Sono stato l'avvocato di Gianfranco Bertoli
da una corrispondenza privata il breve racconto dell'incontro con Gianfranco Bertoli

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Da: "Alfredo"
Data: Wed, 1 Oct 2003 08:36:12 - 0400
A: "Joe"
Oggetto: Per Joe, su G. Bertoli

caro Joe,
anche se solo per una breve visita a Porto Azzurro sono stato l'avvocato di Bertoli.
Sono passati molti anni e non so se ricordo tutto esattamente, posso essere sicuro solo delle sensazioni che mi rimangono....
Esercitavo ancora la professione a Roma ed i compagni mi ritagliavano ancora addosso un ruolo cui non ho mai creduto: quello di "avvocato compagno" (che a me appariva assai simile a quello di un ipotetico palombaro ciclista), di cui mi sono liberato solo molto più tardi...
Una telefonata di Paolo di A-Rivista mi "assoldò" (in realtà per un simbolico fondo spese) chiedendomi di visitare Bertoli che aveva espresso la necessità di un consiglio legale da parte di un avvocato "di movimento". Se non ricordo male al colloquio mi disse che gli era baluginata la timida idea di querelare un giornalista (o un giudice) per qualcuna delle solite dichiarazioni di cui era stato fatto oggetto.
La mia cultura calabrese ("la querela è solo una ricevuta in carta bollata" si dice dalle mie parti) e le mie tendenze ideologiche (con molte contraddizioni potevo  ancora accettare di "difendere legalmente" i compagni vittime della repressione nella totale sfiducia del ruolo e per motivi quasi esclusivamente umanitari e solidaristici ma non mi sarei mai prestato a collaborare con un compagno in  un percorso giudiziario,  per così dire "rivendicativo", all'interno delle logiche istituzionali) mi spinsero a rispondergli subito che per tale tipo di scelta avrebbe dovuto rivolgersi a qualcun altro.
Ebbi la immediata sensazione che l'ipotesi della querela  fosse solo un flebile pretesto per poter parlare con un "affine" sia pure sconosciuto. È così che l'idea di querelare fu accantonata immediatamente (non so se poi la riprese con un altro avvocato) ed il colloquio si protrasse sulla sua vicenda personale, sulla situazione generale, e soprattutto su temi epistemologici.
Mi raccontò che in quel periodo aveva un incarico presso la biblioteca del carcere che gli permetteva di approfondire i temi che più gli interessavano (ad allora era l'epistemologia in cima ai suoi interessi).
Ebbi l'impressione di un uomo colto,  sereno e fatalista ("tanto lo so che da qui potrò uscire o con una evasione, altamente improbabile, o, con più probabilità, da morto: sono l'unico autore di strage in italia che sconta il "suo ergastolo", già questo dovrebbe tacitare tutti quelli che mi calunniano... se fossi davvero quello che loro dicono o sarei stato già ammazzato o espatriato con altra identità ...").
Una persona che mi piacque e mi colpì molto, il cui "atto fatale" era rimasto per così dire imbozzolato nel passato (non saprei dire se era pentito o meno, sembrava solo una persona ormai totalmente diversa da quella che l'aveva compiuto).
Qualche giorno dopo il colloquio mi arrivò una sua bellissima lettera, che sicuramente conservo da qualche parte, e da allora seppi di lui solo quello che appariva a sua firma sulla stampa anarchica (posizioni che trovavo assai condivisibili sia nei temi "colti" sia su quelli d'attualità, come la delicata convivenza e la coraggiosa, dura ed equilibrata ad un tempo, critica nei confronti delle BR ed alla egemonia che esse tentavano di imporre nell'universo carcerario) e sulla stampa istituzionale.
La pregiudiziale e totale sfiducia che nutro nei confronti di quest'ultima veniva vieppiù alimentata, se possibile, dal trattamento ignobile che a lui veniva riservato (specie da quella della c.d. "sinistra"), così come anche il suo caso ha potuto vieppiù alimentare, se possibile il mio disprezzo per il sistema giudiziario e le sue "verità".
Ho saputo poi che né la sua intelligenza né la sua cultura lo hanno riparato dal trauma del "mondo esterno", una volta riacquistata una parvenza di libertà dopo decenni di segregazione subita con quel suo forte senso di fatalità.
Ad A-Rivista tutto il mio ammirato stupore per come abbia saputo nel necrologio evitare qualsiasi retorica tratteggiandone un ritratto vivido, scomodo e sincero.
Un abbraccio
Alfredo