"Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige
associazioni che si propongono (la sottolineatura è di chi
scrive) il compimento di atti di violenza con fini di
eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione
da 7 a 15 anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è
punito con la reclusione da quattro a otto anni".
Quello che precede non è un estratto da qualche legge
speciale repressiva di qualche Paese sudamericano oppresso
da qualche giunta militare; è un articolo del nostro codice
penale, si tratta dell'ormai tristemente noto art. 270 bis.
Ma andiamo con ordine.
Il nostro ordinamento penale, nel suo assieme, contiene al
suo interno tutto un florilegio di norme sostanzialmente
repressive dell'opposizione politica e sociale: si tratta
dei famigerati "delitti contro la personalità dello stato",
che sono, come specie di reati, i primi in assoluto previsti
dal codice penale. Ai fini della comprensione e dello studio
dei meccanismi della repressione penale che il sistema
opera, in varie fogge e misure a seconda delle epoche, nei
confronti di quanti, come prospettiva e pratica politica,
non si accontentino di implorare D'Alema, dall'altra parte
dello schermo, di dire qualcosa di sinistra, e soprattutto
ai fini dell'autotutela dei militanti anticapitalisti ed
antimperialisti, ovunque collocati organizzativamente, vi
sono talune fattispecie di reato che risultano
particolarmente illuminanti.
Tutti coloro che, per l'appunto, non abbiano ancora
assunto la televisione, o anche la tastiera di un computer,
come terreno privilegiato, se non unico, di lotta politica
dovrebbero avere la lucidità, per non dire l'istinto di
conservazione, di dare almeno una scorsa ai testi che si
stanno per esaminare sommariamente, quantomeno con
un'attenzione simile, dato che uguale non potrà esser mai, a
quella che si dedica di solito ad una polemica, peraltro
fondamentale per le sorti del movimento rivoluzionario
internazionale, tra due correnti, pardon, "tendenze", di
partito, o peggio all'interno della stessa "tendenza", od
anche tra un gruppo e l'altro della "sinistra sociale", o
peggio, come sopra, all'interno dello stesso gruppo.
Orbene, un codice penale nato in un sistema fascista,
ovviamente, non si poteva permettere il lusso di trascurare
le pene per i cervelli che ancora non perdevano il vizio di
pensare, e, peggio, di pensare non come il duce, o chi per
lui, ed, ancora peggio, di dare degli impulsi di azione, di
azione sociale, ai rispettivi corpi in seguito alla predetta
elaborazione cerebrale. E difatti il codice penale "Rocco"
(com'è noto, dal nome del Ministro di Giustizia dell'epoca)
quel lusso non se lo permise; anzi, ai già citati "delitti
contro la personalità dello stato", di quello stato, ossia
dello stato fascista, dedicò tutto il titolo primo della sua
lunga serie di delitti previsti e puniti.
Come si accennava sopra, qui, per mere ragioni di spazio,
si farà cenno, brevemente, solo alle figure più
significative (il che vuol dire micidiali) della repressione
dei gruppi politici e sociali di opposizione, quando non
addirittura del mero dissenso politico anche individuale.
Il primo articolo che è necessario esaminare è quello
dedicato alle "
associazioni sovversive", (
art. 270). Ed è
opportuno ricordarlo per esteso:
"Chiunque nel territorio
dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige
associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura
di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere
violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire
violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti
nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici
anni. Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio
dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige
associazioni aventi per fine la soppressione violenta di
ogni ordinamento politico e giuridico della società.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la
reclusione da uno a tre anni".
Per capire veramente a fondo le norme contenute in questo
articolo, la loro "ratio" come dicono i giuristi veri (ed
anche quelli falsi), è utile citare qualche passo della
relazione ministeriale al progetto di articolo di legge in
esame.
"È agevole dedurre, dalla prima parte dell'articolo
in esame, il riferimento alle associazioni comuniste o
bolsceviche, il cui programma è diretto precisamente a
stabilire violentemente la dittatura di una classe sulle
altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale,
ecc. Tanto l'una quanto l'altra categoria di associazioni ,
essendo dirette a sostituire ai modi attuali di ripartizione
della ricchezza quelli che nella dottrina sono definiti
comunemente i modi socialisti di tale ripartizione, hanno un
obiettivo comune, la distruzione della proprietà
individuale, e altresì un metodo comune di lotta, la
violenza. Di ambedue codesti elementi comuni tengono conto
le citate disposizioni.. La prima parte dell'articolo,
facendo menzione degli ordinamenti economici costituiti nello Stato,
intende precisamente riferirsi all'istituto della proprietà
individuale, il cui ordinamento è bensì giuridico, ma ha
contenuto economico." (
Relazione ministeriale sul progetto
del codice penale, II, p. 52).
Le parole del guardasigilli littorio costituiscono un duro
colpo per coloro che affermano, di solito pomposamente, la
natura di scienza autonoma, se non proprio superiore, del
diritto, nei confronti delle altre scienze sociali, o peggio
nei confronti dei poteri sociali costituiti. E, per questo,
bisogna veramente esser grati al fascismo ed al suo lessico
notoriamente meno inzuccherato e camuffato da quei
paludamenti diplomatici e "democratici" propri, di solito,
dei "regimi democratici" quando, come sovente accade, fanno
qualcosa di poco democratico.
In sostanza, da una relazione di accompagnamento di quel
tenore ad una norma dalla formulazione già di per sé
inquietantemente limpida nei suoi intenti socialmente e
politicamente "bonificatori", dalla mala pianta della
sovversione, ossia di qualsiasi forma di opposizione
politica e sociale minimamente organizzata, si possono
trarre almeno un paio di spunti di riflessione esegetica. Il
primo è più di natura teorica e riguarda la natura e la
funzione del diritto penale che vengono propugnate da un
testo normativo e da uno esplicativo della fatta di quelli
in esame; è un approccio, quello di Rocco, e dei suoi
fratelli giuridici e soprattutto politici, che porta alle
sue estreme e più bieche conseguenze la teoria c.d.
"sanzionatoria" del diritto penale". Ciò, al di là delle
formule esoteriche per addetti ai lavori, veri o sedicenti
che siano, altro non vuol dire se non che il diritto penale
viene pensato e, soprattutto, praticato come cane da guardia
di principi e norme posti in altre branche dell'ordinamento giuridico, in particolare
nel diritto civile, il quale ultimo, a sua volta, mutua, in
molti casi, i suoi postulati da altre "scienze sociali", ma
soprattutto da
rapporti sociali ed economici, in particolare
da rapporti di produzione e di distribuzione (
"l'istituto
della proprietà individuale, il cui ordinamento è bensì
giuridico, ma ha contenuto economico").
Il secondo spunto di riflessione che scaturisce quasi
automaticamente dall'esame della norma di cui all'art. 270
c.p., poi, riguarda un profilo più direttamente pratico -
applicativo, ossia politico, della medesima; e, quindi,
questo aspetto più che gli studiosi del diritto penale
dovrebbe interessare chiunque abbia una certa attinenza con
teorie politico - culturali che prevedano "la dittatura di
una classe sociale sulle altre" e\o la sovversione degli
"ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato". Ed
ovviamente la situazione non ne risulta affatto alleggerita
per tutti coloro che non si limitino a studiare, o a fare
riferimento nel foro interno, a quelle teorie così
esecrabili, ma addirittura ispirino a quegli assunti una
militanza politica organizzata.
La questione interpretativamente, il che vuol dire
politicamente, fondamentale ruota attorno all'avverbio
"violentemente" previsto dalla norma in questione; perché
escludere a priori, in una prospettiva certo non ottimistica
dell'evoluzione della situazione politica, sociale e
culturale del paese, e, dunque, giudiziaria, ma forse
neppure particolarmente orwelliana, la possibilità che
un'azione di lotta dura, anche se sostanzialmente pacifica,
come un picchettaggio durante uno sciopero piuttosto che la
disobbedienza a provvedimenti normativi ed amministrativi
platealmente liberticidi (come ciò che sta accadendo oggi
con i vari bandi di imposizione di stato d'assedio per
Genova), vengano qualificati "violenza" ai fini
dell'applicabilità della norma contenuta nell'art. 270, con
la conseguente possibilità, per non dire quasi certezza, che
i militanti e soprattutto i dirigenti di un'organizzazione,
di un gruppo politico che abbiano un programma
rivoluzionario e che prevedano il ricorso a forme di lotta come quelle citate sopra si vedano
piombare tra capo e collo un'accusa di associazione
sovversiva?
Si tenga presente, scusandosi per le ripetute
"divagazioni" strettamente giuridiche, ma si reputano
fondamentali ai fini della comprensione della sostanza
politica del discorso, che per una parte della dottrina e
della giurisprudenza il concetto di violenza rilevante ai
fini dell'attivazione della norma in esame può anche
prescindere dalla forza fisica e fare leva anche solo su una
indistinta
"coazione psichica", che, nella fumosità della
formulazione, come concetto sembra tagliato su misura per i
picchettaggi durante gli scioperi.
Già da queste brevi, e fatalmente sommarie, note sull'art.
270 c.p., norma certamente significativa in ambito di
normazione repressiva ma, ahimè, non "la più significativa",
come si vedrà, si spera di aver dato ai compagni ed ai
militanti quantomeno il polso della situazione normativa e
giudiziaria del paese, presente ma soprattutto futura, in
materia di rischi concreti per la propria libertà e per la
verginità del proprio certificato del casellario giudiziale,
rischi che possono derivare ai medesimi compagni, a noi
tutti, praticamente solo dalla propria militanza
anticapitalista ed antimperialista.
Ma quella di cui all'art. 270 non è l'unica norma del
codice penale sostanzialmente finalizzata a reprimere
l'opposizione politica e sociale, per non dire, come già
ricordato, anche il mero dissenso minimamente organizzato.
Basterà ricordare, anche qui a livello puramente
emblematico di tutto un tessuto normativo ancora saldamente
in vigore, solo un paio delle previsioni incriminatici più
"creative", tra quelle coniate dal fecondo legislatore
fascista nel 1930: la norma in materia di "
associazioni
antinazionali", a tenore della quale
"chiunque, fuori dei
casi preveduti dall'articolo precedente (l'art. 270 bis, sul
quale si dirà qualcosa fra poco), nel territorio dello Stato
promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che
si propongano di svolgere o che svolgano un'attività diretta
a distruggere o deprimere il sentimento nazionale è punito
con la reclusione da uno a tre anni." (
art. 271 c.p.).
Oppure la norma che prevede la punizione della "
propaganda
ed apologia sovversiva o antinazionale", per la quale
"chiunque nel territorio dello Stato fa propaganda per
l'instaurazione violenta della dittatura di una classe
sociale sulle altre (ci risiamo)
, o per la soppressione
violenta di una classe sociale o, comunque, per il sovvertimento violento
degli ordinamenti economici o sociali costituiti nello
Stato, ovvero fa propaganda per la distruzione di ogni
ordinamento politico e giuridico della società, è punito con
la reclusione da uno a cinque anni. Alle stesse pene
soggiace chi fa apologia dei fatti preveduti dalle
disposizioni precedenti." (
art. 272 c.p.)
Come risulterà evidente anche a persone non
particolarmente versate in argomenti penalistici, in
quest'ultimo caso, contrariamente alle norme sommariamente
esaminate sopra, per essere perseguiti ai sensi dell'art.
272 non è necessario aver costituito o diretto o anche solo
partecipato ad un'associazione, ad un gruppo; basta
"fare
propaganda" e sono pronti cinque anni di galera per
rieducare il reo. Ed anche qui si reputa utile,
esclusivamente ai fini della più piena comprensione del
pericolo da parte del maggior numero di compagni e di
militanti, ricordare che le Sezioni Unite della Cassazione
sono giunte addirittura a sostenere che per aversi apologia
è sufficiente la formulazione di un discorso favorevole
rispetto ad un fatto, non essendo necessaria la sua
esaltazione. Quanto tutto ciò possa risultare concretamente
armonizzabile, in molti casi concreti ed in determinate
epoche storiche contrassegnate da fregole per non dire
isterie emergenziali, con il principio di cui all'art. 21 Cost. in materia di diritto di manifestazione del
proprio pensiero lo si lascia immaginare a chi legge queste
modeste note.
Questo è un sommario estratto del quadro meramente
codicistico, ossia creato dal legislatore fascista nel 1930,
delle norme punitive dei cosiddetti "delitti contro la
personalità dello stato", ossia dei reati "politici".
In questo rigoglioso giardino della repressione politica,
negli anni 70 furono piantati numerosi, nuovi, originali e,
soprattutto, fecondissimi alberi da frutto: la legge 18
aprile 1975 n. 110 in materia di armi che prevede come armi
da guerra, tra le altre,
"le bottiglie e gli involucri
esplosivi o incendiari" (praticamente le molotov come i
proiettili all'uranio impoverito); la legge 22 maggio 1975
n. 152, la cosiddetta "legge Reale", una sorta di madre di
tutte le leggi speciali, istitutiva, tra le altre perle, del
fermo di polizia; e, per venire direttamente al cuore della
questione, il d.l. 625 del 1979 convertito nella legge n. 15
del 1980, il cosiddetto, tristemente noto, "decreto
Cossiga".
Quest'ultimo provvedimento deve la sua meritatissima fama
all'introduzione nel nostro ordinamento di due autentiche
perle di civiltà giuridica: la prima fu la previsione del
cosiddetto "dolo specifico d'eversione", sintetizzato
nell'art. 1 del decreto:
"Per i reati commessi per finalità
di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico,
punibili con la pena diversa dall'ergastolo, la pena è
sempre aumentata della metà, salvo che la circostanza sia
elemento costitutivo del reato." Questa formulazione è
talmente brutalmente cristallina nella sua logica
ispiratrice discriminatoria e nella sua finalità perseguita
di repressione politica che non necessità di una sola riga
di spiegazione.
La seconda perla è costituita dalla norma citata per
esteso all'inizio di questa narrativa, l'art. 270 bis c.p.
rubricato "
associazioni con finalità di terrorismo e di
eversione dell'ordine democratico", e introdotto nel codice
penale, per l'appunto, introdotta dal "decreto Cossiga".
Per provare anche in questo caso a dare con parole povere
e brevi il senso metagiuridico, cioè politico, della
questione è opportuno ricorrere nuovamente ad una sentenza
della Cassazione sull'art. 270 bis e soprattutto alle
possibili conseguenze pratico - applicative della sentenza
medesima. La Cass. ha, in sostanza, evidenziato che il fine
di eversione del cosiddetto ordine democratico che
connoterebbe un'associazione politica
"può ben essere
desunto dalla convergenza di vari elementi, quali la
personalità degli associati con la loro qualificazione
ideologica, la disponibilità di appartamenti destinati alle
unioni clandestine, il possesso di armi occultate in detti
appartamenti, il rinvenimento di documenti falsi o di altri
arnesi o strumenti sintomatici di attività illegali, la
detenzione di carte e stampati e scritti vari, a contenuto
chiaramente sovversivo, destinati all'utilizzo ed alla
diffusione, la disponibilità di somme non giustificate e da
qualunque altro elemento logicamente utilizzabile, per una diagnosi tecnico -
giuridica del tipo indicato" (
Cass. 14\2\1985; e
Cass.
4\11\1987, Sez. I).
Ora, a tacere, per ovvie ragioni di sintesi, di tutta
un'altra serie di considerazioni nel merito della su citata
elencazione di "sintomi di eversione" formulata dalla
Cassazione, emerge ineludibilmente dalla medesima lista una
questione tipicamente "interpretativa" che però, manco a
dirlo, può celare una sostanza politico - applicativa
assolutamente devastante per le sorti della libertà di tanti
militanti anticapitalisti: perché sia imputabile e,
soprattutto, condannabile una persona per "associazione con
finalità di terrorismo e di eversione", gli elementi
emblematici enucleati dalla Cassazione debbono
necessariamente essere tra loro in concorrenza o possono
anche trovarsi in alternativa? Ancora più semplicemente,
perché un compagno possa esser condannato a quindici anni di
galera, è almeno necessario che egli si sia venuto a trovare
(o che lo abbiano fatto trovare, ma questo è un altro, lungo
discorso) in tutte le condizioni enunciate dalla Cassazione
come "indicative di sovversione", o può addirittura esser sufficiente anche
che si sia venuto a trovare solo in alcune di quelle?
La questione, come certamente intuiranno tutti i compagni
ed i militanti, è rivestita di valenza tutt'altro che
meramente dommatico - speculativa. In sostanza, se la
risposta "giudiziaria" alla questione medesima fosse tra le
seconde paventate nei due periodi precedenti, se cioè fosse
quella che non sarebbe fuori luogo definire la più
forcaiola, allora ci sarebbe da stare pochissimo allegri.
Perché in quel caso ognuno di noi, dalla
"accertata
qualificazione ideologica", che avesse la disponibilità di
un buco di appartamento
"destinato alle unioni clandestine",
ossia potenzialmente anche alle semplici riunioni politiche,
che in quell'appartamento tenesse
"carte e stampati e
scritti vari, a contenuto chiaramente sovversivo", ossia un
volantino (orrore!) di denuncia dei padroni e del sistema
capitalistico, e a cui carico fosse trovato
"qualunque altro
elemento logicamente utilizzabile, per una diagnosi
tecnico - giuridica del tipo indicato", ebbene ognuno di noi
che dovesse sciaguratamente venire a trovarsi in quelle condizioni
soggettive potrebbe potenzialmente finire nella rete
dell'art. 270 bis.
In pratica, l'art. 270 bis, simbolico e sintetico, come si
è cercato sinora di spiegare, di un ben più ampio e
capillare reticolato normativo di chiara matrice e funzione
politico - repressiva, nella più ottimistica e riduttiva
delle interpretazioni, è una sorta di cambiale in bianco che
ognuno di noi che, per l'appunto, non si rassegni all'idea
di avere
"un orizzonte che si fermi al tetto", per dirla con
Claudio Lolli, firma a lorsignori con il semplice inizio
della propria militanza antagonista; cambiale che essi
potranno mettere all'incasso quando meglio aggraderà loro.
Nella più cruda, ma anche qui, ahimè, decisamente poco
surreale, delle interpretazioni, poi, quella norma
costituisce una sorta di mina antiuomo, ovviamente uomo
militante, che è stata buttata sul percorso di militanza e
di lotta di ognuno di noi; e, che, in quanto tale può
esplodere in qualsiasi momento indipendentemente dal volere
e dall'azione di ognuno di noi.
Acquisire la consapevolezza che questi solo apparentemente
sono scenari apocalittici e che, invece, costituiscono e non
da oggi dati giuridici e, dunque, politici con i quali il
movimento potrebbe, suo malgrado, esser costretto a
confrontarsi ben presto, già potrebbe significare, per i
compagni ed i militanti, evitare di farsi prendere
completamente alla sprovvista quando dovessero iniziare a
piovere le pietre degli avvisi di garanzia, se non
direttamente delle ordinanze di custodia cautelare, e,
dunque, provare ad organizzare un minimo di difesa e di
resistenza, politica e giuridica.
Ma, come chiunque può ricavare, l'unico serio tentativo di
resistenza, se non proprio di contrattacco, che noi potremmo
o, comunque, dovremmo provare a metter in atto, da subito,
dovrebbe essere una campagna tesa a rimuoverle del tutto
queste mine antiuomo dal percorso di lotte e di solidarietà
che, com'è negli auspici di tutti i democratici e di tutti
gli uomini di buona volontà, la parte migliore di una nuova
generazione, nuovamente e faticosamente, sta iniziando; una
campagna, cioè, tesa ad espungere la più parte possibile
della legislazione dell'emergenza che ancora inquina non
solo il nostro ordinamento penale, ma lo stesso complessivo
clima giuridico, politico e culturale del paese; com'è,
peraltro, ontologicamente nella stessa natura delle leggi
eccezionali.
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Avviare una campagna nazionale del movimento, o quanto
meno della maggior e miglior parte possibile di
quest'ultimo, unitaria, coesa, lucida analiticamente e
radicale programmaticamente (se radicalità vuol dire
aspirare alla rimozione di un'ingiustizia e di
un'oppressione, una delle tante, fatta legge) che chieda
l'abolizione della legislazione d'emergenza; e che a questo
fine incalzi tutte le forze organizzate, soprattutto se
presenti in parlamento, delle varie sinistre. Che produca
materiale di controinformazione sulle conseguenze abiette
che la stessa legislazione ha prodotto in più di vent'anni
sulla pelle di tanti esponenti della parte più nobile delle
giovani generazioni del dopoguerra; che provi a dare almeno
voce e volto a tutti i duecentosessanta compagni che ancora
stanno marcendo in galera per "reati di terrorismo"; che non
giri la testa dall'altra parte, per squallidi calcoli
elettoralistici, davanti allle nuove iniziative repressive,
mosse da finalità reali inconfessabili, contro "i nuovi terroristi", ossia, contro
persone colpevoli sostanzialmente solo di chiamarsi
comunisti, di rifarsi all'Urss, e, soprattutto, di esser
debolissimi politicamente ed isolati socialmente.
Questo, oltre che adempiere un inderogabile dovere morale
nostro, può costituire, forse, un modo per provare a dare al
nuovo movimento una coscienza di sé e del suo avversario;
una griglia minima di obiettivi politici, a medio, se non
proprio a breve termine ed unificanti, che, se perseguiti
lucidamente, possano servire a far ricordare a tanti giovani
compagni che la lotta paga. E solo il cielo dei militanti
antagonisti sa quanto avrà bisogno di qualche risultato
significativo, transitorio si sarebbe detto una volta, per
evitare di implodere subito, questo nuovo movimento; a meno
di non ritenere risultati le mere vetrine rotte del MC
Donald.
Sul movimento, su tutti noi, come si accennava prima,
potrebbero riprendere a piovere pietre, con maggiore
violenza di oggi; che almeno non crediamo di poterci
riparare aprendo un ombrello.
Stefano Palmisano
Fasano, 16\6\2001
scritto pubblicato su
L'Avamposto degli Incompatibili
http://www.controappunto.org