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Quelli che già altre volte avevano ascoltato Kenneth Whistler lo pregarono
di raccontare nuovamente di quando aveva organizzato le manifestazioni di protesta
davanti alla prigione di Charlestown, per l'uccisione di Sacco e Vanzetti. Mi
sembra strano, oggi, dover spiegare chi fossero Sacco e Vanzetti. Recentemente
ho chiesto a Israel Edel, l'ex portiere notturno all'Arapahoe, cosa sapeva lui
di Sacco e Vanzetti, e mi ha risposto senza esitazione che erano due giovani
di buona famiglia che, a Chicago, avevano commesso un omicidio per provarne
il brivido. Li aveva confusi, insomma, con Leopold e Loeb.
Perché dovrebbe sconvolgermi questo? Quand'ero giovane, ero convinto
che la storia di Sacco e Vanzetti sarebbe stata raccontata tanto spesso quanto
la storia di Gesù Cristo, suscitando altrettanta commozione. Non avevano
forse diritto, i moderni - pensavo - a una Passione moderna come quella di Sacco
e Vanzetti, che si concludeva sulla sedia elettrica?
Quanto agli ultimi giorni di Sacco e Vanzetti e al finale della loro Passione:
come già sul Golgota, erano tre i condannati a morte dal potere statale.
Stavolta, non uno su tre era innocente. Innocenti erano due, su tre.
Il colpevole era un famigerato ladro e assassino a nome Celestino Madeiros,
condannato per un altro delitto. All’approssimarsi della fine, Madeiros
confessò di esser lui l'autore degli omicidi per cui Sacco e Vanzetti
erano stati condannati a morte.
Perché?
"Ho visto la moglie di Sacco venirlo a trovare coi figli, e mi hanno fatto
pena, quei figlioli" disse.
Immaginate questa battuta pronunciata da un bravo attore in una moderna Sacra
Rappresentazione.
Madeiros morì per primo. Le luci della prigione si abbassarono tre volte.
Per secondo toccò a Sacco. Dei tre, era l'unico che avesse famiglia.
L'attore chiamato a interpretarlo dovrà dar vita a un uomo molto intelligente
che, non essendo ben padrone dell'inglese, né molto bravo a esprimersi,
non poteva fidarsi di dire alcunché di complicato ai testimoni, mentre
lo assicuravano alla sedia elettrica.
"Viva l'anarchia" disse. "Addio, moglie mia, figli miei, e tutti
i miei amici" disse. "Buonasera, signori" disse poi. "Addio,
mamma" disse. Era un calzolaio, costui. Le luci della prigione si abbassarono
tre volte.
Per ultimo toccò a Vanzetti. Si sedette da sé sulla sedia, dove
già erano morti Madeiros e Sacco, prima che gliel'ordinassero. Cominciò
a parlare ai testimoni prima che gli dicessero che era libero di farlo. Anche
per lui l'inglese era la seconda lingua, ma ne era padrone.
Ascoltate:
"Desidero dirvi," disse, "che sono innocente. Non ho commesso
nessun delitto, ma qualche volta dei peccati, sì. Sono innocente di qualsiasi
delitto, non solo di questo, ma di ogni delitto. Sono innocente". Faceva
il pescivendolo, al momento dell'arresto.
"Desidero perdonare alcune persone per quello che mi hanno fatto"
disse. Le luci della prigione si abbassarono tre volte.
La loro vicenda, di nuovo:
Sacco e Vanzetti non uccisero mai nessuno. Erano arrivati in America dall'Italia,
senza conoscersi fra loro, nel Millenovecentootto. L'anno stesso in cui arrivarono
i miei genitori.
Papà aveva diciannove anni. Mamma ventuno.
Sacco ne aveva diciassette. Vanzetti venti. Gli industriali americani a quell'epoca
avevano bisogno di molta manodopera a buon mercato e docile, per poter tenere
basse le paghe.
Vanzetti dirà in seguito: "Al centro immigrazione, ebbi la prima
sorpresa. Gli emigranti venivano smistati come tanti animali. Non una parola
di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che
pesa così tanto su chi è appena arrivato in America".
Papà e mamma mi raccontavano qualcosa di analogo. Anche loro ebbero la
sensazione di essere dei poveri fessi che si erano dati tanto da fare solo per
esser portati al macello.
I miei genitori furono subito reclutati da un agente delle Ferriere Cuyahoga
di Cleveland. Costui aveva l'ordine di ingaggiare solo slavi biondi, mi disse
una volta Mister MacCone, in base alla teoria di suo padre per cui i biondi
avrebbero avuto la robustezza e l'ingegnosità meccanica dei tedeschi,
ma temperata dalla docilità degli slavi. L'agente doveva scegliere sia
degli operai sia dei domestici presentabili per le varie case dei MacCone. Perciò
i miei genitori entrarono nella classe dei servi.
Sacco e Vanzetti non ebbero altrettanta fortuna. Non c'era nessun sensale cui
fossero stati ordinati dei tipi come loro. "Dove potevo andare? Cosa potevo
fare?" scrisse Vanzetti. "Quella era la Terra promessa. Il treno della
sopraelevata passava sferragliando e non rispondeva niente. Le automobili e
i tram passavano oltre senza badare a me." Sicché lui e Sacco, ciascuno
per suo conto, per non crepare di fame, dovettero cominciar subito a questuare
in cattivo inglese un lavoro qualsiasi, a qualsiasi paga - andando di porta
in porta.
Il tempo passava.
Sacco, che in Italia aveva fatto il calzolaio, trovò un posto in una
fabbrica di calzature a Milford (Massachusetts), la cittadina in cui, guarda
caso, era nata la madre di Mary Kathleen O'Looney. Sacco prese moglie e andò
a stare in una casa con giardino. Ebbe un figlio, Dante, e una figlia, Ines.
Lavorava sei giorni la settimana, dieci ore al giorno. Trovava anche il tempo
per prendere parte a dimostrazioni indette da operai che chiedevano un salario
più alto e condizioni di lavoro più umane e così via; per
tali cause teneva discorsi e dava contributi in denaro. Fu arrestato, a causa
di tali attività, nel Millenovecentosedici.
Vanzetti non aveva un mestiere e quindi lavorò qua e là: in trattorie,
in una cava, in un'acciaieria, in una fabbrica di cordami. Era un avido lettore.
Studiò Marx e Darwin e Victor Hugo e Gor'kij e Tolstoj e Zola e Dante.
Questo aveva in comune con quelli di Harvard. Nel Millenovecentosedici guidò
uno sciopero contro la fabbrica di cordami, ch'era la Plymouth Cordage Company,
oggi consociata della RAMJAC. Era sulle liste nere dei datori di lavoro, sicché
per sopravvivere si mise a fare il pescivendolo per conto proprio.
Fu nel Millenovecentosedici che Sacco e Vanzetti si conobbero bene. Si rese
evidente a entrambi - pensando ognuno per proprio conto alla brutalità
del padronato - che i campi di battaglia della Grande Guerra erano semplicemente
altri luoghi di pericoloso e odioso lavoro, dove pochi sovrintendenti controllavano
lo spreco di milioni di vite nella speranza di far soldi. Era chiaro per loro,
anche, che l'America sarebbe presto intervenuta. Non volevano esser costretti
a lavorare in siffatte fabbriche in Europa, quindi si unirono a un gruppo di
anarchici italoamericani che ripararono in Messico fino alla fine della guerra.
Gli anarchici sono persone che credono con tutto il loro cuore che i governi
sono nemici dei loro stessi popoli.
Mi trovo ancor oggi a pensare che la storia di Sacco e Vanzetti possa entrare
nelle ossa di future generazioni. Forse occorre solo raccontarla qualche altra
volta. In ogni caso, la fuga in Messico verrà certo vista come un'ulteriore
espressione di una sorta di sacro buon senso.
Sia come sia, Sacco e Vanzetti tornarono nel Massachusetts dopo la guerra, amici
per la pelle. Il loro buon senso, sacro o no, basato su libri che quelli di
Harvard leggono abitualmente senza cattivi effetti, era sempre apparso disdicevole
al loro prossimo. Questo stesso prossimo - e quelli che volevano deciderne il
destino senza incontrare tanta opposizione - presero a sentirsi atterriti da
quel buon senso, specie quando a possederlo erano degli immigrati.
Il dipartimento di Giustizia compilò un elenco segreto di stranieri che
non facevano mistero di quanto trovavano ingiusti e insinceri e ignoranti ed
esosi tanti esponenti della cosiddetta Terra promessa. Sacco e Vanzetti erano
inclusi in tale lista. Erano pedinati da spie del governo.
Incluso nella lista era anche un tipografo a nome Andrea Salsedo, amico di Vanzetti.
Costui fu arrestato a New York da agenti federali, senza specifiche accuse,
e venne tenuto isolato per otto settimane. Il tre maggio del Millenovecentoventi
Salsedo cadde o saltò o fu spinto da una finestra al quattordicesimo
piano, dove avevano sede certi uffici del dipartimento di Giustizia.
Sacco e Vanzetti organizzarono un comizio per chiedere che fosse aperta un'inchiesta
sull'arresto e sulla morte di Salsedo. Il comizio doveva tenersi il nove maggio
a Brockton, nel Massachusetts, paese natale di Mary Kathleen O'Looney. Lei aveva
sei anni, allora. Io, sette.
Sacco e Vanzetti vennero arrestati per attività sovversive prima che
il comizio avesse luogo. Il loro reato era il possesso di volantini che annunciavano
il comizio. Rischiavano una forte multa e fino a un anno di carcere.
Ma, ecco, d'un tratto, furono anche accusati di due omicidi rimasti irrisolti.
Due guardie giurate erano state uccise durante una rapina a South Braintree
(Massachusetts) circa un mese prima.
La pena per questo reato era, naturalmente, alquanto più dura: la morte
indolore per entrambi sulla medesima sedia elettrica.
Vanzetti, per soprappiù, fu anche accusato di un tentativo di rapina
a Bridgewater (Massachusetts). Processato, fu riconosciuto colpevole. Venne
così tramutato, da pescivendolo, in notorio criminale, prima che Sacco
e lui fossero processati per duplice omicidio.
Era colpevole, Vanzetti, di quel reato di rapina? Forse sì, ma non importava
molto. Chi lo disse, che non importava molto? Il giudice che diresse il processo
disse che non importava molto. Costui era Webster Thayer, rampollo di ottima
famiglia del New England. E disse alla giuria: "Quest'uomo, benché
potrebbe non aver effettivamente commesso il reato contestatogli, è tuttavia
moralmente colpevole, poiché è un nemico giurato delle nostre
vigenti Istituzioni”.
Parola d'onore: questa frase fu pronunciata da un giudice nell'aula di un tribunale
americano. Traggo la citazione da un libro che ho sottomano: Labor's Untold
Story (Storia inedita del sindacalismo) di Richard O. Boyer e Herbert M. Morais
(ed. United Front, San Francisco 1955).
E toccò poi a quello stesso giudice Thayer processare per omicidio Sacco
e il noto criminale Vanzetti. Furono dichiarati colpevoli dopo un anno circa
dal loro arresto; era il luglio del Millenovecentoventuno, e io avevo otto anni.
Quando alla fine salirono sulla sedia elettrica, io ne avevo quindici. Se udii
qualcuno a Cleveland parlarne, l'ho dimenticato.
L'altro giorno in ascensore ho attaccato discorso con un fattorino della RAMJAC.
Uno della mia età. Gli ho chiesto se ricordava niente di quell'esecuzione,
avvenuta quando lui era ragazzo. Sì, mi rispose, aveva udito suo padre
dire ch'era stufo marcio di sentire parlare di Sacco e Vanzetti, e che era contento
che fosse finita.
Gli chiesi che cosa facesse suo padre, di mestiere.
"Era direttore di banca a Montpellier, nel Vermont" mi rispose. Il
vecchio fattorino indossava un pastrano militare, residuato di guerra.
Al Capone, il famoso gangster di Chicago, trovava giusto che Sacco e Vanzetti
venissero giustiziati. Anche lui era convinto che fossero nemici del modo di
pensare americano sull' America. L'indignava che fossero così ingrati
verso l'America, quegli immigrati italiani.
Stando a Labor's Untold Story, Capone disse: "Il bolscevismo bussa alla
nostra porta... Dobbiamo tener i lavoratori lontani dall'ideologia rossa e dalle
astuzie rosse".
Il che mi ricorda una novella di Robert Fender, il mio amico galeotto. Vi si
narra di un pianeta sul quale il crimine peggiore è l'ingratitudine.
La gente viene condannata a morte, se ingrata. La condanna a morte viene eseguita,
come in Cecoslovacchia, mediante defenestrazione. I condannati vengono buttati
da un'alta finestra.
Il protagonista del racconto viene alla fine scaraventato giù da una
finestra per ingratitudine. Le sue ultime parole, mentre precipita dal trentesimo
piano, sono: "Grazie miiiiiiiiilllllllleeeeee!".
Prima che Sacco e Vanzetti venissero giustiziati per ingratitudine nello stile
del Massachusetts, però, grandi proteste si levarono in tutto il mondo.
Il pescivendolo e il calzolaio erano divenuti celebrità planetarie.
"Mai ci saremmo aspettati, in vita nostra," disse Vanzetti, "di
poter compiere un tale lavoro in favore della tolleranza, della giustizia, della
comprensione reciproca fra gli uomini, come ora vuole il caso che compiamo."
Se da ciò si ricavasse una Passione teatrale moderna, gli attori chiamati
a interpretare le autorità, i Ponzi Pilati, dovrebbero esprimere sdegno
per le opinioni della massa. Ma sarebbero più in favore che contro la
pena di morte, in questo caso.
E non si laverebbero le mani.
In effetti erano tanto fieri del loro operato che incaricarono un comitato -
composto da tre fra i più saggi, rispettati, equanimi e imparziali individui
del momento - di dire al mondo intero se giustizia sarebbe stata fatta.
Fu soltanto questa parte della storia di Sacco e Vanzetti che Kenneth Whistler
volle raccontare, quella sera di tanto tempo fa, mentre Mary Kathleen e io l'ascoltavamo
tenendoci per mano.
Si dilungò con molto sarcasmo sulle risonanti credenziali dei tre saggi.
Uno era Robert Grant, giudice in pensione, che conosceva le leggi a menadito
e sapeva in che modo farle funzionare. Presidente del comitato era il rettore
di Harvard, e sarebbe stato ancora rettore quando m'iscrissi io. Figurarsi.
Si chiamava A. Lawrence Lowell. Il terzo che, secondo Kenneth Whistler, "s'intendeva
molto di elettricità, se non di altro", era Samuel W. Stratton,
rettore del Politecnico del Massachusetts (MIT).
Mentre eran dietro a deliberare, ricevettero migliaia di telegrammi: alcuni
in favore dell'esecuzione ma la maggior parte contro. Fra i mittenti c'erano
Romain Rolland, George Bernard Shaw, Albert Einstein, John Galsworthy, Sinclair
Lewis e H.G. Wells.
Il triunvirato dichiarò alla fine che, se Sacco e Vanzetti fossero stati
messi a morte, giustizia sarebbe stata fatta.
Questo dice la saggezza degli uomini più saggi del momento. E sono indotto
a chiedermi se la saggezza sia mai esistita e possa mai esistere. E se la saggezza
fosse tanto impossibile in questo particolare universo quanto il moto perpetuo?
Chi è l'uomo più saggio della Bibbia, ancor più saggio,
si suppone, del rettore di Harvard? Re Salomone, naturalmente. Due donne che
si contendevano un bambino comparvero davanti a Salomone, chiedendo che applicasse
la sua leggendaria saggezza al loro caso. Lui suggerì allora di tagliare
in due il bambino.
E gli uomini più saggi del Massachusetts dissero che Sacco e Vanzetti
dovevano morire.
Quando il loro parere fu reso noto, il mio eroe Kenneth Whistler guidava una
manifestazione di protesta davanti al palazzo del governo di Boston. Pioveva.
"La natura si mostrava partecipe" disse, guardando proprio Mary Kathleen
e me, seduti in prima fila. E rise.
Mary Kathleen e io non ridemmo con lui. Né rise alcun altro fra il pubblico.
La sua risata risuonò agghiacciante. La natura se ne frega di quello
che provano gli esseri umani e di quello che loro succede.
La manifestazione davanti al palazzo del governo di Boston durò ininterrotta
per altri dieci giorni, fino alla sera dell'esecuzione. Quella sera lui guidò
i dimostranti per le strade tortuose e oltre il fiume, fino a Charlestown, dov'era
la prigione. Fra i dimostranti c'erano Edna Saint Vincent Millay e John Dos
Passos e Heywood Broun.
C'erano polizia e Guardia nazionale ad attenderli. C'erano mitragliatrici, in
cima alle mura del carcere, puntate contro la popolazione che chiedeva clemenza
a Ponzio Pilato.
Kenneth Whistler aveva con sé un pacco pesante. Era un enorme striscione,
arrotolato. Lo aveva fatto preparare quel mattino.
Le luci del carcere cominciarono ad abbassarsi.
Quando si furono abbassate nove volte, Whistler e un amico si precipitarono
alla camera ardente dove i corpi di Sacco e Vanzetti sarebbero stati esposti.
Lo stato non sapeva più che farsene, delle salme. Venivano restituite
a parenti e amici.
Whistler disse che due catafalchi eran stati eretti nella camera ardente, in
attesa delle bare. Allora Whistler e il suo amico dispiegarono lo striscione
e l'appesero alla parete, sopra i catafalchi.
Su quello striscione erano dipinte le parole che l'uomo che aveva condannato
Sacco e Vanzetti a morte, il giudice Webster Thayer, aveva detto a un amico
poco dopo aver emesso la sentenza:
Hai visto che cosa gli ho fatto a quei due bastardi anarchici, l’altro giorno?
Fonte: Kurt Vonnegut, Pezzo di galera (tit. orig.
Jailbird), 1979, edizione Feltrinelli (2004), traduzione di Pier Francesco
Paolini.