Assemblea sindacale di scuola: o.d.g. contratto e RSU (rappresentanza sindacale unitaria). Il sindacalista (CGIL, a cui sono ancora iscritta) comincia con l'analisi dei dati degli ultimi scioperi per dire che "la categoria non è sufficientemente compatta e in parte è rassegnata" e vi collega l'importanza dell'elezione delle RSU, "un modo nuovo per fare sindacato", che costruirà quell'unità che serve per "contrapporsi" al governo. Passa poi all'attuale confronto con il governo nel dettaglio: soldi (stipendio europeo), soldi (interventi di status: buoni pasto, defiscalizzazione, ecc.), soldi (fondi per le scuole), soldi (fondi per l'Autonomia), soldi (liquidazione trasformata in Trattamento Fine Rapporto). Ogni tanto frammezza con: "è vero che GILDA e COBAS nel confronto con il governo non ci sono, ma le regole della democrazia sono la rappresentanza... se riusciranno a farsi eleggere nelle RSU allora sarà diverso" oppure: "i Confederali sono pronti: hanno alimentato una vertenza scuola e se necessario si tornerà allo sciopero". Sul finale (è andato avanti per più di un'ora) ritorna trionfalmente sulle RSU, che sono "il vero strumento di rappresentanza" che servirà a "ridare senso al nostro lavoro" e a "contrapporsi alla dirigenza".
Non si sa se ridere o piangere di fronte a questo impianto concettuale, ma in tre colleghe abbiamo testardamente obiettato in un acceso contraddittorio che, lo dico a mente un po' più calma, voleva fargli sapere che:Con questa cronaca-lettera aperta mi rivolgo alle insegnati di qualunque ordine di scuola fino all'università, e a quegli uomini (pochi) che accettano di interloquire con ciò che ha da dire un pensiero politico femminile.
Il contrasto che si è aperto tra due diverse concezioni della scuola, dell'organizzazione, della politica, ha a che fare strettamente con un conflitto tra i sessi in un mondo scuola che è nato come esclusivamente maschile ed è diventato prevalentemente femminile. La scuola sta già cambiando nelle sue pratiche, che non sono più quelle descritte da Foucault in Sorvegliare e punire e tendono invece ad essere sempre più relazionali e di trasformazione di sé nel rapporto vivo con le nuove generazioni. A questa direzione di tendenza che è fluida e tutta da percorrere si oppone un'ossessione per l'organizzazione e il controllo tutta interna a una concezione maschile della società e della politica. Questo stato delle cose non solo ha prodotto un'autonomia scolastica che è un paradosso linguistico e strutturale per quanto manca di autonomia, ma ha fatto anche fallire molti dei coordinamenti di insegnanti in lotta creati l'anno scorso in molte città.
Allora come stiamo e come starci in questa realtà?
Io ho notato che questo inizio d'anno è caratterizzato da un maggior disincanto femminile: chi l'anno scorso ha accettato di fare la funzione obiettivo oggi è una pentita proprio per il disagio della rottura delle relazioni e non vuole più farlo. Chi ha speso molto del suo tempo nel tentativo di costruire nuovi modelli organizzativi, constata che la montagna ha partorito un topolino e tutto il lavoro ha prodotto poco o nulla. Chi ha in tasca una tessera sindacale si domanda perché, chi ha partecipato ai coordinamenti cerca forme politiche diverse.
Questo disincanto prende la forma di un riaffezionarsi alle pratiche in classe, con un segno di ambiguità che è il nodo politico del momento: può significare che si torna a ciò che veramente conta; può assumere l'aspetto del ripiegamento e del chiudersi nel particolare.
La scommessa di oggi ai miei occhi è proprio questa: politicizzare al massimo questo ritorno all'essenziale del fare scuola e autorizzarsi alla massima libertà creativa; togliere il proprio supporto a questa impresa di riorganizzazione maschile e ai fratelli compagni di lotta, per un'affermazione di autonomia soggettiva e una presa di parola femminile sulla scuola; riallacciare rapporti significativi tra donne che costituiscano la cornice politica che ci dà forza.
In poche parole: stare a questo mondo rendendoci ingovernabili.