11 luglio 2003: Marcello Lonzi, 29 anni, muore nel carcere di Livorno. Secondo
l’autopsia la morte sarebbe avvenuta per cause naturali (arresto cardiaco).
Ma Maria Ciuffi, madre di Marcello, ritiene sia conseguente ad un violento pestaggio,
presenta una denuncia e il pubblico ministero Roberto Pennisi apre un fascicolo,
contro ignoti, per omicidio.
22 settembre 2003: Maria Ciuffi si presenta al consiglio comunale di Livorno
per chiedere ai capigruppo dell’assemblea il loro appoggio e il loro aiuto
per fare luce sulle cause del decesso di Marcello.
6 ottobre 2003: l'Onorevole Giuliano Pisapia presenta un'interrogazione al Ministro
della Giustizia Castelli chiedendo "se non intenda adottare le opportune
iniziative, affinché sia istituita una commissione ministeriale per chiarire
le eventuali responsabilità amministrative connesse con la morte del
detenuto..."
12 novembre 2003: Maurizio Turco (presidente dei deputati europei radicali)
e Sergio D'Elia (segretario nazionale dell’associazione "Nessuno
tocchi Caino") visitano la sezione del carcere dove è morto Marcello.
17 novembre 2003: La madre di Marcello Lonzi scrive un’accorata lettera
al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: "...ho paura che prevalga
la volontà di nascondere la verità..."
11 giugno 2004: l’avvocato Vittorio Trupiano prende ufficialmente la difesa
di Maria Ciuffi, parte offesa nel procedimento a carico di ignoti per la morte
di suo figlio Marcello Lonzi, e si riserva di chiedere la riesumazione del corpo
per farlo sottoporre a nuove perizie.
1 luglio 2004: il pubblico ministero Roberto Pennisi avanza richiesta di archiviazione
del procedimento (per omicidio), aperto contro ignoti, sulla morte di Marcello
Lonzi. Secondo il Pm Marcello sarebbe morto per un infarto, dovuto a "cause
naturali".
23 luglio 2004: l'avvocato Vittorio Trupiano si oppone alla richiesta di archiviazione,
chiedendo un supplemento di indagine, a partire da alcune fotografie del cadavere
di Marcello Lonzi. "In quelle foto - spiega l’avvocato Trupiano -
ci sono i segni di vere e proprie vergate, striature viola sulla pelle gonfia
e rialzata... ecchimosi che possono essere state fatte solo con un bastone,
un manganello. Certo, non sono i segni di una caduta".
settembre 2004: il Gip del Tribunale di Livorno, Rinaldo Merani, dovrà
pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione avanzata dal Pm Roberto Pennisi.
***
Verranno depositati entro il 31 luglio nella cancelleria del g.i.p. i motivi
a sostegno dell'opposizione avverso la richiesta di archiviazione del p.m. Roberto
Pennisi.
Nessun dubbio sulla causa del decesso: Marcello Lonzi è stato picchiato
a lungo e con inaudita violenza con manganellate infertegli a partire dal collo
fino alle ginocchia.
Il dolore e la sofferenza che ne è seguita hanno provocato l'arresto
cardio-circolatorio, sicché hanno ben pensato di simulare la disgrazia
della caduta sbattendolo violentemente, già morto, con la testa verosimilmente
dentro le sbarre della propria cella.
Una lunga agonia ha preceduto la morte, a queste conclusioni è giunto
il difensore avvocato Vittorio Trupiano che le illustrerà dettagliatamente
nei motivi d'opposizione.
Trupiano ha pure stigmatizzato come il p.m. abbia chiesto l'archiviazione pure
dell'ipotesi di reato dell'omissione di soccorso e pur in presenza di un "vuoto"
di tempo davvero ingiustificabile.
***
Nuovo colpo di scena nella vicenda di Marcello Lonzi, il giovane livornese morto un anno fa nel carcere delle Sughere per cause ancora tutte da chiarire. Vittorio Trupiano, l'avvocato che assiste la madre di Lonzi, dice di essere entrato in possesso «di almeno una ventina di fotografie che la difesa non aveva mai visto». Si tratta di immagini allegate al fascicolo relativo alla morte nelle quali si vede il corpo del giovane segnato da profonde ferite, effettivamente incompatibili con l'ipotesi ufficiale che parla di morte accidentale procurata da un infarto e dalla conseguente caduta faccia a terra. «In quelle foto - spiega Trupiano - si vedono vistose ecchimosi sulla parte posteriore del corpo di Marcello provocate da bastonate o manganellate. Noi siamo certi che sia stato vittima di un pestaggio prolungato e doloroso. Certo è che le ferite sulle natiche, sulla parte posteriore delle gambe e sulla schiena sono inconciliabili con la dinamica sostenuta dal medico legale». L'avvocato ha depositato alla cancelleria del giudice delle indagini preliminari, Rinaldo Merani, l'opposizione alla richiesta di archiviazione dell'indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi. Ora sarà il gip, probabilmente a settembre, a decidere se continuare a indagare o chiudere il caso. Maria Ciuffi, mamma di Marcello Lonzi, da tempo sostiene che il figlio sia rimasto vittima di un pestaggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria. Per lei le immagini del corpo martoriato di Lonzi parlano chiaro. Non solo: si vede sangue ovunque, persino una strisciata lunga circa due metri che dall'interno della cella arriva fino al corridoio. Resta da verificare se le violente percosse siano state la causa del decesso oppure siano antecedenti alla morte. Due, secondo Trupiano e Ciuffi, sembrano . essere i punti fermi: Lonzi era preso di mira dai secondini; inoltre nel fascicolo non viene mai fatto cenno ad ecchimosi e ferite sulla parte posteriore del corpo. Maria Ciuffi ha poi presentato nei giorni scorsi una querela nei confronti di una persona non ben identificata che avrebbe tentato di investirla con un' auto grigia metallizzata - una Ka - vicino alla sua abitazione, nella zona di San Giusto a Pisa. «In quei giorni - ha aggiunto la donna - sono stata sottoposta anche a prolungati pedinamenti». Infine Trupiano ha manifestato l'intenzione di far trasferire gli atti del procedimento a un'altra procura «affinché possa essere fatta piena luce sulla morte di Marcello. Se il giudice delle indagini preliminari rimetterà gli atti al Pm chiedendo un supplemento d'indagine, invocheremo il legittimo sospetto per poter trasferire l'indagine altrove. L'intenzione della procura di Livorno mi sembra quella di non fare chiarezza sulla morte di Lonzi». Mentre l'avvocato Trupiano e Maria Ciuffi spiegavano le ultime novità sul caso in una conferenza stampa organizzata dal Csoa Godzilla in palazzo Comunale, in piazza del Municipio un centinaio di persone davano vita ad un presidio di protesta, per sensibilizzare i cittadini sul tragico caso di Marcello Lonzi.
***
Venerdì 23 luglio 2004 la madre di Marcello Lonzi, il giovane ucciso
nel carcere delle Sughere di Livorno l’11 luglio 2003, e il suo avvocato
Vittorio Trupiano, hanno tenuto una conferenza stampa a Livorno per illustrare
le sconcertanti novità emerse sul caso Lonzi, a seguito delle quali la
richiesta di archiviazione presentata dal Pm Pennisi suona ancor più
come un atto volontario di insabbiamento.
Durante la conferenza sono state mostrate 13 foto che documentano in modo inoppugnabile
l’infondatezza della versione sulle cause della morte di Marcello diffusa
dalle autorità. Secondo l’allora responsabile del carcere, il tristemente
famoso difensore dei GOM, Cacurri, Marcello colto da infarto sarebbe caduto
contro le sbarre procurandosi una serie di ferite e lacerazioni.
L’avvocato Trupiano, ‘esperto’ di barbarie carcerarie per
i numerosi casi di violenza sui detenuti seguiti, ha dichiarato di non essersi
mai imbattuto in un caso di brutalità così efferata e sconcertante.
In una foto scattata in obitorio al cadavere di Marcello riverso su un fianco,
sono visibili 20 segni di vergate (presumibilmente prodotte con manganelli)
dislocate dal collo alle ginocchia.
Trupiano sottolinea la presenza su queste aree del corpo di lacerazioni e tumefazioni
verosimilmente prodottesi durante una violenta colluttazione, che la presenza
di oggetti rotti e sparsi nella cella tenderebbe ad avvalorare.
A riprova dell’esistenza di emorragie interne non segnalate dal medico
legale, la foto n°4 mostra che il lenzuolo disposto al disotto del corpo
di Marcello era completamente sporco di sangue.
La morte del giovane sarebbe stata provocata da un colpo molto profondo ricevuto
al cranio.
Durante la conferenza sono stati inoltre denunciati tentativi di intimidazione
portati avanti da ‘ignoti’ contro Maria Ciuffi, la madre di Marcello,
che ha recentemente subito un tentato investimento ed è stata soggetta
a strani pedinamenti.
***
I casi Romeo a Reggio Calabria e Lonzi a Livorno. Per quest'ultimo spuntano foto inedite.
Francesco Romeo, un 28enne di oltre cento chili per un metro e 85 di altezza, muore il 7 ottobre 1997 nel carcere di Reggio Calabria. Un paio di settimane prima, nell'ultimo colloquio col fratello, aveva riferito di essere oggetto di pesanti pressioni volte a farlo «collaborare». Dagli atti giudiziari emerge che il 29 settembre Romeo sarebbe stato aggredito da almeno cinque persone e il suo corpo trasportato sotto un muro per simulare un tentativo di evasione. Una maldestra messinscena smascherata dalla consulenza medico-legale, che ha dichiarato l'assoluta incompatibilità delle lesioni con la precipitazione da un'altezza di neanche quattro metri. La causa diretta della morte sarebbe infatti un violento pestaggio a colpi di bastone o manganello che avrebbe provocato la frattura del cranio. Le lesioni alle braccia avrebbero evidenziato un tentativo di protezione del volto; quelle allo scroto e al coccige una tortura inferta prima dei colpi mortali. Un caso per molti versi simile a quello di Marcello Lonzi, il giovane livornese deceduto nel carcere Le Sughere per cause ancora da chiarire. Notizia di ieri è che l'avvocato che assiste la madre di Lonzi è entrato in possesso di una ventina di fotografie per lui inedite, allegate al fascicolo relativo alla morte, nelle quali si vedono la schiena e i glutei del giovane segnati da profonde ferite, oggettivamente incompatibili con l'ipotesi ufficiale che parla di morte accidentale procurata da un infarto e dalla conseguente caduta faccia a terra.
Ma torniamo al caso Romeo. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, il 6 marzo 2003, ha confermato la condanna nei confronti del comandante e di un agente della Polizia penitenziaria del carcere reggino, ma con una sostanziale modifica del titolo di reato. Il primo è infatti passato da concorso omissivo doloso (è al corrente di quanto accade, ha l'obbligo di intervenire ma non interviene) ad agevolazione colposa (non è al corrente di quanto accade ma organizza il servizio in modo tale da agevolare inconsapevolmente gli autori dell'omicidio); il secondo da favoreggiamento a false dichiarazioni al pm.
Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha portato all'assoluzione di 19 imputati su 21 perché le dichiarazioni degli indagati subito dopo il linciaggio furono rilasciate in assenza dei propri legali. Resta misterioso il motivo per cui il pm li abbia iscritti nel registro delle notizie di reato il giorno successivo al rinvenimento del corpo, ascoltandoli successivamente in qualità di persone informate sui fatti. Ci vorranno un anno e otto mesi perché siano ascoltati come imputati (e tutti, tranne uno, si avvarranno della facoltà di non rispondere). Nessuno ha poi voluto interrogare i compagni di cella e dell'ora d'aria. Questi ultimi in particolare avrebbero potuto riferire se Romeo alle 9 del mattino sia mai realmente entrato nel cortile esterno (in tre non lo ricordano presente). E' stata inoltre accertata, all'interno del carcere, la presenza dei Gom, i Gruppi operativi mobili. Ad alimentare ulteriori sospetti sono poi una serie di domande che non hanno trovato risposta: perché il comandante, proprio quella mattina, priva di adeguata custodia alcuni punti chiave del carcere? Perché sposta cinque uomini per sostituire un solo agente in malattia? Perché modifica le proprie mansioni alle 9 dopo la conferenza di servizio delle 7,50? Perché affida il controllo di due posti chiave (primo cancello e garitta cortile passeggio) a un solo agente? Perché questi non fa scattare l'allarme che avrebbe permesso la registrazione automatica dei filmati a circuito chiuso? Perché l'agente preposta ai monitor della sala regia non vede niente sino alle 10? E perché nessun agente, dalle 9 alle 10, vuole risultare al proprio posto? Il pm Roberto Pennisi, lo stesso che ha chiesto l'archiviazione del caso Lonzi, non ha saputo dare risposta a nessuna di queste domande, limitandosi a chiedere l'assoluzione per i vizi formali riportati in precedenza.
***
Maria Ciuffi si oppone alla richiesta di archiviazione della Procura sulla morte del figlio.
«Vogliamo la verità su Marcello»: lo striscione bianco e
rosso, ben visibile, è stato appeso per tutta la mattina di ieri sull’esterno
della scala del palazzo comunale. All’interno Maria Ciuffi, la madre di
Marcello Lonzi deceduto un anno fa, a soli 29 anni, all’interno delle
Sughere dove scontava una pena di quattro mesi. E il suo avvocato, Vittorio
Trupiano, arrivato a Livorno per presentare l’opposizione alla richiesta
di archiviazione - avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi - del fascicolo
a carico di ignoti.
Sul lato opposto della strada, un presidio per ricordare la morte in carcere
di Marcello. E un opuscolo, curato da un gruppo di giovani pisani, contenente
la testimonianza di un detenuto sulla situazione delle Sughere e le foto agghiaccianti
del cadavere del ragazzo deceduto nel luglio scorso.
Proprio le foto di Marcello sono al centro della richiesta di un supplemento
di indagini che l’opposizione all’archiviazione porta con sé.
Alle immagini del cadavere già note si sono aggiunte quelle contenute
nelle carte del pubblico ministero. Maria Ciuffi, ieri mattina, ha avuto modo
di vederle e qualcuno, in tribunale, si è preoccupato che la signora
non si sentisse male.
«In quelle foto - spiega l’avvocato Trupiano - il cadavere di Marcello
è girato di schiena. E, sulla schiena, ci sono i segni di vere e proprie
vergate, striature viola sulla pelle gonfia e rialzata, dal collo fin sotto
i glutei. Ecchimosi che possono essere state fatte solo con un bastone, un manganello.
Certo, non sono i segni di una caduta».
Perfino nelle copie in bianco e nero la schiena di Marcello Lonzi appare segnata:
una striscia bianca, proprio in mezzo al collo, e poi giù fino alla cosce,
con un parallelismo quasi geometrico. «Nonostante queste foto - ha detto
ancora l’avvocato Trupiano ai giornalisti convocati all’uscita dal
tribunale - si preferisce archiviare la morte di Marcello Lonzi, parlando di
morte naturale o, addirittura, di suicidio. Da una città con una tradizione
democratica come quella di Livorno mi aspettavo davvero ben altro».
L’udienza camerale per la decisione sulla richiesta del Pm si terrà,
presumibilmente, ai primi di settembre. «Si procede di solito a porte
chiuse - spiega l’avvocato della madre di Marcello - ma io chiederò
l’autorizzazione affinché la discussione sia fatta in presenza
del pubblico». Se l’opposizione sarà accolta e gli atti torneranno
al Pm Pennisi - ha concluso Trupiano - «non escludo di invocare, nei suoi
confronti, il legittimo sospetto per poter trasferire l’indagine».
Nel corso dell’incontro con i giornalisti, è stata resa nota anche
la denuncia contro ignoti presentata da Maria Ciuffi alla Procura di Pisa: la
madre di Marcello scrive, circostanziando luogo e ora, di pedinamenti a suo
carico e di un’auto che avrebbe tentato di spaventarla, se non addirittura
investirla.
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Livorno Spuntano alcune foto che avallano l'ipotesi di omicidio.
Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese Marcello Lonzi «ci sono almeno una ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle quali si vede il corpo del giovane con ferite profonde e del tutto incompatibili con l'ipotesi della morte accidentale procurata dall'infarto e dalla conseguente caduta». Lo ha rivelato l'avvocato Vittorio Trupiano, che assiste Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto in carcere a Livorno l'anno scorso. Il legale ha depositato ieri mattina alla cancelleria del Gip, Rinaldo Merani, l'opposizione alla richiesta di archiviazione dell'indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi. Ora sarà il giudice per le indagini preliminari, probabilmente a settembre, a decidere se continuare a indagare o chiudere il caso. Lonzi, 29 anni, morì in seguito a un infarto e secondo la procura le cause della sua morte sarebbero state naturali, mentre la madre ha sempre sostenuto che il figlio era rimasto vittima di un pestaggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria. «In quelle foto – ha spiegato Trupiano – si vedono sulla parte posteriore del corpo di Marcello vistose ecchimosi provocate dalle manganellate. Noi siamo certi che sia stato vittima di un pestaggio prolungato e doloroso. Quel che è certo è che le ferite sulle natiche, sulla parte posteriore delle gambe e sulla schiena non sono certo compatibili con la caduta provocata dall' infarto». Maria Ciuffi ha poi presentato nei giorni scorsi una querela nei confronti di una persona da identificare che avrebbe tentato di investirla vicino alla sua abitazione, nella zona di San Giusto a Pisa, con una «Ford K» grigia metallizzata. «In quei giorni – ha aggiunto la donna – sono stata sottoposta anche a prolungati pedinamenti». Infine, Trupiano ha manifestato l'intenzione di far trasferire gli atti del procedimento a un'altra procura «affinché si faccia piena luce sulla morte di Marcello».
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Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, il giovane morto nel carcere «Le Sughere» un anno fa, chiede che il caso non sia archiviato. Ieri, insieme al suo difensore, Vittorio Trupiano, si è recata in tribunale e poi ha incontrato la stampa per ripetere la sua richiesta di verità sulla morte del figlio. «Ho formalizzato la richiesta di opposizione all’archiviazione del caso - ha detto Trupiano, che ha aggiunto - i motivi saranno depositati entro la fine di luglio. E sempre stamani (ieri per chi legge, ndr) abbiamo preso visione di una serie di foto, circa una ventina, presenti nel fascicolo del procuratore della Repubblica, nelle quali è ripreso il retro del cadavere di Marcello Lonzi, e da queste si evidenziano una serie di segni sulla schiena e sulle natiche, parti sulle quali la carne risulta rialzata e violacea». Per gli inquirenti, che hanno anche aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio volontario, Marcello Lonzi sarebbe stato colpito da un malore e cadendo avrebbe sbattuto la testa contro le sbarre. Per il difensore della parte offesa, invece, sarebbe stato vittima di un pestaggio, a seguito del quale, cadendo, si sarebbe procurato le ferite alla testa e al volto. L’avvocato ha anche dichiarato che, se sarà respinta l’archiviazione e il gip Rinaldo Merani chiederà al sostituto procuratore Roberto Pennisi un supplemento di indagini, invocherà il legittimo sospetto, chiedendo quindi che le indagini siano spostate. Maria Ciuffi ha anche affermato che dopo l’iniziativa davanti al carcere per l’anniversario della morte del figlio, è stata pedinata e ha subito un tentativo di investimento: ha presentato una denuncia alla procura della Repubblica di Pisa, dove i fatti si sarebbero verificati.
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Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese Marcello Lonzi "ci sono almeno una ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle quali si vede il corpo del giovane con ferite profonde e incompatibili con l’ipotesi della morte accidentale procurata dall’infarto e dalla conseguente caduta".
Lo ha rivelato l’avvocato Vittorio Trupiano, che assiste Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, 29 anni, morto in carcere a Livorno l’anno scorso. Il legale ha depositato ieri alla cancelleria del Gip Rinaldo Merani, l’opposizione alla richiesta di archiviazione dell’indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal Pm Roberto Pennisi. Ora sarà il giudice per le indagini preliminari, forse a settembre, a decidere se far continuare le indagini o chiudere il caso.
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Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese Marcello Lonzi "ci sono almeno una ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle quali si vede il corpo del giovane con ferite profonde e del tutto incompatibili con l’ipotesi della morte accidentale procurata dall’infarto e dalla conseguente caduta". Lo ha rivelato l’avvocato Vittorio Trupiano, che assiste Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto in carcere a Livorno l’anno scorso.
Il legale ha depositato ieri mattina alla cancelleria del Gip, Rinaldo Merani, l’opposizione alla richiesta di archiviazione dell’indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi. Ora sarà il giudice per le indagini preliminari, probabilmente a settembre, a decidere se continuare a indagare o chiudere il caso. Lonzi, 29 anni, morì in seguito a un infarto e secondo la procura le cause della sua morte sarebbero state naturali, mentre la madre ha sempre sostenuto che il figlio era rimasto vittima di un pestaggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria.
"In quelle foto - ha spiegato Trupiano - si vedono sulla parte posteriore del corpo di Marcello vistose ecchimosi provocate dalle manganellate. Noi siamo certi che sia stato vittima di un pestaggio prolungato e doloroso. Quel che è certo è che le ferite sulle natiche, sulla parte posteriore delle gambe e sulla schiena non sono certo compatibili con la caduta provocata dall’ infarto".
Maria Ciuffi ha poi presentato nei giorni scorsi una querela nei confronti di una persona da identificare che avrebbe tentato di investirla vicino alla sua abitazione, nella zona di San Giusto a Pisa, con una "Ford K" grigia metallizzata. "In quei giorni – ha aggiunto la donna – sono stata sottoposta anche a prolungati pedinamenti". Infine, Trupiano ha manifestato l’intenzione di far trasferire gli atti del procedimento a un’altra procura "affinché si faccia piena luce sulla morte di Marcello".
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Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese Marcello Lonzi ''ci sono almeno
una ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle quali si
vede il corpo del giovane con ferite profonde e del tutto incompatibili con
l' ipotesi della morte accidentale procurata dall' infarto e dalla conseguente
caduta''. Lo ha rivelato l' avvocato Vittorio Trupiano, che assiste Maria Ciuffi,
la madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto in carcere a Livorno l' anno scorso.
Il legale ha depositato questa mattina alla cancelleria del Gip, Rinaldo Merani,
l' opposizione alla richiesta di archiviazione dell' indagine contro ignoti
per omicidio avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi. Ora sarà
il giudice per le indagini preliminari, probabilmente a settembre, a decidere
se continuare a indagare o chiudere il caso.
Lonzi, 29 anni, morì in seguito a un infarto e secondo la procura le
cause della sua morte sarebbero state naturali, mentre la madre ha sempre sostenuto
che il figlio era rimasto vittima di un pestaggio da parte degli agenti della
polizia penitenziaria.
''In quelle foto - ha spiegato Trupiano - si vedono sulla parte posteriore del
corpo di Marcello vistose ecchimosi provocate dalle manganellate. Noi siamo
certi che sia stato vittima di un pestaggio prolungato e doloroso. Quel che
e' certo e' che le ferite sulle natiche, sulla parte posteriore delle gambe
e sulla schiena non sono certo compatibili con la caduta provocata dall'infarto''.
Maria Ciuffi ha poi presentato nei giorni scorsi una querela nei confronti di
una persona da identificare che avrebbe tentato di investirla vicino alla sua
abitazione, nella zona di San Giusto a Pisa, con una 'Ford Ka' grigia metallizzata.
''In quei giorni - ha aggiunto la donna - sono stata sottoposta anche a prolungati
pedinamenti''. Infine, Trupiano ha manifestato l' intenzione di far trasferire
gli atti del procedimento a un'altra procura ''affinché si faccia piena
luce sulla morte di Marcello. Mi aspettavo - ha concluso il legale - che una
città dalle forti tradizioni democratiche come Livorno facesse di tutto
per chiarire una vicenda come questa e di non trovare qui quegli atteggiamenti
insabbiatori spesso presenti in alcune procure siciliane. Se il Gip rimetterà
gli atti al Pm e chiederà un supplemento d' indagine invocheremo il legittimo
sospetto per poter trasferire l' indagine altrove. Non credo che la Procura
di Livorno voglia davvero fare chiarezza sulla morte di Lonzi''.
***
Nella città considerata una delle più rosse d’Italia esiste
un carcere, le Sughere, che negli anni ha assunto sempre più le sembianze
di un lager: un non-luogo fisicamente molto vicino a noi, ma lontanissimo quando
si cerca di capire o semplicemente di sapere cosa accede al suo interno. In
questo carcere avvengono pestaggi e torture quotidiane, i detenuti vivono in
condizioni a dir poco disastrose: si parla di celle di 3 metri in cui vivono
4 o 5 persone.
L’undici luglio dell’anno scorso alle Sughere un ragazzo, Marcello
Lonzi, è morto: era dentro per tentato furto, quattro mesi ancora da
scontare.
Il motivo della morte? Per la giustizia: suicidio o morte accidentale.
Marcellino, così lo chiamavano, è stato trovato sdraiato davanti
alla porta della sua cella, aveva ferite e lividi su tutto il corpo, una costola
e lo sterno fratturato, una ferita in testa talmente profonda da raggiungere
il cranio. La causa della morte: arresto cardiaco.
I familiari sono stati avvertiti più di 12 ore dopo: l’autopsia
già iniziata, la causa della morte già decisa.
La madre del ragazzo non ci sta, non serve essere un ispettore per capire che
su quella vicenda c’è qualcosa che non quadra. Il referto medico
sulla morte è stato firmato da un medico che quella notte non era neanche
nel carcere, è stato corretto a penna l’orario perché non
corrispondente con la chiamata al 118 (evidentemente se ne sono accorti dopo).
La causa della morte è dovuta ad una tipologia d’arresto cardiaco:
l’unica non dimostrabile scientificamente.
Quella notte nel carcere c’è stata una protesta spontanea dei detenuti
della sezione sei: cosa alquanto insolita per una morte “apparentemente
naturale”. Le prove più importanti, quelle che avrebbero potuto
inchiodare i colpevoli, sono le testimonianze dei detenuti e le foto scattate
la notte stessa. Queste ultime mostrano segni evidenti di colluttazione all’interno
della cella: un secchio spaccato, vestiti per terra, le mani di Marcello a coprirsi
il volto e le costole come a proteggersi da qualcosa, una scia di sangue pulita
alla meglio davanti alla cella, che dimostra come il ragazzo vi sia stato trascinato
successivamente. Poi il racconto dei detenuti alla madre che parlano di un pestaggio,
iniziato già nell’ora d’aria e poi continuato in isolamento.
Ancora le testimonianze dei detenuti della cella accanto, del compagno di cella
ed infine una telefonata anonima, probabilmente di una guardia carceraria, che
conferma la nuova versione: Marcellino è stato ammazzato!
È morto dopo un pestaggio durato delle ore, dove i secondini hanno dato
il meglio di loro, pestando un ragazzo di vent’otto anni e poi lasciandolo
morire in cella.
Ciò che ci lascia più sconcertati è che di fronte a queste
prove palesi (la maggior parte raccolte dalla madre), di fronte a testimonianze
ufficiali, di fronte a delle incongruenze talmente manifeste che almeno avrebbero
dovuto far sorgere qualche dubbio, per questo caso è stata fatta domanda
di archiviazione , il primo di luglio dal P.M. Roberto Pennisi. Dopo un anno
di indagini quasi inesistenti, un anno in cui quest’uomo non ha dimostrato
il minimo interesse a risolvere questo caso, di fronte a testimonianze e prove
certe, la sua decisione era già stata pronunciata da tempo.. Noi pensiamo
che la “giustizia” non darà mai un nome ai responsabili,
come è sempre successo, da Piazza Fontana ad oggi.
Pennisi, per chi non lo sapesse è anche il responsabile delle due rocambolesche
perquisizioni dei giorni scorsi ai danni centro sociale Godzilla e del C.P 1921
risoltesi in un buco nell’acqua. Dove avrà trovato mai il tempo,
ci domandiamo, per risolvere il caso Lonzi, per trovare la verità sulla
morte di un ragazzo in carcere?
Ad un anno dalla morte di Marcello, dopo la scandalosa domanda di archiviazione del caso: partecipiamo al presidio di sabato 10 luglio alle 15:30 davanti al carcere delle Sughere.
***
Il giovane fu trovato morto nel carcere di Livorno.
Un anno fa, precisamente lo scorso 12 luglio, moriva al carcere «Le
Sughere» di Livorno Marcello Lonzi, livornese di 29 anni. Fu trovato prono,
vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione non dettero alcun esito. I
familiari furono avvertiti dodici ore dopo il decesso. «Marcellino»,
così era conosciuto in città, era detenuto per tentato furto e
avrebbe dovuto scontare altri quattro mesi di reclusione. Gli esami autoptici
indicarono in una aritmia maligna la causa più probabile della morte.
Sul volto del giovane, il medico legale riscontrò anche tre gravi ferite,
«prodottesi con tutta probabilità simultaneamente». La relazione
di consulenza tecnica medico-legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, imputò
le lesioni al viso alla dinamica del decesso: Lonzi sarebbe stato colto da malore
e, cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone o
contro lo stipite della porta. Alla stessa origine venne ricondotta una strana
escoriazione sul torace a forma di «V», mentre altri «fatti
traumatici» furono attribuiti ai tentativi di rianimazione. Le foto del
cadavere, in circolazione anche sul web, mostrano il viso tumefatto e il torace
segnato da profonde ferite.
Inizia ad interessarsi direttamente della vicenda la madre del giovane, Maria
Ciuffi. E la sua determinazione nella ricerca della verità gioca un ruolo
fondamentale, tanto che sulla morte di Marcello Lonzi (né la prima né
l'ultima a «Le Sughere», molte morti sono ancora avvolte dal mistero)
nasce un caso. Fin dal primo istante, la donna ha rigettato l'ipotesi del decesso
per cause naturali. E fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci,
sempre più insistenti, che circolano all'interno del carcere e vedrebbero
una diversa ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte.
Nel frattempo emergono le prime verità: si viene a sapere che il medico
di turno non era presente la notte del decesso e che il medico legale ha compilato
due relazioni completamente diverse tra loro. Maria Ciuffi comincia a ricevere
numerose telefonate anonime. Dall'altra parte della cornetta c'è sempre
qualcuno che, considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari,
potrebbe essere una fonte bene informata. Le dicono che suo figlio, durante
l'isolamento, è stato ripetutamente picchiato sia da altri detenuti,
sia dal personale penitenziario.
Si impossessa dell'inchiesta il pm livornese Roberto Pennisi. Il magistrato
prende tempo, nega i confronti e gli interrogatori. Quindi chiede l'archiviazione
del procedimento in quanto non ritiene vi siano responsabili per quel tragico
evento. L'avvocato Vincenzo Trupiano, legale di Maria Ciuffi, chiede invece
il proseguimento delle indagini. «Nelle scorse settimane avevamo presentato
un'istanza per avere risposte sulla perizia tossicologica - ha spiegato il legale
- ma Pennisi non si è neppure degnato di risponderci. Ora ci opporremo
alla richiesta di archiviazione, perché il magistrato deve sapere che
non sarà né lui né io a decidere come andrà a finire
questa brutta storia, bensì un giudice che si esprimerà dopo aver
preso visione degli atti».
Due detenuti vicini di cella di Lonzi avrebbero raccontato a un avvocato livornese
che il decesso sarebbe dovuto a un violentissimo pestaggio operato dai secondini.
Ma a testimoniare non ci andranno mai: nelle carceri l'omertà regna ancora
incontrastata.
***
Marcello Lonzi è stato ucciso l'11 luglio del 2003. L'amministrazione
penitenziaria dice che è morto d'infarto. In carcere non c'era mai stato,
doveva scontare poco più di quattro mesi in quanto la giustizia lo condannò
per tentato furto. Marcellino, conosciuto in tutta Livorno, aveva 29 anni quando
è stato ammazzato dai secondini. Tutti i detenuti della 6° sezione
del carcere sono a conoscenza di questo fatto mentre l'autopsia eseguita dal
medico legale Bassi Luciani ha stabilito clamorosamente che le cause della morte
sono state naturali e dovute ad un infarto.
Tanto per iniziare: perché i familiari sono stati avvertiti dodici ore
dopo la morte? E perché lo hanno tenuto tanto tempo all'interno del carcere?
Perché se è morto d’infarto hanno spostato il corpo nel
corridoio?
Le foto dell'autopsia smentiscono le menzogne del medico legale Bassi e in maniera
oggettiva mostrano un corpo che ha perso molto sangue ed ha subito diversi colpi
riportando ecchimosi sulla schiena, ferite sul volto, sulla testa e in particolare
una profonda fino all’osso: le guardie gli potrebbero aver sbattuto la
testa sull'inferriata. Si vedono il sangue sul pavimento, nonostante le pulizie
del penitenziario per occultare la verità.
Chi le ha provocate?
Coloro che difendono il potere e la tortura hanno avuto il coraggio di dire
che sono state causate dalla caduta di Marcello contro le grate della cella
al momento dell'infarto. Aguzzini!
I signori medici, complici degli assassini, hanno prelevato alcuni organi vitali
e dei tessuti per sottoporli ad esami tossicologici, esami che dovevano essere
eseguiti nell'arco di sei mesi perché poi i frammenti non sarebbero più
stati buoni, ma che non sono mai stati eseguiti; questi organi si trovano ancora
a medicina legale a Pisa. Allora perché sono stati prelevati?
L’autopsia è stata eseguita senza avvertire nessuno dei familiari
per evitare la nomina di un consulente di parte.
Il signor Bassi è lo stesso medico che nel mese di settembre dell'anno
scorso verbalizzò l'ennesima “morte d'infarto” per coprire
la verità su di un trentenne, detenuto e morto nel carcere di Pisa perché
portato al soffocamento, rinchiuso in isolamento e senza nebulizzatore; dopo
una crisi asmatica e cinque ore di agonia, ad aprirgli la cella sono stati gli
stessi che lo hanno ammazzato!
La madre di Marcello, Maria Ciuffi, non ha mai creduto alla versione “ufficiale”
delle istituzioni stilata su suo figlio; due giorni dopo il decesso ha visto
il corpo che perdeva ancora sangue e sporcava la camicia come se ci fosse una
emorragia interna.
La denuncia querela della madre scattò subito contro i secondini della
6° sezione che si trovavano in servizio dalla mattina fino all’ora
della morte.
Un detenuto ha detto che dopo il pestaggio i soccorsi sono arrivati in ritardo.
L'omissione di soccorso è visibile anche dagli orari sui verbali della
pubblica assistenza, che sono stati manomessi e corretti più volte.
Le foto confermano il pestaggio e danno un'altra versione dei fatti rispetto
a quella del dottor Bassi, tanto che, dopo alcuni dubbi di Maria, ripetutamente
evidenziati sulla stampa tramite delle dichiarazioni, la procura di Livorno
non ha potuto fare a meno di aprire un indagine contro ignoti, con il reato
d'omicidio e mancato soccorso. Indagine conclusa pochi giorni fa dal sostituto
procuratore Pennisi che inizialmente ha preso tempo, ha negato i confronti e
gli interrogatori ed infine il 2 luglio ha iniziato la procedura d'archiviazione
per “suicidio o morte accidentale”.
Se leggiamo gli articoli che sono usciti su questo argomento, possiamo notare
che i giornalisti hanno trattato questa vicenda con le mani di velluto, come
se la verità scoperta grazie all'impegno della madre fosse un'opinione
tutta sua. Eppure è risaputo che molte persone detenute vengono torturate
e uccise per mano dei secondini e il carcere è una struttura di morte
e annientamento delle persone.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito proprio a questo. Tre detenuti ammazzati
nel carcere di “Sollicciano”, una persona morta nel lager “Le
Sughere” e, secondo quello che viene riportato da “Il Tirreno”,
questo detenuto si sarebbe impiccato con una cintola, quando le cintole e le
stringhe vengono tutte ritirate al momento del sequestro nel carcere e riconsegnate
all'uscita.
La mancanza di libertà propria dell'attuale società democratica
e estremizzata con la tortura all'intero di carcere, con la privazione dell'intimità
e con la tremenda sensazione di essere alla mercè di gente senza scrupoli,
un domani potrebbe essere solo un brutto sogno.
Nessuno di noi decide le regole di questa società, secondo quale logica
assurda dovremmo continuare a rispettare la legge, cioè il volere degli
oppressori?
La solidarietà allora va a tutti/e coloro che subiscono la repressione
dello Stato e che sono rinchiusi e isolati nelle galere.
Su questo foglio non troverete alcune parole che legittimano queste strutture
di morte, ma una ferma condanna verso chi le mantiene in piedi, tanto meno troverete
riferimenti a diritti o a porcherie proprie del linguaggio giuridico che illudono
le persone e proteggono il potere. Solo con percorsi diversi da quelli affini
alla legge e lontani dagli schieramenti verticali delle istituzioni, possiamo
illuminare un sentiero chiaro e visibile dal basso, associandosi tra i senza
potere, per abbattere la prigionia voluta da quella casta di mostri che vuole
continuamente comandare, sfruttare e dichiarare guerra ai popoli, avvelenare
la natura e distruggere la vita degli esseri viventi.
Pierpaolo D'Andria, direttore del carcere: “il decesso è avvenuto
alle 19,40, Lonzi era in cella con un altro detenuto che in quel momento dormiva.
Ma si è svegliato e l'ha visto per terra. Ha chiesto aiuto ed i soccorsi
sono scattati subito. È intervenuto il nostro medico che ha iniziato
le pratiche di rianimazione.”
Domanda – Quanto tempo sei stato nel carcere di Livorno?
Risposta – Attualmente un mese e mezzo, in totale cinque anni.
D – Ci vuoi raccontare qual è la realtà nelle celle di questo
carcere?
R – La realtà della cella è invivibile… le celle sono
di tre metri e dentro ognuna ci sono 4 o 5 detenuti, non si resiste…
D – C’è anche un bagno?
R – Sì, c’è, ma è impossibile entrarci perché
è sporco.
D – Quindi c’è anche un problema di sporcizia…
R – Sì.
D – Cosa fate all’interno di queste celle così piccole?
R – Niente… ognuno sta nel suo letto, si addormenta o guarda la
tv. Sennò c’è l’ ”ora d’aria” o
una saletta dove andiamo a giocare a carte. Basta.
D – Una delle realtà che più ci ha colpiti, anche alla luce
del caso di Marcello Lonzi, è il regime di disciplina all’interno
del carcere livornese…
R – Sì…
D – Qual è l’atteggiamento delle guardie nei confronti dei
detenuti?
R – La Polizia penitenziaria a Livorno comanda troppo, fa ai detenuti
quello che vuole. Se qualcuno chiede qualcosa alle guardie, come ad esempio
una “spesa anticipata” o dei fogli per compilare le “domandine”,
assumono un atteggiamento alterato e, a seconda di come gli viene risposto,
il detenuto viene immobilizzato con le braccia rigirate dietro la schiena, portato
giù all’isolamento, e qui isolato, o pestato, o rinchiuso nella
“cella liscia”.
D – La Polizia penitenziaria ha quindi un atteggiamento molto duro nei
confronti dei detenuti?
R – Sì, nei confronti dei detenuti si.
D – Tu sei stato nella cella d’isolamento delle “Sughere”?
R – Sì, sono stato nella “cella liscia”.
D – E cosa è successo?
R – Mi hanno preso perché, giunto da un altro carcere, avevo chiesto
una “spesa anticipata”. Sono venuti a muso duro davanti alla cella
e mi hanno detto: “Se non stai zitto ti si prende e ti si attacca al muro”.
Siccome io non sono una persona che si zittisce così, gli ho risposto
a tono e così sono tornati in 5, mi hanno preso e portato giù
alla “cella liscia”, spogliato in mutande, e tenuto così
per 4 giorni, con solo il materasso.
D – Quindi tu sei stato tutti questi giorni nudo, in mutande, in una cella
liscia che non ha nulla, solo il materasso?
R – Sì, solamente con un materasso in terra.
D – Cosa hai provato?
R – Ci si sente proprio a terra. Olteretutto viene chiuso sia il cancello,
sia il blindato, e non puoi chiamare neanche le guardie, perché se le
chiami entrano dentro e ti riempiono di botte. Non puoi fare nulla, questo te
lo dicono appena entri con minacce dirette, non puoi aprire nemmeno la bocca.
D – Sei stato picchiato durante l’isolamento?
R – Io sì.
D – Vuoi raccontarci cos’è successo?
R – Nella “cella liscia” mi hanno picchiato ed io ho risposto,
così sono venuti in 6 o 7 e non ho più potuto far nulla, mi hanno
spaccato la faccia. Quando ti picchiano puoi pure rispondere, ma al massimo
puoi colpirne uno, spintonarne un altro e poi sei finito, ti accerchiano e ti
seppelliscono di cazzotti e pedate, fino ad ammazzarti. Io mi sono rivoltato
e gliel’ho detto: tanto vi prendo fuori quando siete “in borghese”.
D – Sei stato picchiato a mani nude?
R – Loro avevano i guanti, guanti e scarponi con la punta in ferro che
fa molto male.
D – Cosa si prova quando sei in isolamento e ti entrano 6 guardie dentro
per picchiarti?
R – Uno se ne accorge subito, perché quando vengono a picchiarti
chiudono i cancelli dietro e intorno a sé, cancelli e blindati. Se il
tuo rimane aperto, stai tranquillo che prima o poi arrivano 6 o 7 guardie a
picchiarti. A quel punto cosa fai, ti metti in un angolo, o in fondo alla parete,
e sai già a cosa andrai incontro. Io mi metto in fondo, in un angolo,
e se ne prendo uno bene, sennò me le piglio tutte io.
D – Ci sono altre persone nel carcere di Livorno che hanno subito lo stesso
trattamento?
R – Sì, ne ho viste, portate via e anche picchiate nel corridoio.
Ho visto detenuti prenderne da 4 o 5 guardie, anche davanti a tutti.
D – Hai visto rientrare qualcuno dalla cella d’isolamento?
R – Sì, avevano la faccia rotta, gli mancavano i denti.
D – Ultimamente c’è un incremento della violenza nei confronti
delle persone
detenute o no?
R – Sì, c’è un incremento. Forse dipende dal fatto
che ci sono troppi detenuti o perché il carcere cade a pezzi, le sezioni
cadono a pezzi, in una cella dormono in 6 o 7, mentre prima ci dormivano in
2. Aumentano i detenuti e aumentano i pestaggi.
Questa è una testimonianza sulla realtà del carcere di Livorno,
dove è morto Marcello Lonzi, di 29 anni, morto dopo essere stato messo
in isolamento. Marcello è morto in una realtà di violenza quotidiana,
di violenza come abitudine e prassi.
***
Invito tutte le persone che conoscevano mio figlio Marcellino e chi vuole starmi vicino a partecipare al presidio di sabato 10 luglio - ore 15 - davanti al carcere Le Sughere di Livorno ad un anno dalla sua morte avvenuta per pestaggio. Un grazie particolare agli amici de "Il Silvestre" di Pisa e del "Godzilla" di Livorno, che mi sono stati vicino e che mi hanno aiutato ad organizzare il presidio.
***
"Secondini, la verità vi fa paura": Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto un anno fa per arresto cardiaco nel carcere delle Sughere a Livorno, continua la sua battaglia contro l’archiviazione del caso, sintetizzando la sua rabbia e la sua delusione in una scritta affidata a un lenzuolo appeso da ieri mattina alla finestra della sua abitazione a Pisa.
Maria Ciuffi ha sempre sostenuto che il figlio sarebbe morto in seguito a un pestaggio subito in cella, un fatto che sarebbe dimostrato anche dalle foto che la signora ha reso visibili a tutti attraverso Internet. Ma, a pochi giorni dal primo anniversario della morte - Lonzi è deceduto l’11 luglio 2003 - il Pm Roberto Pennisi ha ritenuto che non vi siano responsabili per quel tragico evento. A fianco della signora Ciuffi, contro l’archiviazione si batte l’avvocato Vincenzo Trupiano, che ha già preannunciato la sua volontà di opporsi e di chiedere il proseguimento delle indagini. "Troppe cose strane avvengono nelle carceri italiane - dice la donna - e in particolare in quello delle Sughere dove alcuni giorni fa è morto un altro detenuto, trovato impiccato a una cintura per pantaloni. Ma si sa benissimo che in carcere non sono permesse né cinture, né altro". La Ciuffi ha inviato anche una lettera al ministro Roberto Castelli chiedendo di "aprire gli occhi".
***
Il pubblico ministero Roberto Pennisi ha avanzato la richiesta di archiviazione del procedimento aperto contro ignoti sulla morte di Marcello Lonzi, il giovane di 29 anni deceduto l’11 luglio scorso nel carcere delle Sughere dove era detenuto. Una decisione duramente contestata dalla madre del ragazzo, Maria Ciuffi - che ha appreso la notizia telefonando alla cancelleria del tribunale, e dal suo legale, Vittorio Trupiano. Che presenterà immediatamente ricorso - spiega - "suggerendo al giudice per le indagini preliminari di delegare il pubblico ministero alla riesumazione, che ritengo indispensabile, della salma di Lonzi".
Nei giorni scorsi l’avvocato Trupiano aveva chiesto l’effettuazione della perizia tossicologica sui resti di alcuni organi del giovane deceduto conservati - come si legge nell’autopsia - esattamente a questo scopo: "Non ho ricevuto alcuna risposta - spiega il legale - e mi chiedo come sia possibile. Soprattutto ora che vi è la richiesta di archiviazione mentre io attendo ancora l’esito della mia domanda".
"La mia battaglia - dichiara amareggiata Maria Cuffi, comincia ora. E possono stare sicuri che non mi fermerò. Ho perso un figlio e niente e nessuno potrà ridarmelo, ma oggi non sono più sola".
Sabato 10 luglio, anniversario della morte di Marcello Lonzi, dalle 15 alle 19 si terrà un presidio davanti al carcere livornese. "Stanno arrivando tante adesioni - spiega ancora la madre - perché non è solo per me e mio figlio che io cerco la verità su quanto accaduto in quella cella.
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L’avvocato Vittorio Trupiano, legale di Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi deceduto l’11 luglio 2003 alle Sughere, ieri mattina ha depositato una richiesta per il magistrato Roberto Pennisi titolare dell’indagine sulla morte del giovane. L’avvocato Trupiano chiede se è stata fatta una perizia tossicologica sugli organi asportati dal cadavere di Marcello Lonzi, in caso positivo di conoscerne l’esito ed in caso negativo di conoscerne le ragioni. "Posso accettare che si proceda contro ignoti - ha spiegato Trupiano - ma non posso accettare l’ipotesi che Marcello Lonzi sia morto per cause accidentali. Per questo motivo se sarà necessario chiederò la riesumazione del cadavere e fatto tutte le indagini che oggi può fare un avvocato. Contatterò alcune persone". Dopo l’incontro con Maria Ciuffi, l’avvocato Trupiano è andato in carcere per parlare con un detenuto.
***
Indagini difensive per chiarire le cause del decesso di Marcello Lonzi, morto in carcere a Livorno nell’ottobre scorso. Lo ha annunciato l’avvocato difensore della donna, Trupiano, che ieri ha depositato alla procura di Livorno un’istanza per chiedere se sia stata effettuata una perizia tossicologica. Secondo la madre, Maria Ciuffi, il ragazzo sarebbe morto per un pestaggio e non per infarto.
Ieri mattina l’avvocato Vittorio Trupiano ha preso ufficialmente la difesa della Signora Maria Ciuffi, parte offesa nel procedimento a carico di ignoti per la morte di suo figlio Marcello Lonzi, avvenuta nel carcere livornese delle Sughere l’11 luglio 2003. Il legale, accompagnato dalla Ciuffi, ha depositato al p.m. Pennisi richiesta finalizzata a conoscere se è stata mai espletata la disposta perizia tossicologica sugli organi espianti dal cadavere del detenuto, e, in caso positivo, quale esito la stessa abbia avuto, mentre, in caso negativo, quale sia stato l’impedimento.
Nel corso di un’improvvisata conferenza stampa svoltasi all’interno del Tribunale di Livorno, Trupiano ha dichiarato ai giornalisti che, all’esito della risposta al quesito formulato, si riserva di richiedere la riesumazione della salma. Ha inoltre fatto presente di avere gli stessi poteri investigativi del p.m. e che per questi motivi svolgerà indagini a 180 gradi anche e soprattutto nell’ambito del Dap, partendo "da molto in alto".
Trupiano ha concluso affermando che "si può sopportare, al momento, che si indaghi contro ignoti, ma non che si ipotizzi un decesso dovuto a cause naturali".
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Ieri mattina l’avvocato Vittorio Trupiano ha preso ufficialmente la difesa della Signora Maria Ciuffi, parte offesa nel procedimento a carico di ignoti per la morte di suo figlio Marcello Lonzi, avvenuta nel carcere livornese delle Sughere l’11 luglio 2003. Il legale, accompagnato dalla Ciuffi, ha depositato al Pm Pennisi richiesta richiesta finalizzata a conoscere se è stata mai espletata la disposta perizia tossicologica sugli organi espianti dal cadavere del detenuto, e, in caso positivo, quale esito la stessa abbia avuto, mentre, in caso negativo, quale sia stato l’impedimento.
Nel corso di un’improvvisata conferenza stampa svoltasi all’interno del Tribunale di Livorno, Trupiano ha dichiarato ai giornalisti che, all’esito della risposta al quesito formulato, si riserva di richiedere la riesumazione della salma. Ha inoltre fatto presente di avere gli stessi poteri investigativi del p.m. e che per questi motivi svolgerà indagini a 180 gradi anche e soprattutto nell’ambito del Dap, partendo "da molto in alto". Trupiano ha concluso affermando che "si può sopportare, al momento, che si indaghi contro ignoti, ma non che si ipotizzi un decesso dovuto a cause naturali".
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Marcello Lonzi morto tra le 19.50 e le 20.14 dell’11 luglio 2003, nel carcere delle Sughere di Livorno. Era detenuto per tentato furto (4 mesi di reclusione ancora da scontare). È stato trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione non hanno dato alcun esito. I familiari sono stati avvertiti 12 ore dopo il decesso. Nel frattempo, sul corpo di Marcello Lonzi, erano stati effettuati i primi esami autoptici. L’esito di queste analisi ha indicato in un’aritmia maligna la causa più probabile della morte. Ma ci sono troppe cose che non tornano, in questa vicenda. Sul volto del giovane l’autopsia ha riscontrato tre gravi ferite, prodottesi con tutta probabilità "simultaneamente".
Sul suo torace, una strana escoriazione a forma di "V". La relazione di consulenza tecnica medico legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, imputa le ferite al viso alla dinamica del decesso: Marcello Lonzi sarebbe stato colto da malore e, cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone o contro lo stipite della porta. Alla stessa origine viene ricondotta l’escoriazione sul torace, mentre altri "fatti traumatici" vengono attribuiti ai tentativi di rianimazione (come la frattura della seconda costola di sinistra in sede iuxta - cartilaginea).
Tutto regolare, dunque; tutto spiegabile, in apparenza, secondo le indagini sin qui svolte. Ma, in verità, qualcosa non torna. Sulla morte di Marcello Lonzi nasce un caso, nel quale è la determinazione della madre, Maria Ciuffi, a giocare un ruolo fondamentale.
Fin dal primo istante, la donna non ha creduto all’ipotesi della morte per esclusive cause naturali; e fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci, sempre più insistenti, che circolano all’interno del carcere, e che adombrano un’altra ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte.
Lonzi era un ragazzo sano e di costituzione robusta; le uniche alterazioni riscontrate nella sua fisiologia e giudicate, dall’autopsia del tribunale, "relativamente modeste", sono a carico dell’apparato cardiaco (riduzione del calibro di un ramo coronario); ma non sono state rilevate occlusioni che potessero portare all’infarto del miocardio.
L’ipertrofia ventricolare è, ad oggi, la causa di morte più accreditata, semplicemente perché non lascia tracce nell’organismo; semplicemente perché, non potendosi dimostrare alcuna altra patologia, se ne ipotizza una che non ha bisogno di "prove". Quanto alle ferite rinvenute sul cadavere, è la loro entità a sollevare dubbi. Una raggiunge l’osso sottostante, un’altra penetra profondamente fino a comunicare con il vestibolo. Per queste ragioni, l’avvocato della famiglia chiede se sia "compatibile la gravità e profondità di simili lesioni con una mera caduta da fermo"; e se non sia necessaria una ulteriore spinta o pressione per produrre tali conseguenze".
Nel frattempo, Maria Ciuffi ha ricevuto numerose telefonate anonime, da qualcuno che - considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari - potrebbe essere una fonte bene informata.
Le è stato detto che suo figlio, durante l’isolamento, è stato ripetutamente picchiato; e le è stato riferito di scontri con altri detenuti e con il personale penitenziario. È probabile che Marcello Lonzi non sia stato ucciso dai traumi conseguenti a questi fatti, se questi fatti si sono effettivamente verificati. Ma la stessa aritmia maligna sin qui ipotizzata potrebbe essere insorta - è un’ipotesi medica plausibile - come reazione alle eventuali percosse.
Maria Ciuffi ha scritto al Ministro della Giustizia, si è rivolta ad alcuni parlamentari e allo stesso capo dello Stato: vuole la verità. E che sia convincente. C’è un giudice a Livorno? (C’è: e ha aperto un fascicolo). C’è un parlamentare che voglia andare fino in fondo?
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Prosegue la battaglia di Maria Ciuffi, che abita nella nostra città, la madre di Marcello Lonzi, il giovane morto a 29 anni l’11 luglio mentre era detenuto alle Sughere. La morte secondo l’autopsia, disposta dal Pm Roberto Pennisi, è avvenuta per cause naturali. Ma la donna ritiene che la morte sia conseguente ad pestaggio. Per questo ha presentato una denuncia e il pubblico ministero Roberto Pennisi ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio.
Nei giorni scorsi la donna dopo aver parlato ancora con il magistrato ha deciso con il suo legale di fiducia, l’avvocato Fabrizio Bianchi di Pisa, di presentare alla sezione di polizia giudiziaria della Procura un altro esposto contro gli agenti di polizia penitenziaria in servizio l’11 luglio dalle 14 nel settore dove c’era suo figlio. Maria Ciuffi non si rassegna alla morte in cella del figlio e vuole andare fino in fondo, perché ritiene che il giovane sia stato ucciso. Per questo la madre di Marcello Lonzi ha anche scritto un’accorata lettera al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Nel documento la signora Ciuffi spiegava la vicenda di suo figlio e del suo tragico epilogo, per lei ancora inspiegabile. "Adesso ho paura - affermava la donna -. Paura che su questa vicenda non venga mai fatta chiarezza, ho paura che prevalga la volontà di nascondere la verità, di nascondere uno scandalo. Quelle che umilmente Le chiedo è di aiutarmi a impedire che accada tutto questo, consentendo a una madre che ha perso il suo unico figlio in un carcere dello Stato italiano di sapere come ciò sia potuto accadere, come tutto ciò sia stato possibile".
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Maurizio Turco, presidente dei deputati europei radicali, ha visitato oggi pomeriggio il carcere livornese delle "Sughere" insieme a Sergio D’Elia, segretario nazionale dell’associazione "Nessuno tocchi Caino".
"Abbiamo visitato la sezione dove era rinchiuso Marcello Lonzi - ha spiegato D’Elia - il giovane detenuto livornese morto in carcere lo scorso 11 luglio e sulla cui morte non e’ ancora stata fatta piena luce. Abbiamo cercato di capire quale fosse la condizione di questo carcere. Lo Stato deve garantire giustizia a tutti e quello che è successo a Lonzi è una condizione ordinaria dell’amministrazione della vita dei reclusi".
***
Atti della Camera dei Deputati - Seduta n° 368 del 6 ottobre 2003
Per sapere, premesso che:
da notizie stampa, si è appreso che, in data 11 luglio 2003, un detenuto
tossicodipendente di ventinove anni, Marcello Lonzi, ristretto presso il carcere
"Le Sughere" di Livorno, sarebbe deceduto per un arresto cardiocircolatorio
dovuto ad infarto;
come riportato dalla stampa, secondo i familiari sarebbero state rinvenute evidenti
ferite, nonché numerose ecchimosi, sul corpo di Marcello Lonzi (alla
testa e al torace);
tale circostanza solleva dubbi sui reali motivi del decesso;
circa una settimana prima della morte del detenuto, la sorella di Marcello Lonzi
aveva avuto un colloquio col fratello all’interno dell’istituto
penitenziario, e le sue condizioni - come dichiarato dalla sorella - erano più
che buone e non evidenziavano alcun problema di salute;
Marcello Lonzi, condannato ad otto mesi di reclusione per un tentativo di furto,
aveva già scontato metà pena ed era in attesa di essere avviato
in comunità per la riabilitazione, avendo quasi concluso la terapia a
base di metadone.
Se non intenda adottare le opportune iniziative affinché sia istituita
una commissione ministeriale per chiarire le eventuali responsabilità
amministrative connesse con la morte del detenuto di cui si è detto in
premessa.
***
Un aiuto per impedire che "prevalga la volontà di nascondere la verità": è quanto chiede, in una lettera a Ciampi, la madre di un detenuto morto a Livorno. L’autopsia compiuta sul corpo di Marcello Lonzi, 29 anni, in carcere per scontare una pena a 8 mesi di reclusione per tentato furto e in attesa di usufruire dell’indultino, aveva attribuito la morte a un infarto fulminante. Ma la madre, Maria Ciuffi, è convinta che il figlio sia stato ucciso in carcere.
***
Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi morto per infarto nel carcere Le Sughere a luglio, ha vinto la sua prima battaglia a favore della verità sulle reali cause che hanno portato al decesso del figlio. Sul suo corpo erano state trovate ecchimosi e ferite di dubbia origine.
Il sindaco Gianfranco Lamberti ha così accolto la sua richiesta, e anche quella dei consiglieri Marco Solimano (Ds), Luciano Vizzoni (Sdi), Paolo Gangemi (Pdrc) e Massimo Bianchi (Livorno Insieme), a promuovere "un’iniziativa mirata - così ha annunciato il sindaco ieri in consiglio - nei confronti della casa circondariale Le Sughere e della magistratura affinché si faccia luce su questo caso".
Nella sua comunicazione Solimano ha ricordato che sulla morte di Marcello "la madre ha presentato un esposto alla magistratura che sta indagando per appurare se è stato commesso il resto di omicidio, visto anche l’esito dell’autopsia". E Gangemi: "L’onorevole Pisapia presenterà un’interrogazione al ministro Castelli".
***
La madre di Marcello Lonzi, il detenuto trovato morto l'11 luglio scorso all’interno alle "Sughere" si è presentata ieri in consiglio comunale. Lo ha fatto per chiedere ai capigruppo dell’assemblea il loro appoggio e il loro aiuto per fare luce sulle cause del decesso di Marcello. Ufficialmente si è trattato di un caso di suicidio. Ma la donna è convinta che il figlio sia stato percosso all’interno del carcere così duramente da perdere la vita.
"Sul suo corpo sono state trovate infatti numerose ecchimosi sospette - ha raccontato Maria Ciuffi al capogruppo di Livorno Insieme Massimo Bianchi, al capogruppo dello Sdi Luciano Tizzoni e ad Enrico Bianchi della Margherita - che mi fanno temere che sia stato ucciso. Non credo alla storia del suicidio. Mio figlio non era tipo da volerla fare finita".
Tutti i capigruppo interpellati dalla donna si sono così impegnati a darle una mano cercando di fare pressione sulle autorità competenti affinché su questa travagliata e oscura vicenda sia fatta chiarezza al più presto.