Negli Usa il carcere privato ha una lunga storia. Oggi conosce
un rilancio grazie alla crescita della popolazione carceraria e ai profitti
che consente.
Fu Dostoevsky a sostenere che, "la qualità della società
si misura dalla qualità delle sue prigioni". Una sintesi analogica
che oggi più che mai dovrebbe essere tenuta in considerazione se
si vuole capire in che direzione muove la società contemporanea.
E sicuramente a questo riguardo quanto sta accadendo negli Stati Uniti
d'America rappresenta uno dei segnali più inquietanti del nostro
secolo.
Il sistema carcerario e giudiziario statunitense è
probabilmente uno dei più limpidi esempi dei meccanismi attraverso
i quali il potere dominante esercita un controllo fisico e psicologico,
sopra milioni di persone. Attualmente negli Stati Uniti ci sono quasi due
milioni di detenuti e recenti statistiche affermano che il numero è
destinato a crescere (con le attuali tendenze 1 americano ogni 20 finirà
in carcere); nei bilanci la spesa per costruire nuove prigioni è
di gran lunga superiore a quella dedicata alla costruzioni di nuove università.
Secondo uno studio del Justice Policy Institute dal 1987 al 1995 la spesa
pubblica per nuovi istituti di pena è cresciuta del 30 per cento,
mentre la spesa per leducazione superiore è diminuita del 18 per
cento. Attorno a questa tendenza negli ultimi anni si è sviluppato
un enorme business che ha subito una vera e propria accelerazione in conseguenza
della decisione di molti stati di trasferire la gestione carceraria in
mano ai privati. Una privatizzazione che alimenta uno sfruttamento sociale
ed economico di uomini e donne che già privati della libertà,
sono obbligati a lavorare per le grandi multinazionali, pagati con stipendi
ben al di sotto dei minimi salariali, privati di diritti ma caricati doveri.
Carceri per profitto
L'incarcerazione di esseri umani è sicuramente
uno dei compiti più controversi e meno gradevoli, indipendentemente
dal regime che lo applica. La decisione di privatizzare il sistema ha comportato
la necessità di porsi alcune domande, che vanno oltre a quelle più
specifiche legate al concetto di detenzione e punizione erogata dallo Stato.
È infatti opinione comune che la restrizione della libertà individuale,
la criminalizzazione e la punizione di certi comportamenti e persino l'ipotesi
di togliere la vita in conseguenza di questi ultimi siano parte di un processo
decisionale che non può essere delegato a terzi dallo Stato. Gli
argomenti a sostegno di questo principio sono di origine etica, legale
e di convenienza. Ma oggi queste ragioni vengono messe in discussione da
un sempre più ampio gruppo di interessi particolari, che perseguono
non tanto il principio di una migliore erogazione della giustizia, quanto
puri e semplici interessi economici.
La privatizzazione delle carceri negli Stati Uniti non
è una novità del XX secolo. Prima dell'abolizione della schiavitù
non esisteva negli Usa un vero e proprio sistema penitenziario. Chi violava
le leggi, non scritte, veniva punito con torture o pene corporali. Il concetto
di carcere nasce infatti in Europa, in Francia e in Gran Bretagna, quando
davanti alle crescenti critiche e proteste contro le punizioni pubbliche
considerate unici deterrenti contro i crimini, si generalizzò la
procedura di isolare e detenere in luoghi appositi chi violava la legge.
La detenzione divenne quindi una pena. Negli Stati Uniti fu solo dopo la
guerra civile e con la promulgazione della costituzione che questo sistema
divenne necessario. Nella Carta costituzionale veniva abolita la schiavitù,
ma si stabiliva una forma di punizione-detenzione per i colpevoli di crimini
più o meno gravi.
La prima prigione venne costruita nel 1817 a Auburn nello
stato di New York. Il detenuto era in pratica uno schiavo, la cui forza
lavoro era a disposizione dello Stato, ma non solo. Frequente era il caso
in cui i carcerati venivano messi all'asta. Una volta "venduti" stava all'impresario
assicurare loro un alloggio e il cibo. Allora come oggi, le prigioni ospitavano
in gran parte afroamericani: liberi dalla schiavitù, erano "tenuti
sotto controllo" dal sistema carcerario. La nascita di istituti di detenzione
in tutto il paese provocò la protesta tanto dei primi sindacati
che del padronato: l'utilizzo di forza lavoro gratuita veniva visto come
un atto di "ingiusta competizione". Ma non fu questo a promuovere la riforma
del sistema, una serie di inchieste e di indagini promosse dal Congresso
rivelarono una realtà di orrori che provocò l'indignazione
dell'opinione pubblica. Sotto pressione il governo avviò la riforma.
Una riforma lenta e che si realizzò in tutti gli stati solo nel
1930 con l'abolizione del "sistema di affitto" e assegnò per legge
la gestione delle carceri al governo federale.
La dura lezione del passato non è servita. Alla
fine del XX secolo infatti l'imperante ideologia del libero mercato ha
preso il sopravvento e le carceri sono tornate ad essere l'obbiettivo di
interessi economici privati. Il nuovo processo di privatizzazione ha avuto
inizio negli anni 80 quando tre tendenze si trovarono a convergere: gli
imperativi ideologici imposti dalla competizione, un incremento nel numero
dei detenuti e il concomitante aumento dei costi di mantenimento del sistema
penitenziario. Erano gli anni di Reagan, in cui la superiorità dell'impresa
privata rispetto a quella pubblica veniva professata a piena voce da economisti
e politici.
Più prigioni, più soldi
La spinta privatistica combaciò con una severa
crisi sociale ed economica, a cui il governo centrale rispose con leggi
più severe e rigide. Le nuove legislazioni anti-crimine, come il
mandatory minimum sentence, pena minima obbligatoria, o norme che restringono
la possibilità di riduzione della pena, hanno portato gli Stati
Uniti tra gli anni 80 e primi 90 a triplicare la popolazione carceraria.
Un aumento non giustificato da un incremento della criminalità,
anzi tra il 1975 e il 1985 questa aveva fatto registrare una diminuzione
pari all'1,42 per cento. La prima conseguenza è stata un incremento
delle spese statali per la detenzione. La California, lo stato americano
con il più grande sistema penitenziario alla fine degli anni 80
presentava un bilancio per le carceri di 2,1 miliardi di dollari.
Secondo le stime più recenti il bilancio di gestione
del sistema carcerario statunitense si aggira sui 20 miliardi di dollari
all'anno. Ogni anno si spendono circa 6 miliardi di dollari per costruire
nuove celle solo per "ospitare" i nuovi arrivi. Cifre che non risolvono
i problemi di sovraffollamento già preesistenti.
Il settore pubblico carcerario da lavoro a più
di 50 mila guardie, e a migliaia di impiegati, amministratori, assistenti
sanitari, personale di servizio. Nelle comunità rurali dove le opportunità
di lavoro sono scarse, un carcere può rappresentare un importante
incentivo economico capace di assicurare lavoro stabile ed entrate regolari.
Attorno agli istituti di pena ruota inoltre un enorme
produzione indotta: da chi produce tute carcerarie, al filo spinato, a
chi fornisce trattamenti anti-droga a servizi di sanità. In pratica
la gestione totale di un carcere da parte di un privato ha rappresentato
solo l'ultimo passaggio di una privatizzazione che è andata gradualmente
espandendosi.
L'industria
La struttura industriale privata nel settore carceri
ha una caratteristica oligopolistica: sono infatti due le dominatrici del
mercato, il resto è diviso tra a una miriade di piccole società.
Le due "regine" sono la Correctional Corporation of America (Cca) e la
Wackenhut Corrections Corporation. Insieme controllano oltre la metà
delle operazioni e gestiscono una trentina di carceri di minima e media
sicurezza. Il resto del mercato è nelle mani di piccole compagnie
con interessi legati alle realtà locali. Il nuovo boom privatistico
ha dato vita a tutta una serie di speculatori pronti a trarre un rapido
profitto dal traffico di detenuti. Rispetto ai due giganti dellindustria,
queste piccole società di norma sono gestite da veri e propri sfruttatori
che vendono per il solo profitto carceri sotto forma di sviluppo economico
a piccole comunità rurali costantemente alla ricerca di mezzi e
metodi per ridurre i bilanci locali. Il loro slogan è semplice:
le prigioni sono sovraffollate, costruite un carcere e i detenuti verranno
a voi! Ci guadagnerete in posti di lavoro e aumenterete le entrate fiscali.
La realtà è molto diversa. I lacci delle leggi non rendono
sempre questa equazione funzionale, e spesso carceri costruite e gestite
in questo modo sono andate fallite, facendo pagare costi elevati alla comunità.
La Wackenhut, fondata nel 1954 da George Wackenhut, un
ex funzionario dello Fbi, è stata storicamente la prima a occuparsi
di carceri. Considerata la più grande e la più nota, è
anche quella che più delle altre ha diversificato i suoi investimenti:
la gestione e costruzione di istituti di pena è solo uno dei servizi
che la società offre. La Wackenhut è leader anche nei sistemi
di sicurezza per aeroporti, centrali nucleari ed impianti energetici. Nata
come una piccola compagnia di guardie private, oggi la Wackenhut registra
utili sopra ai 700 milioni di dollari. Attualmente amministra allincirca
5,500 detenuti in 11 carceri in 5 stati. Ma i suoi interessi non si fermano
ai confini degli Stati Uniti, infatti la Wackenhut gestisce due istituti
di media sicurezza in Australia e sta sviluppando relazioni in Sud America,
Europa e Asia. Se fino ad oggi le carceri non hanno rappresentato il nucleo
centrale delle sue operazioni, la direzione ha recentemente espresso lintenzione
per il futuro di dare priorità a questo settore.
La Correctional Corporation of America è sul mercato
da molto meno tempo e non può definirsi un impero al pari della
Wackenhut, ma è considerata la pioniera nella costruzione e nellamministrazione
degli istituti di pena privati, che rappresentano il suo unico campo di
operazioni. Fondata nel 1983 dagli stessi uomini che sono dietro allimpero
del Kentucky Fried Chicken (la catena di fast food che vende pollo fritto),
la Cca ha saputo conquistarsi una larga fetta del mercato grazie alle capacità
e conoscenze politiche di due dei suoi fondatori: un abile banchiere di
Nashville, Doctor R. Crants, e lex presidente del partito Repubblicano
in Tennessee Tom Beasley. Oggi è il leader nel settore carcere,
gestendo più di 21 istituti di pena con oltre 6000 detenuti negli
Usa. La Cca ha inoltre contratti in Gran Bretagna ed in Australia. Quotata
alla borsa di Wall Street è stata recentemente qualificata come
la quinta società per utili sul mercato newyorkese.
I contrasti del sistema privatistico
Secondo recenti statistiche nei prossimi 5 anni la percentuale
del mercato della detenzione in mani private negli Usa crescerà
più del doppio. Se si mette da parte momentaneamente la questione
morale di delega di una funzione che eticamente spetta allo stato, due
sono le aree che più preoccupano: lefficienza e la responsabilità.
Per quanto riguarda la prima cè da porsi la domanda se è
possibile lasciare ai privati la gestione più vantaggiosa economicamente
di istituti di pena senza sacrificare "qualità" nel servizio. Per
quanto attiene alla responsabilità esiste un "problema" di controllo,
e cioè quali meccanismi esistono per determinare se gli interessi
della società siano posti prima di quelli delle compagnie che amministrano
il sistema.
Risposte difficili da dare vista la mancanza di ricerche
che mettano a confronto sistema privato e sistema pubblico. Ma qualcosa
sta emergendo come il fatto che almeno negli Stati Uniti, i gestori privati
non sono in grado di fornire un servizio meno oneroso senza sacrificare
elementi di "qualità". Infatti se per "efficienza" si intende la
capacità di albergare dei corpi ad un prezzo competitivo rispettando
solo i livelli minimi di sussistenza, allora il sistema funziona. Ma se
lincarcerazione di un individuo implica anche la possibilità di
recupero o almeno ridurre la recidività al crimine, il sistema privato
messo a confronto con il pubblico ha un problema non indifferente: uno
smaccato conflitto di interesse. Infatti "rieducare" un detenuto significherebbe
per questi gestori eliminare clienti per il futuro. Non è quindi
negli interessi materiali di queste società produrre carcerati che
hanno pagato il loro debito, ma uomini che continueranno a pagare.
Per quanto riguarda la responsabilità, esiste
un vero e proprio problema legislativo. In base alle leggi federali degli
Stati Uniti, gli stati devono sottostare a delle norme costituzionali che
non sono applicabili ad entità private. Con un Congresso e un sistema
giudiziario che tende a limitare sempre più le garanzie per gli
accusati, il futuro condannato si trova in un limbo dove in caso di violazione
dei suoi diritti nessuno è considerato imputabile di quella violazione.
Esiste poi un problema di sicurezza nei confronti della società
civile. Valga per tutti un reale fatto di cronaca accaduto poco tempo fa
in Texas e che ha messo in chiara evidenza di che tipi di problemi stiamo
parlando. La polizia di Huston venne informata della fuga di due uomini
dallistituto privato di pena vicino al capoluogo. Il centro era noto alle
autorità per essere uno degli istituti in cui venivano "posteggiati"
gli immigrati clandestini in attesa di rimpatrio. Ma i due evasi non erano
clandestini, ma due detenuti che facevano parte di un gruppo di 240 uomini
provenienti dallOregon tutti accusati di violenze sessuali e di cui le
autorità locali ignoravano la presenza in zona. Alle proteste dellamministrazione
cittadina la portavoce della compagnia, la Cca, replicò asserendo
che la società non era tenuta legalmente a comunicare alla polizia
larrivo di detenuti provenienti da un altro stato e che daltro canto
non era loro compito cercare di catturarli. Una operazione che si rivelò
molto più facile, in confronto al tentativo di processarli. Infatti
quando la polizia rintracciò i detenuti scoprì che non poteva
arrestarli, così come non lo è qualcuno che lascia il proprio
lavoro. Non era infatti considerato un crimine nello stato del Texas levasione
da un carcere privato. Fu possibile arrestarli solo perché durante
levasione i due uomini rubarono una vettura, e quindi erano perseguibili
per furto. Il Texas ha provveduto a modificare la propria legge.
Soldi o Giustizia?
Uno dei fenomeni emergenti che si sta sviluppando negli
Stati Uniti è la nascita di una "lobby delle prigioni": gruppi di
interesse il cui punto di riferimento non è il miglioramento della
società nel suo insieme, bensì la crescita dei profitti.
E così che leggi che riguardano nuove procedure giudiziarie, o nuove
regole per la libertà provvisoria, o nuovi stanziamenti di bilancio
in materia di detenzione, dove gli interessi degli operatori privati sono
direttamente coinvolti, rischiano di essere pesantemente influenzate e
piegate verso scopi che nulla hanno a che vedere con il temine di Giustizia.
Esiste poi il pericolo di una vera e propria manipolazione
delle paure della pubblica opinione. A differenza di altri campi di interesse
pubblico, le politiche in materia giuridica penale sono, negli Usa ma non
solo, determinate più che da una analisi reale dei dati sulla criminalità,
dalla percezione che si ha di questa. Chiunque negli Stati Uniti negli
ultimi 20 anni si sia presentato per una carica elettiva, ha sempre cavalcato
il tema della criminalità, mai affrontandolo come un problema da
capire, ma sempre come una delle minacce alla società; questo nonostante
il fatto che gli indici di criminalità negli Stati Uniti siano rimasti
invariati. Chi ha cercato di sfuggire a questa logica è stato inesorabilmente
sconfitto. Basti per tutti l'ultima campagna elettorale per il governatorato
nello stato di New York, dove Mario Cuomo governatore uscente, rispettato
e temuto, ha perso la sua terza rielezione su un unico tema: la sua opposizione
alla pena di morte.
Se tutto questo non bastasse a riportarci indietro
nel tempo, le prigioni, sia pubbliche che private, negli Stati Uniti si
stanno rivelando vere e proprie miniere di forza lavoro. Impossibile espandere
a questo punto la discussione ma basta ricordare quanto sta accadendo
in California dopo che un referendum del 1990, ha introdotto una nuova
normativa, nota come proposition 139. In base alla nuova legge le imprese
private possono utilizzare a scopo di profitto il lavoro dei detenuti.
Manufatti che prima erano prodotti allesterno, vengono oggi lavorati
dai carcerati che ricevono una paga pari il 20 per cento del salario minimo,
a cui è impedito di aderire ai sindacati o di godere dei più elementari
diritti riconosciuti a ogni lavoratore americano. La legge inoltre ha
fatto decadere il principio in base al quale il lavoro in carcere dovrebbe
essere volontario, facendo passare invece quello che sancisce il dovere
del detenuto a lavorare per pagare la sua carcerazione.
Simonetta Cossu, Maggio 1998
Pubblicato sul mensile Rifondazione all'indirizzo http://www.rifondazione.it/rivista/1998maggio/cossu.html
Nota:
Nel 1997 l'industria del carcere privato statunitense ha avuto profitti
calcolati in un miliardo di dollari, con circa 64.000 persone detenute
in 140 istituti privati. Per il 1998 è stato previsto il raggiungimento
di 85.000 persone detenute. Se il tasso di crescita annuale si mantiene
pari al 15-16 per cento, entro il 2006 tale cifra dovrebbe raggiungere
350-400 mila persone.