INTRODUZIONE
Horst Fantazzini, 1999 Una semplice idea evidentemente
fuori moda
Le persone che partecipano a questo piccolo progetto - filiarmonici
- si sono ritrovate intorno a una convinzione salda ed ostinata, a un'idea
che ci appartiene senza ambiguità. Darne un'introduzione dovrebbe
costare ben poca fatica.
Siamo contro ogni carcere, non possono bastare queste quattro
parole?
Verosimilmente no, perché pare ci sia toccata un'epoca in cui
il destino dei vocaboli è quello di venire continuamente plasmati,
deformati e torti non per esemplificare i concetti che si hanno in
testa, né per chiarire una proposta, un progetto che si ha in
animo di realizzare, quanto per rendere privo di sostanza il termine
che si sta usando, per anestetizzarne ogni contenuto.
Basti pensare alle tristi vicende della parola "libertà" e
dei suoi derivati, utilizzati dal potere e dalle sue pasciute gracule
per castrarne la valenza sovversiva, e sarà evidente come, per
evitare incomprensioni, sia utile aggiungere qualche riga a quelle
indispensabili sedici lettere -contro ogni galera - che sintetizzano
un'idea che qualche decennio fa sembrò godere di una certa popolarità,
ma oggi appare tristemente ma evidentemente fuori moda.
Tanto per cominciare, un mondo senza carceri
Noi desideriamo un mondo nel quale l'istituzione carcere - come traguardo
e conferma della diffusa convinzione che sia nell'ordine naturale delle
cose chiudere qualcuno in un luogo circoscritto per un determinato
periodo di tempo o fino alla morte, sorvegliarlo, controllarlo, punirlo,
rieducarlo, risocializzarlo, amministrarlo - venga eliminata, e vogliamo
che ciò si realizzi il più presto possibile. Vogliamo
che i primi passi, anzi, quelli alla nostra diretta portata, principino
immediatamente.
In giro c'è molta gente, neppure troppa a dire il vero, che
reclama migliori condizioni di carcerazione, un trattamento più
umano per i detenuti, il rispetto dei diritti umani e civili, che denuncia
i metodi brutali, la scarsa o nulla opera di reinserimento del detenuto
nella società civile. Alcune di queste posizioni ci ispirano
una certa simpatia e potremo volta per volta appoggiarne le richieste;
altre - ad esempio quelle di chi ritiene che l'agire al di fuori della
legge sia proprio di marginali e devianti da normalizzare e reintrodurre
nel tessuto sociale e produttivo - le troviamo decisamente odiose e
le contrasteremo senza posa per quanto ci sarà possibile: ma
la cosa importante da dire subito, è che quello che noi desideriamo
è un'altra cosa.
Desideriamo che non vi sia più alcun carcere, che non
vi sia alcun detenuto e, altrettanto importante, nessuna guardia
carceraria, direttore di penitenziario, rieducatore e così via.
Siamo per la liberazione di ogni detenuto e la non carcerazione di
chicchessia.
Vogliamo un mondo senza carceri.
Non siamo così ingenui da ignorare che la scomparsa delle carceri
sarà conseguenza di rivolgimenti di portata epocale; non ci
aspettiamo, insomma, che sia un referendum o qualche decreto ministeriale
ad abolire il carcere. Possiamo parlare anche di questo - anzi, ne
parleremo - ma non è il nostro interesse principale in questa
sede. Qui, il nostro interesse è rendere chiaro che accettare
l'esistenza di una sola persona rinchiusa in una cella, significa rassegnarsi
alla certezza che quella stessa cella prima o poi veda qualcun@ di
noi come involontari@ ospite. Trent'anni fa i posti nelle carceri italiane
erano ventimila, i detenuti trentatremila: oggi i posti sono trentacinquemila
e i detenuti cinquantacinquemila. Sono le carceri a ingoiare ingordamente
carcerati. Negli Usa, in Russia, in Cina si viaggia a ritmi ancor più
forsennati: il carcere e i suoi gadget divengono una merce-servizio
di punta per le economie mondiali. E ci sono, infatti, paesi dove una
parziale privatizzazione è già in corso, tanto la società
si mostra bramosa di carcerare sempre più generosamente, sempre
più rigorosamente, sempre più tecnologicamente.
In seconda battuta, l'inimicizia non implica deroghe
È quindi immediato comprendere come non riteniamo opportuno
riconoscere alcuna differenza tra "prigionieri politici" e "detenuti
comuni". Ciò non significa negare una spontanea affinità
con persone che condividono le nostre mire a rivoltare come calzette
le presenti modalità dell'umana convivenza, e che in conseguenza
di tali aspirazioni si trovano ad essere oggetto delle attenzioni degli
apparati repressivi; e men che meno ci fa dimenticare come, viceversa,
altra gente transitata dietro le ignobili cancellate sia tuttavia nemica
di quanto riteniamo attraente ed auspicabile. Mai invocheremo "libertà
per i prigionieri politici", "fuori i compagni dalle galere / dentro
i padroni e le camicie nere", sempre diremo "liberi tutti" e
"fuoco alle carceri"; non per questo siamo disposti a fare confusione,
neanche per un attimo, tra Nikos Maziotis e un ex SS, tra Sante Notarnicola
o Giorgio Panizzari e qualche untuoso democristiano momentaneamente
travolto dal delirio d'onnipotenza di un magistrato d'assalto: il fatto
che non aspiriamo alla carcerazione dei secondi non ci rende per questo
meno ostili al loro agire, e la nostra solidarietà personale
andrà a chi condivide con noi non già una fede politica,
ma l'odio per le catene.
Semplice, no?
No, non sempre le distinzioni sono così nette, e si sa che innumerevoli
possono essere le sfumature e gradazioni tra gli amanti della libertà
senza guinzagli di sorta e gli apologeti delle carceri del popolo e
dei tribunali proletari. Tra chi vuole abbattere i muri e i portoni
e chi, semplicemente, aspira a sostituire i galloni di "prigioniero
politico" con le stellette da guardia, come è stato di tanti
padri della Repubblica, da Valiani a Pertini. Si è capito da
che parte stiamo, ma non abbiamo necessità di sovraccaricarci
immediatamente di steccati e di distinguo. Scrivere, fare, vedere,
capire, le selezioni si fanno poi da sé. Confidiamo che sia
proprio la portata di questa nostra opera a renderla incompatibile
con quelli, e non sono pochi, che si dicono contrari alla carcerazione
degli amici, ma sono e saranno pronti a imprigionare gli avversari.
E dunque, come si fa senza? (Ma vorrete sapere mica tutto adesso?)
La consuetudine del ricorrere all'entità esterna e superiore
che medi il conflitto, insomma il pensiero che debbano essere inevitabilmente
le istituzioni a regolare le contese - di per sé - produce galera.
L'accettazione dei cardini del pensiero istituzionale, i glaciali
gemellini diritto e dovere, efficienti guardiani della
nostra corteccia cerebrale - è già galera. "E se uno
stupra una bambina?", "e se uno tortura le vecchiette?", "e se
uno ruba gli ossi ai cani sciancati?", "e vorrete mica l'occhio per
occhio?", "e volete fare come le ronde anticrimine dei razzisti?".
Siamo talmente disabituati ad assumerci la responsabilità delle
nostre azioni, tanto è divenuta a noi estranea questa idea che
nelle comunità non statali è (era/sarà) invece
un'ovvia consuetudine, che ogni risposta in poche righe sarebbe insoddisfacente
se non del tutto insulsa. Queste risposte possono venire validamente
soltanto nella costruzione pratica della propria liberazione, e anzi
sarà proprio il libero dibattere intorno a queste domande e
a queste risposte il contenuto reale della libertà in processo
cui noi miriamo. Concediamoci quindi un po' di curiosità, il
discorso lo faremo, o lo farete venire fuori: se vorrete essere gentili
e non farvi cogliere impreparati, premuratevi prima di ripassare l'antichissimo
dialogo tra il cane sazio e il lupo affamato. La scelta del piatto
pieno e un posto al caldo in cambio di un collare e annessa catena
ci viene sbattuta in faccia tutti i giorni, e a molti è venuta
a tedio già da un bel po' di tempo.
Insomma, a metterla in breve, l'eliminazione delle galere non sarà
uno spuntino da McDonald - per fortuna, osiamo aggiungere - ma
piuttosto una "cena bellavita", qualcosa di cui necessariamente
starà a noi inventare il menù, distinguere i complici, raccogliere
i materiali, preparare le pietanze, definire luoghi e tempi. Il mondo
senza carceri è qualcosa che dovremo costruire pezzo per pezzo
con le mani. Ideologie e programmi fabbricati in serie, precongelati
e premasticati, lungi dall'aiutarci, converrà siano fra i primi
muri da gettare al suolo.
Colpevoli e innocenti, martiri e delinquenti
Oltre ad essere uno spazio contro il carcere, inteso come paradigma
della moderna condizione ogni giorno meno umana, questo vuole essere
anche uno strumento volto a esprimere, suscitare, consolidare solidarietà
nei confronti di persone che sentiamo vicine e che, a causa della loro
ricerca di libertà, scontano la vendetta delle istituzioni.
In linea di massima un reato implica di per sé una messa in
discussione della legittimità e del consenso dello Stato, ma
ciò che alimenta, fuori di ogni controllo, il desiderio di vendetta
delle istituzioni non è la semplice disobbedienza alla legge
ma il mancato riconoscimento della sua autorità, o addirittura
il rigetto irridente di quel consenso che il padrone pretende di estorcere
sempre al suo servo. In questo caso il potere politico/giudiziario
avverte l'irrefrenabile impulso di oltrepassare le proprie stesse regole.
I casi di uomini e donne non rassegnati che passano anni o la vita
in galera, come esempi viventi dello strapotere della legge, a causa
non dei loro reati (talvolta addirittura neppure commessi, in quanto
prefabbricati o semplicemente inesistenti) ma della loro pervicace
indisponibilità a riconoscere la legittimità dei propri
giudici, sono innumerevoli - da Horst Fantazzini a Leonard Peltier
a Silvia Baraldini. Per loro pensiamo sia più urgente e possibile
fare qualcosa. Ciò perché anche il semplice atto di rivelare
quelle parti del potere che il potere stesso vuole nascondere può
costituire il classico granello di sabbia nell'ingranaggio - uno isolato
scivola via, molti possono avere diversa sorte. Ma, a costo di diventare
molesti, come non facciamo distinzioni sostanziali tra prigionieri
politici e detenuti comuni, poiché ci parrebbe di operare una
tetra classificazione della popolazione carceraria in martiri e delinquenti,
men che meno ne faremo tra colpevoli e innocenti. Il progetto di liberazione
che abbiamo nel nostro stomaco prima che nella nostra mente comporta
necessariamente l'abolizione di queste categorie. Tutti i carcerati
- secondo la felice definizione del movimento di lotta nei penitenziari
della Spagna franchista - sono detenuti sociali, vale a dire detenuti
a causa della società, di questa società.
Filiarmonici perché?
Fili perché questa che proponiamo è una rete,
sia nel moderno senso che Internet ci propone fino e oltre la sazietà,
sia in quello tradizionale dei movimenti sovversivi di tutti i tempi,
di collegare fra loro nel mondo tutte le pratiche coerenti per la liberazione
umana;
armonici, perché questa impresa appartiene modestamente
ma pervicacemente a quella passione per l'edificazione di una controsocietà,
dove non c'è carcere perché non c'è delitto e
non c'è delitto perché tutti a proprio modo concorrono
a dar forma a un mondo amoroso dove ogni passione, anche la più
bizzarra e antisociale, trovi il proprio armonico compimento;
fili armonici perché questo è il nome dei migliori
seghetti flessibili per sbarre d'acciaio, dei più fidi e stimati
complici di ogni "ragazzo d'evasione", quello che ciascuno di noi conviene
sia - o diventi - anche se non è più per avventura un
ragazzo, o non si trova momentaneamente dalla parte più scomoda
delle sbarre che ci dividono dai nostri compagni e dalla libertà
di tutti.
Per concludere, cioè per iniziare
Insieme con il carcere molte altre sono le cose che non vorremmo più
nella nostra vita né in quella altrui: la legge, le istituzioni,
gli eserciti, le forze dell'ordine, i manicomi, i collegi, le caserme,
i tribunali, della gente che ci dice quello che dobbiamo fare in nome
dei desideri supremi di un qualche dio, della volontà della
maggioranza, del radioso futuro di un popolo più o meno eletto
o di una frazione di questo.
Per iniziare questa strada, per riprenderla in un momento nel quale
sembra che parlare e agire in questo senso sia un capriccio di una
ristrettissima minoranza, proponiamo un punto di partenza, lontanissimo
se non all'opposto di una proposta organizzativa: utilizzi ciascuno
il materiale che troverà qui, ne diffonda di migliore, di ulteriore,
di più efficace, appoggi in tutti i modi i propri amici e compagni
in carcere, o ne ricerchi di nuovi, si adoperi per iniziative a sostegno
delle rivendicazioni dei detenuti, singoli o gruppi, purché
orientate nel senso della liberazione di tutti (tradotto: condoni sì,
trattamenti differenziati mai), per iniziative di controinformazione,
per progetti di liberazione operativa, per aiutare detenuti indigenti
in quanto detenuti. Aiutate noi a farlo, se avete voglia, oppure fatelo
per conto vostro e fatecelo sapere. Il sito web che proponiamo è
la prima iniziativa di un tragitto che troverà il proprio senso
a mano a mano che più persone, dentro e fuori le carceri, apporteranno
il proprio "filo armonico": ogni energia, per quanto piccola sia, che
vada nella direzione di un mondo senza galere non è sprecata,
se non altro perché rende un po' più chiaro che per liberare
noi stessi dobbiamo, semplicemente, liberare tutti.