"Chiudiamo le scuole"
di Giovanni Papini
1 giugno 1914
Diffidiamo de' casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono
o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi,
Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio:
segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto - contro la
morte - contro lo straniero - contro il disordine - contro la solitudine - contro
tutto ciò che impaurisce l'uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco
eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua
tremebondaggine.
Vi sono sinistri magazzini di uomini cattivi - in città e in campagna
e sulle rive del mare - davanti a' quali non si passa senza terrore.
Lì son condannati al buio, alla fame, al suicidio, all'immobilità,
all'abbrutimento, alla pazzia, migliaia e milioni di uomini che tolsero un po'
di ricchezza a' fratelli più ricchi o diminuirono d'improvviso il numero
di questa non rimpiangibile umanità. Non m'intenerisco sopra questi uomini
ma soffro se penso troppo alla loro vita - e alla qualità e al diritto
de' loro giudici e carcerieri. Ma per costoro c'è almeno la ragione della
difesa contro la possibilità di ritorni offensivi verso qualcun di noialtri.
Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei
fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore
del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare
il loro cervello? Gli altri potete chiamarli - con morali e codici in mano -
delinquenti ma quest'altri sono, anche per voi, puri e innocenti come usciron
dall'utero delle vostre spose e figliuole. Con quali traditori pretesti vi permettete
di scemare il loro piacere e la loro libertà nell'età più
bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità
della loro intelligenza?
Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni
della civiltà, l'educazione dello spirito, l'avanzamento del sapere
Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta
fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli
e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico
ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso
non erano stati a scuola o non v'insegnavano.
Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua
necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare
il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni
e riforme intellettuali.
Soltanto per caso e per semplice coincidenza - raccoglie tanta di quella gente!
- la scuola può essere il laboratorio di nuove verità.
Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un
semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta
di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo ufficio - perché
le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando
e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare
a bisogni pratici e prettamente borghesi.
Quali?
Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi
di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero
dominante della "posizione" e della "carriera".
Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e
vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più,
tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete
poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare
impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.
Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e
perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione
di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di
certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più
faticose.
Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli, preparatori,
assistenti, editori, librai, cartolai e avrete la trama completa degli interessi
tessuti attorno alle comunali e regie e pareggiate case di pena.
Nessuno - fuorché a discorsi - pensa al miglioramento della nazione,
allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più:
al bene dei figliuoli.
Le scuole ci sono, fanno comodo, menano a qualche guadagno: ficchiamoci maschi
e femmine e non ci pensiamo più.
L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici,
dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere,
di libertà.
Libertà per rafforzare il corpo e conservarsi la salute, libertà
all'aria aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti
miopi, anemici e nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha
inventate!)
Libertà per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle
diecimila possibilità, invece che in quella artificiale e ristretta delle
classi e dei collegi.
Libertà per imparare veramente qualcosa perché non s'impara nulla
di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale
colla realtà. Nella quale ognuno s'inserisce a modo suo e sceglie quel
che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione
disseccatrice e uniforme ch'è l'insegnamento.
Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose
piene di fiati - l'immobilità fisica più antinaturale - l'immobilità
dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare - lo sforzo disastroso
per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili - e l'annegamento
sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel
mar nero degli uniformi programmi. Fino a sei anni l'uomo è prigioniero
di genitori, bambinaie e istitutrici; dai sei ai ventiquattro è sottoposto
a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell'ufficio, del
caposezione, del pubblico e della moglie; tra i quaranta e i cinquanta vien
meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d'ogni padrone)
e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte.
Lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po' d'igienica
anarchia!
L'unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico
sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo
punto c'è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati.
La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione.
Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte
altre da sé.
Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a
liberarsene - e non tutti ci arrivano.
Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri
stampati.
Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente
nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico.
Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare:
la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle
facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori.
Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo
e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità
d'ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
Non si può insegnare a più d'uno. Non s'impara qualcosa dagli
altri che nelle conversazioni a due, dove colui che insegna si adatta alla natura
dell'altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non detta il suo verbo
dall'alto.
Quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono
mai andati a scuola o ne sono scappati presto o sono stati "cattivi"
scolari. (I mediocri che arrivano nella vita a fare onorata e regolare carriera
e magari a raggiungere una certa fama sono stati spesso i "primi"
della classe).
La scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena
passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quel che s'è
ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo.
Vorrei che i nostri dottori della legge, per i quali la scuola è il
tempio delle nuove generazioni e i manuali approvati sono i sacri testamenti
della religion pedantesca, leggessero almeno una volta il saggio di Hazlitt
sull'Ignoranza delle persone istruite, che comincia così: "La
razza di gente che ha meno idee è formata da quelli che non son altro
che autori o lettori. È meglio non saper né leggere né
scrivere che saper leggere e scrivere, e non essere capaci d'altro".
E più giù: "Chiunque è passato per tutti i gradi regolari
d'una educazione classica e non è diventato stupido, può vantarsi
d'averla scappata bella".
Credo che pochissimi potrebbero - se sapessero giudicarsi da sé - vantarsi
di una tal resistenza. E basta guardarsi un momento attorno e vedere quale sia
la media intelligenza de' nostri impiegati, dirigenti, professionisti e governanti
per convincersi che Hazlitt ha centomila ragioni. Se c'è ancora un po'
d'intelligenza nel mondo bisogna cercarla fra gli autodidatti o fra gli analfabeti.
La scuola è così essenzialmente antigeniale che non ristupidisce
solamente gli scolari ma anche i maestri. Ripeti e ripeti anni dopo anni le
medesime cose, diventano assai più imbecilli e immalleabili di quel che
fossero al principio - e non è dir poco.
Poveri aguzzini acidi, annoiati, anchilosati, vuotati, seccati, angariati, scoraggiati
che muovon le loro membra ufficiali e governative soltanto quando si tratta
di aver qualche lira di più tutti i mesi!
Si parla dell'educazione morale delle scuole. Gli unici risultati della convivenza
tra maestri e scolari è questa: servilità apparente e ipocrisia
dei secondi verso i primi e corruzione reciproca tra compagni e compagni.
L'unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine.
Bisogna chiuder le scuole - tutte le scuole. Dalla prima all'ultima. Asili e
giardini d'infanzia; collegi e convitti; scuole primarie e secondarie; ginnasi
e licei; scuole tecniche e istituti tecnici; università e accademie;
scuole di commercio e scuole di guerra; istituti superiori e scuole d'applicazione;
politecnici e magisteri. Dappertutto dove un uomo pretende d'insegnare ad altri
uomini bisogna chiuder bottega. Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo
né ai professori disoccupati né ai librai in fallimento. Tutto
s'accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo
di sapere (e di saper meglio e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i
più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni governative.
Ci saranno più uomini intelligenti e più uomini geniali; la vita
e la scienza andranno innanzi anche meglio; ognuno se la caverà da sé
e la civiltà non rallenterà neppure un secondo. Ci sarà
più libertà, più salute e più gioia.
L'anima umana innanzi tutto. È la cosa più preziosa che ognuno
di noi possegga. La vogliamo salvare almeno quando sta mettendo le ali. Daremo
pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti, presidi, professori,
liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuor dalle loro
fabbriche privilegiate di cretini di stato. Ne abbiamo abbastanza dopo tanti
secoli.
Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l'imbecillità
e per la morte.