Ho letto gli interventi di Marinella, Vita e Michele a proposito delle prossime elezioni delle RSU.
Prendo parola anch'io per vari motivi, il più importante dei quali è la mia volontà politica di problematizzare, come dice Marinella, la validità dei cambiamenti che ci stanno chiedendo di fare e introdurre nella scuola pubblica. Credo nella scuola pubblica e con Vita mi trovo d'accordo sull'affermare che il contrasto che si sta sviluppando tra due diverse concezioni della scuola è un contrasto provocato dal fatto che la scuola è un luogo di lavoro con una stragrande maggioranza di lavoratrici e non di lavoratori, ma proposte di riforma e cambiamento sia organizzativo sia strutturale sono fatte da uomini che non si sono minimamente messi in ascolto con chi la scuola l'ha fatta in tutti questi anni.
Michele Corsi chiude il suo intervento paragonando le RSU ad un casco di cui avremmo bisogno nella scuola per combattere la battaglia contro l'aziendalizzazione.
L'immagine del casco è molto evocativa per me: per anni da piccola sono stata costretta a portarlo per proteggermi per via di un importante intervento chirurgico cui ero stata sottoposta. Ho sofferto parecchio, mia madre racconta che non volevo metterlo mai, il fastidio che provocava era insopportabile per una bambina piccola, che voleva giocare e muoversi leggera, libera.
E che dire di quando lo si usa per andare in moto? Scendi e la prima cosa che fai è... togliertelo. Il casco ingombra, ovatta, irrigidisce nei movimenti, provoca quella strana sensazione di non essere più a contatto con il mondo per come ne sei capace.
Ma in certe situazioni è questione di vita o di morte. Mentre però nei casi che ho indicato in genere è più per la vita che per la sua fine, per la scuola il casco delle RSU io non riesco ad immaginare che funzioni come strumento protettivo.
E una protesi, "qualsiasi apparecchio sostitutivo di un organo mancante", e delle protesi finché si può, è bene farne a meno, posto che di organo veramente mancante si tratti in questo caso.
Io insegno nelle scuole elementari, da noi prima che si cominciasse a parlare di tavolo contrattuale tralasciando lo sforzo che abbiamo dovuto compiere per capire chiaramente di cosa si trattasse - non sfiorava l'idea a nessuna che ci mancasse un'altra protesi. La parola controparte da noi non è in uso.
Il Direttore presiede i collegi, numerosi ultimamente come mai è accaduto in quel di Settimo Milanese, e non sempre è puntuale e competente in quella che dovrebbe essere una delle sue qualità come dire? - fondamentali: capacità creativa di ascolto e risoluzione di conflitti.
È un uomo, di potere. Noi siamo tutte donne, tranne quattro, siamo novanta. I delegati in consiglio di circolo sono due di quei quattro e fino al mese scorso mancavamo del numero pieno di rappresentanti, perché le colleghe non volevano più starci a quelle riunioni piuttosto noiose e faticose. Recentemente si sono anche dimessi, se la sono legata al dito per via di una lettera firmata da una buona parte delle colleghe in risposta ad una loro presa di posizione che non teneva conto del parere espresso dal collegio. Problemi della rappresentanza.
Quindi ora ci sarebbe bisogno di un tavolo contrattuale e di altri rappresentanti...
Ripropongo allora la domanda posta da Marinella: chi ne ha bisogno?
Chi fra quelle e quelli che lavorano nella scuola aveva bisogno delle funzioni obiettivo, di altri rappresentanti, di un organo che prendesse posizione rispetto alla "controparte"?
Ciò che abbiamo costruito in questi anni è stato fatto grazie all'impegno, alla creatività di chi si sentiva di proporre, di darsi, di sostenere pubblicamente, motivando e problematizzando man mano progetti, idee e arrivando alle denunce se necessario. Ma... libere e nella dimensione della comunità, collettività, con tutti i problemi e le complessità che questo comporta.
Forse alle elementari è diverso che alle superiori. Alle elementari siamo per la maggior parte donne, scoppiate e frustrate non direi, stanche sì, però, allora, la questione è anche di immagini che si hanno, in cui possiamo ritrovare ciò che siamo e stiamo vivendo nella scuola.
Parlo per me: io sono contenta del lavoro che faccio, le bambine e i bambini con cui lavoriamo noi delle quarte sono mediamente contenti, e sono tanti e sono complessi. I tavoli di cui abbiamo bisogno sono quelli di legno, grandi e accoglienti, intorno a cui fare scuola costruendo e interagendo molto col corpo, con le mani, con gli sguardi.
Quelli, ci mancano.
Di sedermi intorno ad un altro tavolo per prendere decisioni che fino ad adesso il Collegio ha gestito ed è riuscito a sbrogliare o non vi è riuscito, ma non corre pericolo di morte per questo, non ne ho alcun desiderio. E io sono una di quelle che si spende parecchio.
Di togliere al Collegio un'altra fetta di campo d'azione, questo lo ritengo pericoloso.
Di credere che chi sia seduto al tavolo servirà il bene di tutti, lo sento come un pensiero stonato, per la perversione dell'invito, in questo momento storico, in questa società, dopo che la storia dei sindacati, dei partiti, della politica della rappresentanza ha avuto la risoluzione che ha avuto - nella scuola: proposta di carriera per merito, introduzione delle funzioni obiettivo, che, tra parentesi, nella mia scuola non devono neanche presentare "titoli" per essere votate e sono tutti uomini, tre su quattro dei presenti.
I conti così non tornano, o forse quadrano perfettamente ma non ci stiamo dicendo il risultato?
Contrattare è ormai una prassi delle comunità, qualunque esse siano, nelle società democratiche, non è ancora una prassi in cui siamo così esperte/i, per sua natura anzi è continuamente perfettibile, ed è una prassi dura, complessa, faticosa. Ma è ciò che stiamo sempre più facendo, sicuramente come donne, donne libere.
Se facessimo un gioco, quello di immaginarci di iniziare daccapo la scuola, tenendo ben presente il tempo e lo spazio in cui siamo, che cosa salveremmo, che cosa valuteremmo condizione sine qua non per fare una buona scuola?
Su alcuni punti saremmo presto d'accordo: meno alunne e alunni per classi, adeguati spazi, adeguati mezzi, investimenti intelligenti di denaro e di energia, la salvaguardia del tempo libero di chi fa questo mestiere, che è tempo di ricarica, di ripensamenti, di distanze sane da prendere. Ce ne sono sicuramente altri, e investire in questi con una riforma implicherebbe già abbastanza per i prossimi anni.
Il tavolo contrattuale sarebbe quindi un organo necessario a questo punto nella storia della scuola italiana: che dire allora della fatica di tenere uniti tutti i diversi piani di "gestione" che si stanno creando oltre quello del Collegio?
Nella mia scuola c'è già lo "staff" formato da collaboratrici, funzioni obiettivo e Direttore.
Per evitare che tale organo operi all'oscuro di tutte/i, per ovviare quindi ai cosiddetti problemi di trasparenza, per rendere conto del fatto che non vada oltre, con eccessi di mandato, i compiti che gli sono stati demandati, una collega si incarica ogni volta di redigere una relazione. Prima dello staff le colleghe comunicano problemi, aspetti da considerare,... e delegano fortemente.
Le riunioni dello staff sono lunghe, dense, sono inconcludenti rispetto ai problemi riscontrati perché se manca poi la serietà di chi è incaricato ai vari compiti, o manca il senso dell'iniziativa creativa, o non ci sono soldi per pagare... il meccanismo non funziona.
E lo staff va sempre oltre i suoi compiti in un eccesso di mandato... chi lì si riunisce spinge, o applica in varia misura quello che si è elaborato all'interno.
Di questi luoghi, altri rispetto al collegio, io che vi partecipo come collaboratrice e che sarò presto dimissionaria, sono ora profondamente sospettosa e critica: si opera comunque sempre per certi versi all'oscuro, le dinamiche e le emozioni che lì si scatenano muovono poi azioni o reazioni che non si collocano più nel piano della collettività. Se prima un filo forte e abbastanza riconoscibile a chiunque legava le/gli insegnanti al Collegio, ora il filo è stato spezzato.
La moltiplicazione dei piani di gestione di un'istituzione va controtendenza rispetto alle profonde critiche che la storia ci porta circa la burocratizzazione, la frammentazione, controtendenza anche rispetto alla ricerca di senso che si può attuare, ora lo sappiamo meglio di prima, avendo chiari i rapporti tra il tutto e le parti.
C'è un'emorragia di pensiero, di confronto, di energia che a questo punto fa problema.