Presentato a Milano il volume di Michel Foucalut «Il potere psichiatrico». Al Paolo Pini Le politiche «amorali» di repressione del disagio psichico e sociale a trent'anni dal seminario del filosofo francese.
Il Paolo Pini, ex manicomio di Milano, è un posto giusto per parlare di buone e cattive pratiche della psichiatria contemporanea. Lo spunto, venerdì pomeriggio, l'ha fornito la pubblicazione del volume Il potere psichiatrico, traduzione in italiano del corso su questo argomento tenuto da Michel Foucault al Collège de France nell'anno 1973-74 (Feltrinelli pp.408, € 40). Su invito del laboratorio di sociologia dell'azione pubblica «Sui generis» (università di Milano-Bicocca), si sono ritrovati a discutere studiosi, psichiatri ed esponenti di associazioni appartenenti al «Forum per la salute mentale». La riflessione di Foucault nelle lezioni ora tradotte, ha osservato Giovanna Procacci, docente all'università di Milano, si presta bene a stimolare un'analisi «in concreto» perché è incentrata sull'aspetto pratico-politico della critica della psichiatria tradizionale. Il tema qui non è tanto la follia come concetto quanto il rapporto tra i medici e i loro pazienti, il dispositivo di potere che crea e plasma i modelli teorici nel vivo dei corpi dei folli allo scopo di ricondurli alla norma. È qui che nasce il trattamento morale per ricondurre le passioni nei loro «giusti limiti». Ed è qui che si qualifica come uno scontro, che dati i metodi di coercizione utilizzati dagli psichiatri ricorda da vicino la guerra, e per inciso anche quella ultramoderna.
Foucault ha contribuito come pochi altri a smascherare la truffa politica incorporata nel binomio follia/norma e a rendere «ovvia» la condanna morale della psichiatria basata sull'uso della forza fisica e ideologica. Ma gli psichiatri di cui parlava lui, come ha puntualizzato la coordinatrice del dibattito Ota De Leonardis, fornivano almeno delle (per quanto ridicole) giustificazioni scientifiche di quel che facevano. Oggi le pratiche coercitive ancora utilizzate nelle strutture psichiatriche (e anche ben oltre) «non hanno alcuna pretesa di giustificazione scientifica, tanto meno terapeutica: sono, semplicemente, una reazione punitiva a un disturbo dell'ordine costituito». Dal trattamento morale insomma siamo passati a quello «amorale» che «nemmeno pretende giustificazioni, discorsi di verità, legami tra il vero e il giusto, per quanto discutibili, per quanto disciplinari e disciplinanti. Si giustifica solo per stato di necessità e si realizza semplicemente come prova di forza». Una rozzezza di intenti del tutto in linea con lo spirito dei tempi.
La beata falsa coscienza di una volta, comunque, non è del tutto scomparsa. Alcune recenti proposte legislative della destra al governo, citate come esempi dallo psichiatra Luigi Benevelli, usano un linguaggio arcaico e rispondono «a una domanda di terapia morale che è ancora forte nella società». Basti pensare alla legge sulle tossicodipendenze (che tratta per l'appunto «la droga» come un pericolo morale minacciando trattamenti coatti in comunità per tutti i consumatori di qualunque sostanza illegale) o, per passare all'ambito più strettamente psichiatrico, a proposte che in nome della «cura» escogitano tutta una serie di percorsi obbligatori e giustificano forme di controllo forzoso. Magari con l'aiuto della tecnologia, come nel caso di un proposto monitoraggio elettronico in tempo reale dei «pazienti rischio». Il potere psichiatrico, nei progetti della destra, è restaurato in tutto il suo antico splendore. Secondo una proposta della Lega Nord (2001), ci sono persone che necessitano di un trattamento sanitario obbligatorio costante. Anche fuori dall'ospedale, mediante un affidamento a terzi a discrezione dei medici e subordinato all'osservanza delle terapie prescritte. Un progetto di «riforma» della legge 180 firmato da Maria Burani Procaccini (Fi) nello stesso anno descrive percorsi terapeutici con lavoro o perfino fitness obbligatori. E il Burani-Procaccini-bis, dell'anno successivo, ipotizza un circolo virtuoso in cui l'eventuale salario corrisposto ai pazienti-lavoratori vada a coprire le spese delle strutture psico-alberghiere che li ospitano.
La moralità dell'uso della forza, anche in questo caso, è però una foglia di fico molto trasparente di processi di espansione «amorale» della filosofia del controllo sociale basata sul concetto di «sicurezza». Qui, appunto, bando alle chiacchiere: si tratta, ha spiegato il criminologo Adolfo Ceretti, di individuare il potenziale rischio e di scatenare la lotta contro i gruppi di popolazione che lo rappresentano. Va da sé che in queste circostanze perennemente eccezionali ogni deroga è valida, i centri di permanenza temporanea per gli immigrati sono un esempio abbastanza chiaro in proposito. Il discorso si allarga al circuito penale, che ha peraltro parecchi punti di contatto con quello psichiatrico perché il carcere e l'ospedale non sono esperienze incompatibili nella realtà. In entrambi i casi si è assistito negli ultimi decenni a un aumento del numero delle persone da controllare, leggibile nel modo più semplice, in Italia, con la costante tendenza alla crescita della popolazione carceraria (il ministro Castelli, per mantenere il trend , ha annunciato la costruzione di 24 nuove carceri). La domanda di terapia o punizione va al rialzo secondo la strategia di eliminazione del rischio, in cui le persone diventano oggetti da neutralizzare. Questo potrebbe far rimpiangere le relazioni di potere ancora «tra esseri umani» dei manicomi narrati da Foucault.