., Schwarz B.E., Sheaffer R., Bach E.W., Oberg G.E., Hill P.R., Kasher J., Keel J., Klass P., Jung C.G., Long G., Menzel D., Tributsch H. . Molti articoli assai validi di studiosi seri del problema UFO sono apparsi su riviste e rapporti di orientamento tecnico, come la rivista "Journal of Scientific Exploration" (JSE-USA), i rapporti del GEPAN/SEPRA (Francia), i rapporti del MUFON (USA), i rapporti del NICAP (USA), i rapporti del CUFOS (USA), i rapporti del MUFON-CES (Germania), i rapporti del SOBEPS (Belgio), la rivista "Flying Saucer Review" (FSR - Gran Bretagna), le pubblicazioni elettroniche su Ufodatanet (Italia), la rivista "UFO Phenomena" (Italia), la rivista "Extraterrestrial Physical Review" (Giappone). Inoltre sono stati scritti sull’argomento UFO anche diversi libri d’interesse scientifico.

 

Alcuni saggi di M. Teodorani sul monitoraggio strumentale degli UFO

14. Teodorani M. "Development and Use of Astronomy-Like Devices for UFO Monitoring: A Research Project for the Study of UFO Physics", Andromeda "Inediti" n.76 - Monographs in Physics, 1994.
15. Teodorani M., Strand E.P., "Experimental methods for studying the Hessdalen phenomenon in the light of the proposed theories: a comparative overview", Østfold College Report 1998:5, Østfold College Press, Sarpsborg - Norway, 1998.
16. Teodorani M., Strand E.P., "The Hessdalen luminous phenomenon: a data analysis", 1998, Ufodatanet-Report / c.i.s.u. UDN, Internet publication (also version in italian) on the web http://www.ufodatanet.org/
17. Teodorani M., "Fenomeni Luminosi nell'Atmosfera: Ultima Frontiera della Nuova Fisica?", Relazione su Invito, I° Convegno Internazionale su "Le Terre della Sibilla Appenninica: Antico Crocevia di Idee, Scienza e Cultura" - Sezione Scientifico-Sperimentale, Amandola (AP) 6-8 Novembre 1998, p. 209.

 

Strumentazione Militare

18. La rivista RID (Rivista Italiana Difesa - Italia) contiene spesso articoli tecnici (1980-1999) sui sistemi optoelettronici di rilevamento per uso militare.

 

Strumentazione complementare

19. Informazioni tecniche sui rivelatori di tipo ICCD e di tipo EBCCD si possono trovare negli opuscoli della Princeton Instruments - USA (Fax: 609-587-1970).
20. Di Cicco D. (1999) ‘A First Look: SBIG’s Enhanced ST-7E CCD Camera’, Sky & Telescope, August, p. 64.
21. Gavin M. (1999) ‘Cosmic rainbows: The Revival of Amateur Spectroscopy’, Sky & Telescope, August, p.135.
22.
a) CELESTRON : 2835 Columbia Street, Torrance, CA 90503 - USA (Fax: 949-451-1460). b) MEADE Instruments Corporation : 6001 Oak Canyon, Irvine, California 92620 - USA (Fax: 310-212-5835).

 

Astrofisica delle Lenti Gravitazionali

23. Fienberg R.T. (1988) ‘Of Gravity’s Lens and a Fly’s Eye’, Sky & Telescope, May, p. 489.
24. Afonso, C., Alard, C., Albert, J.N. et al. and the EROS collaboration (1999) ‘Microlensing towards the Small Magellanic Cloud: EROS 2 two-year analysis’, Astron. Astrophys. n. 344, L63.
25.
IMMAGINI ASTRONOMICHE RECENTI E BIBLIOGRAFIA presso i siti Internet qui di seguito elencati:

 

RINGRAZIAMENTI

L’autore desidera ringraziare Renzo Cabassi, del Centro Italiano Studi Ufologici (CISU) e coordinatore della Commissione di Studio sui Fenomeni Luminosi in Atmosfera (FLA), per aver valorizzato questo progetto di ricerca, Alessandro Zabini del CISU per il valido lavoro di traduzione in italiano della versione originale in inglese, e Marco Piraccini del CISU per la efficiente conversione di questo lavoro in linguaggio HTML.

 

APPENDICE: Alcuni esempi di fenomeni UFO ricorrenti nella World Wide Web:

 

NOTA

Questo articolo è una versione riveduta e ampliata di un contributo che l’autore, su invito, ha presentato al convegno:

THE FIRST INTERNATIONAL WORKSHOP ON THE UNIDENTIFIED ATMOSPHERIC LIGHT PHENOMENA IN HESSDALEN - Hessdalen, Norvegia, 23-26 Marzo 1994.

Altre informazioni su questo importante meeting, organizzato dal Prof. Erling P. Strand, del Dipartimento di Informatica e Automazione dello Østfold College - Sarpsborg (Norvegia), si possono trovare al sito web: http://www.hiof.no/crulp/prosjekter/hessdalen/
 

 

BREVE CURRICULUM DELL’AUTORE

Massimo Teodorani si è laureato in Astronomia (Università di Bologna, 1982) e ha successivamente conseguito il Dottorato di Ricerca in Astrofisica (Università di Bologna, 1992). È specializzato in fisica stellare e, presso gli osservatori di Bologna e di Napoli, ha compiuto investigazioni teoriche e osservative sui fenomeni astrofisici a carattere eruttivo, quali le supernove, le nove, le protostelle e le stelle binarie interagenti. Ha effettuato numerose osservazioni utilizzando telescopi ottici e il satellite ultravioletto IUE. È autore di circa 50 lavori di argomento astrofisico ed è membro di diverse società scientifiche. Dal 1992 si occupa anche della ricerca sul fenomeno UFO, dal 1995 anche come consulente scientifico esterno del Centro Italiano Studi Ufologici (CISU). Inoltre, fin dal 1993 ha collaborato attivamente col gruppo scientifico norvegese denominato "Project Hessdalen". È autore di oltre 10 saggi sul trattamento scientifico dell’argomento UFO e ha presentato i propri risultati nel corso di alcuni seminari tecnici presso istituti scientifici riconosciuti, come gli osservatori astrofisici, gli istituti di fisica nucleare e gli istituti per l’energia. Massimo Teodorani è nato in Emilia Romagna, dove vive. Nel tempo libero si dedica prevalentemente alla musica elettronica e ai gatti.

 

Versione in lingua inglese Accettata per pubblicazione nel mese di Ottobre 1999 da:
European Journal of UFO and Abduction Studies (EJUFOAS)
In stampa nel numero di Marzo 2000 di EJUFOAS.

 

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