Signori,
Adesso sapete chi sono: un ribelle che vive del ricavato dei suoi furti. Di
più. Ho incendiato diversi alberghi e difeso la mia libertà contro
l’aggressione degli agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la mia esistenza
di lotta e la sottometto come un problema alle vostre intelligenze. Non riconoscendo
a nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né
indulgenza. Non sollecito ciò che odio e che disprezzo. Siete i più
forti, disponete di me come meglio credete. Inviatemi al penitenziario o al
patibolo, poco m’importa. Ma prima di separarci, lasciatemi dire un’ultima
parola...
Avete chiamato un uomo: ladro e bandito, applicate contro di lui i rigori della
legge e vi domandate se poteva essere differentemente. Avete mai visto un ricco
farsi rapinatore? Non ne ho mai conosciuti. Io, che non sono né ricco
né proprietario, non avevo che queste braccia e un cervello per assicurare
la mia conservazione, per cui ho dovuto comportarmi diversamente. La società
non mi accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro. la mendicità
e il furto. Il lavoro, al contrario di ripugnarmi, mi piace. L’uomo non
può fare a meno di lavorare: i suoi muscoli, il suo cervello, possiedono
un insieme di energie che deve smaltire. Ciò che mi ripugnava era di
sudare sangue e acqua per un salario, cioè di creare ricchezze dalle
quali sarei stato sfruttato. In una parola, mi ripugnava di consegnarmi alla
prostituzione del lavoro. La mendicità è l’avvilimento,
la negazione di ogni dignità. Ogni uomo ha il diritto di godere della
vita. "Il diritto di vivere non si mendica, si prende".
Il furto è la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto di essere
chiuso in un’officina come in una prigione, piuttosto di mendicare ciò
a cui avevo diritto, ho preferito insorgere e combattere faccia a faccia i miei
nemici, facendo la guerra ai ricchi e attaccando i loro beni. Comprendo che
avreste preferito che mi fossi sottomesso alle vostre leggi, che operaio docile
avessi creato ricchezze in cambio di un salario miserabile, e che, il corpo
sfruttato e il cervello abbrutito, mi fossi lasciato crepare all’angolo
di una strada. In quel caso non mi avreste chiamato "bandito cinico",
ma "onesto operaio". Adulandomi mi avreste dato la medaglia al lavoro.
I preti promettono un paradiso ai loro fedeli, voi siete meno astratti, promettete
loro un pezzo di carta.
Vi ringrazio molto di tanta bontà, di tanta gratitudine. Signori! Preferisco
essere un cinico cosciente dei suoi diritti che un automa, una cariatide.
Dal momento in cui ebbi possesso della mia coscienza, mi sono dato al furto
senza alcuno scrupolo. Non accetto la vostra pretesa morale che impone il rispetto
della proprietà come una virtù, quando i peggiori ladri sono i
proprietari stessi.
Ritenetevi fortunati che questo pregiudizio ha preso forza nel popolo, in quanto
è proprio esso il vostro migliore gendarme. Conoscendo l’impotenza
della legge, o per meglio dire, della forza, ne avete fatto il più solido
dei vostri protettori. Ma, state accorti, ogni cosa finisce. Tutto ciò
che è costruito dalla forza e dall’astuzia, l’astuzia e la
forza possono demolirlo.
Il popolo si evolve continuamente. Istruiti in queste verità, coscienti
dei loro diritti, tutti i morti di fame, tutti gli sfruttati, in una parola
tutte le vostre vittime, si armeranno di un "piede di porco" assalendo
le vostre case per riprendere le ricchezze che essi hanno creato e che voi avete
rubato. Riflettendo bene, preferiranno correre ogni rischio invece d’ingrassarvi
gemendo nella miseria. La prigione... i lavori forzati, il patibolo... non sono
prospettive troppo paurose di fronte ad una intera vita di abbrutimento, piena
di ogni tipo di sofferenze. Il ragazzo che lotta per un pezzo di pane nelle
viscere della terra senza mai vedere brillare il sole, può morire da
un momento all’altro, vittima di una esplosione di grisou. Il muratore
che lavora sui tetti, può cadere e ridursi in briciole. Il marinaio conosce
il giorno della sua partenza ignora quando farà ritorno. Numerosi altri
operai contraggono malattie fatali nell’esercizio del loro mestiere, si
sfibrano, s’avvelenano, si uccidono nel creare tutto per voi. Fino ai
gendarmi, ai poliziotti, alle guardie del corpo, che, per un osso che gettate
loro, trovano spesso la morte nella lotta contro i vostri nemici.
Chiusi nel vostro egoismo, restate scettici davanti a questa visione, non è
vero? Il popolo ha paura, voi dite. Noi lo governiamo con il terrore della repressione;
se grida, lo gettiamo in prigione; se brontola, lo deportiamo, se si agita lo
ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, Signori, credetemi. Le pene che infliggete
non sono un rimedio contro gli atti della rivolta. La repressione invece di
essere un rimedio, un palliativo, non fa altro che aggravare il male.
Le misure coercitive non possono che seminare l’odio e la vendetta. È
un ciclo fatale. Del resto, fin da quando avete cominciato a tagliare teste,
a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse impedito all’odio
di manifestarsi? Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Per quanto
mi riguarda sapevo esattamente che la mia condotta non poteva avere altra conclusione
che il penitenziario o la ghigliottina, eppure, come vedete, non è questo
che mi ha impedito di agire. Se mi sono dato al furto non è per guadagno
o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco
conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità
di uomo, invece di farmi l’artefice della fortuna del mio padrone. In
termini più crudi, senza eufemismi, preferisco essere ladro che essere
derubato.
Certo anch’io condanno il fatto che un uomo s’impadronisca violentemente
e con l’astuzia del furto dell’altrui lavoro. "Ma è
proprio per questo che ho fatto guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri".
Anch’io sarei felice di vivere in una società dove ogni furto sarebbe
impossibile. Non approvo il furto, e l’ho impiegato soltanto come mezzo
di rivolta per combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà
individuale.
Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se
esiste il furto è perché "tutto" appartiene solamente
a "qualcuno". "La lotta scomparirà solo quando gli uomini
metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà
a tutti".
Anarchico rivoluzionario, ho fatto la mia rivoluzione, l’anarchia verrà!
Fonte: pubblicato on line sul sito Guerra sociale http://www.guerrasociale.org