SEVERINO DI GIOVANNI
Ilpensiero e l'azione
Questo libro nasce dal desiderio di approfondire la conoscenza di un anarchico del quale sappiamo solo ciò che un giornalista ci ha dato di sapere. Stiamo parlando di Severino Di Giovanni (1901-1931), sulla cui vita le informazioni che finora possediamo provengono dal libro di Osvaldo Bayer ("Severino Di Giovanni - l'idealista della violenza"), edito vent'anni or sono dall'Edizione Collana Vallera.
Anarchico abruzzese, emigrato in Argentina, Severino Di Giovanni nel corso degli anni '20 portò avanti una intensa attività rivoluzionaria, sia sul piano teorico - con la pubblicazione del periodico "Culmine" e di alcuni libri - sia sul piano dell'azione, con una lunga serie di attacchi contro strutture del potere e contro la proprietà. Morì fucilato. Questa, molto sinteticamente, la sua vita su cui si è dilungato Bayer che, malgrado la simpatia che mostra di provare per Di Giovanni, non può evitare di buttare acqua sul fuoco, di delegittimarne l'azione rivoluzionaria, riducendo ciò che ha sempre mosso Di Giovanni a una mera questione di fanatismo ideologico, di idealismo.
Il rivoluzionario ha vissuto, ha agito, è morto per i suoi sogni. Il giornalista invece lo ha esaminato, ci ha scritto sopra un bel libro, e la sua "ricostruzione dei fatti" ha preso il posto della realtà. Bayer indaga unicamente alcuni aspetti dell'intera vita di Di Giovanni, per la precisione - seguendo una precisa regola giornalistica - quelli più "sensazionalistici", gli attentati e la passione di Di Giovanni per la sorella minorenne di due suoi compagni di lotta, trascurando per lo più tutto il resto. A prescindere dalle testimonianze dirette da lui raccolte, su cui naturalmente non siamo in grado di dir nulla, Bayer cita soprattutto le cronache dell'epoca, i rapporti di polizia e la corrispondenza di Di Giovanni, limitandosi a fare qualche breve accenno al suo giornale "Culmine". Non ha interesse a pubblicarne gli articoli così da comprenderne meglio il pensiero. La dimostrazione della sua pochezza emerge quando decide di non limitarsi a riportare con distacco i dati raccolti, quando cioè azzarda un commento, un giudizio, un abbozzo di analisi, che non va più in là della facile morale spicciola, riprendendo le banali frasi fatte di tutte le oneste e brave persone di questo mondo.
Di tutta la vita di Severino Di Giovanni, Bayer non riesce a vederne il cuore, la dimensione in cui è immerso dall'inizio fino alla fine: l'utopia, il sogno dell'impossibile, l'anarchia. Per lui, Severino Di Giovanni era solo un idealista, un romantico, un uomo violento che esercitava una cattiva influenza sui più giovani… esattamente le accuse mossegli, per ovvi motivi, dalla polizia e dai più beceri moralisti.
Dall'insieme della sua attività, appare chiaro come in realtà per Di Giovanni la violenza non fosse che uno degli strumenti da usare assieme agli altri. Prendeva la parola nelle varie manifestazioni, partecipava alle assemblee, distribuiva volantini, teneva aperta una libreria, pubblicava un giornale; oltre a tutto ciò, compiva degli attacchi dinamitardi e delle rapine di autofinanziamento.
Ecco cosa si legge al riguardo nell'articolo "Lotta nostra" apparso sul n. 7/8 di "Anarchia": "La stessa bellezza è nella molteplicità delle attività. A mio giudizio, l'individuo che ha per meta e per ideale la lotta, vive rigogliosamente. Oggi egli fonda un periodico, domani fa un libro, poi un articolo. Necessita mezzi per l'effettuazione di questi progetti, ed espropria chi possiede soverchiamente ed ingiustamente. Ecco l'individuo sul piede di lotta. Bandito illegale contro banditi legali".
Anche se inevitabilmente fu soprattutto un uomo d'azione, questo non significa che Di Giovanni fosse privo di teoria, o che ne sottovalutasse l'importanza. Pubblicò trentatré numeri del suo giornale e diversi libri (di: Pisacane, G. Asturi, Armand, Schicchi, Reclus), ne aveva in preparazione moltissimi altri (uno suo, ben dodici di Sebastian Faure, e poi ancora di Bakunin, Ryner, Nieuwenhuis, Pisacane, Proudhon, Goldman, Thoreau, Armand ed altri ancora) e contribuì insieme ad Aldo Aguzzi alla pubblicazione di un quindicinale, "Anarchia", dove non firmava più gli articoli oppure utilizzava degli pseudonimi sconosciuti, costretto dalla propria situazione di latitante.
La maggior parte dei suoi articoli richiamavano all'agitazione, scritti sull'onda dell'entusiasmo, nella foga della passione, e ciò era anche dovuto al suo carattere, ma non tralasciava di scriverne altri che richiedevano una maggiore riflessione.
Del resto, se è vero che nei suoi scritti Di Giovanni innalza l'individuo che si ribella, non lo fa mai a scapito dell'insurrezione sociale, anzi considera la rivolta del singolo uno sprone, un incitamento all'insurrezione generalizzata, un atto di dignità individuale che non si pone mai in modo altezzoso e distaccato rispetto alla situazione generale degli sfruttati. Il fine ultimo è sempre la rivoluzione sociale degli oppressi.
Se "Culmine" è così pieno di appelli all'azione, ciò si spiega inoltre facilmente con l'esame della situazione sociale di quel periodo (la campagna internazionale in favore di Sacco e Vanzetti, il fascismo in Italia e altrove, le tensioni reazionarie presenti in Argentina che sfoceranno nel colpo di Stato del 6 settembre 1930), nonché con l'ovvia constatazione che il potere non si dissolverà da sé. Di fatto "Culmine" darà ampio spazio a tutte le correnti dell'anarchismo, senza preclusioni, ma anche senza opportunismi di sorta. Gli argomenti trattati erano i più svariati, dalle analisi sulla situazione argentina e mondiale alle notizie sui detenuti politici, dalle critiche al fascismo e all'antifascismo liberale alla denuncia dello stalinismo (una rubrica di "Culmine" si intitolava "Dall'inferno bolscevico"), dai saggi di carattere storico ai numerosi articoli sul libero amore, quasi tutti di Emile Armand. Che poi il tutto convergesse nell'affermazione della necessità dell'azione, la cosa può turbare soltanto chi ritiene che un giornale anarchico debba limitarsi ad esercitare il diritto alla parola, facendo cioè dell'opinione, e non spingere e preparare all'insurrezione.
Questo libro inizia con la riproduzione del numero della "Adunata dei Refrattari" edito il 28 marzo 1931, interamente dedicato alla morte di Severino Di Giovanni e di Paulino Scarfò: un numero commemorativo che abbiamo voluto includere, sia perché è una buona fonte di informazioni sulla sua vita, sia perché - a quanto ci risulta - è il solo materiale sulla vicenda che sia opera di anarchici.
Del silenzio in cui è stato annegato Di Giovanni, all'interno del movimento anarchico, sono in buona parte responsabili coloro che - con solerte spirito pedagogico - hanno deciso di confidare nell'infallibilità della propaganda culturale le speranze per la realizzazione dell'anarchia, convinti come ogni prete che si rispetti che la fede trionferà per grazia divina. Di anarchici come Di Giovanni è meglio, assai meglio, non parlarne. È preferibile affidarne la conoscenza all'oblio: più facile, più comodo, più conveniente. E se proprio qualcuno decide di occuparsene, che a farlo sia almeno un giornalista, qualche bravo pompiere che usa l'inchiostro come acqua per spegnere il fuoco della rivolta.
Per parte nostra, non siamo minimamente interessati a costruire - o a consolidare acriticamente - il mito di Severino Di Giovanni, la sua leggenda, così come non siamo neanche disposti a dimenticarlo, lui come tanti altri rivoluzionari anarchici, la cui squisita coerenza di vita e l'instancabile attività sono ancora oggi fonti a cui attingere a piene mani. Ecco perché ci interessa conoscerlo per meglio comprenderlo all'interno della sua reale dimensione rivoluzionaria di vita.
Così abbiamo cercato e raccolto qui alcuni suoi scritti apparsi su "Culmine", firmati col suo nome o con i suoi diversi pseudonimi, o a lui attribuibili, come è il caso di quasi tutti gli editoriali del giornale "Culmine", a cui abbiamo aggiunto quello del primo numero del quindicinale "Anarchia". Di quest'ultimo giornale pubblichiamo anche un articolo firmato da Josefina America Scarfò: giacché lo stile e il contenuto sono tipici di Di Giovanni, come in altri scritti apparsi su "Anarchia".
Ai lettori ora il piacere o anche il dispiacere di tuffarvisi, magari sbuffando per le reiterate esaltazioni del "maschio sacrificio", sicuramente facendosi trascinare dall'ardore e dalla lucida passione di cui sono impregnati, soprattutto quando vengono affrontati argomenti di immutato interesse, come la solidarietà rivoluzionaria - tangibile nell'azione e non nello sdegno - o anche le diverse proposte insurrezionali avanzate.
Sta a noi interpretare il pensiero e l'azione rivoluzionaria di Severino Di Giovanni, fuori dall'oblio, dalla leggenda mistificatoria, dal mito riduttivo, dall'agiografia.
ALBERT LIBERTAD
La libertà e altri scritti
Albert Joseph detto Libertad (1875-1908), una delle figure più mal conosciutedell'anarchismo francese, appare ad alcuni un individualista da folclore,amante delle azioni spettacolari quanto inutili, privo di una solida teoria. Inrealtà, leggendo i suoi scritti, eseguiti con naturale immediatezza, ci sirende conto di quanto infondata sia una simile considerazione, di quantoprofonde fossero le sue idee rapportate ai luoghi comuni diffusi nell'ambienteanarchico dell'epoca. Le analisi di Libertad colpiscono per la lorooriginalità, nonché per l'attualità, se si eccettua l'eccessiva fede nelprogresso della Scienza e nella Ragione, frutto del positivismo degli inizi delsecolo, che ormai da tempo ha dimostrato la sua scelleratezza.
In tempi come i nostri, improntati alla specializzazione, riecheggiano alcuneriflessioni di Libertad: "L'Ordine sociale non forma che un blocco. Unblocco della stessa fusione… non è possibile assestare una picconata ad undeterminato filone senza intaccarne un altro".
O ancora, le sue considerazioni sulle varie alleanze: "Non voglioassociarmi che per affinità sforzandomi di mantenere il più possibile la miaautonomia… Stiamo attenti a non fabbricare noi stessi i gradini per dare lascalata al potere"; sul sindacalismo: "i sindacati disciplineranno,molto più di quanto sia mai avvenuto, gli eserciti del Lavoro e diventeranno,nel bene e nel male, i migliori guardiani del Capitale"; sulla ricercaassillante di garanzie prima di agire: "Chi contempla la meta fin daiprimi passi, chi ha bisogno della certezza di raggiungerla prima di cominciarenon ci arriverà mai… la gioia del risultato è già nella gioia dellosforzo"; sui pericoli del recupero: "spesso le teorie più audaci sonodiventate - con qualche accomodamento - le teorie più rispettose dellaproprietà e dell'ordine".
Ma naturalmente è l'individuo il soggetto preferito da Libertad, il qualedimostra di avere idee estremamente chiare in proposito. Acerrimo nemicodell'individualismo liberale, descrive la sua concezione della libertà:"Per andare verso la libertà, bisogna che sviluppiamo la nostraindividualità. - Quando dico: andare verso la libertà, voglio dire: andareverso il più completo sviluppo del nostro essere individui". Libertad,anarchico e non libertario - per sua stessa ammissione - non "confondel'ombra con la preda", è perfettamente conscio che la libertà non è unaquestione di fede né di diritto: "Ci disponiamo sempre a ricevere lalibertà da uno Stato, da un Redentore, da una Rivoluzione, non ci applichiamomai perché si sviluppi in ogni individuo".
La propria "gioia di vivere" Libertad non l'ha soltanto espressa inun suo articolo, ma è emersa prepotentemente in ogni atto della sua breveesistenza, spesso andando a cozzare contro il moralismo di un'epoca.
Libertad ha avuto il pregio di esser riuscito ad apportare un'intonazionediversa nel movimento anarchico di inizio secolo, quando ancora questo silimitava a scagliare i propri dardi più che altro contro le strutture e lecause riconosciute dell'oppressione, non scorgendo come la responsabilità deisoprusi sociali risieda per buona parte nell'acquiescenza degli sfruttati.
La breve sintesi che fa dell'anarchismo così come lo concepisce supera d'unbalzo tutte le barriere erette dagli stessi anarchici, dovute ad alcunepersonalissime ed esasperate interpretazioni: "la corrente comunista e lacorrente individualista fuse infine l'una nell'altra e che trovano il propriologico sbocco nell'anarchismo".
La politica è morta - questa è anche una speranza. I grandi sistemi, quelli chespiegano, giustificano, regolano, dispongono, sono finiti nella polvere dellastoria. Forse è proprio per questo che l'anarchismo di Libertad, un anarchismoviscerale che proviene dalle profondità dell'individuo e non da una ragionevoleadesione ideologica, mantiene ancora oggi intatto il proprio valore e ilproprio incanto.