Sezioni del 41 bis: Cuneo, L'Aquila, Marino del Tronto (Ascoli Piceno),
Novara, Parma, Pisa (Centro Diagnostico Terapeutico), Rebibbia (Femminile),
Rebibbia (Maschile), Secondigliano (Napoli), Spoleto, Terni, Tolmezzo (Udine),
Viterbo
Detenuti in 41 bis (al 27-7-02): 645, di cui 17 nell'Area Riservata
Posizione giuridica: 421 definitivi (e non); 55 ricorrenti; 81 appellanti;
79 in attesa di primo giudizio; 9 non classificati (dati non forniti dall'ufficio
matricola di alcune carceri)
Il giro cella a cella
Il giro nelle sezioni delle carceri dove sono detenuti i sottoposti al regime
del 41 bis, compiuto da Maurizio Turco e Sergio D'Elia, è iniziato
il 14 giugno e si è concluso il 27 luglio. Nonostante ripetute richieste,
la mappa delle carceri non è stata fornita, "per motivi di sicurezza",
né dal Ministero della Giustizia né dal Dipartimento per l'Amministrazione
Penitenziaria (DAP), ed è stata ricostruita via via da informazioni
fornite dagli stessi detenuti o dagli operatori penitenziari incontrati nel
corso delle visite.
La durata della visita è stata mediamente di quattro ore a carcere
con una punta massima di circa nove ore passate in quello di Parma nel quale
la durata della visita è dipesa non tanto dall'elevato numero dei detenuti
in 41 bis quanto dalla gravità della situazione riscontrata. La visita
a ogni detenuto, preceduta ogni volta da un colloquio con i responsabili del
carcere e da un giro nei passeggi dell'aria, nelle sale colloqui e nelle salette
della socialità, ha portato via mediamente dieci minuti. Eccetto in
due o tre casi, tutti i 645 detenuti visitati hanno chiesto di parlare con
noi. Con una decina di loro non abbiamo potuto parlare perché, al momento
della visita, impegnati in videoconferenza o perché a letto, in alcuni
casi in stato vegetativo.
Le sezioni del 41 bis sono gestite dai GOM (Gruppo Operativo Mobile), reparti
speciali dei quali abbiamo potuto verificare la professionalità e,
in linea di massima, l'uniformazione alle regole dettate centralmente. Laddove
la gestione non è affidata ai GOM, come nel carcere di Parma, la situazione
è al limite più grave, dal punto di vista del trattamento riservato
ai detenuti in 41 bis, come se i custodi "normali" di detenuti così
"speciali" volessero dimostrare che anche loro sanno gestire il
"carcere duro" e, per dimostrarlo, adottano qualche restrizione
supplementare.
L'Area Riservata... riservata a chi?
Le 13 sezioni dei 41 bis sono quasi sempre in una palazzina separata dal resto
del carcere e 6 di queste hanno una cosiddetta Area Riservata per i detenuti
"eccellenti" del tipo di Totò Riina, Leoluca Bagarella, Nitto
Santapaola e pochi altri, 17 in tutto. Di solito sono al piano terra della
sezione, quella meno areata e illuminata del carcere, con il bagno nella stanza
che spesso è un cesso alla turca o nel migliore dei casi un water posto
dietro a un muretto. Il "passeggio" di questi detenuti più
"speciali" degli altri è una possibilità spesso non
sfruttata perché andare all'aria per loro vuol dire andare in una sorta
di gabbia di cemento armato di due, tre metri per cinque e alta tre metri,
chiusa in cima da una pesante rete a maglie molto strette.
I detenuti dell'Area Riservata sono totalmente isolati dagli altri detenuti
in 41 bis, ma in quest'area sono finiti anche detenuti dallo scarso rilievo
criminale, i quali dopo una lunga e accurata selezione sono stati designati
dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria a fare da compagni ai
"capi di Cosa Nostra" dopo che, da un paio d'anni a questa parte,
i giudici hanno riconosciuto anche a loro il diritto all'aria in comune e
alla socialità. É quanto accaduto a Salvatore Savarese un condannato
per associazione a delinquere di stampo camorristico entrato in carcere nell'82
e uscito nel '96, poi rientrato nel '99 per una condanna a 3 anni e che quando
abbiamo incontrato aveva un mese a fine pena [nel frattempo sarà già
uscito]. È stato messo al carcere duro di Ascoli nell'aprile del 2001,
proveniente dal carcere di Trani dove non era in 41 bis e ora non capisce
cosa faccia uno come lui, il detenuto forse meno pericoloso d'Italia, in una
sezione col "pericolo pubblico numero uno". Il risultato è
che su di lui si sono determinati un isolamento pressoché totale e
le più dure condizioni del carcere duro mai riservate a un detenuto
italiano: nel budello dell'aria non ci va quasi mai, come d'altra parte Riina,
e a fare socialità nella cella del "capo di Cosa Nostra"
nemmeno, "perché - ci ha detto - con tutte quelle telecamere è
come andare nella casa del Grande Fratello".
Le sezioni "normali" del 41 bis
Le sezioni "normali" del 41 bis hanno un bagno separato ricavato
in un angolo e con il water. In alcune sezioni, come quelle di Cuneo, L'Aquila,
Viterbo, alle finestre delle celle ci sono fino a tre sbarramenti: il primo
di sbarre vere e proprie, il secondo di una rete abbastanza fitta, il terzo
fatto da una serie di fasce di ferro o di vetro antiscasso attaccate una sopra
all'altra a formare una specie di tapparella (chiamata, chissà perché,
"gelosia" in gergo penitenziario) leggermente inclinata verso l'esterno
dalla quale filtra poca aria e poca luce. I detenuti di queste celle hanno
avuto in questi anni un notevole abbassamento della vista. È una delle
tante limitazioni vissute nelle sezioni del 41 bis che i detenuti di Viterbo,
rivolgendosi al Capo dello Stato in una lettera del 5 agosto scorso hanno
definito "come sofferenze inutili e non ragionevoli, inflitte per mero
sadismo, tanto da far maturare nel popolo dei reclusi la certezza che le stesse
abbiano il solo scopo di annullare del tutto persino la loro coscienza e volontà".
I detenuti di queste sezioni vanno all'aria, due ore al giorno, in gruppi
di 6 o 7, così pure in socialità in una saletta normalmente
ricavata da due celle a cui hanno tolto il muro divisorio o, in alternativa,
vanno in una cosiddetta palestra dove di solito c'è una cyclette, un
vogatore (quando funziona) e una panca per fare i pesi. I passeggi per l'ora
d'aria variano da carcere a carcere. Si va da quelli davvero ridotti di Viterbo
a quelli grandi come campi di calcetto di Spoleto.
In queste sezioni, ci sono anche detenuti che non hanno lo spessore criminale
di capi mafiosi. Intanto, un terzo è in attesa di un giudizio definitivo,
e molti di coloro condannati in via definitiva, hanno già scontato
la pena per il reato "ostativo" alla concessione dei benefici penitenziari
che ha motivato l'applicazione del 41 bis.
Una prima cosa che si dovrebbe fare, prima di parlare di proroghe e stabilizzazione,
è fare uno screening serio sui 645 41 bis e vedere a chi e come è
stato applicato il "carcere duro". Un esempio fra tanti, il caso
di Giuseppe Chierchia, 36 anni, di Torre Annunziata (NA), entrato in carcere
nel giugno '99 per esecuzione pena per un reato del '90 passato in giudicato
(associazione finalizzata allo spaccio e altro) che finirà di scontare
fra un anno. È stato assolto il 29-11-2001 dalla Corte di Assise di
Napoli per i reati di associazione di tipo mafioso e omicidi per i quali,
semmai, sarebbe stato giustificato il 41 bis, al quale è stato assegnato
sei mesi fa. Così, il detenuto descrive il suo caso nella lettera inviata
a Radicali Italiani a cui allega copia di sentenze e posizione giuridica:
"Credo di essere l'unico in tutta Italia a stare in 41 bis con reati
per i quali dovrei stare in un circuito normale. Per l'unico reato che sto
scontando [art. 74 e altro, ndr], quando ero giudicabile ho avuto gli arresti
domiciliari e poi la libertà provvisoria, ora non capisco il perché,
da definitivo, lo devo scontare al 41 bis. Quando sono andato a discutere
il 41 bis davanti al Tribunale di Sorveglianza di Perugia il 31 gennaio del
2002 e il mio legale gli ha presentato tanto di sentenza di assoluzione per
i reati che lo avrebbero giustificato, il tribunale non ha voluto tenerne
conto. Così sto ingiustamente al 41 bis, privato del calore dei miei
cari e soprattutto dei miei figli in tenera età. Non sono un mafioso
né un camorrista, ho solo fatto un errore 12 anni fa e lo sto pagando
caramente."
Il vetro dello scandalo
I colloqui, uno al mese, si svolgono in un locale di solito molto piccolo,
una sorta d'acquario col vetro divisorio fino al soffitto, telecamera, citofono
per parlare coi parenti. Le sale "colloqui", quanto a dimensioni
vanno dalle più grandi, nel carcere di Tolmezzo, alle più piccole
di Viterbo e L'Aquila dove consistono in due "cabine telefoniche"
di 1 metro per 1 metro, una dalla parte del detenuto dove più o meno
una persona ci sta, l'altra dalla parte dei familiari dove devono fare i turni
per parlare al citofono.
Poi ci sono quelle senza vetro divisorio che servono per i dieci minuti di
colloquio consentiti coi figli minori di 12 anni: non hanno il vetro fino
al soffitto ma un bancone che consente il contatto fisico comunque sottoposto
a videoregistrazione da parte di una telecamera. In queste sale si verificano
di solito le scene più penose: bambini in tenera età che - staccati
dalla madre che non può accompagnarli - piangono, urlano, scappano
dal padre che non hanno mai visto o non riconoscono più dopo tanti
anni. Sono diffusi i casi di figli minori di detenuti in 41 bis che sono sottoposti
a trattamenti psicoterapeutici.
Il vetro divisorio è il problema su cui tutti i detenuti si sono soffermati.
"La nostra protesta civile è per abbracciare i nostri figli. Il
vetro divisorio è una tortura psicologica, ci sono mezzi alternativi,
telecamere, microfoni e quant'altro. Se lo mantengono è solo per farci
pentire, ma il pentimento coercitivo non è genuino", hanno dichiarato
molti detenuti. Pur di avere un minimo contatto coi propri cari, un detenuto
è arrivato a proporre: "Possono farci mettere solo le mani attraverso
due buchi praticati nel vetro come avviene in certi laboratori per i ricercatori
che devono trattare sostanze pericolose". Sostanze pericolose, non è
detto a caso: nei decreti ministeriali di assegnazione al 41 bis, i familiari
e la loro visita sono chiaramente visti come la fonte principale del pericolo
per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Sui colloqui con o senza vetro è illuminante un episodio riportato
nella Relazione del Procuratore Generale della Corte d'Appello di Caltanissetta
per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2000 (15 gennaio 2000). Tra le operazioni
di polizia giudiziaria che hanno avuto successo nella relazione si cita il
fatto che: "In data 21/01/1999 ancora la Squadra Mobile eseguiva un'ordinanza
di custodia cautelare nei confronti di Paolello Antonio e Tascone Leonardo
in ordine ai delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso e tentata
evasione. Il provvedimento scaturiva dall'esito di mirate indagini che, sulla
base di videoregistrazione dei colloqui in carcere tra il detenuto Paolello
e il nipote Tascone nonché di intercettazioni ambientali, avevano portato
ad accertare un piano di fuga del primo da eseguire con l'impiego delle armi
anche a costo di commettere una strage durante una delle tante sue traduzioni
per partecipare a udienze processuali". Dalla notizia si evince che i
colloqui coi familiari possono essere videoregistrati e costituire fonte di
informazione utile per attività investigative e per prevenire reati...
Con buona pace del vetro divisorio!
C'è poi chi ci mette del suo
Oltre alle limitazioni scritte nel decreto del ministro e che valgono per
tutti i detenuti in 41 bis, c'è poi il valore aggiunto limitante che
è a discrezione del singolo direttore del carcere: la lista della spesa
consentita varia da sezione a sezione; a Spoleto sono pericolosi i fagioli,
a Parma le uova, a Terni i sigari (anche se fumati all'aria). In un carcere
è consentito il walkman per studiare l'inglese in altri no. In uno
i libri non pesano nel conto dei dieci chili mensili consentiti per i pacchi
dalla famiglia, ad Ascoli fanno peso. A L'Aquila è consentito indossare
una giacca imbottita e trapuntata durante l'inverno, privilegio che non possono
avere i detenuti a Viterbo e a Novara, però in cambio a Novara come
pure a Cuneo, a discrezione del Tribunale di Sorveglianza, ai detenuti possono
essere concessi fino a 4 pacchi al mese dalla famiglia e a Parma addirittura
4 colloqui.
Nelle sezioni del 41 bis, i detenuti non possono frequentare corsi scolastici,
si può studiare solo per proprio conto e l'unico intermediario coi
professori è un educatore, che però si fa vedere raramente.
Ciononostante, non sono rari i casi di detenuti che si sono diplomati in 41
bis o hanno conseguito una laurea o la stanno conseguendo.
La salute in 41 bis
La cura della salute di questi detenuti è un optional ed è affidata
al buon cuore di operatori penitenziari, spesso gli stessi agenti, piuttosto
che alla presenza di un presidio sanitario efficace. Non sono rari i casi
di detenuti infartuati, colpiti da ictus, operati di cancro, di paralizzati
o costretti sulla sedia a rotelle che non hanno il "piantone" in
cella o non l'hanno avuto nemmeno pochi giorni dopo l'operazione.
Leonardo Vitale, 47 anni (anche se ne dimostra 70), operato per un tumore
al cervello il 31 luglio 1999 all'Ospedale S. Camillo di Roma, è stato
dimesso il 7 agosto e dopo sette giorni messo in una cella dell'Area Riservata
della sezione 41 bis del carcere di Viterbo, dove è tuttora, da solo
e con grandi difficoltà a usare il cesso alla turca.
Antonino Geraci, 85 anni, da 86 chili che pesava nel '92 quando è entrato
in carcere, direttamente al 41 bis, ora ne pesa 57. È nel cosiddetto
centro clinico della sezione 41 bis di Secondigliano, quasi cieco, sempre
a letto o sulla sedia a rotelle, non va all'aria da più di un anno
e non ha il piantone. Lo aiuta un compagno di cella, Francesco Loiacono, che
del piantone avrebbe bisogno lui stesso, con i suoi tre infarti già
avuti e il cuore al 65% necrotico, e che invece è costretto a imboccare
l'altro per farlo mangiare e accompagnarlo al cesso per fargli fare i bisogni.
Da denuncia penale è la situazione nel Centro Diagnostico Terapeutico
del Carcere di Parma dove vi sono anche 4 detenuti in 41 bis, ai quali per
non fargli avere contatti con i detenuti "normali" tengono la blindata
chiusa dalla mattina alla sera e gliela aprono di notte (insomma, tutto al
contrario). Uno di questi è Marcello Gambuzza, in carcere da 5 anni,
è sempre stato nel circuito normale, ma da un mese è in 41 bis.
Entrato in carcere già sulla sedia a rotelle per un colpo d'arma da
fuoco che lo ha colpito al midollo spinale e lo ha paralizzato dalla quarta
vertebra in giù, è costretto a letto, non ha un piantone e il
medico lo vede solo quando lui ne fa richiesta. Le lenzuola sono lerce e sul
letto ne ha un paio pulite che però lui non può cambiarsi da
solo e possono essere cambiate solo da un altro detenuto che può entrare
nella cella quando lui non c'è. Ha un catetere per raccogliere le urine
oppure per svuotare la vescica si deve far aiutare da una guardia a salire
sulla sedia a rotelle e farsi accompagnare al bagno dove la sedia non entra
e allora lui scarica l'urina nel bidè. Stessa storia per un altro detenuto,
Giovanni Alfano, anche lui costretto sulla sedia a rotelle a seguito di un'ischemia
cerebrale: entrato in carcere 5 anni fa che pesava 105 chili, ora ne pesa
50 a causa di una anoressia ipocondriaca; da 3 anni e mezzo in 41 bis, di
cui 3 nel cosiddetto centro clinico di Parma.
Luigi Giuliano, detenuto a L'Aquila dopo 3 anni di isolamento a Parma, si
era costituito (anche se nei fascicoli risulta arrestato dalle forze dell'ordine)
e dopo 20 giorni era già in 41 bis. Nel '98, per motivi di salute,
il ministero gli ha attenuato il regime duro e il 12 giugno del 2002 gli ha
revocato il regime attenuato. Tra le varie patologie ha anche un fegato da
trapiantare, ma non è seguito dal punto di vista medico.
Le donne in 41 bis
Le donne in 41 bis sono tre, tutte detenute nel carcere di Rebibbia. Una,
Maria Buompastore, di Montescaglioso (Matera), è in carcere da 4 anni,
in 41 bis dal 31 gennaio 2001. Condannata in primo grado insieme a suo marito,
anche lui in 41 bis, a 22 anni di carcere, ha tre bambini di cui uno malato
di leucemia. Un'altra è Erminia Giuliano, di Napoli, arrestata nel
dicembre 2000 e in 41 bis dal maggio 2002, è ancora in custodia cautelare.
Nessun precedente penale, è in attesa del primo grado e in due anni
non ha fatto ancora nessuna udienza processuale, mentre per sei volte in due
anni è cambiato il collegio giudicante. La terza e ultima donna in
41 bis è Teresa De Luca, di Napoli, condannata a 8 anni in appello
per traffico di droga e poi andata definitiva, è stata arrestata nel
dicembre 2000 per associazione camorristica e messa in 41 bis nel gennaio
del 2000. "Mi hanno arrestato per far pentire mio figlio [Antonio Bossa
De Luca, anche lui in 41 bis a Parma, in condizioni gravi di salute, ndr]",
ha dichiarato. Ha altri quattro figli, tra cui uno che è diventato
balbuziente da quando l'ha vista in carcere la prima volta che vi era finita
nel '98.
La gabbia procedurale
Oltre che nella cella da 41 bis, i detenuti sono prigionieri anche di una
sorta di "gabbia procedurale" dalla quale non riescono ad uscire
se non per mezzo del pentimento: la proroga semestrale dei decreti, spesso
sempre gli stessi e basati sulle note informative degli organi di polizia,
non consente loro di ricorrere in Cassazione perché i tribunali di
Sorveglianza rispondono ai loro reclami quando ormai il decreto è stato
"rinnovato" e per la Suprema Corte viene meno l'interesse a prendere
in esame il loro ricorso. Sicché, si contano sulle dita di una mano
i casi di detenuti che hanno visto il loro reclamo accolto da un Tribunale
di Sorveglianza o un ricorso accolto dalla Cassazione, nell'uno o nell'altro
caso risolvendosi in una "vittoria di Pirro" per il detenuto perché
nel frattempo un "nuovo" decreto ministeriale ha azzerato tutto.
"Siamo - ha detto un detenuto - in una sorta di gioco dell'oca nel quale
si riparte sempre e inesorabilmente dal punto di partenza".
Le videoconferenze
Molti sono i detenuti condannati in processi fondati sul "sentito dire"
dei pentiti dai quali la possibilità di difendersi si è drasticamente
ridotta da quando è stato inaugurato il sistema delle videoconferenze.
"Prima del 41 bis - ci ha detto un detenuto - ho vinto molti processi,
poi con le videoconferenze ho cominciato a perderli, perché è
impossibile difendersi, non riesco a far fare al mio avvocato una domanda
a chi mi accusa che il pentito se ne è già andato. Il 41 bis
serve a produrre pentiti da cui non ci si può difendere per via delle
videoconferenze: è un circolo vizioso, ma perfetto per chi accusa".
Le stesse modalità tecniche di comunicazione e possibilità di
ascolto e comprensione tramite i collegamenti in videoconferenza, sono tali
da non assicurare agli imputati di mafia una effettiva possibilità
di difendersi. Ne è un esempio clamoroso proprio il cosiddetto "proclama"
di Leoluca Bagarella. Nessuno ha potuto ascoltare cosa ha detto realmente
Bagarella quel giorno eppure - forse, grazie a questo - si è potuta
aprire la fiera delle interpretazioni "autentiche": messaggio in
codice, ricatto politico, annuncio di guerre di mafia.
41 bis e diritti umani
È incredibile come tutti siano allineati e coperti sulla necessità
di mantenere questo regime di 41 bis e come nessuno veda nell'applicazione
di condizioni di pena così inumane e degradanti un rischio di morte
e un degrado, innanzitutto, del nostro stato di diritto e del nostro senso
di umanità. E chi parla di stato di diritto, di Costituzione, di rispetto
dei diritti umani anche nei confronti dei capi mafiosi, viene considerato
un garantista ingenuo se non un utile idiota.
Qui in discussione non è chi sono, cosa hanno fatto o cosa potranno
fare questi detenuti, in discussione è chi siamo noi - noi stato, noi
società civile -, cosa facciamo e cosa rischiamo di divenire se noi
non riconoscessimo al peggiore degli assassini quei diritti umani fondamentali
che lui ha negato alle sue vittime. È proprio di fronte a casi estremi
di emergenza ed efferatezza che si misura la forza di uno stato, e la forza
sta innanzitutto nel diritto, nel limite cioè che stabiliamo di porre
(e che serve) a noi stessi, al nostro sacrosanto senso di giustizia, di rivalsa,
di legittima difesa.
Porre l'aggressore in condizione di non nuocere, di non minacciare più
la nostra vita, la nostra sicurezza, è obiettivo prioritario anche
nostro. Ma dopo aver visitato le sezioni del 41 bis e riscontrato alcune storie
di detenuti lì rinchiusi, ci chiediamo se lo Stato italiano stia realizzando
questo obiettivo o non stia invece vendicandosi di fatti orribili, con ciò
arrecando un danno inutile a se stesso e andando verso una deriva pericolosa
della propria civiltà.
Il giro "cella-a-cella" del 41 bis diventerà a breve un libro
bianco sulla detenzione speciale in Italia che metteremo a disposizione del
parlamento italiano che a settembre dovrà esaminare le proposte di
proroga e/o di stabilizzazione del "carcere duro" e che presenteremo
anche agli organismi europei e internazionali preposti al controllo e alla
tutela dei diritti umani fondamentali dai quali chiederemo di essere auditi.
Fonte: pubblicato sul sito http://www.radicali.it/